martedì 7 agosto 2012
giovedì 12 luglio 2012

sabato 25 dicembre 2010
Siamo sempre più convinti che la vigilanza di tutto il popolo di Dio (riunito in Chiesa) e la minore disponibilità a consegnare e a ricevere nelle mani il Corpo di Cristo, siano gli atteggiamenti minimi per impedire il ripetersi degli atti sacrileghi; oltre a reinsegnare a rispettare ed amare il Sacro Sacrificio che il Signore ci ha affidato.
Cortemaggiore (PC) iI monito del parroco
martedì 11 maggio 2010
La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali invita tutti al Regina Coeli del 16 maggio 2010 in Piazza San Pietro.
Per testimoniare a Benedetto XVI l’affetto del popolo cristiano
La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali, organismo che raduna sessantasette associazioni e movimenti ecclesiali italiani, invita quanti appartengono e si riconoscono nel mondo dell’associazionismo cattolico a partecipare a Roma alla recita del Regina Coeli, domenica 16 maggio 2010, in Piazza San Pietro.
Vogliamo in questo modo stringerci visibilmente intorno a Benedetto XVI come figli col padre, desiderosi di sostenerlo nel suo impegnativo ministero, esprimendogli affetto e gratitudine per la sua passione per Cristo e per l’umanità intera.
Il 16 maggio a Roma intendiamo consegnare nelle mani di Maria la nostra fedeltà al Santo Padre per il bene della Chiesa, nella quale facciamo esperienza della misericordia, unica risposta adeguata al bisogno di giustizia, che emerge dal cuore di ciascuno in questi momenti.
Ci guida l’umile certezza testimoniata dalle parole del Papa: «È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire».
Con questa consapevolezza invitiamo tutti alla preghiera in Piazza San Pietro, grati al Signore che ci ha donato Benedetto XVI come guida nel nostro cammino di fede.
Roma, 14 aprile 2010
La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali
domenica 2 maggio 2010
giovedì 25 giugno 2009
La Congregazione vaticana per il Clero ha lanciato una pagina web dedicata all'Anno Sacerdotale, inaugurato questo venerdì da Benedetto XVI: www.annussacerdotalis.org.
Il Cardinale Cláudio Hummes, O.F.M., prefetto del dicastero vaticano, lo ha annunciato in un comunicato in cui spiega che questa iniziativa vuole accompagnare la vita dei sacerdoti, soprattutto quest'anno.
La pagina “ha come specifica finalità l’aiuto concreto, con note spirituali, notizie varie e documenti, circa lo stesso Anno Sacerdotale”, ricorda il porporato brasiliano.
“L’Anno sacerdotale è oggetto di una accoglienza molto buona in tutto il mondo – constata il Cardinale Hummes –. La ripercussione positiva si diffonde rapidamente. Attiviamoci tutti, pertanto, per partecipare con impegno e creatività”.
Il nuovo sito viene pubblicato in italiano, inglese, spagnolo, francese, tedesco e portoghese.
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 19 giugno 2009 (ZENIT.org).
giovedì 18 dicembre 2008
venerdì 31 ottobre 2008
«Il Vangelo scaccia il demonio»
«Oggi, attraverso i mass media e la tv, vengono presentate interpretazioni cattive della società odierna, la nostra fantasia diventa dunque invasa da quello che fa il demonio nel mondo. Occorre esorcizzarlo. Come? Ascoltando cose buone, guardando cose belle. In molte case non c'è neppure un'immagine religiosa, un quadro sacro; come si fa ad essere aiutati ad esorcizzare la propria fantasia?!» È il senso delle presenza di don Pietro Viola, esorcista di Parma, ieri nella chiesetta di San Giuseppe all'Ospedale, tra l'aria satura di incenso, la lunga fila al centro della navata per l'unzione degli infermi, la preghiera finale di guarigione. Erano circa 150 le persone che ieri hanno risposto all'invito di don Virgilio Zuffada, parroco della chiesa dell'ospedale piacentino. Con il permesso del vescovo e dei parroci, ha organizzato una serie di messe di guarigione ogni ultimo giovedì del mese. Il lato "maligno" della sofferenza è stato affrontato ieri da don Viola. «Lavoro con i malati psichici e con i posseduti - ha esordito -, ma tutti noi siamo in grado di fare opera di esorcismo. Quando il prete spiega il Vangelo caccia il demonio dalla mente dei fedeli. Il demonio è contrario alla verità del Vangelo e se si legge il Vangelo e la nostra mente si lascia illuminare, viene esorcizzato».


Il Nuovo Giornale - settimanale della Diocesi di Piacenza-Bobbio del 7 novembre 2008
mercoledì 29 ottobre 2008
O F F R E
alle persone ammalate e sofferenti e alle loro famiglie
La Celebrazione Eucaristica, con la Sacra Unzione;
la Preghiera di Liberazione;
e la Preghiera di Guarigione
ogni ultimo giovedì del mese (da novembre 2008 a giugno 2009) alle ore 15
_________________________________________________
Inizio degli incontri celebrativi
giovedì 30 ottobre 2008 ore 15
Chiesa di San Giuseppe all'Ospedale
Via Campagna, 68 - Piacenza
celebra don Pietro Viola
Parroco Esorcista della Diocesi di Parma
giovedì 9 ottobre 2008

DA ROMA
Salvatore Mazza richiama la centralità del dialogo, il messaggio inviato dal Consiglio ecumenico delle Chiese.
da Avvenire del 9 ottobre 2008

martedì 7 ottobre 2008
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CITTA’ DEL VATICANO - Con una solenne concelebrazione nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI ha aperto la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che affrontera' in Vaticano il tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Con il Papa, 326 concelebranti: 52 Cardinali, 14 Patriarchi delle Chiese Orientali, 45 Arcivescovi, 130 Vescovi e 85 Presbiteri (di cui 12 Padri Sinodali, 5 Officiali della Segreteria Generale, 30 Uditori, 5 Esperti, 4 Addetti stampa, 24 Assistenti e 5 traduttori). I lavori termineranno fino al 26 ottobre. "Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una societa' dove regnino la liberta’, la giustizia e la pace?", e’ stato l’interrogativo posto dal Pontefice all’inizio dell’omelia. Benedetto XVI e’ partito dall’amara constatazione che "la cronaca quotidiana dimostra ampiamente che si estendono l'arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l'ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione". "Il punto d'arrivo - ha affermato il Santo Padre - e' che l'uomo si ritrova piu' solo e la societa' piu' divisa e confusa". Per il Papa, dunque, occorre chiedersi se "quando l'uomo elimina Dio dal proprio orizzonte e' veramente piu' felice? Diventa veramente piu' libero?". Nella societa' odierna, ha denunciato Benedetto XVI, "vi e' chi, avendo deciso che 'Dio e' morto', dichiara dio se stesso, ritenendosi l'unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo: sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l'uomo crede di poter fare cio' che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire". "Quando Dio parla - ha scandito il Papa - sollecita sempre una risposta; la sua azione di salvezza richiede l'umana cooperazione; il suo amore attende corrispondenza. Che non debba mai accadere, cari fratelli e sorelle, quanto narra il testo biblico a proposito della vigna!". Ma l'umanita' non deve perdere la speranza: il Vangelo, ha detto il Santo Padre, ci da' un "consolante messaggio: la certezza che il male e la morte non hanno l'ultima parola, ma a vincere alla fine e' Cristo. Sempre". Purtroppo, pero’, "Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identita', sotto l'influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna". "Se guardiamo la storia - ha osservato Benedetto XVI -, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di cio', Dio, pur non venendo mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E' spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunita' cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia". "Non potrebbe avvenire la stessa cosa - si e' domandato il Pontefice - in questa nostra epoca?". In proposito, il Papa ha evocato la parabola della vigna i cui operai "vengono maltrattati e persino uccisi" dai nemici del padrone. La stessa sorte, ha detto, riservata nella storia "al popolo eletto e ai profeti inviati da Dio". Ma non solo: ancora oggi, "il disprezzo per l'ordine impartito dal Padrone si trasforma in disprezzo verso di lui: non e' la semplice disubbidienza ad un precetto divino, e' il vero e proprio rigetto di Dio". Secondo Benedetto XVI, "quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo di pensare e di agire; interpella, in modo speciale, i popoli che hanno ricevuto l'annuncio del Vangelo" e che oggi sono messi a dura prova dal processo di secolarizzazione, fino a rischiare di perdere la propria identita' cristiana. Ma "nelle parole di Gesu' vi e' una promessa: la vigna non sara' distrutta". Infatti, "mentre abbandona al loro destino i vignaioli infedeli, il Padrone non si distacca dalla sua vigna e l'affida ad altri suoi servi fedeli. Questo indica che se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi, vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla: la vigna continuera' allora a produrre uva e sara' data in affitto dal padrone ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo". Intanto, in questo Anno Paolino "sentiremo risuonare con particolare urgenza il grido dell'Apostolo delle genti: 'Guai a me se non predicassi il Vangelo'; grido che per ogni cristiano diventa invito insistente a porsi al servizio di Cristo", ha quindi esortato il Papa citando l'invocazione "rogate" pronunciata da Gesu' nel Vangelo: "La messe e' molta - ha evidenziato Benedetto XVI - ripete anche oggi il Divin Maestro: tanti non lo hanno ancora incontrato e sono in attesa del primo annuncio del suo Vangelo; altri, pur avendo ricevuto una formazione cristiana, si sono affievoliti nell'entusiasmo e conservano con la Parola di Dio un contatto superficiale; altri ancora si sono allontanati dalla pratica della fede e necessitano di una nuova evangelizzazione. Non mancano poi - ha elencato il Pontefice - persone di retto sentire che si pongono domande essenziali sul senso della vita e della morte, domande alle quali solo Cristo puo' fornire risposte appaganti. Diviene allora indispensabile per i cristiani di ogni continente essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che e' in loro, annunciando con gioia la Parola di Dio e vivendo senza compromessi il Vangelo". Da parte sua, ha assicurato il Santo Padre, "la Chiesa non si stanca di proclamare questa Buona Novella, come avviene anche quest'oggi, in questa Basilica dedicata all'Apostolo delle genti, che per primo diffuse il Vangelo in vaste regioni dell'Asia minore e dell'Europa". "Rinnoveremo in modo significativo questo annuncio - ha promesso il Papa - durante tutta la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha come tema 'La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa'. L'Assemblea sinodale volgera' la sua attenzione a questa verita' fondamentale per la vita e la missione della Chiesa: nutrirsi della Parola di Dio e' per essa il compito primo e fondamentale". Infatti, "se l'annuncio del Vangelo costituisce la sua ragione d'essere e la sua missione, e' indispensabile che la Chiesa conosca e viva cio' che annuncia, perche' la sua predicazione sia credibile, nonostante le debolezze e le poverta' degli uomini che la compongono". Conclusa la concelebrazione dell'Eucaristia con tutti i membri del Sinodo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI e' rientrato in Vaticano per recitare l'Angelus con gli oltre 50.000 fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Nel breve discorso pronunciato dalla finestra dello studio privato, ha richiamato l’attenzione "sul valore e la funzione di questa particolare assemblea di Vescovi, scelti in modo da rappresentare tutto l'episcopato e convocati per apportare al Successore di Pietro un aiuto piu' efficace, manifestando e consolidando al tempo stesso la comunione ecclesiale. Si tratta - ha continuato il Papa - di un organismo importante, istituito nel settembre del 1965 dal mio venerato predecessore il servo di Dio Paolo VI, durante l'ultima fase del Concilio Vaticano II, per attuarne una consegna contenuta nel Decreto sul ministero dei Vescovi". "Per l'Assemblea sinodale ordinaria - ha sottolineato ancora il Pontefice -, accogliendo autorevoli pareri in tal senso, ho scelto il tema della Parola di Dio da approfondire, in prospettiva pastorale, nella vita e nella missione della Chiesa. Ampia e' stata la partecipazione alla fase preparatoria da parte delle Chiese particolari di tutto il mondo, che hanno inviato i loro contributi alla Segreteria del Sinodo, la quale a sua volta ha elaborato l''Instrumentum laboris', documento su cui si confronteranno i 253 Padri sinodali: 51 dell'Africa, 62 dell'America, 41 dell'Asia, 90 dell'Europa e 9 dell'Oceania. Ad essi si aggiungono numerosi esperti e uditori, uomini e donne, come pure i 'delegati fraterni' delle altre Chiese e Comunita' ecclesiali e alcuni invitati speciali". "Cari fratelli e sorelle - e’ stato il suo appello -, vi invito tutti a sostenere i lavori del Sinodo con la vostra preghiera, invocando specialmente la materna intercessione della Vergine Maria, perfetta Discepola della divina Parola". Ma quali sono le finalita’ del Sinodo? E’ stato il Papa stesso a rispondere: "Favorire una stretta unione e collaborazione tra il Papa e i Vescovi di tutto il mondo; fornire informazioni dirette ed esatte circa la situazione e i problemi della Chiesa; favorire l'accordo sulla dottrina e sull'azione pastorale; affrontare tematiche di grande importanza ed attualità". "Tali diversi compiti - ha rimarcato Benedetto XVI - vengono coordinati da una Segreteria permanente, che opera in diretta e immediata dipendenza dall'autorita' del Vescovo di Roma". "La dimensione sinodale e' costitutiva della Chiesa - ha proseguito il Santo Padre -: essa consiste nel convenire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: Io sono la Via, la Verita' e la Vita". L'etimologia della parola Sinodo, ha infine rammentato il Pontefice, "suggerisce l'idea del 'fare strada insieme', ed e' proprio questa l'esperienza del Popolo di Dio nella storia della salvezza". Il Papa, sempre all’Angelus, ha tenuto a sottolineare che la lettura integrale della Bibbia promossa dalla Rai rappresenta per lui un "evento che ben si affianca al Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio". "Io stesso - ha annunciato dopo la tradizionale preghiera mariana - daro' avvio alla lettura del primo capitolo del Libro della Genesi. La Parola di Dio potra' cosi' entrare nelle case per accompagnarsi alla vita delle famiglie e delle singole persone: un seme che, se bene accolto, non manchera' di portare frutti abbondanti". Benedetto XVI ha inoltre ricordato che questa "singolare iniziativa" dal titolo "Bibbia giorno e notte" consiste "nella lettura continua di tutta la Bibbia, per sette giorni e sei notti, fino a sabato prossimo, 11 ottobre, in diretta televisiva. La sede sara' la Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, e i lettori che si susseguiranno saranno quasi 1.200, di 50 Paesi diversi, in parte scelti con criterio ecumenico e molti che si sono liberamente iscritti". Al termine dell'Angelus, Benedetto XVI ha inoltre voluto ringraziare gli animatori della missione "Gesu' al Centro", un'iniziativa ideata da Monsignor Mauro Parmeggiani, il responsabile della pastorale giovanile del Vicariato di Roma che proprio in queste ore entra nella diocesi di Tivoli come nuovo Vescovo. "Cari amici - ha detto il Papa ai volontari della pastorale giovanile -, vi ringrazio e vi incoraggio perseverare nella vostra testimonianza al Vangelo". "Con affetto" il Pontefice ha poi salutato anche "i giovani che partecipano al Meeting Vincenziano organizzato dalle Figlie della Carita' di San Vincenzo de' Paoli della Provincia Romana: cari ragazzi e ragazze - li ha esortati -, imparate dai Santi ad amare la Chiesa e i poveri". Il Santo Padre ha infine manifestato la propria vicinanza ai promotori della Giornata per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
lunedì 29 settembre 2008
Il Vescovo di Noto, monsignor Mariano Crociata, è stato nominato da Benedetto XVI nuovo Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Monsignor Crociata sostituirà così monsignor Giuseppe Betori, chiamato a ricoprire l'incarico di Vescovo di Firenze.
Nato nel 1953 a Castelvetrano (Trapani), ha studiato al Seminario Vescovile di Mazara del Vallo e ha conseguito la maturità classica. È stato alunno dell'Almo Collegio Capranica e ha frequentato i corsi di filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana, conseguendo il dottorato in Teologia. Ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1979.
Ha svolto numerosi incarichi tra i quali: direttore dell'Ufficio catechistico diocesano; Arciprete-parroco della Chiesa Madre di Marsala, Vicario generale. È stato Assistente diocesano dell'Azione Cattolica e membro della Commissione centrale nel Sinodo diocesano. Docente di Teologia Fondamentale e Direttore del Dipartimento di Teologia delle religioni alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia.
Ha insegnato Teologia Fondamentale e Cristologia all'Istituto di Scienze Religiose di Mazara del Vallo. Il 6 ottobre 2007 è stato ordinato Vescovo di Noto. Monsignor Crociata è membro del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.
In una nota diramata questo giovedì, la presidenza della CEI ha accolto con “gioia e riconoscenza” la nomina di monsignor Crociata: “Il profilo intellettuale e spirituale del presule costituisce la migliore garanzia per l'importante incarico a lui affidato per il servizio alle Chiese che sono in Italia”.
Nel comunicare ai fedeli della sua diocesi la nuova nomina, il Vescovo di Noto si è detto pronto ad accogliere con “consapevolezza ecclesiale e pastorale” questo nuovo servizio di “umile cooperatore alla coesione e al lavoro collegiale dei Vescovi delle diocesi d’Italia”.
Monsignor Crociata ha poi invitato a riconoscere nella decisione del Papa “un segno di considerazione per la diocesi di Noto e, se così posso dire, per la nostra travagliata e amata Sicilia”.
“Leggo questo momento come una chiamata di Dio”, ha detto dicendosi convinto che “il bene si compie innanzitutto per la via dell’obbedienza e dell’adesione alla volontà di Dio”.
“Rinnovo così la convinzione di fede riposta nel mio motto episcopale, poiché è vero che nella croce di Cristo troviamo pace”, ha poi concluso.
Monsignor Crociata assumerà il nuovo ufficio il 20 ottobre prossimo.
Il demonologo era diffidente anche nei confronti di oroscopi e astrologia. Nelle profezie basate sugli astri, sosteneva, non c'è «un'attività del demonio che violenta la persona ma, senz'altro,il diavolo può tentare di diminuire la nostra fede, inducendoci ad andar dietro ai ciarlatani». Aveva denunciato anche i rischi della musica rock e metal che, in alcuni canzoni, indurrebbe messaggi subliminali satanici, che spingono al male o al suicidio.
mercoledì 3 settembre 2008

di Massimo Introvigne
La Chiesa cattolica italiana ha ormai una vasta esperienza di matrimoni misti fra cattolici e musulmani. Ha condotto diverse indagini interne, e dispone di enti come il Centro Federico Peirone a Torino che da anni sono vicini alle coppie miste. La disponibilità all'aiuto in tutti i casi concreti non significa che la Chiesa non segnali con realismo i rischi. Del resto, su questo punto la posizione dei vescovi italiani non è lontana da quella di un combattivo apologista dell'islam come Tariq Ramadan, il quale usa parole piuttosto severe nei confronti di quei musulmani che sposano un coniuge cristiano con una buona dose di superficialità, andando incontro nella maggior parte dei casi a un inevitabile fallimento. Il problema è anzitutto teologico. La nozione del matrimonio non è la stessa nel cristianesimo e nell'islam. Il diritto islamico - sia pure con precisazioni e limitazioni - ammette la poligamia, e permette al marito di ripudiare la moglie semplicemente dichiarandolo, mentre la donna per divorziare deve passare attraverso un tribunale. Una musulmana non può sposare un uomo di un'altra religione; un musulmano può sposare una cristiana o un'ebrea ma dev'essere chiaramente stipulato che i figli saranno educati nella religione islamica. Per l'islam il matrimonio è un contratto rigorosamente normato dal Corano e dal diritto islamico, e l'idea che un musulmano sia coinvolto in un legame matrimoniale meramente «naturale», non regolato dalla sua religione, non ha senso. Quando questa mentalità entra in contatto con il diritto occidentale iniziano i problemi. Per cominciare, in Italia una donna ha diritto di sposare chi vuole, prescindendo dalla religione. Ma una donna musulmana che non sia cittadina italiana in pratica avrà molte difficoltà a sposare un non musulmano. Il suo consolato, nella maggior parte dei casi, le negherà il nulla osta matrimoniale. Se il fidanzato italiano non ha una forte identità cristiana si presenterà al consolato per una «falsa» conversione all'islam. In mancanza di conversione dello sposo più o meno fasulla, ci sono oggi sentenze dei nostri tribunali che permettono a donne musulmane straniere di sposarsi in Italia anche senza il nulla osta del Paese di origine. Ma per il loro Paese questo matrimonio è illecito, e se tornano in patria le conseguenze possono essere molto serie. In realtà in Italia sono più spesso donne cristiane a sposare immigrati musulmani. Non mancano casi di poligamia, i più gravi, perché il matrimonio poligamo per la legge italiana non esiste e la seconda (o terza, o quarta) moglie potrà essere ripudiata senza godere di alcuna tutela giuridica. La Chiesa sa però che anche i matrimoni misti monogamici spesso falliscono. L'uomo musulmano ha difficoltà a rinunciare all'idea del ripudio facile, evidentemente incompatibile con la nozione cattolica di matrimonio, e certamente non accetta che nel percorso educativo ai figli sia proposto il cristianesimo. Ha ragione - per una volta - Tariq Ramadan: il romanticismo non è un sostituto per la prudenza, e i richiami all'amore non bastano a superare una differenza culturale che si rivela nella maggior parte dei casi insormontabile.
Da il Giornale del 2 settembre 2008
martedì 29 luglio 2008
Madonna di Lourdes, il pellegrinaggio a Santa Maria di Campagna e Nostra Signora

Grande folla di fedeli anche ieri per la seconda giornata piacentina della statua della Madonna di Lourdes, che dopo il Duomo, sabato, ha toccato ieri Santa Maria di Campagna e Nostra Signora di Lourdes. In occasione della sua prima visita alla nostra città la Madonna Pellegrina, ieri ha fatto visita ai malati. La processione, partita dalla basilica di Santa Maria di Campagna, ha sfilato per i viali del vecchio ospedale, dopo aver sostato di fronte all’ospizio e pensionato Vittorio Emanuele.
Lungo la strada il corteo si è raccolto in sentiti momenti di preghiera e ha poi continuato il giro fino ad arrivare nella piazzetta del nuovo ospedale, dove un piccolo gruppo di persone era pronto ad accogliere la Madonna. Padre Giordano, guardiano del Santuario di Santa Maria di Campagna ha guidato i fedeli nella preghiera insieme a don Virginio Zuffada, accompagnati anche da don Carlo Tagliaferri, cappellani dell’ospedale, don Pio Ferrari, cappellano del Vittorio Emanuele e il parroco di San Nicolò, don Pierluigi Dallavalle.
L’entrata di Santa Maria di Campagna, adornata da fiori bianchi e afrosa, ha visto l’ingresso della statua, tanto attesa dai fedeli, che hanno letteralmente invaso il santuario. Durante la funzione, erano tanti i volontari che hanno assistito i malati, accompagnandoli lungo la navata centrale per dare loro la possibilità di avvicinarsi alla Madonna di Lourdes. In molti hanno sfidato il caldo e la folla per assistere alla celebrazione, vedere e toccare la statua. Un rito quest’ultimo che non si è mai fermato. Nonostante la statua fosse a ridosso dell’altare e gli spazi fossero molto più ristretti di quelli del Duomo La Peregrinatio Mariae è poi proseguita nel pomeriggio, quando a statua della Dama bianca è stata condotta nella chiesa di Nostra Signora di Lourdes, salutata dalla comunità dei fedeli, in attesa di potersi confessare e chiedere l’indulgenza plenaria.
La Madonna ha poi proseguito il proprio pellegrinaggio spostandosi in terra parmense, restando, però, ancora ll’interno della nostra diocesi. Ieri, infatti, si è spostata a Borgotaro e successivamente a Bedonia. Domani, infine, ripartirà con destinazione Ferrara. Una visita che la Piacenza religiosa porterà nel cuore per sempre.
Caterina Gazzola - da La Cronaca di Piacenza del 21 luglio 2008
domenica 6 luglio 2008
Città del Vaticano (Agenzia Fides)
(Agenzia Fides 20/6/2008)
L’agenzia vaticana «Fides» spiega le origini del vessillo del movimento pacifista: «È legato alla teosofia e al relativismo. Tornate alla croce»...
Perché preti e laici cattolici usano la bandiera arcobaleno come simbolo di pace invece della croce? Non sanno che quella bandiera è collegata alla teosofia e al New Age? È netto e documentato il giudizio contenuto in un articolo pubblicato da «Fides», l’agenzia della Congregazione vaticana per l’evangelizzazione dei popoli diretta da Luca De Mata, nei confronti del vessillo, simbolo del movimento pacifista, appeso anche nelle chiese e da qualche prete pure sull’altare. «Come mai uomini di Chiesa, laici o chierici che siano - si chiede “Fides” - hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la croce, come simbolo di pace? Sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno». L’agenzia vaticana ipotizza qualche risposta in proposito, vale a dire «la lunga litania degli eventi in cui la Chiesa avrebbe brandito la croce come simbolo di sopraffazione», dalle Crociate alla caccia alle streghe ai roghi di eretici. «Fides» a questo proposito ricorda però che non è il simbolo della croce in quanto tale «ad aver bisogno di essere emendato», quanto piuttosto «gli atteggiamenti degli uomini che, guardando a tale segno, possono ritrovare motivo di conversione». Poi rilancia: «Questi uomini e donne di chiesa sanno qual è l’origine della bandiera della pace? Molti probabilmente no. Altri, pur sapendo, non se ne preoccupano più di tanto».Le origini della bandiera della pace vanno ricercate, spiega l’agenzia, «nelle teorie teosofiche nate alla fine dell’800. La teosofia (letteralmente “Conoscenza di Dio”) è quel sistema di pensiero che tende alla conoscenza intuitiva del divino». Da sempre presente nella cultura indiana, ha preso la sua moderna versione dalla Società Teosofica, «un movimento mistico, esoterico, spirituale e gnostico fondato nel 1875 da Helena Petrovna Blavatsky, più nota come Madame Blavatsky». Il pensiero della corrente rappresentata dalla bandiera arcobaleno si basa sullo «gnosticismo», sulla «reincarnazione e trasmigrazione dell’anima», sull’esistenza di «maestri segreti» e riconduce al New Age, mentalità che predica la libertà più assoluta e il relativismo, l’idea dell’«uomo divino», il rifiuto della nozione di peccato. «Fides» spiega che esistono diverse versioni di questa bandiera, una delle quali è riconosciuta ad Aldo Capitini, fondatore del Movimento nonviolento, «che nel 1961 la usò per aprire la prima marcia per la pace Perugia-Assisi», mentre un’altra «segnala che la sua origine risale al racconto biblico dell’Arca di Noè» e dunque sarebbe un simbolo cristiano a tutti gli effetti. In realtà - scrive l’agenzia dopo aver ricordato che è anche il simbolo dei movimenti di liberazione omosessuali - la bandiera rappresenta un’idea secondo la quale «per esempio è possibile mettere sullo stesso piano partiti politici o gruppi culturali che rivendicano, legittimamente, la difesa della dignità della donna, e gruppi, come è accaduto recentemente in Europa, che rivendicano la depenalizzazione dei reati di pedofilia. Si tratta ovviamente di aberrazioni possibili, solo all’interno di una mentalità relativistica come quella che caratterizza le nostre società occidentali».La bandiera, conclude «Fides», è un simbolo sincretistico, che propone l’unità New Age nella sintesi delle religioni. Introdurla nelle chiese e nelle celebrazioni è da considerarsi «un abuso».
Il Giornale n. 147 del 2008-06-21
lunedì 30 giugno 2008
di Marco Meschini
«Riflettete: presso Dio non hanno alcun valore né la posizione né l’abito». Chi sollecita il lettore a riflettere e pensare? Non è un filosofo, come ci si potrebbe attendere, né un teologo e nemmeno un chierico, anche se il testo venne scritto intorno al 1128, ovvero in pieno Medioevo. No, chi scrive è un miles, un «cavaliere». Un uomo più avvezzo alla lancia e alla spada che al calamo e alla pergamena. Per giunta un «cavaliere di Cristo», un miles Christi. O per meglio dire un «povero commilitone di Cristo»: pauperes commilitones Christi si fanno infatti chiamare lui e quel manipolo di altri cavalieri che, laggiù in Terra Santa, hanno appena dato avvio a una nuova, inaudita esperienza.
Sono i templari, così chiamati perché il re di Gerusalemme ha donato loro, come casa madre, il Tempio di Salomone, cioè la moschea di al-Aqsa sulla spianata del Tempio a Gerusalemme. E hanno proposto uno stile di vita fuori dell’ordinario: rimarranno cavalieri - e quindi spargeranno il sangue, quando necessario -, ma saranno nel contempo monaci. Il templare è un ibrido: da un lato stringe i voti di povertà, castità e obbedienza, dall’altro continua a impugnare la spada. Un monstrum, anzi un «nuovo genere di uomini» come scrive in quegli anni il loro grande testimonial, san Bernardo di Clairvaux, il gigante di quel secolo che redige per loro un’opera famosa, L’elogio della nuova cavalleria.
Siamo nei decenni che seguono la prima Crociata. Nel 1099 Gerusalemme è tornata cristiana, e ora si tratta di mantenere i territori riconquistati. Di proteggere i pellegrini. Di combattere per Cristo, appunto. Ma non, come avevano fatto i crociati, per un periodo limitato, bensì in maniera permanente. L’impeto iniziale, che si sarebbe ripresentato solo con le crociate maggiori tra XII e XIII secolo, doveva divenire istituzione. A questa esigenza di base rispose l’ordine dei templari: all’inizio nove cavalieri - ma il numero è più ideale che reale -, cioè quasi nulla di fronte alla sfida immensa. E sfida duplice: combattere contro i musulmani e, insieme, convincere i cristiani che la loro idea non era follia.
Ecco dunque che Ugo di Payns, l’ideatore, il primo «cavaliere di Cristo» armato di coraggio e di spada, detta la sua lettera. «Riflettete». Alcuni dicono che non siamo necessari: ma è solo perché la nostra funzione è meno nobile di chi prega soltanto. Eppure «spesso sono le cose meno nobili ad essere le più utili: il piede tocca la terra, ma porta il peso di tutto il corpo». Il fatto è che noi, scrive Ugo, consacriamo «la nostra vita a portare le armi contro i nemici della fede e della pace per la difesa dei cristiani». Ma non per amore della violenza: «In tempo di pace combattiamo contro gli impulsi della carne grazie ai digiuni; in tempo di guerra combattiamo con le armi i nemici della pace che fanno dei danni o che vogliono farli».
La sua lettera è una delle novità rilevanti del nuovo lavoro di Simonetta Cerrini, La rivoluzione dei templari (Mondadori, pagg. 238, euro 18,50), da oggi in libreria. Cerrini è esperta come pochi al mondo dei testi originari (e originali) dei templari e con questo volume propone una rilettura completa delle loro origini. Comprensiva appunto della famosa lettera, nota agli addetti ai lavori sin dal 1958 ma erroneamente attribuita a un altro Ugo, Ugo di san Vittore. Gli studi della Cerrini mostrano invece in maniera convincente che quella lettera va attribuita a Ugo di Payns. Insomma un segreto svelato con la ragione, e non con teorie fumose come troppo spesso accade a proposito di templari.
I meriti dell’autrice non si fermano qui. E si estendono al ripensare l’esperienza templare non in un’ottica di storia militare o politica, bensì di storia della cultura. Il libro, infatti, pone al centro dell’indagine i testi (quelli veri appunto) della fondazione: gli scritti dei primi testimoni e i manoscritti della Regola, in latino come in volgare. Emerge così una spiritualità densa e cosciente, segno del fatto che quegli uomini d’arme non solo avevano un’anima, ma che pure la coltivavano. Non ambivano a primeggiare, ma a servire come appunto fanno «i piedi del corpo».
E ancora: nella sua lettera Ugo spiega bene come si deve «odiare non l’uomo, ma il male», e che quindi persino lo spargere il sangue deve avvenire nel contesto di un’operazione di pace. È un passaggio rilevantissimo: che un san Bernardo distinguesse tra omicidio e malicidio, cioè tra fatto e intenzione, è cosa ben nota. Ma che sullo stesso filo di pensiero corresse la mente dei primi templari è una conferma eccezionale e, insieme, uno spalancarsi d’orizzonti. Perché così si può e si deve ripensare all’ordine come al protagonista d’una forma laica di vita cristiana, proprio in un periodo - quello susseguente la grande riforma «gregoriana» dell’XI secolo - in cui più nette si delineavano le differenze tra chierici e laici, soprattutto in relazione alla sfera del sacro.
Credo meno, invece, alla speranza confessata dalla Cerrini e da altri (penso all’amico comune Franco Cardini) di una «via del dialogo e della convivenza», dati i rapporti instaurati dai templari con i musulmani nel XII secolo. Che si conoscessero è ovvio, visto che lottavano entrambi sulla e per la medesima terra. Si stimavano anche, è vero, ma solo in parte, perché la stima derivò da un duraturo rapporto fatto anche di aspre battaglie; e come non stimare un nemico che sa resisterti? Ma il «dialogo» di Ugo e degli altri templari parlava parole alquanto nette: i musulmani sono «nemici della pace», «fanno danni o vogliono farli». Non odiamoli, quindi. Ma contrastiamoli. Conviviamo anche, se necessario. Ma pronti a bloccarli.