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sabato 25 dicembre 2010

PROFANAZIONE EUCARISTICA

Siamo sempre più convinti che la vigilanza di tutto il popolo di Dio (riunito in Chiesa) e la minore disponibilità a consegnare e a ricevere nelle mani il Corpo di Cristo, siano gli atteggiamenti minimi per impedire il ripetersi degli atti sacrileghi; oltre a reinsegnare a rispettare ed amare il Sacro Sacrificio che il Signore ci ha affidato.

Cortemaggiore (PC) iI monito del parroco

Atto sacrilego in chiesa: in terra ostie consacrate
 Caso che può prevedere la scomunica

Cortemaggiore - Un gravissimo atto sacrilego è stato stigmatizzato con forza dal parroco di Cortemaggiore, monsignor Luigi Ghidoni, nell'omelia domenicale di ieri. Monsignor Ghidoni ha riferito che, per due volte, in altrettanti episodi, sono state ritrovate in terra, tra i banchi della basilica, due ostie consacrate, ed ha ricordato, richiamando la dottrina della Chiesa, che gli atti deliberatamente compiuti ad oltraggio dell'Eucaristia costituiscono un sacrilegio. Il codice di diritto canonico, poi, individua determinati casi in cui gli atti sacrileghi sono da considerarsi veri e propri delitti che comportano la scomunica latae sententiae, cioè automatica, la cui assoluzione è riservata alla Santa Sede. Monsignor Ghidoni ha aggiunto che sarà necessario intervenire nel caso in cui si ripetano episodi simili, in primo luogo dal punto di vista spirituale, con azioni riparatrici. Ma anche ricorrendo a comportamenti che possano prevenire fatti simili, come consentire ai fedeli di ricevere la comunione solo in bocca ed evitare la distribuzione delle particele consacrate sulla mano, misura consigliata per sottrarsi al pericolo di profanazione da un'istruzione della Congregazione per il Culto Divino emanata nel 2004. Il parroco, concludendo l'omelia, ha attinto ancora all'importante istruzione vaticana per ricordare che quando si riceve la comunione sulla mano l'ostia deve essere assunta subito, davanti al sacerdote, in modo che nessuno si allontani portandola con sé. L'attenzione sollecita di monsignor Ghidoni e dei suoi collaboratori ha consentito di individuare tempestivamente questi gravi comportamenti, cercando di relegarli a deplorevoli gesti isolati.
Leonardo Tomasetti
Dal quotidiano Libertà Piacenza - 20/12/2010

martedì 11 maggio 2010

Comunicato stampa

La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali invita tutti al Regina Coeli del 16 maggio 2010 in Piazza San Pietro.
Per testimoniare a Benedetto XVI l’affetto del popolo cristiano


La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali, organismo che raduna sessantasette associazioni e movimenti ecclesiali italiani, invita quanti appartengono e si riconoscono nel mondo dell’associazionismo cattolico a partecipare a Roma alla recita del Regina Coeli, domenica 16 maggio 2010, in Piazza San Pietro.
Vogliamo in questo modo stringerci visibilmente intorno a Benedetto XVI come figli col padre, desiderosi di sostenerlo nel suo impegnativo ministero, esprimendogli affetto e gratitudine per la sua passione per Cristo e per l’umanità intera.
Il 16 maggio a Roma intendiamo consegnare nelle mani di Maria la nostra fedeltà al Santo Padre per il bene della Chiesa, nella quale facciamo esperienza della misericordia, unica risposta adeguata al bisogno di giustizia, che emerge dal cuore di ciascuno in questi momenti.
Ci guida l’umile certezza testimoniata dalle parole del Papa: «È nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo, egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire».
Con questa consapevolezza invitiamo tutti alla preghiera in Piazza San Pietro, grati al Signore che ci ha donato Benedetto XVI come guida nel nostro cammino di fede.

Roma, 14 aprile 2010
La Consulta nazionale delle aggregazioni laicali

domenica 2 maggio 2010

Il Nuovo Giornale - settimanale della Diocesi di Piacenza-Bobbio - 30 aprile 2010

Il Nuovo Giornale - settimanale della Diocesi di Piacenza-Bobbio - 30 aprile 2010


... I cappellani dell'ospedale hanno instaurato un rapporto di collaborazione con molte associazioni di volontariato come Avo e Croce Bianca; un legame forte si è, anche, instaurato con i Templari. [...]

giovedì 25 giugno 2009

Una nuova pagina web vaticana per l`Anno Sacerdotale

La Congregazione vaticana per il Clero ha lanciato una pagina web dedicata all'Anno Sacerdotale, inaugurato questo venerdì da Benedetto XVI: www.annussacerdotalis.org.

Il Cardinale Cláudio Hummes, O.F.M., prefetto del dicastero vaticano, lo ha annunciato in un comunicato in cui spiega che questa iniziativa vuole accompagnare la vita dei sacerdoti, soprattutto quest'anno.

La pagina “ha come specifica finalità l’aiuto concreto, con note spirituali, notizie varie e documenti, circa lo stesso Anno Sacerdotale”, ricorda il porporato brasiliano.

“L’Anno sacerdotale è oggetto di una accoglienza molto buona in tutto il mondo – constata il Cardinale Hummes –. La ripercussione positiva si diffonde rapidamente. Attiviamoci tutti, pertanto, per partecipare con impegno e creatività”.

Il nuovo sito viene pubblicato in italiano, inglese, spagnolo, francese, tedesco e portoghese.

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 19 giugno 2009 (ZENIT.org).

giovedì 18 dicembre 2008


Si avvicina il Natale

"Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le sue meraviglie."

(salmo 95)

venerdì 31 ottobre 2008


Chiesa di San Giuseppe all'Ospedale - Piacenza

Centocinquanta persone nella chiesetta dell'ospedale per l'esorcista di Parma

«Il Vangelo scaccia il demonio»

«Oggi, attraverso i mass media e la tv, vengono presentate interpretazioni cattive della società odierna, la nostra fantasia diventa dunque invasa da quello che fa il demonio nel mondo. Occorre esorcizzarlo. Come? Ascoltando cose buone, guardando cose belle. In molte case non c'è neppure un'immagine religiosa, un quadro sacro; come si fa ad essere aiutati ad esorcizzare la propria fantasia?!» È il senso delle presenza di don Pietro Viola, esorcista di Parma, ieri nella chiesetta di San Giuseppe all'Ospedale, tra l'aria satura di incenso, la lunga fila al centro della navata per l'unzione degli infermi, la preghiera finale di guarigione. Erano circa 150 le persone che ieri hanno risposto all'invito di don Virgilio Zuffada, parroco della chiesa dell'ospedale piacentino. Con il permesso del vescovo e dei parroci, ha organizzato una serie di messe di guarigione ogni ultimo giovedì del mese. Il lato "maligno" della sofferenza è stato affrontato ieri da don Viola. «Lavoro con i malati psichici e con i posseduti - ha esordito -, ma tutti noi siamo in grado di fare opera di esorcismo. Quando il prete spiega il Vangelo caccia il demonio dalla mente dei fedeli. Il demonio è contrario alla verità del Vangelo e se si legge il Vangelo e la nostra mente si lascia illuminare, viene esorcizzato».

fed.fri.31/10/2008



Da sinistra, don Pietro Viola, nominato nel 2007 esorcista della diocesi di Parma e don Virgilio Zuffada, parroco in solido di San Giuseppe Ospedale
foto Cravedi - dal quotidiano Libertà del 31 ottobre 2008

Il Nuovo Giornale - settimanale della Diocesi di Piacenza-Bobbio del 7 novembre 2008

mercoledì 29 ottobre 2008


Santa Messa di Guarigione e Liberazione

Per un servizio concreto e specifico alla comunità cittadina di Piacenza, la Parrocchia di san Giuseppe all'Ospedale con il consenso del Vescovo Gianni e dei Parroci

O F F R E

alle persone ammalate e sofferenti e alle loro famiglie

La Celebrazione Eucaristica, con la Sacra Unzione;

la Preghiera di Liberazione;
e la Preghiera di Guarigione

ogni ultimo giovedì del mese (da novembre 2008 a giugno 2009) alle ore 15
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Inizio degli incontri celebrativi
giovedì 30 ottobre 2008 ore 15
Chiesa di San Giuseppe all'Ospedale
Via Campagna, 68 - Piacenza

celebra don Pietro Viola
Parroco Esorcista della Diocesi di Parma

giovedì 9 ottobre 2008


il tema

«Indispensabile l’unità visibile dei cristiani»

DA ROMA

Ricercare «l’unicità visibile» tra i di­scepoli di Cristo «è una dimensio­ne indispensabile della vita e della missione della Chiesa». E tanto più lo è «in un mondo lacerato da conflitti e guer­re, diviso tra ricchi e poveri, afflitto da o­dio sociale e violenza». Per questo è ne­cessario affidarsi alla Parola di Dio, e per questo le Chiese cristiane pregano «per questo Sinodo dei vescovi». È quanto ha scritto il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, Samuel Kobia – che si firma: «Il vostro umile fratello nel nome di Cristo» –, nel messaggio inviato alla XII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi. Il testo è stato letto in aula dal metropolita Mihail Nifon di Târgovite, del Patriarcato ortodosso di Romania, durante i lavori della quarta Congrega­zione generale, al termine degli interven­ti preordinati e prima del dibattito libero. Un messaggio aperto al dialogo e im­prontato all’ottimismo, che l’Assemblea, come ha detto al termine della lettura il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e presidente delegato del Sinodo, ringraziando il metropolita rumeno, «ha accolto in spirito di fraternità». «È la Pa­rola viva di Dio – è scritto nel messaggio del Consiglio ecumenico delle Chiese – a edificare la Chiesa e a trasformare la vita delle persone affinché diventino discepo­li credibili e visibili di Cristo attraverso la santa Eucaristia, la meditazione dei testi biblici e la testimonianza quotidiana dei fedeli nelle loro case, per strada e nel po­sto di lavoro». Infatti il modo in cui «la Parola di Dio risuona nella nostra vita sollecita atti di amore tra di noi ed è il fat­to centrale della missione olistica della Chiesa», ed è per questo motivo che al­lora «è tanto necessario il discepolato in un mondo lacerato da conflitti e guerre, diviso tra ricchi e poveri, afflitto da odio so­ciale e violenza». Attraver­so la Croce di Gesù «vediamo la sofferen­za e la disperazione del mondo. Nel Cri­sto risorto – si legge ancora nel docu­mento – la nostra speranza è reale. Le conseguenze del peccato possono essere vinte». La ricerca dell’unità visibile della Chiesa, afferma ancora il messaggio nella sua conclusione, è «una dimensione in­dispensabile della vita e della missione della Chiesa. Nello spirito di questa affermazione – è l’augurio finale che Kobia rivolge all’Assemblea a nome della Kek – posso assicurarvi le nostre pre­ghiere per questo Sinodo dei vescovi. Possa Dio, Pa­dre, Figlio e Spirito Santo, essere con voi e benedire le vostre delibe­razioni».

Salvatore Mazza richiama la centralità del dialogo, il messaggio inviato dal Consiglio ecumenico delle Chiese.

da Avvenire del 9 ottobre 2008

IL MONDO IN VATICANO

«Dalla Parola di Dio la risposta alle sette»

Al Sinodo dei vescovi l’invito ad approfondire la conoscenza e rilanciare l’annuncio della Bibbia di fronte al proliferare dei nuovi movimenti religiosi

DA ROMA SALVATORE MAZZA

Il ritorno all’annuncio della Parola di Dio, anche come mezzo per contra­stare l’aggressività delle sette, favo­rita proprio dall’«inaridimento» di mol­te comunità ecclesiali. È su questo a­spetto, introdotto in Assemblea dal vi­cario apostolico di Bengasi, monsignor Sylvester Carmel Magro, che s’è soprat­tutto concentrato il dibattito libero che ha concluso la giornata sinodale di mar­tedì, alla vigilia della prima riunione dei Circuli minores, i gruppi linguistici nei quali, da ieri mattina, è iniziata la di­scussione sulla relazione generale. Dopo le indicazioni di arrivare, anche attraverso l’elaborazione di un testo di base, a omelie più preparate per meglio attualizzare la Parola di Dio, il problema delle sette sembra essere il secondo dei temi 'emergenti' in questo Sinodo. As­sieme a questi, non tanto come tema specifico ma piuttosto come tensione che attraversa tutta l’Assemblea, c’è poi l’impegno ecumenico, che nelle Scrit­ture può, secondo i Padri sinodali, tro­vare lo stimolo per poter giungere al tra­guardo della piena unità.

Nel suo intervento monsignor Carmel Magro ha denunciato con forza la vio- lenza usata nei confronti di diverse Chie­se africane da parte di chi aveva tutto l’interesse a disperdere i fedeli cristiani, le sette in primo luogo. Per il presule il risultato più doloroso di questa aggres­sione è che tra queste persone ci sono molti cristiani che, abbandonata la fede, ora si rivoltano quasi con odio contro la Chiesa. La causa di questa situazione, ha affermato l’arcivescovo, va ricercata proprio nella poca coscienza del ruolo della Chiesa nel mondo, all’assoluta mancanza di conoscenza della Parola di Dio nel suo più profondo significato. Anche per questo – e qui è ritornata la questione delle omelie – è necessario se­condo il vescovo della Tanzania Deside­rius Rwoma, ritrovare la capacità di tra­smettere efficacemente la Parola di Dio con la predicazione. Di qui la proposta di istituire dei corsi specifici per i predi- catori, che sia accompagna a quella di proporre, soprattutto per la prima let­tura della Messa, dei testi più semplici per quei sacerdoti che non abbiano profonde conoscenze bibliche.

Per monsignor José Miguel Gómez Ro­dríguez, vescovo di Líbano-Honda, in Colombia, «l’essere umano è reso tale dalla sua capacità di ascoltare Dio». An­cor più, la persona raggiunge «la sua i­dentità » e «la sua dignità fondamenta­li » nell’ascolto della Parola di Dio». Per questo «è necessario che la Chiesa ri­cordi all’umanità queste verità in modo da trovare le soluzioni che ancora non trova»; e per questo è urgente «stabilire i criteri più adeguati per l’interpretazio­ne autentica della Parola rivelata», in quanto «l’interpretazione della Bibbia sfugge al capriccio dei relativismi mo­derni, perciò è scomoda per molti». Un’esigenza tanto più avvertita in Asia, dove, ha osservato l’arcivescovo di Co­tabato (Filippine) Orlando Quevedo, «in­credibilmente ricchi di uno splendido mosaico di antiche culture e religioni, noi siamo però comunque un conti­nente di poveri, di squilibri economici e politici, di divisione etnica e di conflit­to. Il nostro profondo senso di trascen­denza e di armonia viene eroso da una cultura secolare e materialista globaliz­zante ». Tuttavia, ha aggiunto, «la Parola di Dio in Asia chiama... migliaia di pic­cole comunità di poveri. Così facendo, stanno costruendo un 'modo nuovo di essere Chiesa' che in realtà è un modo antico, cioè il modo della prima comu­nità di Gerusalemme... Costituiscono comunità ecclesiali di base... testimo­niando la Parola di Dio in un ambiente multireligioso molto spesso ostile. Sono comunità di solidarietà e fraternità che, nel loro piccolo, sfidano in modo effica­ce la cultura moderna del secolarismo e del materialismo».

Durante la IV Congregazione generale si è svolta la seconda votazione per l’e­lezione della Commissione per il Mes­saggio finale, mentre ieri mattina i lavo­ri sono proseguiti con la prima sessione dei Circoli minori. Tra i quali, quest’an­no, non c’è quello in lingua latina. Che – per la cronaca – era quello al quale par­tecipava regolarmente in passato il car­dinale Joseph Ratzinger.

Da Avvenire del 9 ottobre 2008

martedì 7 ottobre 2008


Benedetto XVI inaugura il Sinodo dei Vescovi:
“Il male non avrà mai l’ultima parola, la vittoria finale sarà di Cristo anche se il mondo ha messo da parte Dio preferendo ingiustizia e violenza”
di Gianluca Barile

CITTA’ DEL VATICANO - Con una solenne concelebrazione nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI ha aperto la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che affrontera' in Vaticano il tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Con il Papa, 326 concelebranti: 52 Cardinali, 14 Patriarchi delle Chiese Orientali, 45 Arcivescovi, 130 Vescovi e 85 Presbiteri (di cui 12 Padri Sinodali, 5 Officiali della Segreteria Generale, 30 Uditori, 5 Esperti, 4 Addetti stampa, 24 Assistenti e 5 traduttori). I lavori termineranno fino al 26 ottobre. "Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una societa' dove regnino la liberta’, la giustizia e la pace?", e’ stato l’interrogativo posto dal Pontefice all’inizio dell’omelia. Benedetto XVI e’ partito dall’amara constatazione che "la cronaca quotidiana dimostra ampiamente che si estendono l'arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l'ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione". "Il punto d'arrivo - ha affermato il Santo Padre - e' che l'uomo si ritrova piu' solo e la societa' piu' divisa e confusa". Per il Papa, dunque, occorre chiedersi se "quando l'uomo elimina Dio dal proprio orizzonte e' veramente piu' felice? Diventa veramente piu' libero?". Nella societa' odierna, ha denunciato Benedetto XVI, "vi e' chi, avendo deciso che 'Dio e' morto', dichiara dio se stesso, ritenendosi l'unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo: sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l'uomo crede di poter fare cio' che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire". "Quando Dio parla - ha scandito il Papa - sollecita sempre una risposta; la sua azione di salvezza richiede l'umana cooperazione; il suo amore attende corrispondenza. Che non debba mai accadere, cari fratelli e sorelle, quanto narra il testo biblico a proposito della vigna!". Ma l'umanita' non deve perdere la speranza: il Vangelo, ha detto il Santo Padre, ci da' un "consolante messaggio: la certezza che il male e la morte non hanno l'ultima parola, ma a vincere alla fine e' Cristo. Sempre". Purtroppo, pero’, "Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identita', sotto l'influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna". "Se guardiamo la storia - ha osservato Benedetto XVI -, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di cio', Dio, pur non venendo mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E' spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunita' cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia". "Non potrebbe avvenire la stessa cosa - si e' domandato il Pontefice - in questa nostra epoca?". In proposito, il Papa ha evocato la parabola della vigna i cui operai "vengono maltrattati e persino uccisi" dai nemici del padrone. La stessa sorte, ha detto, riservata nella storia "al popolo eletto e ai profeti inviati da Dio". Ma non solo: ancora oggi, "il disprezzo per l'ordine impartito dal Padrone si trasforma in disprezzo verso di lui: non e' la semplice disubbidienza ad un precetto divino, e' il vero e proprio rigetto di Dio". Secondo Benedetto XVI, "quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo di pensare e di agire; interpella, in modo speciale, i popoli che hanno ricevuto l'annuncio del Vangelo" e che oggi sono messi a dura prova dal processo di secolarizzazione, fino a rischiare di perdere la propria identita' cristiana. Ma "nelle parole di Gesu' vi e' una promessa: la vigna non sara' distrutta". Infatti, "mentre abbandona al loro destino i vignaioli infedeli, il Padrone non si distacca dalla sua vigna e l'affida ad altri suoi servi fedeli. Questo indica che se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi, vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla: la vigna continuera' allora a produrre uva e sara' data in affitto dal padrone ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo". Intanto, in questo Anno Paolino "sentiremo risuonare con particolare urgenza il grido dell'Apostolo delle genti: 'Guai a me se non predicassi il Vangelo'; grido che per ogni cristiano diventa invito insistente a porsi al servizio di Cristo", ha quindi esortato il Papa citando l'invocazione "rogate" pronunciata da Gesu' nel Vangelo: "La messe e' molta - ha evidenziato Benedetto XVI - ripete anche oggi il Divin Maestro: tanti non lo hanno ancora incontrato e sono in attesa del primo annuncio del suo Vangelo; altri, pur avendo ricevuto una formazione cristiana, si sono affievoliti nell'entusiasmo e conservano con la Parola di Dio un contatto superficiale; altri ancora si sono allontanati dalla pratica della fede e necessitano di una nuova evangelizzazione. Non mancano poi - ha elencato il Pontefice - persone di retto sentire che si pongono domande essenziali sul senso della vita e della morte, domande alle quali solo Cristo puo' fornire risposte appaganti. Diviene allora indispensabile per i cristiani di ogni continente essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che e' in loro, annunciando con gioia la Parola di Dio e vivendo senza compromessi il Vangelo". Da parte sua, ha assicurato il Santo Padre, "la Chiesa non si stanca di proclamare questa Buona Novella, come avviene anche quest'oggi, in questa Basilica dedicata all'Apostolo delle genti, che per primo diffuse il Vangelo in vaste regioni dell'Asia minore e dell'Europa". "Rinnoveremo in modo significativo questo annuncio - ha promesso il Papa - durante tutta la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha come tema 'La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa'. L'Assemblea sinodale volgera' la sua attenzione a questa verita' fondamentale per la vita e la missione della Chiesa: nutrirsi della Parola di Dio e' per essa il compito primo e fondamentale". Infatti, "se l'annuncio del Vangelo costituisce la sua ragione d'essere e la sua missione, e' indispensabile che la Chiesa conosca e viva cio' che annuncia, perche' la sua predicazione sia credibile, nonostante le debolezze e le poverta' degli uomini che la compongono". Conclusa la concelebrazione dell'Eucaristia con tutti i membri del Sinodo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI e' rientrato in Vaticano per recitare l'Angelus con gli oltre 50.000 fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Nel breve discorso pronunciato dalla finestra dello studio privato, ha richiamato l’attenzione "sul valore e la funzione di questa particolare assemblea di Vescovi, scelti in modo da rappresentare tutto l'episcopato e convocati per apportare al Successore di Pietro un aiuto piu' efficace, manifestando e consolidando al tempo stesso la comunione ecclesiale. Si tratta - ha continuato il Papa - di un organismo importante, istituito nel settembre del 1965 dal mio venerato predecessore il servo di Dio Paolo VI, durante l'ultima fase del Concilio Vaticano II, per attuarne una consegna contenuta nel Decreto sul ministero dei Vescovi". "Per l'Assemblea sinodale ordinaria - ha sottolineato ancora il Pontefice -, accogliendo autorevoli pareri in tal senso, ho scelto il tema della Parola di Dio da approfondire, in prospettiva pastorale, nella vita e nella missione della Chiesa. Ampia e' stata la partecipazione alla fase preparatoria da parte delle Chiese particolari di tutto il mondo, che hanno inviato i loro contributi alla Segreteria del Sinodo, la quale a sua volta ha elaborato l''Instrumentum laboris', documento su cui si confronteranno i 253 Padri sinodali: 51 dell'Africa, 62 dell'America, 41 dell'Asia, 90 dell'Europa e 9 dell'Oceania. Ad essi si aggiungono numerosi esperti e uditori, uomini e donne, come pure i 'delegati fraterni' delle altre Chiese e Comunita' ecclesiali e alcuni invitati speciali". "Cari fratelli e sorelle - e’ stato il suo appello -, vi invito tutti a sostenere i lavori del Sinodo con la vostra preghiera, invocando specialmente la materna intercessione della Vergine Maria, perfetta Discepola della divina Parola". Ma quali sono le finalita’ del Sinodo? E’ stato il Papa stesso a rispondere: "Favorire una stretta unione e collaborazione tra il Papa e i Vescovi di tutto il mondo; fornire informazioni dirette ed esatte circa la situazione e i problemi della Chiesa; favorire l'accordo sulla dottrina e sull'azione pastorale; affrontare tematiche di grande importanza ed attualità". "Tali diversi compiti - ha rimarcato Benedetto XVI - vengono coordinati da una Segreteria permanente, che opera in diretta e immediata dipendenza dall'autorita' del Vescovo di Roma". "La dimensione sinodale e' costitutiva della Chiesa - ha proseguito il Santo Padre -: essa consiste nel convenire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: Io sono la Via, la Verita' e la Vita". L'etimologia della parola Sinodo, ha infine rammentato il Pontefice, "suggerisce l'idea del 'fare strada insieme', ed e' proprio questa l'esperienza del Popolo di Dio nella storia della salvezza". Il Papa, sempre all’Angelus, ha tenuto a sottolineare che la lettura integrale della Bibbia promossa dalla Rai rappresenta per lui un "evento che ben si affianca al Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio". "Io stesso - ha annunciato dopo la tradizionale preghiera mariana - daro' avvio alla lettura del primo capitolo del Libro della Genesi. La Parola di Dio potra' cosi' entrare nelle case per accompagnarsi alla vita delle famiglie e delle singole persone: un seme che, se bene accolto, non manchera' di portare frutti abbondanti". Benedetto XVI ha inoltre ricordato che questa "singolare iniziativa" dal titolo "Bibbia giorno e notte" consiste "nella lettura continua di tutta la Bibbia, per sette giorni e sei notti, fino a sabato prossimo, 11 ottobre, in diretta televisiva. La sede sara' la Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, e i lettori che si susseguiranno saranno quasi 1.200, di 50 Paesi diversi, in parte scelti con criterio ecumenico e molti che si sono liberamente iscritti". Al termine dell'Angelus, Benedetto XVI ha inoltre voluto ringraziare gli animatori della missione "Gesu' al Centro", un'iniziativa ideata da Monsignor Mauro Parmeggiani, il responsabile della pastorale giovanile del Vicariato di Roma che proprio in queste ore entra nella diocesi di Tivoli come nuovo Vescovo. "Cari amici - ha detto il Papa ai volontari della pastorale giovanile -, vi ringrazio e vi incoraggio perseverare nella vostra testimonianza al Vangelo". "Con affetto" il Pontefice ha poi salutato anche "i giovani che partecipano al Meeting Vincenziano organizzato dalle Figlie della Carita' di San Vincenzo de' Paoli della Provincia Romana: cari ragazzi e ragazze - li ha esortati -, imparate dai Santi ad amare la Chiesa e i poveri". Il Santo Padre ha infine manifestato la propria vicinanza ai promotori della Giornata per l’abbattimento delle barriere architettoniche.

lunedì 29 settembre 2008

Mons. Mariano Crociata

Il Vescovo della Diocesi di Noto, Mariano Crociata, nuovo Segretario generale della CEI

Il Vescovo di Noto, monsignor Mariano Crociata, è stato nominato da Benedetto XVI nuovo Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).
Monsignor Crociata sostituirà così monsignor Giuseppe Betori, chiamato a ricoprire l'incarico di Vescovo di Firenze.
Nato nel 1953 a Castelvetrano (Trapani), ha studiato al Seminario Vescovile di Mazara del Vallo e ha conseguito la maturità classica. È stato alunno dell'Almo Collegio Capranica e ha frequentato i corsi di filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana, conseguendo il dottorato in Teologia. Ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1979.
Ha svolto numerosi incarichi tra i quali: direttore dell'Ufficio catechistico diocesano; Arciprete-parroco della Chiesa Madre di Marsala, Vicario generale. È stato Assistente diocesano dell'Azione Cattolica e membro della Commissione centrale nel Sinodo diocesano. Docente di Teologia Fondamentale e Direttore del Dipartimento di Teologia delle religioni alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia.
Ha insegnato Teologia Fondamentale e Cristologia all'Istituto di Scienze Religiose di Mazara del Vallo. Il 6 ottobre 2007 è stato ordinato Vescovo di Noto. Monsignor Crociata è membro del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.
In una nota diramata questo giovedì, la presidenza della CEI ha accolto con “gioia e riconoscenza” la nomina di monsignor Crociata: “Il profilo intellettuale e spirituale del presule costituisce la migliore garanzia per l'importante incarico a lui affidato per il servizio alle Chiese che sono in Italia”.
Nel comunicare ai fedeli della sua diocesi la nuova nomina, il Vescovo di Noto si è detto pronto ad accogliere con “consapevolezza ecclesiale e pastorale” questo nuovo servizio di “umile cooperatore alla coesione e al lavoro collegiale dei Vescovi delle diocesi d’Italia”.
Monsignor Crociata ha poi invitato a riconoscere nella decisione del Papa “un segno di considerazione per la diocesi di Noto e, se così posso dire, per la nostra travagliata e amata Sicilia”.
“Leggo questo momento come una chiamata di Dio”, ha detto dicendosi convinto che “il bene si compie innanzitutto per la via dell’obbedienza e dell’adesione alla volontà di Dio”.
“Rinnovo così la convinzione di fede riposta nel mio motto episcopale, poiché è vero che nella croce di Cristo troviamo pace”, ha poi concluso.
Monsignor Crociata assumerà il nuovo ufficio il 20 ottobre prossimo.

Mons. Corrado Baducci
Morto a 85 anni l`esorcista e demonologo Balducci

Il 25 settembre 2008 è morto all'età di 85 anni monsignor Corrado Balducci, demonologo e teologo, per anni esorcista della diocesi di Roma. Il decesso risale al 20 settembre ma la notizia è stata data oggi dai familiari, a funerale già avvenuto. Monsignor Balducci è nato l'11 maggio del 1923. Molto stimato in Vaticano, è stato Prelato d'onore del Papa dal 1964. Era molto conosciuto per i suoi interventi a trasmissioni televisive su satanismo, occultismo, astrologia ed extraterrestri. Ha scritto diversi libri, tra cui Il diavolo esiste e lo si può riconoscere, dove spiegava come riconoscere una vera possessione diabolica da un caso psichiatrico. In Italia, aveva detto, i casi di indemoniati veri e propri verificati dalla Chiesa non sono più di una ventina all'anno, ma sono invece migliaia le richieste di aiuto che arrivano agli esorcisti da persone che credono di essere possedute da Satana, ma che in realtà sono malate o psicologicamente deboli.
Il demonologo era diffidente anche nei confronti di oroscopi e astrologia. Nelle profezie basate sugli astri, sosteneva, non c'è «un'attività del demonio che violenta la persona ma, senz'altro,il diavolo può tentare di diminuire la nostra fede, inducendoci ad andar dietro ai ciarlatani». Aveva denunciato anche i rischi della musica rock e metal che, in alcuni canzoni, indurrebbe messaggi subliminali satanici, che spingono al male o al suicidio.

mercoledì 3 settembre 2008


SUI MATRIMONI MISTI

Lo scontro di civiltà con
la fede al dito

di Massimo Introvigne

La Chiesa cattolica italiana ha ormai una vasta esperienza di matrimoni misti fra cattolici e musulmani. Ha condotto diverse indagini interne, e dispone di enti come il Centro Federico Peirone a Torino che da anni sono vicini alle coppie miste. La disponibilità all'aiuto in tutti i casi concreti non significa che la Chiesa non segnali con realismo i rischi. Del resto, su questo punto la posizione dei vescovi italiani non è lontana da quella di un combattivo apologista dell'islam come Tariq Ramadan, il quale usa parole piuttosto severe nei confronti di quei musulmani che sposano un coniuge cristiano con una buona dose di superficialità, andando incontro nella maggior parte dei casi a un inevitabile fallimento. Il problema è anzitutto teologico. La nozione del matrimonio non è la stessa nel cristianesimo e nell'islam. Il diritto islamico - sia pure con precisazioni e limitazioni - ammette la poligamia, e permette al marito di ripudiare la moglie semplicemente dichiarandolo, mentre la donna per divorziare deve passare attraverso un tribunale. Una musulmana non può sposare un uomo di un'altra religione; un musulmano può sposare una cristiana o un'ebrea ma dev'essere chiaramente stipulato che i figli saranno educati nella religione islamica. Per l'islam il matrimonio è un contratto rigorosamente normato dal Corano e dal diritto islamico, e l'idea che un musulmano sia coinvolto in un legame matrimoniale meramente «naturale», non regolato dalla sua religione, non ha senso. Quando questa mentalità entra in contatto con il diritto occidentale iniziano i problemi. Per cominciare, in Italia una donna ha diritto di sposare chi vuole, prescindendo dalla religione. Ma una donna musulmana che non sia cittadina italiana in pratica avrà molte difficoltà a sposare un non musulmano. Il suo consolato, nella maggior parte dei casi, le negherà il nulla osta matrimoniale. Se il fidanzato italiano non ha una forte identità cristiana si presenterà al consolato per una «falsa» conversione all'islam. In mancanza di conversione dello sposo più o meno fasulla, ci sono oggi sentenze dei nostri tribunali che permettono a donne musulmane straniere di sposarsi in Italia anche senza il nulla osta del Paese di origine. Ma per il loro Paese questo matrimonio è illecito, e se tornano in patria le conseguenze possono essere molto serie. In realtà in Italia sono più spesso donne cristiane a sposare immigrati musulmani. Non mancano casi di poligamia, i più gravi, perché il matrimonio poligamo per la legge italiana non esiste e la seconda (o terza, o quarta) moglie potrà essere ripudiata senza godere di alcuna tutela giuridica. La Chiesa sa però che anche i matrimoni misti monogamici spesso falliscono. L'uomo musulmano ha difficoltà a rinunciare all'idea del ripudio facile, evidentemente incompatibile con la nozione cattolica di matrimonio, e certamente non accetta che nel percorso educativo ai figli sia proposto il cristianesimo. Ha ragione - per una volta - Tariq Ramadan: il romanticismo non è un sostituto per la prudenza, e i richiami all'amore non bastano a superare una differenza culturale che si rivela nella maggior parte dei casi insormontabile.

Da il Giornale del 2 settembre 2008

martedì 29 luglio 2008

Per la Dama bianca
tanto affetto dai fedeli

Madonna di Lourdes, il pellegrinaggio a Santa Maria di Campagna e Nostra Signora


Grande folla di fedeli anche ieri per la seconda giornata piacentina della statua della Madonna di Lourdes, che dopo il Duomo, sabato, ha toccato ieri Santa Maria di Campagna e Nostra Signora di Lourdes. In occasione della sua prima visita alla nostra città la Madonna Pellegrina, ieri ha fatto visita ai malati. La processione, partita dalla basilica di Santa Maria di Campagna, ha sfilato per i viali del vecchio ospedale, dopo aver sostato di fronte all’ospizio e pensionato Vittorio Emanuele.

Lungo la strada il corteo si è raccolto in sentiti momenti di preghiera e ha poi continuato il giro fino ad arrivare nella piazzetta del nuovo ospedale, dove un piccolo gruppo di persone era pronto ad accogliere la Madonna. Padre Giordano, guardiano del Santuario di Santa Maria di Campagna ha guidato i fedeli nella preghiera insieme a don Virginio Zuffada, accompagnati anche da don Carlo Tagliaferri, cappellani dell’ospedale, don Pio Ferrari, cappellano del Vittorio Emanuele e il parroco di San Nicolò, don Pierluigi Dallavalle.
A guidare la processione i rappresentanti della congregazione dei Templari di San Bernardo, due «cavalieri» dai guanti bianchi e mantello chiaro, decorato da una croce di colore rosso e una «dama» con mantello nero e velo di pizzo, poco più indietro l’armigero, vestito di un mantello candido. In ricordo della tradizione delle crociate, i cavalieri erano in testa al corteo a difesa della croce dietro di loro, seguiti dallo stendardo della Madonna, quello dell’Unitalsi - che ha organizzato la due giorni piacentina - e infine dalla statua, portata a spalla dai «barellieri », volontari dell’associazione.
La sfilata della Pellegrina è stata accompagnata dagli sguardi amorevoli dei degenti e del personale, afrosa, facciati alle finestre dell’ospedale, per porgerle il loro saluto. A camminare insieme alla «Bella Signora» di Lourdes, oltre alle tante persone che hanno partecipato, il gruppo dei «barellieri» e delle «dame» dell’Unitalsi, tutte in divisa, con grembiule bianco e veletta, il gruppo della delegazione della Pubblica assistenza Misericordia Piacenza, con il loro direttore, Gianfrancesco Tiramani, la polizia municipale, carabinieri e poliziotti. In perfetto ordine, tra lacrime, commozione e sorrisi, il corteo ha accompagnato la Madonna fino alla chiesa per assistere alla funzione. Nel cammino, l’infaticabile presidente Unitalsi, Giandomenico Follini, ha distribuito le richiestissime immaginette della Madonna di Lourdes.

L’entrata di Santa Maria di Campagna, adornata da fiori bianchi e afrosa, ha visto l’ingresso della statua, tanto attesa dai fedeli, che hanno letteralmente invaso il santuario. Durante la funzione, erano tanti i volontari che hanno assistito i malati, accompagnandoli lungo la navata centrale per dare loro la possibilità di avvicinarsi alla Madonna di Lourdes. In molti hanno sfidato il caldo e la folla per assistere alla celebrazione, vedere e toccare la statua. Un rito quest’ultimo che non si è mai fermato. Nonostante la statua fosse a ridosso dell’altare e gli spazi fossero molto più ristretti di quelli del Duomo La Peregrinatio Mariae è poi proseguita nel pomeriggio, quando a statua della Dama bianca è stata condotta nella chiesa di Nostra Signora di Lourdes, salutata dalla comunità dei fedeli, in attesa di potersi confessare e chiedere l’indulgenza plenaria.
Prima della celebrazione della santa messa il parroco, don Serafino Coppellotti, ha invitato i cittadini presenti alla preghiera. Raccolti in una fila ordinata e paziente, i fedeli hanno atteso il loro turno, aiutandosi e sorridendosi.

La Madonna ha poi proseguito il proprio pellegrinaggio spostandosi in terra parmense, restando, però, ancora ll’interno della nostra diocesi. Ieri, infatti, si è spostata a Borgotaro e successivamente a Bedonia. Domani, infine, ripartirà con destinazione Ferrara. Una visita che la Piacenza religiosa porterà nel cuore per sempre.

Caterina Gazzola - da La Cronaca di Piacenza del 21 luglio 2008

domenica 6 luglio 2008


Fuori dalle chiese la bandiera della pace! ERA ORA!!!

L'Arcobaleno: sincretismo o pace ?

Città del Vaticano (Agenzia Fides)

Che il cuore dell’uomo aspiri alla pace è una delle constatazione che chiunque osservi la propria esperienza elementare può fare. Tuttavia lo spettacolo tragico a cui assistiamo giornalmente sembra smentire categoricamente tale assunto. È altrettanto evidente infatti che il conflitto è sempre in agguato per i più svariati motivi: un pezzo di terra da condividere, degli affetti comuni, risorse primarie da utilizzare. Le cause seconde dei conflitti sono molteplici e talvolta non individuabili. Alla base di tali cause tuttavia, ve n’è una: l’autosufficienza. La Chiesa cattolica per descrivere tale situazione ha formulato il dogma del peccato originale. La pace o la guerra dipendono dal cuore dell’uomo. Sin dall’Antico Testamento, gli ebrei avevano individuato una serie di norme, sintetizzate in modo grandioso nel decalogo, che tenessero conto della complessità della natura umana: sia nella sua dimensione verticale, nel rapporto con il Trascendente, che in quella orizzontale, nel rapporto con il prossimo. Una serie di pesi e contrappesi garantivano un certo equilibrio. Tuttavia, la sostanziale novità fu apportata da Gesù Cristo, il quale pur attingendo a pieno dalla tradizione antico-testamentaria, rinnovò nella sostanza il decalogo, spostando l’attenzione sull’aspetto centrale della vita dell’uomo: il bisogno di sentirsi amato e di amare. Gesù arrivò a concepire addirittura, cosa assolutamente assente nelle altre tradizioni religiose, l’amore per i nemici. Infatti questa affermazione rivoluzionaria viene considerata l’anima “della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del "porgere l’altra guancia" (cfr Lc 6,29) – ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità” (Benedetto XVI, Angelus del 18 febbraio 2007).
Tutto ciò comporta il pagamento di un prezzo: il sacrificio di sé. È la dinamica che ha portato il Signore Gesù alla morte in croce; il suo sacrificio, offerto una volta per tutte, riassume in sé i sacrifici, piccoli o grandi che siano, degli uomini di ogni tempo. Simbolo evocativo di una umanità pacificata è quindi la croce, non qualsiasi croce, ma quella di Cristo.
La teosofia
Quanto premesso ci serve per postulare una domanda: come mai uomini di Chiesa, laici o chierici che siano, hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la croce, come simbolo di pace? Sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che, forse anche inconsapevolmente, hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno. Tuttavia qualche risposta, per loro conto, potremmo ipotizzarla, richiamando alla memoria la lunga litania degli eventi in cui la chiesa avrebbe brandito la croce come simbolo di sopraffazione, e chiesto successivamente in modo inequivocabile perdono per le manchevolezze dei suoi figli: crociate, caccia alle streghe, roghi di eretici, la lista si potrebbe allungare all’inverosimile. Qui però, taluni dimenticano che la storiografia più aggiornata ha ridimensionato quanto la propaganda anticlericale, soprattutto ottocentesca aveva orchestrato ad arte. Tuttavia per non sottrarsi ad eventuali obiezioni, resta il fatto incontrovertibile che non è il simbolo della croce in sé stesso ad aver bisogno di essere emendato quanto piuttosto gli atteggiamenti degli uomini che, guardando a tale segno possono ritrovare motivo di conversione.
A questo punto diventa necessaria un'altra domanda: questi uomini e donne di chiesa sanno qual è l’origine della bandiera della pace? Molti probabilmente no. Altri, pur sapendo non se ne preoccupano più di tanto. Altri ancora hanno trovato in questo simbolo la rievocazione dell’episodio biblico del diluvio universale.
In realtà, le origini della bandiera della pace vanno ricercate, nelle teorie teosofiche nate alla fine dell’800. La teosofia (letteralmente “Conoscenza di Dio”) è quel sistema di pensiero che tende alla conoscenza intuitiva del divino. Essa è sempre stata presente nella cultura indiana, mentre nell'Occidente è rintracciabile negli scritti di Platone (427-347 a.C.), dei neo-platonici, come Plotino (204-270). La moderna versione ha preso forma dalla Società Teosofica, un movimento mistico, esoterico, spirituale e gnostico fondato nel 1875 da Helena Petrovna Blavatsky, più nota come Madame Blavatsky.
La dottrina
Il programma della Società, ispirato alle dottrine orientali dell'induismo e del buddismo, era riassunto nei seguenti tre scopi: Formare un nucleo di fratellanza universale dell'Umanità, senza distinzione di razza, credo, sesso, casta o colore;
Incoraggiare lo studio comparato di religioni, filosofie e scienze;Investigare le leggi inesplicabili della natura e dei poteri latenti nell'uomo.
La teosofia ha rappresentato un vero momento di rottura con le tradizioni religiose che dominavano precedentemente in Occidente, e ha permesso a molte filosofie e religioni indiane di divenire negli anni popolari in Europa e Stati Uniti.
Tali principi di fondo si sono combinate con alcune pratiche come il vegetarianismo e lo sviluppo delle facoltà paranormali. la dottrina della Società Teosofica è contenuta nei due principali libri della Blavatsky, Iside svelata e La dottrina segreta.
Il suo pensiero potrebbe essere riassunto nei seguenti punti: Coscienza universale ed individuale: gli eventi accadono per leggi che soggiacciono ad un Paradigma Universale (paragonabile al concetto di Dio, o di Logos, detto del Sole o cosmico), che impregna tutto di coscienza.
Gnosticismo dualista (coscienza e materia): gli esseri umani hanno un proprio “se stesso più elevato” divino ed immortale, cui possono rivolgersi con la preghiera, ma essi devono operare per collegare la propria natura con quella divina, altrimenti periranno (principio della negazione dell'immortalità personale).
Reincarnazione e trasmigrazione dell'anima: concetto preso dall'esoterismo buddista con la variante che i teosofici non credono nella regressione: l'uomo non può reincarnarsi in un animale o in una pianta. Egli dovrà invece reincarnarsi almeno ottocento volte, secondo un disegno determinato dal Karma, il ciclo del destino.
Concezione settenaria dell'universo, dell'uomo e della civiltà umana: gli elementi essenziali sono monadi che discendono attraverso sette piani di progressiva materializzazione, durante i quali si è formata l'umanità, ritornando poi, in ascesa attraverso sette fasi di evoluzione: sthula-sarira (il corpo fisico), linga-sarira (il corpo astrale), prana (il respiro della vita o corpo mentale), kama (il desiderio o corpo intuitivo), manas (la reincarnazione), buddhi (lo spirito universale), e atman (il sé cosmico e divino)
Esistenza dei Maestri segreti (mahatma), esseri perfetti dotati di grande saggezza e di potere mistici, che hanno completato il ciclo delle reincarnazioni, e che possono aiutare a raggiungere il massimo livello di evoluzione.
Il New Age
Le analisi culturalmente più sofisticate riconducono il New Age alla categoria del revival, "movimento di risveglio", ben nota agli storici delle religioni soprattutto in ambito anglo-americano. Benché, fra i gruppi cristiani, siano spesso proprio i pentecostali ad attaccare nel modo più virulento il New Age, considerandolo un fenomeno diabolico, non mancano studiosi che propongono un’analogia fra il New Age e il pentecostalismo. A partire dai primi anni del secolo XX il pentecostalismo si presenta come movimento di risveglio di un mondo protestante ampiamente inaridito e sclerotizzato, così il New Age si pone come movimento di risveglio, nell’area culturale di lingua inglese, non più del mondo cristiano ma del mondo laico se non laicista. Anche questo ambiente - la cui organizzazione culturale era largamente affidata alle logge massoniche e alla più discreta, ma non meno importante, influenza della Società Teosofica - si trovava, a partire dagli anni intorno alla Seconda guerra mondiale, in uno di quegli stati di freddezza e di aridità che producono così spesso nella storia i fenomeni di revival. Gli ambienti massonici e teosofici, in particolare, denunciavano una preoccupante incapacità di interpretare i tempi e di svolgere il consueto ruolo di organizzazione culturale, pur non avendo, naturalmente, perduto le loro diverse capacità di influenza sociale e politica. Nel mondo teosofico il disagio si era tradotto in una serie di scismi, il più rilevante dei quali - almeno nel mondo di lingua inglese - era stato promosso da Alice Bailey, nata nel 1880 e scomparsa nel 1949. Proprio Alice Bailey - che aveva soggiornato ad Ascona, presso quel luogo di incubazione di molte idee del New Age contemporaneo che era stato il Monte Verità - aveva cominciato negli anni’20 a utilizzare l’espressione "New Age" nel senso attuale; quest’uso era diventato corrente fra i suoi discepoli negli anni’40. Alice Bailey morì nel 1949 senza vedere l’"evo nuovo" che aveva enigmaticamente annunciato.
Visione della realtà Specifico della mentalità New Age consiste nel non avere nessuna visione del mondo e nessuna dottrina, ma nel predicare la libertà più assoluta In realtà, ciò è vero solo teoricamente, perché il New Age non potrebbe avere nessuna unità se le opinioni diverse che vi si manifestano non coesistessero su una trama di fondo che presenta una serie di elementi comuni.
La questione della verità
Potremmo riassumere tale questione con un slogan: non esistono verità assolute. Espressa in questi termini, la premessa sarebbe tutt’altro che nuova: il relativismo è antico come la filosofia, se non come l’umanità decaduta. Tuttavia esistono diverse forme di relativismo, e il relativismo del New Age si specifica per il suo carattere volontarista. Ciascuno può, letteralmente, creare il proprio mondo, e ciascun mondo soggettivamente creato avrà la sua verità, non meno "vera" - e non meno "falsa" - rispetto a quella del mondo creato da un altro.
L’uomo
La visione dell’uomo del New Age si riassume nello slogan dell’attrice Shirley MacLaine - che da anni svolge il ruolo di missionaria internazionale del New Age attraverso libri, film e programmi televisivi - : "Noi siamo Dio". Più esattamente al fondo di ognuno di noi si trova una scintilla divina, che è la stessa energia cosmica universale in una delle sue molteplici manifestazioni, fra cui - peraltro - non possono essere istituite gerarchie. L’uomo-Dio del New Age è da una parte onnipotente; tale onnipotenza si rivela, da un altro punto di vista, come onnidipendenza, se si considera il ruolo preminente che hanno nel New Age la reincarnazione e l’astrologia.
Il Cristo
Il New Age parla anche volentieri di una realtà che chiama "il Cristo" ma - seguendo tutta una tradizione esoterica e gnostica - ha cura di distinguere "il Cristo" da Gesù di Nazareth come personaggio storico. Gesù non era "il Cristo", o almeno non lo era in modo diverso da Buddha o da chiunque sia in grado di entrare in contatto con la scintilla divina che porta dentro di sé. È questa scintilla, propriamente, che costituisce "il Cristo" come principio divino all’interno dell’uomo.
La morale
Altro tema del New Age è il rifiuto della nozione di peccato - considerata insuperabilmente dogmatica e in ogni caso tipica della superata Età dei Pesci, visto che la nuova era è quella dell’Acquario - e la sua sostituzione con la nozione di malattia. Il New Age non nega che esistano nel mondo comportamenti inadeguati - è sufficiente considerare l’orrore che gli ispirano i comportamenti anti-ecologici -, ma li ascrive a limitazioni fisiche o psichiche che possono essere assimilate alla malattia o a forme di "dipendenza" possibili da superare tramite le numerose forme di terapie e di recovery così largamente disponibili nell’ambiente del New Age.
Conclusione
Questa breve panoramica di due delle più insidiose visioni della realtà che stanno condizionando la cultura dominante occidentale ci è stata utile per inquadrare in una adeguato contesto di pensiero il successo che ha avuto il simbolo per eccellenza del pacifismo mondiale, non escluso buona parte del mondo cattolico: la bandiera della pace.
Diverse sono le versioni sull’origine di questa bandiera Una di queste è riconosciuta ad Aldo Capitini (fondatore del Movimento Nonviolento) che nel 1961 la usò per "aprire" la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi. Un’altra segnala che la sua origine risale al racconto biblico dell'Arca di Noè e che quindi è un simbolo cristiano a tutti gli effetti. Un’altra ancora spiega che la bandiera arcobaleno è il simbolo della città di Cuzco, capitale dell'impero Incas. Fu scelta, dall'imperatore del tempo, perché in quella vallata ogni volta che pioveva si formavano degli arcobaleni brillantissimi. Dalla Francia arriva la spiegazione che quel vessillo è il simbolo del movimento delle cooperative francesi creato intorno al 1920. Un'altra viene fatta risalire al 1950, la bandiera fu utilizzata in America come simbolo della pace dalle associazioni pacifiste e nonviolente. Altri dicono che sia stata “inventata” dal filosofo Bernard Russel nel 1956 in Inghilterra. Tra tutte queste ipotesi spicca la tesi secondo la quale la bandiera arcobaleno è il simbolo dei movimenti di liberazione omosessuali. Sono diversi i siti web gay che rivendicano la proprietà della rainbow flag. Questa si differenzia dalla cosiddetta bandiera della pace principalmente per l'assenza della scritta PACE, ma anche perché la disposizione dei colori è speculare (il rosso è in basso nella bandiera della pace, in alto in quella dei gay), e infine perché la bandiera della pace prevede sette strisce di colore al posto di sei. La bandiera arcobaleno fu disegnata da un artista di San Francisco, Gilbert Baker, nel 1978, su richiesta della comunità gay locale in ricerca di un simbolo (a quei tempi il triangolo rosa non era ancora diffuso). Baker disegnò una bandiera con 8 strisce (successivamente sei) colorate: rosa (per il sesso), rosso (per la vita), arancio (per la guarigione), giallo (per il sole), verde (per la natura), turchese (per l'arte), indaco (per l'armonia) e viola (per lo spirito). Infatti questa bandiera sventolò per la prima volta a San Francisco nella marcia del Gay pride del 25 giugno 1978.
Comunque al di là di chi sia stato il primo ad ostentare tale simbolo resta il fatto incontestabile che si presenta come il più adatto a rappresentare un idea, oggi molto in voga, secondo la quale non ci sarebbe alcuna verità assoluta: tutte le opinioni hanno la medesima dignità e quindi meritevoli di spazio. Secondo questo tipo di idea per esempio è possibile mettere sullo stesso piano partiti politici o gruppi culturali che rivendicano, legittimamente, la difesa della dignità della donna, e gruppi, come è accaduto recentemente in Europa, che rivendicano la depenalizzazione dei reati di pedofilia. Si tratta ovviamente di aberrazioni possibili, solo all’interno di una mentalità relativistica come quella che caratterizza le nostre società occidentali. La bandiera arcobaleno è una valida sintesi per rappresentare questo sincretismo; infatti l’arcobaleno nel New Age rappresenta il passaggio dall’umano verso il super-uomo divino. Sul ponte dell’arcobaleno (nel senso induista: Antahkarana) avviene l’unione di Atman e Brahman, dell’uomo singolo e dell’Energia cosmica (Dio). L’unità quindi è raggiungibile attraverso una sintesi, un’armonia e una tolleranza globale fra le diverse filosofie, ideologie e religioni. Così la pace sarà possibile. Pertanto "va considerato nel modo più severo l'abuso di introdurre nella celebrazione della Santa Messa elementi contrastanti con le prescrizioni dei libri liturgici, desumendoli dai riti di altre religioni" (Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, Istruzione Redemptionis Sacramentum, n 79).
Il ricorso a quelle filosofie orientali, che estrapolate dal loro contesto storico- sociale- economico-religioso e ben sintetizzate dalla New Age, si inserisce perfettamente nel contesto occidentale, preoccupato di marginalizzare il discorso sulle sue autentiche radici, finisce per assumere come categoria fondamentale il relativismo etico imponendo al mondo culturale politico sociale e religioso una nuova forma di “dittatura”.

(Agenzia Fides 20/6/2008)

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«La bandiera arcobaleno è New Age non va più esposta nelle chiese»

L’agenzia vaticana «Fides» spiega le origini del vessillo del movimento pacifista: «È legato alla teosofia e al relativismo. Tornate alla croce»...

di Andrea Tornielli

Perché preti e laici cattolici usano la bandiera arcobaleno come simbolo di pace invece della croce? Non sanno che quella bandiera è collegata alla teosofia e al New Age? È netto e documentato il giudizio contenuto in un articolo pubblicato da «Fides», l’agenzia della Congregazione vaticana per l’evangelizzazione dei popoli diretta da Luca De Mata, nei confronti del vessillo, simbolo del movimento pacifista, appeso anche nelle chiese e da qualche prete pure sull’altare. «Come mai uomini di Chiesa, laici o chierici che siano - si chiede “Fides” - hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la croce, come simbolo di pace? Sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno». L’agenzia vaticana ipotizza qualche risposta in proposito, vale a dire «la lunga litania degli eventi in cui la Chiesa avrebbe brandito la croce come simbolo di sopraffazione», dalle Crociate alla caccia alle streghe ai roghi di eretici. «Fides» a questo proposito ricorda però che non è il simbolo della croce in quanto tale «ad aver bisogno di essere emendato», quanto piuttosto «gli atteggiamenti degli uomini che, guardando a tale segno, possono ritrovare motivo di conversione». Poi rilancia: «Questi uomini e donne di chiesa sanno qual è l’origine della bandiera della pace? Molti probabilmente no. Altri, pur sapendo, non se ne preoccupano più di tanto».Le origini della bandiera della pace vanno ricercate, spiega l’agenzia, «nelle teorie teosofiche nate alla fine dell’800. La teosofia (letteralmente “Conoscenza di Dio”) è quel sistema di pensiero che tende alla conoscenza intuitiva del divino». Da sempre presente nella cultura indiana, ha preso la sua moderna versione dalla Società Teosofica, «un movimento mistico, esoterico, spirituale e gnostico fondato nel 1875 da Helena Petrovna Blavatsky, più nota come Madame Blavatsky». Il pensiero della corrente rappresentata dalla bandiera arcobaleno si basa sullo «gnosticismo», sulla «reincarnazione e trasmigrazione dell’anima», sull’esistenza di «maestri segreti» e riconduce al New Age, mentalità che predica la libertà più assoluta e il relativismo, l’idea dell’«uomo divino», il rifiuto della nozione di peccato. «Fides» spiega che esistono diverse versioni di questa bandiera, una delle quali è riconosciuta ad Aldo Capitini, fondatore del Movimento nonviolento, «che nel 1961 la usò per aprire la prima marcia per la pace Perugia-Assisi», mentre un’altra «segnala che la sua origine risale al racconto biblico dell’Arca di Noè» e dunque sarebbe un simbolo cristiano a tutti gli effetti. In realtà - scrive l’agenzia dopo aver ricordato che è anche il simbolo dei movimenti di liberazione omosessuali - la bandiera rappresenta un’idea secondo la quale «per esempio è possibile mettere sullo stesso piano partiti politici o gruppi culturali che rivendicano, legittimamente, la difesa della dignità della donna, e gruppi, come è accaduto recentemente in Europa, che rivendicano la depenalizzazione dei reati di pedofilia. Si tratta ovviamente di aberrazioni possibili, solo all’interno di una mentalità relativistica come quella che caratterizza le nostre società occidentali».La bandiera, conclude «Fides», è un simbolo sincretistico, che propone l’unità New Age nella sintesi delle religioni. Introdurla nelle chiese e nelle celebrazioni è da considerarsi «un abuso».

Il Giornale n. 147 del 2008-06-21

lunedì 30 giugno 2008

La rivoluzione dei Templari e il giallo della lettera ritrovata
Attribuita al primo "cavalierte di Cristo",
Ugo di Payns, una missiva programmatica
ai propri commilitoni

di Marco Meschini

«Riflettete: presso Dio non hanno alcun valore né la posizione né l’abito». Chi sollecita il lettore a riflettere e pensare? Non è un filosofo, come ci si potrebbe attendere, né un teologo e nemmeno un chierico, anche se il testo venne scritto intorno al 1128, ovvero in pieno Medioevo. No, chi scrive è un miles, un «cavaliere». Un uomo più avvezzo alla lancia e alla spada che al calamo e alla pergamena. Per giunta un «cavaliere di Cristo», un miles Christi. O per meglio dire un «povero commilitone di Cristo»: pauperes commilitones Christi si fanno infatti chiamare lui e quel manipolo di altri cavalieri che, laggiù in Terra Santa, hanno appena dato avvio a una nuova, inaudita esperienza.
Sono i templari, così chiamati perché il re di Gerusalemme ha donato loro, come casa madre, il Tempio di Salomone, cioè la moschea di al-Aqsa sulla spianata del Tempio a Gerusalemme. E hanno proposto uno stile di vita fuori dell’ordinario: rimarranno cavalieri - e quindi spargeranno il sangue, quando necessario -, ma saranno nel contempo monaci. Il templare è un ibrido: da un lato stringe i voti di povertà, castità e obbedienza, dall’altro continua a impugnare la spada. Un monstrum, anzi un «nuovo genere di uomini» come scrive in quegli anni il loro grande testimonial, san Bernardo di Clairvaux, il gigante di quel secolo che redige per loro un’opera famosa, L’elogio della nuova cavalleria.
Siamo nei decenni che seguono la prima Crociata. Nel 1099 Gerusalemme è tornata cristiana, e ora si tratta di mantenere i territori riconquistati. Di proteggere i pellegrini. Di combattere per Cristo, appunto. Ma non, come avevano fatto i crociati, per un periodo limitato, bensì in maniera permanente. L’impeto iniziale, che si sarebbe ripresentato solo con le crociate maggiori tra XII e XIII secolo, doveva divenire istituzione. A questa esigenza di base rispose l’ordine dei templari: all’inizio nove cavalieri - ma il numero è più ideale che reale -, cioè quasi nulla di fronte alla sfida immensa. E sfida duplice: combattere contro i musulmani e, insieme, convincere i cristiani che la loro idea non era follia.
Ecco dunque che Ugo di Payns, l’ideatore, il primo «cavaliere di Cristo» armato di coraggio e di spada, detta la sua lettera. «Riflettete». Alcuni dicono che non siamo necessari: ma è solo perché la nostra funzione è meno nobile di chi prega soltanto. Eppure «spesso sono le cose meno nobili ad essere le più utili: il piede tocca la terra, ma porta il peso di tutto il corpo». Il fatto è che noi, scrive Ugo, consacriamo «la nostra vita a portare le armi contro i nemici della fede e della pace per la difesa dei cristiani». Ma non per amore della violenza: «In tempo di pace combattiamo contro gli impulsi della carne grazie ai digiuni; in tempo di guerra combattiamo con le armi i nemici della pace che fanno dei danni o che vogliono farli».
La sua lettera è una delle novità rilevanti del nuovo lavoro di Simonetta Cerrini, La rivoluzione dei templari (Mondadori, pagg. 238, euro 18,50), da oggi in libreria. Cerrini è esperta come pochi al mondo dei testi originari (e originali) dei templari e con questo volume propone una rilettura completa delle loro origini. Comprensiva appunto della famosa lettera, nota agli addetti ai lavori sin dal 1958 ma erroneamente attribuita a un altro Ugo, Ugo di san Vittore. Gli studi della Cerrini mostrano invece in maniera convincente che quella lettera va attribuita a Ugo di Payns. Insomma un segreto svelato con la ragione, e non con teorie fumose come troppo spesso accade a proposito di templari.
I meriti dell’autrice non si fermano qui. E si estendono al ripensare l’esperienza templare non in un’ottica di storia militare o politica, bensì di storia della cultura. Il libro, infatti, pone al centro dell’indagine i testi (quelli veri appunto) della fondazione: gli scritti dei primi testimoni e i manoscritti della Regola, in latino come in volgare. Emerge così una spiritualità densa e cosciente, segno del fatto che quegli uomini d’arme non solo avevano un’anima, ma che pure la coltivavano. Non ambivano a primeggiare, ma a servire come appunto fanno «i piedi del corpo».
E ancora: nella sua lettera Ugo spiega bene come si deve «odiare non l’uomo, ma il male», e che quindi persino lo spargere il sangue deve avvenire nel contesto di un’operazione di pace. È un passaggio rilevantissimo: che un san Bernardo distinguesse tra omicidio e malicidio, cioè tra fatto e intenzione, è cosa ben nota. Ma che sullo stesso filo di pensiero corresse la mente dei primi templari è una conferma eccezionale e, insieme, uno spalancarsi d’orizzonti. Perché così si può e si deve ripensare all’ordine come al protagonista d’una forma laica di vita cristiana, proprio in un periodo - quello susseguente la grande riforma «gregoriana» dell’XI secolo - in cui più nette si delineavano le differenze tra chierici e laici, soprattutto in relazione alla sfera del sacro.
Credo meno, invece, alla speranza confessata dalla Cerrini e da altri (penso all’amico comune Franco Cardini) di una «via del dialogo e della convivenza», dati i rapporti instaurati dai templari con i musulmani nel XII secolo. Che si conoscessero è ovvio, visto che lottavano entrambi sulla e per la medesima terra. Si stimavano anche, è vero, ma solo in parte, perché la stima derivò da un duraturo rapporto fatto anche di aspre battaglie; e come non stimare un nemico che sa resisterti? Ma il «dialogo» di Ugo e degli altri templari parlava parole alquanto nette: i musulmani sono «nemici della pace», «fanno danni o vogliono farli». Non odiamoli, quindi. Ma contrastiamoli. Conviviamo anche, se necessario. Ma pronti a bloccarli.
Da IL GIORNALE del 30.VI.2008