venerdì 27 marzo 2009


GRANDI MANOVRE TRA I PATACCARI

Dopo le ostentazioni delle solite superbe vanaglorie, diffidati, gli pseudo “templari” pataccari, hanno rimosso dalle prime posizioni i riferimenti fraudolenti e vanagloriosi, nella speranza che, nascosti nelle retrovie - meno osservate - possano ancora incuriosire gli sprovveduti e permetter loro di mantenere la solita squallida e ambigua posizione, che li ha tenuti, e li tiene, in prima fila tra i ridicoli.

Ma questa volta chi doveva vedere ha visto, chi doveva leggere ha letto, chi doveva fare a fatto.

Se non fosse che c’è da piangere si potrebbe perfino ridere, ma cristianamente preghiamo.
Ricordandoci che...

Dalla Prima lettera di
San Paolo ai Corinzi

«Desiderate ardentemente i doni maggiori. E ora vi mostrerò una via che é la via per eccellenza:

Quand'io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho carità, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho carità non sono nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova. La carità é paziente, é benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non si inasprisce, non sospetta il male, non gode della ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa»

(Corinzi 12, 31 - 13, 1-7)
Aperto un nuovo spazio culturale nell'antica Chiesa Templare di San Bevignate a Perugia

Note sulla Chiesa di S. Bevignate

La chiesa di San Bevignate, posta lungo la via etrusca che da Perugia conduceva ad Arna e Gubbio, fu iniziata intorno al 1256 per opera dei monaci-cavalieri Templari.Venne dedicata a un eremita locale del V secolo, emblematica figura attorno alla quale, alla metà del Duecento, si concentrarono anche le attenzioni dei seguaci di Raniero Fasani, ispiratore del movimento religioso riformatore dei Disciplinati, ritenuti i fondatori nonché i primi "occupanti" del sito.

Sul finire del XIII secolo, sempre ad opera dei Templari, alla chiesa fu annesso un convento che testimonia il rilievo via via assunto dal sito.Nel 1312, soppresso l'Ordine dei Templari, San Bevignate passò ai cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, sotto il cui controllo, nel 1324, venne istituito un monastero femminile, che vi restò insediato fino al secondo decennio del Cinquecento.L'austero e vasto edificio in pietra arenaria presenta una pianta rettangolare, con l'abside rialzata sulla cripta.

L'interno, a navata unica, è rivestito da intonaci originali, decorati da affreschi eseguiti in diverse epoche, in cui compaiono numerosi motivi simbolici collegabili all'Ordine templare.La rilevanza storico-artistica che questo complesso riveste, ha fatto del monumento il cardine di "Milites Templi", un progetto internazionale di studio volto alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio templare in Europa.

Il restauro dell'edificio è stato avviato grazie ai fondi regionali per la ricostruzione post sisma del 1997, poi integrati da fondi del Ministero dell'Economia e Finanza, cui ha contribuito anche l'Amministrazione Comunale con risorse proprie.

L'intervento di consolidamento delle strutture - che ha tra l'altro portato in luce un ampio tratto di pavimentazione in mosaico di età romana, oltre ai resti di un impianto produttivo per il tinteggio dei tessuti databile tra I secolo a.C. e I sec. d.C. e il successivo recupero conservativo degli affreschi, sono stati indispensabile premessa alla realizzazione di una prestigiosa sede destinata ad accogliere iniziative ed eventi culturali.Oltre alla principale funzione scientifica del "Centro di Documentazione sull'Ordine dei Templari", con la realizzazione di una vera e propria banca dati in grado di mettere in rete siti architettonici, musei, archivi e istituti di ricerca, riferibili alla storia templare, l'ampio spazio della chiesa offrirà, infatti, anche la possibilità di ospitare attività legate alla convegnistica tradizionale, alle esposizioni temporanee, alla didattica, alla musica e a innumerevoli altre attività artistiche.

Comune di Perugia - Martedì 10 Marzo 2009

giovedì 26 marzo 2009

SUPERBIA, PATACCHE E VANAGLORIA

L'Evangelo, l'umiltà e la fraternità erano e sono alla base della spiritualità e dell'azione dei veri Milites Christi.

Con questo contributo, frutto di una sentita sofferenza e di una rinnovata spiritualità, il fratello Giampaolo, fa sua la nostra Regola, donandoci una riflessione che vi invito a meditare e a fare propria.

Fratelli non fatevi intimidire se qualcuno vi insegue sulla strada del Tempio mostrando curiosità ed invidia che nulla hanno a che vedere con la nostra Fede. Semplicemente ignorateli perché essi non sono nulla che valga la pena di essere inseguito. Chi percorre una strada lastricata di patacche spinto dal vento malefico della vanagloria non serve al Tempio e nemmeno può Servire il Tempio. La Santa Croce è il nostro simbolo ma diffidiamo di chi vuole la Croce grossa. I cavalieri della croce grossa vogliono mostrarsi superiori senza capire che in un mondo di fratelli la grande croce non esiste. Esiste solo la Croce, quella del Cristo.

Il termine supernus, o ordine, non serve a far vivere ciò che non c’è (perché non può esserci), e che si regge solo sulla tecnica della conoscenza primordiale, unita alla “pataccheria” diffusa ed alla vanagloria. Chi fa questo è costretto ad inventarsi ogni volta in associazioni varie, che nulla hanno a che vedere con la Fede, ma solo con la burocrazia, per riuscire a trovare una chiave che non serve se non a chi non è nella Chiesa, perché se ne sta al di fuori.

Noi, fratelli, siamo nella chiesa a pieno titolo, hic manemus et manebimus optime, perché è il luogo che il Santo Battesimo ci ha dato. Mentre Milites Christi lo siamo perché è la Santa Cresima che ci ha reso tali e pauperes vogliamo sentirci per essere più vicini alla spiritualità della Congregazione, che non discende da chi non c’è più, ma che vuole rivivere lo spirito che un tempo è stato dato, agli allora soldati di Cristo, da S. Bernardo, del quale assumiamo nel nostro quotidiano la Regola e non solo il nome.

Non disperiamo mai quando qualcuno ci insegue nel nostro impegno e nelle nostre attività e cerca di colpire tutti noi con il pettegolezzo. Queste sono le loro patacche che mostrano il limite di chi crede di contare più di ogni altro mostrando ciò che non è, oppure mostrandosi diversamente da ciò che è.

Il maligno non si mostra mai nella tenebra. Il maligno si mostra nella luce che può venire dalla superbia, madre della vanagloria così come dai lampeggi dei flash dei fotografi. Oppure da chi parla di Mantelli splendenti quando i mantelli sono stati e saranno sempre i nostri bianchi mantelli, mai indossati come li indossavano, gli scribi ed i farisei.

Noi stiamo con il Papa. E con lui saremo sempre, ubbidendo ai nostri Vescovi senza nulla chiedere, ma solo per metterci al servizio della Chiesa.

Fratelli, riflettiamo insieme su queste parole di un fratello che, soffrendo intimamente ha capito che la strada vera verso il Tempio sta, per noi che l’abbiamo scelta, nella nostra Congregazione. E che, la Gerusalemme Celeste, non la si conquista con le patacche o col mettersi in mostra. Noi non dobbiamo essere né belli né splendenti. Noi vogliamo indossare i nostri mantelli come indossiamo Dio secondo l’invito di S. Paolo.

Preghiamo per il Santo Padre che sta guidando la Chiesa in un mare tempestoso. E Preghiamo per tutti noi e per le anime dei fratelli di un tempo, che hanno pagato cari gli errori, per l’arroganza di un re ingordo, ma anche per la debolezza, in una terra di esilio, per il Papa di allora.
Preghiamo e rivendichiamo lo spirito, ma non la discendenza come altri fanno. E preghiamo per l’anima di chi ci insegue dall’alto della loro arroganza e supponenza, vivendo senza patacche e vanagloria.

Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam.

fra Giampaolo Leani

mercoledì 25 marzo 2009

"L'ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE..."
grazie Dio Padre per il dono di Maria,
Mamma Tua e Mamma Nostra!!!



Solennità dell'Annunciazione
25 marzo 2009
Eccomi sono la serva del Signore,
avvenga di me quello che hai detto

Maria di Nazaret aveva scelto una vita di dono totale a Dio, come vergine. Ma Dio decise altrimenti. Ciò che colpisce, nell’Annunciazione, è che una “religione pura” esige un dialogo vivente e costante fra Dio e ogni uomo. Qui Dio ha pronunciato la sua ultima Parola a Maria, perché si compissero le parole che, nella storia di Israele, erano state dette ad Abramo, a Mosé e ai profeti. Essi avevano ascoltato e obbedito; lasciarono entrare nella loro vita la Parola di Dio, la fecero parlare nelle loro azioni e la resero feconda nel loro destino. I profeti sostituirono alle loro proprie idee la Parola di Dio; anche Maria lasciò che la Parola di Dio si sostituisse a quelle che erano le sue convinzioni religiose. Di fronte alla profondità e all’estensione di questa nuova Parola, Maria “rimase turbata”. L’avvicinarsi del Dio infinito deve sempre turbare profondamente la creatura, anche se, come Maria, è “piena di grazia”. Assolutamente straordinario è poi che questo Dio non solo si avvicina a Maria, ma le offre il proprio Figlio eterno perché divenga il suo Figlio. Come è possibile che il “Figlio dell’Altissimo” diventi suo Figlio? “Lo Spirito Santo scenderà su di te”. Come scese sul caos, in occasione della creazione, lo Spirito Santo scenderà su Maria e il risultato sarà una nuova creazione. L’albero appassito della storia fiorirà di nuovo. “Maria disse: Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Nell’Annunciazione si ha il tipo di dialogo che il Padre del nostro Signore Gesù Cristo vorrebbe avere con ciascuno di noi. L’esperienza di Maria a Nazaret sottolinea questa verità per tutto il popolo di Dio. Il suo “sì” in risposta all’offerta divina e il cambiamento drammatico di vita che ne sarebbe seguito, mostrano che la venuta di Dio in mezzo a noi esige un cambiamento radicale. Ma, cosa più importante, l’Annunciazione a Maria ci pone di fronte ad una grande verità: ognuno di noi ha avuto un’“annunciazione” personale. Sto esagerando? No di certo. Se esaminate la vostra vita passata, troverete un’esperienza che è stata decisiva; forse non ebbe allora conseguenze immediate, o almeno non vi sembrò, ma, ripensandoci adesso, vi accorgete che è stata fondamentale, sia essa la scuola che avete frequentato, un libro che avete letto, un discorso che avete ascoltato, una frase delle Scritture che vi ha colpito, gli amici a cui vi siete sentiti uniti o un ritiro che avete fatto. Era il Dio di Maria di Nazaret che si annunciava a voi. Voi avete dunque avuto una “vostra” annunciazione. E se non avete risposto “sì”, o se avete pronunciato soltanto un “sì” timido? Basta riconoscere l’annunciazione ora e cercare di recuperare il tempo perduto vivendo per Dio e per gli altri. “Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.

Fonte: La Chiesa

martedì 24 marzo 2009

PAOLO DI TARSO 2


Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo,come se Dio esortasse per mezzo nostro.Vi supplichiamo in nome di Cristo:lasciatevi riconciliare con Dio.Colui che non aveva conosciuto peccato,Dio lo trattò da peccato in ostro favore,perché noi potessimo diventareper mezzo di lui giustizia di Dio.(2 Cor 5,20-21)1.0

KERYGMA E CONVERSIONE1.1

– INTRODUZIONE GENERALE. L’esperienza fondante della chiesa primitiva è la PENTECOSTE che ha consacrato gli apostoli ad essere testimoni qualificati della risurrezione del Signore (At 1,21s). Il vibrante annuncio di Pietro: Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso (At 2,36) ha scosso profondamente gli ascoltatori a tal punto che si sono sentiti chiamati a conversione (At 2,38).

1.2 – Il KERYGMA è l’annuncio del Vangelo, della Buona Novella del Regno di Dio, della Parola di Dio, proclamato solennemente, che contiene in sé la forza trasformante della salvezza per coloro che, chiamati alla fede, credono in Gesù Cristo Signore e ricevono il battesimo nel suo nome (At 8,35ss).La trasmissione delle fede cristiana è innanzitutto annunzio di Gesù Cristo, allo scopo di condurre alla fede in lui (CCC425). Questo avviene in varie forme: può chiamare alla fede la testimonianza silenziosa di vita di un credente (come avviene per la maggioranza dei casi che spinge un non cristiano a chiedere il battesimo), l’annuncio esplicito attraverso la Predicazione, valido anche oggi, purché non sia una predica, e finalmente frutto di una chiamate particolare come per san Paolo, che Dio aveva eletto come strumento per portare il suo nome dinanzi ai popoli (At 9,15).

1.3 – Tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno di Dio. Il cuore pulsante di questo mistero è la Persona di Gesù, morto e risorto, che apre ai poveri e ai peccatori le braccia della sua infinita misericordia, raccogliendo intorno a sé, nella gloria un popolo immenso, di ogni lingua, tribù e nazione (Ap 7,9).Il centro della Buona Novella è il Mistero Pasquale della Croce e della Risurrezione del Signore che gli Apostoli e la chiesa dopo di loro sono chiamati ad annunciare al mondo: il disegno salvifico di Dio si è compiuto (1 Cor 3,9s) ed ora è necessario chiamare a raccolta tutti gli uomini.

1.0 PAOLO ANNUNZIATORE DEL VANGELO

1.1 – L’apostolo Paolo, investito della grazia del ministero apostolico (Ef 1, 3ss), diventa banditore della Buona Novella, dapprima passando nella sinagoghe e poi indirizzandosi direttamente ai pagani, una volta che con amarezza, aveva constatato il rifiuto degli ebrei: Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani (At 13,46).

1.2 – Il contenuto del kérygma paolino è ben conosciuto e radicato nella scia apostolica: Vi ho trasmesso anzitutto quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture (1 Cor 15,3s). Questo secondo le Scritture è molto importante perché l’annuncio apostolico non è qualcosa al di fuori del disegno divino di salvezza, ma è il compimento di una lunga storia di chiamate, di annunzi di salvezza, di fedeltà di Dio e infedeltà dell’uomo. Gesù diventa così la parola definitiva del Padre (Eb 1,1-2).

1.3 – Paolo è un fondatore di comunità cristiane che costituisce, educa, visita durante i suoi tre grandi viaggi missionari, si sente ministro e collaboratore e i fedeli sono il campo di Dio: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere (1 Cor 3,6).Egli è pienamente consapevole di essere stato costituito banditore ed apostolo: Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo (1 Cor 1,17)e sa che è portatore di una parola presentata in tutta debolezza e timore perché è la parola della croce, stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio (1 Cor 1,18).

1-4 – L’Apostolo è assimilato a Cristo, tanto che il predicatore diventa in un certo senso icona di Cristo crocifisso, povero, indifeso, rigettato e messo a morte come Gesù stesso. Ritengo infatti che Dio ha messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini… siamo diventati come la spazzature del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi (1Cor 4,9.13).

2.0 – LA CONVERSIONE

2.1 – Come san Pietro, così anche Paolo, alla fine del suo discorso kérygmatico, proclama con la forza la conversione, in vista del perdono dei peccati: Vi sia noto, fratelli, che per opera di lui vi viene annunziata la remissione dei peccati e che per lui chiunque crede riceve la giustificazione da tutto ciò da cui non vi fu possibile essere giustificati mediante la legge di Mosé (At 13,38s).
Anche nel suo discorso all’areopago Paolo corona il discorso con il riferimento deciso alla resurrezione di Gesù, ben sapendo che questo avrebbe raggelato i suoi ascoltatori, già settici a questo genere di discorsi: Dopo essere passato sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi (At 17,30).

2.2 – La conversione è la risposta alla chiamata di Dio, allo stesso modo di Abramo. Uscire dalla propria terra per andare verso la nuova realtà che il Signore ha preparato per coloro che accolgono la sua parola (Gen 12,1ss). Conversione in senso cristiano significa cambiamento di sentimenti, che comprende la rinunzia al modo di vivere che porta al male (pentimento), per volgersi verso Dio, iniziando così una vita nuova (conversione). Credere in Gesù è un atto di fede che passa, dunque, attraverso una misteriosa morte a se stessi per una rinascita dall’alto (Gv 3,7), per il dono della grazia divina.
Se il malvagio si ritrae da tutti i suoi peccati, osserva tutti i miei decreti e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà (Ez 18,21). La nozione di conversione, come di peccato, è personale; la salvezza e la rovina non dipendono né dagli altri né dal proprio passato, ma dalle disposizioni interiori attuali del cuore davanti al Signore. Ascoltate oggi la sua voce: “Non indurite il cuore” (Sal 94,5). Il profeta pensa alla conversione del cuore: Ritornate a me con tutto il cuore, laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno (Gl 2,13). È con il cuore che noi aderiamo a Cristo e decidiamo di condurre una vita più conforme al suo Vangelo.

2.3 –La proclamazione di Gesù risorto, vittorioso sul peccato e sulla morte, è il fondamento della fede: grazie a lui, la conversione è possibile, credendo alla sua parola e accogliendo la sua persona (At 2,36-38). La chiamata al pentimento e alla conversione segue sempre l’annuncio gratuito del Vangelo e si attua in coloro che lo accolgono nella fede. Pentitevi dunque e cambiate vita perché siano cancellati i vostri peccati (At 3,19). È un appello alla nostra responsabilità di fronte al destino eterno dell’uomo, perché stretta è la porta e angusta la via che conduce alla Vita (Mt 7,14). Il riflesso sociale della conversione è sempre l’amore per i fratelli e il servizio al prossimo, nella ricerca della giustizia e della pace.

2.4 – La conversione è un percorso di fede che non si esaurisce nel ricevere il sacramento della Riconciliazione, che è il sacramento che rinnova la grazia del Battesimo e, assieme alla Confermazione e all’Eucaristia, ci fa crescere nella vita nuova in Gesù Cristo fino alla dimensione adulta della nostra fede. Questo significa conservare lo stato di conversione permanente, accettando di essere sempre dei poveri peccatori, ma pieni di fiducia nella divina misericordia.

2.5 - Riconoscersi peccatori, allora, fa parte integrante della verità sull’uomo, consapevoli della propria fragilità perché fatti di terra (Gen 2,7). Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi (1 Gv 1,8). L’uomo è capace di peccato, è incline, portato a fare il male (Reconciliatio et Poenitentia n° 13).
Questo vuol dire riconoscere non solo i peccati commessi, ma che siamo peccatori per natura, deboli e capaci di fare ogni sorta di male; vedere per es. il peccato di Davide (2 Sam 11s). Breve: io sono cattivo e non sono migliore di nessuno; questo mi fa soffrire, anche se non ci penso e soprattutto fa soffrire gli altri. E Dio si offende? Egli è più grande del nostro peccato e, siccome ci ama, il suo è un amore ferito.2.6 – Tuttavia la Sacra Scrittura ci rivela che Dio non ha creato la morte … infatti ha creato tutto per l’esistenza (Sap 1,13-14); e l’uomo per l’immortalità (Sap 2,23). Da dove allora viene la morte? Gli uomini non possono riconoscere da soli la responsabilità di questa situazione, ma Dio ci illumina: è a causa del peccato che noi abbiamo per salario la morte (Rm 6,23); la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo, morte spirituale e la separazione da Dio hanno come conseguenza la morte fisica (Sap 2,24); quindi non è esagerato affermare che siamo… dei morti che camminano, quando non siamo capaci di vivere dell’amore.
Detto questo, ci resta ora una sola cosa da fare: riconoscersi profondamente peccatori (poco importa sapere quello che ho commesso come peccato) e incominciare a dire dal profondo del cuore, assieme al pubblicano nel tempio: O Dio, abbi pietà di me peccatore (Lc 18,13).

LA PAROLA DELLA CHIESA1.


Il dinamismo della conversione e della penitenza è stato meravigliosamente descritto da Gesù nella parabola detta «del figlio prodigo» il cui centro è «il padre misericordioso» ( Lc 15,11-24 ): il fascino di una libertà illusoria, l'abbandono della casa paterna; la miseria estrema nella quale il figlio viene a trovarsi dopo aver dilapidato la sua fortuna; l'umiliazione profonda di vedersi costretto a pascolare i porci, e, peggio ancora, quella di desiderare di nutrirsi delle carrube che mangiavano i maiali; la riflessione sui beni perduti; il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevole davanti a suo padre; il cammino del ritorno; l'accoglienza generosa da parte del padre; la gioia del padre: ecco alcuni tratti propri del processo di conversione. L'abito bello, l'anello e il banchetto di festa sono simboli della vita nuova, pura, dignitosa, piena di gioia che è la vita dell'uomo che ritorna a Dio e in seno alla sua famiglia, la Chiesa. Soltanto il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell'amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l'abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza. (CCC 1439)2. La conversione a Cristo, la nuova nascita dal Battesimo, il dono dello Spirito Santo, il Corpo e il Sangue di Cristo ricevuti in nutrimento, ci hanno resi «santi e immacolati al suo cospetto» (Ef 1,4), come la Chiesa stessa, sposa di Cristo, è «santa e immacolata» (Ef 5,27) davanti a lui.
Tuttavia, la vita nuova ricevuta nell'iniziazione cristiana non ha soppresso la fragilità e la debolezza della natura umana, né l'inclinazione al peccato che la tradizione chiama concupiscenza, la quale rimane nei battezzati perché sostengano le loro prove nel combattimento della vita cristiana, aiutati dalla grazia di Cristo. Si tratta del combattimento della conversione in vista della santità e della vita eterna alla quale il Signore non cessa di chiamarci (Cf LG 40). (CCC 1426)

tratto da: http://dalgrandesilenzio.blogspot.com/ P. Benedetto M. Tosolini

domenica 22 marzo 2009

IV DOMENICA DI QUARESIMA ANNO B

LUCE DI VERITÀ

Chi opera la verità viene alla luce.
(Gv 3,21)

Chiamati alla vita[1], a nascere all’amore,
ad aprire gli occhi alla luce vera che è Cristo[2]:
è questo il senso dell’esistenza dell’uomo
che vive nella fede[3] e nell’amore del Padre.

Dio è Luce, Amore e Verità per definizione[4];
in Cristo si manifesta come Via e Vita[5],
Porta mistica che immette la creatura
nel Santo dei Santi della Trinità beata[6].

Nascere e morire, le generazioni susseguono
in uno sfuggevole scorrere del tempo[7];
luce fioca che non illumina l’umano
e struggente desiderio di vita, oltre la morte[8].

E io cammino per il mondo come un cieco[9],
senza vedere la strada della luce, tracciata
per me dall’amore eterno del Padre;
mi credo solo, senza alcun orizzonte[10].

Non vado oltre la mia carnale ambizione
e considero vita ciò che è solo fatuo desiderio[11]
di prolungare la felicità momentanea,
proiezione infinita della mia irrisoluzione.

Operare la verità è credere alla Verità divina[12]
che fa rinascere da acqua e Spirito Santo[13]
che suscita la fede e genera l’amore,
non ideologia ma storia, Verità-Persona[14].

Dio fa conoscere se stesso[15] e vuole condurre
l’uomo all’esperienza dell’amore vero,
perché impari a vivere non più per sé
ma per Lui, Creatore e Redentore di tutti[16].

Gesù entra nel mondo per illuminare
l’uomo con la fiamma ardente della sua luce[17]:
io nasco, cresco e vivo grazie all’amore
profuso abbondantemente in ciascuno[18].

Chi è la verità? È il Figlio incarnato,
venuto per costituire la nuova umanità[19];
in lui splende, irradiata, la Gloria celeste,
sul suo volto, il volto del Padre[20].

Nel suo cuore la certezza dell’amore
che trascende la paura della morte,
perché è l’Uomo eterno e immortale[21],
Verità immutabile, perché Dio.

Si è fatto carne[22] per dare eternità all’uomo
e io nasco per la vita, vengo alla luce, perché
generato dall’amore generoso di Dio Amore
che tutto trasforma nella luce della vita[23].

padre benedetto 22, iii, 2009
_________________________________________

[1] Cfr Gv 10,10
[2] Cfr Gv 9,29
[3] Cfr Rm 4,3
[4] Cfr 1 Gv 1,5; 4,8
[5] Cfr Gv 14,8
[6] Cfr Gv 10,9
[7] Cfr Qo 1,4
[8] Cfr Qo 3,2
[9] Cfr Mc 8,22-26
[10] Cfr Sal 70,6
[11] Cfr Qo 5,2
[12] Cfr Gv 3,21
[13] Cfr Gv 3,5
[14] Cfr Gv 14,8
[15] Cfr Dei Verbum 2
[16] Cfr 2 Cor 5,15
[17] Cfr Gv 12,46
[18] Cfr Rm 5,5
[19] Cfr Gv 18,38
[20] Cfr Eb 1,3
[21] Cfr Sap 2,23
[22] Cfr Gv 1,14
[23] Cfr Ef 5,8
21 marzo
TRANSITO DI SAN BENEDETTO

VERSO IL CIELO


Una scala poggiava sulla terra
mentre la sua cima raggiungeva il cielo

(Gen 28,12)

Scala ascendente dell’amore
ascesi che mi solleva verso il cielo,
in un progressivo distacco dalla terra,
accompagnato dagli angeli gioiosi[1].

È il percorso tracciato dall’amore di Dio
e dei fratelli, perseverando sempre[2],
senza mai voltarsi indietro, se non
per piangere i propri peccati[3].

La scala celeste è anche discesa
dei gradini dell’umiltà ricercata[4];
per salire bisogna scendere, come
per amare bisogna uscire da se stessi[5].

Il desiderio ardente del monaco
è contemplare il volto di Cristo risorto[6];
anch’egli è disceso, umiliandosi,
per ricevere gloria dal Padre[7].

Ogni giorno che sorge, è un nuovo giorno
per scendere negli abissi dell’anima[8],
per lentamente risalire verso l’alto:
amando Dio e servendo i fratelli[9].

Opus antico e sempre nuovo, lavorare
per la conversione personale a Dio[10]
e uscire dai propri vizi, senza mai
rallentare, per non rischiare di regredire[11].

Amore a Dio, cantato e proclamato
dalla forza orante della Chiesa in preghiera[12]
che, ad ogni ora[13], fa memoria della mirabile
grandezza di Dio Trinità, il Santo e il Fedele[14].

Dedizione ai fratelli che vedo sempre davanti
a me[15], specchio della mia durezza profonda;
se non amo di cuore e non servo il fratello,
l’amore di Dio si offusca, nascondendo il cielo[16].

Lavoro assiduo per perseverare nella lode;
dolce alternanza dell’ora et labora[17],
per essere sempre nuovi davanti a lui
per amarlo e spargere il profumo del suo amore[18].

Santo Padre Benedetto, sostieni questo
tuo figlio nell’arduo combattimento della fede[19];
donagli la gioia di imitare Cristo servo[20]
e, per amore, di esercitare la carità verso i fratelli.

padrebendetto 21, iii, 09
__________________________________________

[1] Cfr Regola san Benedetto 7,6
[2] Cfr RSB Prologo 50
[3] Cfr RSB 4,57
[4] Cfr RSB 7,5-8
[5] Cfr Lc 18,14
[6] Cfr Sal 105,6; Fil 3,10
[7] Cfr Fil 2, 6-11
[8] Cfr Sal 142,7-8
[9] Cfr Lc 10,25-28
[10] Cfr RSB 19,1-7
[11] Cfr RSB Prol. 47; 1-5; san Bernardo
[12] Cfr RSB Prol. 49
[13] Cfr RSB 16,1-2
[14] Cfr RSB 68,5
[15] Cfr Sal 133,1
[16] Cfr Rm 12,9-11
[17] Cfr RSB Prol. 50
[18] Cfr Ct 1,12
[19] Cfr Ef 6,10ss
[20] Cfr Mt 11,29