sabato 11 agosto 2012



La Fede dei Templari

 
don Beppino Co'
 
UNA PROPOSTA. PERCHE' NO?
 
Facciamo una catena di preghiera e di adorazione, sotto la protezione del grande combattente, San Michele Arcangelo, per sostenere coloro che soffrono di oppressione, ossessione, infestazione, possessione e anche per aiutare i sacerdoti che esercitano il ministero della liberazione e gli esorcisti.
Suggerisco di scegliere liberamente l'intenzione del mese che si desidera, oppure di seguire l'intenzione mensile per tutto l'anno. Cosa fare? Pregare, digiunare e adorare il SS. Sacramento, personalmente o comunitariamente. Sperimenteremo che il potere dei satanisti diminuisce in rapporto al digiuno e alle ore di preghiera e di adorazione che facciamo, soprattutto di notte.
 Quis ut Deus?

 Scudetto della Congregazione T.S.B.


Ci hanno accompagnati per un tratto
Ora dal Cielo, sono con noi sempre



dom Augusto Bovelli
Priore
Un Cavaliere vero ed una guida infaticabile




padre Goffredo Viti
Defensor Fidei
3/09/1941 - 5/01/2004
Amore, studio e dedizione non ti sono mai mancati




don Alessandro Cavallini
Minister Templi
20/7/1952 - 30/12/2011
I giusti lasciano di sé memoria eterna

Maria, sempre "vittoriosa" contro il diavolo
Tratto da Gesù e Maria.it
In Polonia la Madonna viene chiamata “la Vittoriosa”.
Maria è potentissima presso Gesù a nostro favore, specialmente può tutto nella lotta contro satana e nello sconfiggere l’intero inferno. Oggi, nel mondo ci sono 800 mila satanici. E in Italia - scrive il giornale cattolico - ci sono più di 80 mila adepti in sette sataniche con 9 milioni di vittime di reati legati al satanismo (Avvenire, 9-V-2003). Purtroppo in questi nostri tempi il diavolo ha ottenuto la più grande vittoria. Qual è? Quello di essere riuscito a fare ignorare e perfino negare la sua stessa esistenza da parte di non pochi cristiani e perfino da parte di qualche teologo ribelle a Cristo Dio e alla Madonna e alla Chiesa.

1. L’esistenza dei demoni è certissima.

La Sacra Scritturaracconta la spaventosa origine di satana e dei diavoli: “Scoppiò una guerra nel cielo; Michele e i suoi Angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo o satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: Ora è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli.
...Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello.
...Esultate, dunque, o cieli e voi che abitate in essi. Ma guai a voi terra e mare, perché il diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande furore” (Apocalisse 12, 7-12).
2. La Bibbia nel Nuovo Testamento ha espressioni terribili su satana.
Lo chiama “principe di questo mondo”(Gv. 12, 31; 14, 30; 16,11); “il dragone grande, il serpente antico” (Apoc. 12, 9); il “maligno” (Mt. 6,13); “colui che seducetutta la terra abitata” (Apoc. 12,9); “il dio di questo mondo”che “ha accecato la mente” incredula (2 Cor. 4,4); “il leoneruggente in cerca di chi divorare” (1 Pietro 5, 8); “bugiardoe padre della menzogna” (Gv. 8,44); “omicida fin da principio”(Gv. 8, 43). Inoltre dice che coloro che non seguono Gesù enon ascoltano la sua parola è perché “hanno per padre il diavolo” (Gv.S, 43).
3. Gesù parla frequentemente del diavolo. Egli è venuto nel mondo “per distruggere le opere del diavolo” (1 Gv. 3, 8). Gesù nel deserto è tentato dal diavolo, e nonsolo per tre volte (come molti pensano), ma per molte volte“con ogni specie di tentazione” (Luca 4, 1-12).
Gesù ha scacciato molti demoni da tanti indemoniati e da uno di costoro ne ha scacciato una legione (Cf. Luca 8, 30).
4. Gli Apostoli, parlano chiaramente del diavolo. Per esempio S. Pietro ammonisce: “Fratelli, siate sobri e vigilate perché il demonio come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1 Pietro 5,8-9). S. Giovanni: “Chi commette peccato viene dal diavolo” (1 Gv. 3, 8).
5. I Santi sono stati tormentati dai demoni e parlano di loro con grande sicurezza e sincerità.
S. Francesco d’Assisi un giorno confidò a un suo intimo compagno: “Se capissero i frati quante e che gravi tribolazioni e afflizioni mi danno i demoni, non ci sarebbe alcuno di loro che non si muoverebbe a compassione e a pietà di me” (FF. 1798).
S. Caterina da Siena viene dichiarata dal suo confessore “martirizzata dai demoni” (Cf. vita di lei scritta dal B. Raimondo da Capua).
La B Maria di Gesù Crocifisso, detta la Piccola Araba perchè di origine palestinese, quando era molto avanti nella santità, ebbe due periodi di vera e propria possessione diabolica, documentata dagli Atti del processo (Cf  Padre Estrata: vita della beata).
S. Pio da Pietrelcina certamente è uno dei Santi più tentati e tormentati dal diavolo. Egli fin dai 5 anni si da completamente a Gesù e a Maria, e subito (come lui scrive nei suoi appunti) gli appare Gesù col cuore in risalto sul petto e gli pone la mano sul capo per dimostrare di gradire tanto il suo proposito di amarlo, di donarsi tutto a Lui di consacrarsi al Suo amore. Ama molto anche la Madonna.
Da allora ogni giorno si ritira in qualche angolo della chiesa o della casa o dei campi per pregare, recitare Rosari e fare penitenza battendo il suo corpo con una catena di ferro.
E subito il diavolo si scatena contro di lui, e lo tormenta di giorno e di notte con orribili tentazioni, con immagini provocanti di sconce figure di ragazze in forme oscenissime e bestiali. La moglie del dott. Sanguinetti, collaboratore del P. Pio, scrive a un sacerdote: “Il diavolo ha gettato a terra P. Pio e l’ha coperto di pugni e di lividure, gli ha spaccato un sopracciglio; lui gronda sangue” (15 luglio 1954). Lo stesso P. Pio ha scritto: “Se i frati sapessero quali tormenti mi infligge il demonio, non ci sarebbe neppure uno che non piangerebbe”. Il diavolo lo percuote spesso perché lui ceda alle tentazioni. Scrive al suo direttore spirituale: “Le tentazioni sono assassine e di giorno in giorno vanno sempre più moltiplicandosi ... Tremo da capo a piedi temendo di poter offendere Dio” (Cfr. Epist. I di P. Pio).
Queste tentazioni impure furono intense per 20 anni.
Poi diventarono meno furibonde, e si accompagnarono a forti tentazioni contro le verità di fede. Fu pure immerso in una grande oscurità spirituale, detta “notte oscura”, che in tanti santi si prolungò per un numero limitato di mesi o di anni, mentre in P. Pio si è prolungata, con grande sua sofferenza, per tutta la vita.
P. Pio ripeteva: “Oggi i diavoli si sono scatenati e sono tanto numerosi che se si potessero vedere e fossero piccoli come la capocchia di uno spillo, non riusciremmo a vedere il sole”.

Esempio

S. Brigida racconta di un uomo che viveva ai suoi tempi il quale da ben 40 anni non si accostava ai Sacramenti; però era devoto della Madonna. Si ammalò gravemente. S. Brigida gli inviò un Confessore; ma il moribondo lo respinse sdegnosamente. Così per due volte. Glielo inviò una terza volta con l’incarico di dirgli, da parte di Dio e della Vergine Santa, che egli era invasato da ben 7 demoni i quali l’avrebbero ben presto portato all’inferno. Spaventato si confessò, ricevette gli ultimi Sacramenti e spirò nel bacio del Signore. Dopo la sua morte, Dio fece conoscere a S.Brigida (celebre per le rivelazioni che ebbe dal Signore) che quell’infelice era scampato all’inferno unicamente per la sua devozione alla Vergine, la quale è sempre vittoriosa contro il diavolo.

Esortazione

Amiamo tanto Gesù sull’esempio di P. Pio e di tutti i Santi, ricordando ciò che dice S. Agostino: “II diavolo è come un cane legato alla catena, morde chi gli si avvicina”.
Ma se ameremo tanto Gesù, se avremo sempre Gesù nella mente e nel cuore, staremo spiritualmente lontanissimi dal demonio.

Proposito

Quando avvertiamo una tentazione, subito recitiamo devotamente l’Ave Maria. La Madonna, la nemica del diavolo, lo mette in fuga. Lei è il martello che lo schiaccia; è la santificazione della nostra anima, è la gioia degli angeli.                                     
Grande devozione alla Madonna. S. Francesco d’Assisi ripeteva: “Alla recita dell’Ave Maria, tremano tutti i demoni!”. Che sarà se le Ave Maria sono 50 come in una corona? o 150, come in tre corone?
Esclameremo con S. Giovanni Bosco: “O Maria, Vergine potente, Tu grande e illustre difesa della Chiesa; Tu aiuto, aiuto mirabile dei Cristiani; Tu, terribile come un esercito schierato a battaglia; Tu, che da sola hai distrutto tutti gli errori del mondo; Tu, nelle angustie e nelle lotte, nelle necessità difendici dal nemico e nell’ora della morte accoglici nei gaudi eterni. Amen”.

ANSELM GRUN
LA PREGHIERA CONTINUA


Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli occhi di Dio.
«Si giunge quindi alla preghiera, della quale non si può più dire che si preghi, perché ci ha sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora in poi è lo spirito a pregare dentro di noi ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente, tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera non proviene più da noi. E come se fosse divenuta autonoma».
«Il culmine di tutta l’ascesi è la preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta. Anche quando si dorme, la sua azione continua, di nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in segreto».
L’incontro nella preghiera non è soltanto qualcosa di istantaneo, non avviene solo quando mi pongo coscientemente di fronte a Dio: deve invece diventare un atteggiamento fondamentale e duraturo dell’uomo. La tradizione del monachesimo parla della preghiera continua o della ininterrotta preghiera interiore.
Il fine del monachesimo consisteva nel vivere sempre alla presenza di Dio, nel pregare ininterrottamente e quindi nel vivere costantemente dell’incontro con Dio. L’intera vita deve essere plasmata dall’incontro con Dio. Vivo continuamente di fronte a lui, di fronte ai suoi occhi ed egli mi guarda con amore e con benevolenza. L’incontro con Dio lascia l’impronta su tutta la mia vita, sul mio lavoro e il mio riposo, sul mio pensare e il mio sentire, sul mio parlare e il mio tacere. Non vivo mai al di fuori dei rapporti, ma sempre in rapporto al mio Dio. Non devo certo pensare sempre esplicitamente a Dio; l’incontro è soprattutto lo sfondo nel quale vivo e mi muovo. Paolo ha parlato così nel suo discorso dell’areopago: «In te ci muoviamo e siamo» (At 17,28).
I monaci hanno sviluppato dei metodi che ci possono aiutare a vivere sempre e ovunque dell’incontro con Dio. E' la cosiddetta preghiera interiore che è sempre presente dentro di noi e che non ci può mai essere tolta. Per giungere a questa preghiera interiore, devo però seguire una lunga serie di esercizi. Per i monaci questa serie di esercizi consisteva nella preghiera fatta di una parola, la ruminatio, nel ripetere sempre lo stesso versetto di un salmo o la stessa preghiera di Gesù. La preghiera di Gesù divenne soprattutto nella chiesa orientale l’esercizio di meditazione per antonomasia. Ma anche nella chiesa occidentale essa gode oggi di grande favore e per molti è divenuta una forma concreta della preghiera continua. Consiste nel ripetere continuamente la formula «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me!».
Questa formula può anche venir accorciata a seconda del ritmo del respiro del singolo. Si, la preghiera rivolta a Gesù può venir ridotta anche solo al nome di Gesù, che poi si collega all’espirazione
I monaci vedono nella preghiera fatta a Gesù il compendio di tutto il vangelo. Essa rimanda all'episodio della guarigione di Bartimeo (Mc 10,47), in cui Bartimeo prega Gesù di guarirlo dalla sua cecità: «Gesù, abbi pietà di me»; e all’episodio in Lc 18,13 in cui il pubblicano si presenta con umiltà a Gesù e lo prega così: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore!».
Due elementi fondamentali trovano espressione in questa preghiera: uno è la preghiera per la guarigione. Ci portiamo appresso tutte le ferite e nella preghiera chiediamo a Dio che le guarisca. E spesso siamo ciechi: non vogliamo vedere la realtà come è veramente, chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà della nostra vita, di fronte alla realtà del nostro prossimo e del mondo intero. Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli occhi di Dio.
Spesso chiediamo troppo a noi stessi quando vogliamo vedere la realtà in faccia. Solo se Cristo ci prende per mano, come ha fatto con Bartimeo, troviamo il coraggio di guardare la realtà apertamente. Non dobbiamo più averne paura perché sappiamo che Cristo è con noi e ci fa scoprire la verità del mondo. Possiamo vedere il mondo nella sua autenticità perché in ogni parte di esso incontriamo anche Dio.
L’altro elemento fondamentale è l’umiltà del pubblicano, che non ha fiducia in se stesso e in ciò che fa, mentre ripone la propria fiducia nella pietà di Dio. E' la grande fiducia nel fatto che Dio ci accetta così come siamo. Se nelle mie preghiere ripeto sempre: «Gesù Cristo, abbi pietà di me»
, questa non è solo una preghiera incessante perché egli abbia pietà, ma piuttosto rappresenta il prendere coscienza di questa pietà, un ringraziamento nei confronti del Dio misericordioso.
Col passare del tempo questa preghiera produce una profonda pace interiore e una gioia silenziosa nei riguardi di Dio, di fronte al quale posso essere così come sono, anche se debole o colpevole. E gradualmente io stesso divento più misericordioso nei miei confronti. Non mi tormento più con rimproveri se commetto un errore: al contrario, sottopongo l’errore alla pietà di Dio. Così mi concilio con esso e provo maggiore compassione per il mio prossimo. Se sento durante l’ascolto di una confessione che giudizi negativi affiorano dentro di me, la preghiera di Gesù mi aiuta ad assumere un atteggiamento di maggiore misericordia nei confronti dell’altro. In questo modo rendo meglio giustizia al suo mistero di quanto potrei fare attraverso i miei pregiudizi affrettati, nei quali vedo l’altro solo attraverso gli occhiali delle mie proiezioni.
Il tono generale della preghiera di Gesù non è l’implorazione supplichevole affinché Cristo abbia pietà di me, perché sono così malvagio. E piuttosto un tono ottimistico e fiducioso. Per un verso nel nome di Gesù riconosco il mistero dell’incarnazione. Questo Gesù Cristo è il Figlio di Dio, in lui dimora la pienezza della divinità (Col 2,9). Per un altro verso, quando dico "Abbi pietà di me", esprimo il mio rapporto personale con Gesù Cristo. La parola greca eleison ha la stessa radice di elaion, olio, e chiede quindi che Dio riversi la pienezza della sua grazia su di noi.
Per la lingua russa la preghiera di Gesù ha il carattere dell’amore e della tenerezza. «Le parole slave milost e pomiluy hanno le stesse radici delle espressioni che significano tenerezza e carezza»(1).
Nella preghiera di Gesù chiediamo il suo amore e allo stesso tempo esprimiamo il nostro amore per Dio e il nostro anelito nei suoi confronti. Perché si tratta di una preghiera squisitamente intima, un dolce richiamo rivolto a chi mi ama, ed è espressione della certezza che in Gesù Cristo l’amore stesso di Dio è riversato nel mio cuore. La preghiera di Gesù emana la fiducia che questo Gesù Cristo è in me. Non è colui che ha vissuto in un lontano passato: al contrario, è in me.
I monaci consigliano di far scorrere il respiro nel cuore quando si inspira e di sentire, nel respiro, la presenza di Dio stesso nel cuore. Cristo è in me. Nel calore che il respiro genera nel cuore posso sentire la sua presenza misericordiosa e colma d’amore. Sentire il respiro nel cuore allevia la mente, che di solito, quando si prega, ci causa fastidio e inquietudine con pensieri sempre nuovi. Nel cuore, riscaldato dal respiro, possiamo arrivare alla calma in Gesù Cristo. Non lo incontriamo solo per un breve momento: l’incontro invece si protrae e noi ne rimaniamo partecipi. Quindi la preghiera di Gesù aiuta a vivere continuamente nell’incontro con Cristo e a vivere del rapporto con lui. Il mio cuore viene toccato da Cristo, in lui sento il calore. Come chi ama sente la persona amata nel proprio cuore e vive la quotidianità in modo diverso, così la preghiera di Gesù genera dentro di noi un'atmosfera di amore, di misericordia e di benevolenza nella quale si vive bene. Lo spazio in cui viviamo non è freddo e deserto; è abitato da Gesù Cristo, trabocca della sua presenza amorevole e salvifica ed emana la sua affettuosa intimità. In questo spazio vivo sempre dell’incontro con Gesù Cristo.
L’incontro nella preghiera personale continua a fare effetto e lascia il segno anche sul mio lavoro. E la preghiera di Gesù mi ricorda costantemente questo incontro nella preghiera rievocandolo. Tutta la mia vita diventa una vita formata da questo incontro. In tutto ciò che compio e penso, faccio riferimento a Gesù Cristo, gli sono legato, sono a casa. Solo vivere di questo rapporto e in questo rapporto dà valore alla mia vita. Oggi sempre più numerosi sono quelli che vivono al di fuori di questo rapporto, e perciò la loro vita va in frantumi, perché essi sfiorano soltanto il loro vero io. Solo nel rapporto con un altro io vivo il mio vero sè, solo nella relazione sono in contatto anche con il mio vero nucleo.

Quando inspiriamo dobbiamo permettere a Gesù Cristo stesso di pervadere tutto il nostro corpo nel nostro respiro. L’inspirazione scende verso il basso, nel bacino. Permettiamo allo spirito misericordioso di Gesù di pervadere tutti i sentimenti che hanno la loro sede negli organi interni: la rabbia e la delusione, la collera e l’amarezza. Dobbiamo anche permettergli di entrare nei nostri istinti, che per i greci sono localizzati nella parte concupiscente dell’uomo, nel basso ventre. Quando lo spirito di Cristo fluisce dappertutto, possiamo riconciliarci con tutto ciò che si trova in noi. Così la preghiera di Gesù può colmarci sempre più di misericordia e bontà verso noi stessi e verso gli altri.
Dopo aver espirato, si giunge ad un breve momento in cui non succede nulla e nel quale nè inspiriamo nè espiriamo. Questo momento è decisivo secondo i maestri della meditazione. Infatti indica se dimentico me stesso e mi abbandono a Dio o se rimango ancorato a me stesso. Se non riesco a sopportare questo istante e voglio subito inspirare, non mi lascio cadere in Dio. Quest’attimo prezioso del puro silenzio e della pura inattività è il luogo in cui ci lasciamo cadere nelle braccia misericordiose di Dio, e li scopriamo che tutta la nostra esistenza ha il carattere di un dono. Come dice Isacco di Ninive, la parola conduce al mistero senza parole di Dio. Abbiamo legato il nostro respiro alla parola per non venir distratti, ma in questo intervallo tra inspirare ed espirare abbandoniamo anche la parola. Lasciamo che esso ci introduca nello spazio colmato soltanto da Dio. Ma questo spazio non è uno spazio divino; è riempito invece dal Padre di Gesù Cristo, dalla misericordia e dalla bontà di Gesù stesso.
Per me la preghiera di Gesù è un modo utile per vivere nell’incontro costante con Gesù Cristo e, attraverso di lui, con il Padre. E una parola familiare che affiora dentro di me spontaneamente, anche se non ne ho coscienza. Mi permette di essere a casa e mi conduce sempre dalla distrazione a ciò che è veramente importante, al Padre di Gesù Cristo. E mi dà la certezza che Gesù Cristo è dentro di me e procede insieme a me. Quando la preghiera è dentro di me, anche Gesù Cristo è dentro di me e con me. Quindi vivo costantemente dell’incontro con lui.
Questo incontro dà un altro sapore a tutta quanta la mia vita. In tutto ciò che faccio c’è qualcosa della misericordia e dell’amore di Dio. L’incontro fa diventare la mia vita una preghiera continua, un incontro con Dio nel mio cuore. La preghiera ininterrotta giunge ad esistere improvvisamente, come André Louf (2) ha descritto molto bene: «Si giunge quindi alla preghiera, della quale non si può più dire che si preghi, perché ci ha sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora in poi è lo spirito a pregare dentro di noi ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente, tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera non proviene più da noi. E come se fosse divenuta autonoma».
E Isacco il Siro dice: «Il culmine di tutta l’ascesi è la preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta. Anche quando si dorme, la sua azione continua, di nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in segreto».
La preghiera continua di Gesù conduce a una vita che trae continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Gesù Cristo. Quando preghiamo, il nome di Gesù Cristo stesso scende nel nostro cuore e lo rende la sua dimora.
Esichio di Batos, un autore del medioevo bizantino, scrive: "L’invocazione ininterrotta di Dio, unita ad un ardente anelito e a una grande gioia nei suoi confronti, riempie di beatitudine e di gioia l’atmosfera del nostro cuore... il ricordo di Gesù e l’invocazione ininterrotta del suo nome producono qualcosa di simile a una corrente divina nel nostro spirito".
La preghiera di Gesù risveglia delle forze dentro di me che fino a quel momento erano rimaste sotterrate sotto il peso del mio lavoro e delle mie preoccupazioni. Conduce tutto quanto è presente in me nel rapporto con Gesù Cristo, nel rapporto con colui che mi ama e che ha un cuore per me, un cuore che non condanna, anzi, un cuore che ha pietà di me.
La meta della via spirituale è quella di vivere costantemente in questo rapporto d’amore con Gesù Cristo e di trovarvi salvezza e pienezza. In questo rapporto nulla viene represso o escluso dentro di me: al contrario, tuffo viene considerato e riferito a Dio.
Benedetto ha davanti agli occhi questa vita che trae continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Dio quando scrive: "Nel primo stadio dell’umiltà si prova sempre un timore riverenziale quando si immagina Dio, e ci si guarda dal dimenticarlo... l’uomo si convinca di questo: Dio ci guarda sempre dall’alto del cielo. L’occhio di Dio segue sempre e ovunque le nostre azioni, e gli angeli gli riferiscono continuamente ogni cosa" (RB 7).
Per Benedetto la vita spirituale è vita nella presenza di Dio, che mi guarda con amore e con benevolenza, ma anche con uno sguardo critico ed esaminatore. Solo in questo sguardo di Dio trovo la strada che porta a me stesso: la mia vita acquista un altro gusto. Sento che la mia vita è una continua risposta al Dio che mi guarda e mi parla. Non vivo da qualche parte in uno spazio qualsiasi; vivo invece davanti agli occhi di Dio, vivo del continuo incontro con Dio che è misericordioso e colmo d’amore. Questo è ciò che significa la preghiera continua. Non è un’attività, è esercizio di una vita che nasce dall’incontro. L’alternativa a questa vita che nasce dall’incontro è la vita che nasce dalla distrazione. Per i monaci era una continua tentazione sottrarsi all’incontro e al rapporto con Dio e ritirarsi negli spazi privati della loro fantasia, dove si può passeggiare liberamente e dove si possono sognare le proprie illusioni.
La vita che nasce dall’incontro deve però essere imparata attraverso la pratica. Non è un dono di natura. I monaci fanno esercizio ripetendo sempre la preghiera di Gesù ovunque si trovino. Ma per poter pregare sempre, devo prima di tutto pregare in certi momenti della giornata. Devo collegare la preghiera a certe mie attività. Quando, ad esempio, mi sveglio al mattino, devo pregare Gesù con coscienza. Quando esco di casa, quando vado al lavoro, quando entro in una casa, quando incontro una persona, quando il campanile batte l’ora, quando squilla il telefono, in tutte queste occasioni potrei recitare la preghiera di Gesù. I fatti esterni sarebbero dei segnali della memoria che la preghiera di Gesù con il tempo risveglia dentro di me. Se in questo modo i fatti esterni mi ricordano la presenza di Gesù Cristo che ha pietà di me, allora la mia vita cambierà. Non sarà più plasmata dagli eventi esterni: in ogni cosa incontrerò Gesù Cristo. Ovunque e in tutto ciò che succede la mia vita trae il suo fondamento dall’incontro con Cristo.
E in seguito all’incontro con Cristo affronto gli uomini e le situazioni della mia vita quotidiana in modo nuovo. Non sono gli avvenimenti esterni a definire la mia situazione emotiva: è Gesù Cristo a farlo, e lo incontro in ogni cosa. La vicinanza di Gesù respinge la vicinanza spesso importuna di persone o di problemi. Allora li posso giudicare come meglio conviene. Non permetto che mi soffochino, anzi li affronto con un distacco interiore. Poiché la mia vita trae sempre il suo fondamento dall’incontro con Cristo, gli avvenimenti esterni non possono più governarmi. La stessa cosa accade agli uomini che si amano. Poiché sanno del loro amore e trovano in esso il fondamento della loro vita, non si lasciano più influenzare dai fatti del giorno. Si fanno invece guidare dal loro amore.
Allo stesso modo il nostro incontro con Cristo dovrebbe plasmare tutta la nostra vita e trasformarla. Ogni cosa deve custodire il gusto della misericordia e della bontà di Dio. L’incontro con Cristo e con il Padre di Gesù Cristo risveglia il vero nucleo della vita dentro di noi, ci rende più vivi e ci dona veramente la vita eterna, una vita che è di un’altra qualità rispetto a quella presente intorno a noi, una vita vissuta nella libertà e nella mitezza, nell’amore e nella gioia. Non siamo noi che dobbiamo trasformarci: è l’incontro con Dio che ci trasforma e ci conduce al nostro vero io.
NOTE
(1) METROPOUTA ANTONIO, Lebendiges Beten 101; cf. Aufrichtige Erzùhlungen eines russischen Pilgers, a cura di E. Jungclaussen, Preiburg 1975; Kleine Philokalie, curato e tradotto da M. Dietz, Einsiedeln 1956.
(2) Per alcuni articoli di Andre Louf  vai alla sezione: ANTICHI PADRI  E GRANDI MAESTRI DELLA PREGHIERA
Tratto da: A. Grun, Preghiera come incontro - ed. Messaggero Padova, a cui si rimanda per le note e l'approfondimento.