giovedì 26 giugno 2008

Approfondimenti spirituali

L’EUCARESTIA

1.1 – Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua Morte e Risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, "nel quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura" SC 47.

1.2 – Il sacramento dell’Eucaristia completa il percorso dell’iniziazione cristiana in quanto fa partecipare in pienezza al mistero di Cristo morto o risorto, in unione a tutta la comunità dei credenti che sono stati trasformati dal perdono dei peccati (Battesimo) e dal dono dello Spirito Santo (Confermazione), secondo l’annuncio di Pietro nel giorno di Pentecoste At 2, 38.
Tutti i sacramenti convergono verso questo punto culminante della vita cristiana, ne diventa la sorgente e nello stesso tempo la meta del percorso, fino a condurci in cielo Cf LG 11.

1.3 - La liturgia della chiesa è l’azione che fa presente a tutti i battezzati il mistero della Redenzione compiuta da Gesù Cristo che vince il peccato e la morte per la nostra santificazione SC 5.6. Tutto il culto cristiano non è altro che una continua celebrazione della PASQUA. Il cristianesimo non è una religione, è un fatto, un evento inteso come azione di Dio che si fa presente, che passa, in modo che la Redenzione compiuta allora da Cristo, oggi diviene la mia Qui riposa il senso della parola MEMORIALE.

2.0 – IL SACRAMENTO INESAURIBILE DELL’AMORE

2.1 – LA DOMENICA, il giorno del Signore, è il giorno della risurrezione del Signore che trionfa sulla morte 1 Cor 15,54.
I cristiani si riuniscono in assemblea (Chiesa significa convocazione) per celebrare nell’esultanza l’Eucaristia e sperimentare la salvezza oggi. Tutta la vita della chiesa diventa così una specie di riproduzione della vita di Gesù nel senso che la sua vita si propaga tra gli uomini, li trasforma in figli di Dio, facendoli diventare nuove creature Gal 3,27, facendo vivere in loro il Cristo stesso: Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me Gal 2,20. Celebrando l’Eucaristia noi dunque, entriamo in profondità nella vita divina di Cristo.

2.2 – L’ISTITUZIONE DELL’EUCARISTIA. La sera del Giovedì santo Gesù celebra la Pasqua con i suoi discepoli Mt 26,26, ricordando attraverso dei segni appropriati, la schiavitù d’Egitto (il pane azzimo), la liberazione e l’ingresso nella Terra Promessa (La coppa del vino).
Gesù cambia profondamente il senso di questa Pasqua: d’ora in poi questo pane non è più la schiavitù dell’Egitto, ma il suo proprio corpo che è spezzato come il pane per rompere la nostra schiavitù del peccato. La coppa del vino d’ora in poi è il sangue della nuova alleanza, la vera Terra promessa per tutta l’umanità, il Regno dei cieli, la filiazione divina che compie la Legge scritta nei nostri cuorià Ger 31,31. Celebrando l’Eucaristia dunque, la morte e risurrezione di Gesù entra in noi attraverso il suo corpo e il suo sangue per essere liberati ogni volta dalle nostre schiavitù (l’Egitto dei nostri peccati) e farci sperimentare la vita.

2.3 – I SIMBOLI PROFETICI DELL’EUCARISTIA. Nell’Antico Testamento è la MANNA che ha nutrito Israele nei 40anni di peregrinazione nel deserto Es 16,4. Gesù dice: Io sono il pane vivo disceso dal cielo, chi mangia di questo pane vivrà in eterno Gv 6,51.54.

L’ACQUA DELLA ROCCIA. Es 17,1-7 Gesù dice: Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me Gv 7,38. Tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava e quella roccia era il Cristo 1 Cor 10,4. Ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua Gv 19,34.

IL SANGUE DELL’ASPERSIONE DI MOSE’ Es 24,1-11. Ecco il sangue dell’Alleanza che il Signore ha concluso con voi v. 8. Gesù con il proprio sangue ci ha procurato una salvezza eterna Eb 9,12.

IL PANE DEL PROFETA ELIA, in cammino verso il monte Oreb 1 Re 19,1-8. Gesù stesso dice: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna Gv 6,54. Un antico poema (Lauda Sion Salvatorem) canta: Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli.

Nel Nuovo Testamento l’Eucaristia è significata nel miracolo della MOLTIPLICAZIONE DEI PANI Mt 13,13 e nel discorso sul pane della vita, cibo che non perisce Gv 6,25-66. I primi credenti erano assidui alla FRAZIONE DEL PANE At 2,42. Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi , pur essendo molti, siamo un solo corpo 1 Cor 10,16-17. Infine l’Eucaristia è significata dalla manna nascosta, cibo dei giusti nel Regno dei cieli che viene offerta segretamente all’anima che crede Ap 2,17.

2.4- COME VIENE CHIAMATO QUESTO SACRAMENTO? CCC 1328-1332

L'insondabile ricchezza di questo sacramento si esprime attraverso i diversi nomi che gli si danno. Ciascuno di essi ne evoca aspetti particolari. Lo si chiama:

Eucaristia Lc 22,19 e Mt 26,26, perché è rendimento di grazie a Dio. I termini in greco ricordano le benedizioni ebraiche che, soprattutto durante la benedizione del pasto proclamano le opere di Dio: la creazione, la redenzione e la santificazione.

Cena del Signore 1 Cor 11,20 (S. Ireneo), perché si tratta della Cena che il Signore ha celebrato nella Pasqua con i suoi discepoli la vigilia della sua Passione e dell'anticipazione della cena delle nozze dell'Agnello nella Gerusalemme celeste Ap 19,9.

Frazione del Pane, perché questo rito, tipico della cena ebraica, è stato utilizzato da Gesù quando benediceva e distribuiva il pane come capo della mensa, soprattutto durante l'ultima Cena. Da questo gesto i discepoli lo riconosceranno dopo la sua Risurrezione Lc 24,13-35 e con tale espressione i primi cristiani designeranno le loro assemblee eucaristiche 1 Cor 10,16s. In tal modo essi intendono significare che tutti coloro che mangiano dell'unico pane spezzato, Cristo, entrano in comunione con lui e formano in lui un solo corpo At 2,42.46.

Memoriale della Passione e della Risurrezione del Signore. Santo Sacrificio, perché attualizza l'unico sacrificio di Cristo Salvatore e comprende anche l'offerta della Chiesa; sacrificio di lode Eb 13,15, sacrificio spirituale 1 Pt 2,5; sacrificio puro Ml 1,11 e santo, poiché porta a compimento e supera tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza.

Santa e divina Liturgia, perché tutta la Liturgia della Chiesa trova il suo centro e la sua più densa espressione nella celebrazione di questo sacramento; è nello stesso senso che lo si chiama pure celebrazione dei Santi Misteri. Si parla anche del Santissimo Sacramento, in quanto costituisce il Sacramento dei sacramenti. Con questo nome si indicano le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo.

Comunione, perché, mediante questo sacramento, ci uniamo a Cristo, il quale ci rende partecipi del suo Corpo e del suo Sangue per formare un solo corpo 1 Cor 10,16s; viene inoltre chiamato le cose sante è il significato originale dell'espressione «comunione dei santi» di cui parla il Simbolo degli Apostoli - pane degli angeli, pane del cielo, farmaco d'immortalità, viatico. . .

Santa Messa, perché la Liturgia, nella quale si è compiuto il mistero della salvezza, si conclude con l'invio dei fedeli (missio) affinché compiano la volontà di Dio nella loro vita quotidiana..

2.5 – LA CELEBRAZIONE LITURGICA DELLA EUCARISTIA. La Liturgia dell'Eucaristia si svolge secondo una struttura fondamentale che, attraverso i secoli, si è conservata fino a noi. Essa si articola in due grandi momenti, che formano un'unità originaria:
- la convocazione, la Liturgia della Parola, con le letture, l'omelia e la preghiera universale;
- la Liturgia eucaristica, con la presentazione del pane e del vino, l'azione di grazie consacratoria e la comunione. Liturgia della Parola e Liturgia eucaristica costituiscono insieme «un solo atto di culto» SC 56; la mensa preparata per noi nell'Eucaristia è infatti ad un tempo quella della Parola di Dio e quella del Corpo del Signore DV 21 e CCC 1346.

Se i cristiani celebrano l'Eucaristia fin dalle origini e in una forma che, sostanzialmente, non è cambiata attraverso la grande diversità dei tempi e delle liturgie, è perché ci sappiamo vincolati dal comando del Signore, dato la vigilia della sua Passione: «Fate questo in memoria di me» 1 Cor 11,24s. A questo comando del Signore obbediamo celebrando il memoriale del suo sacrificio. Facendo questo, offriamo al Padre ciò che egli stesso ci ha dato: i doni della creazione, il pane e il vino, diventati, per la potenza dello Spirito Santo e per le parole di Cristo, il Corpo e il Sangue di Cristo: in questo modo Cristo è reso realmente e misteriosamente presente .

Dobbiamo dunque considerare l'Eucaristia - come azione di grazie e lode al Padre , - come memoriale del sacrificio di Cristo e del suo Corpo, - come presenza di Cristo in virtù della potenza della sua Parola e del suo Spirito CCC 1356-8.

2.6 – LA PRESENZA REALE DI CRISTO. Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi Rm 8,34, è presente in molti modi alla sua Chiesa: nella sua Parola, nella preghiera della Chiesa, là dove sono due o tre riuniti» nel suo «nome Mt 18,20, nei poveri, nei malati, nei prigionieri Mt 25,31ss,
nei sacramenti di cui egli è l'autore, nel sacrificio della messa e nella persona del ministro. Ma soprattutto è presente sotto le specie eucaristiche SC 7.

Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l'Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa quasi il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti (S. Tommaso d’Aquino). Nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia è «contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l'anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. Tale presenza si dice" reale" non per esclusione, quasi che le altre non siano "reali", ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente.

E' per la conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue che Cristo diviene presente in questo sacramento. I Padri della Chiesa hanno sempre espresso con fermezza la fede della Chiesa nell'efficacia della Parola di Cristo e dell'azione dello Spirito Santo per operare questa conversione. San Giovanni Crisostomo, ad esempio, afferma: Non è l'uomo che fa diventare le cose offerte Corpo e Sangue di Cristo, ma è Cristo stesso, che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote, figura di Cristo, pronunzia quelle parole, ma la loro virtù e la grazia sono di Dio. Questo è il mio Corpo, dice. Questa Parola trasforma le cose offerte CCC 1375-7.

LA PAROLA DELLA CHIESA

1. La chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza. Questa non rimane confinata nel passato, giacché tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi.

Quando la chiesa celebra l’Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di salvezza è reso realmente presente e si effettua l’opera della nostra redenzione. Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre, soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti.

Ogni fedele può così prendervi parte e attingerne i frutti inesauribilmente. Questa è la fede di cui le generazioni cristiane hanno vissuto lungo i secoli. Questa fede il Magistero della chiesa ha continuamente ribadito con gioiosa gratitudine per l’inestimabile dono. Desidero ancora una volta richiamare questa verità, ponendomi con voi, carissimi fratelli e sorelle, in adorazione davanti a questo Mistero: Mistero grande, Mistero di misericordia. Che cosa Gesù poteva fare di più per noi? Davvero, nell’Eucaristia, ci mostra un amore che va fino all’estremo, un amore che non conosce misura.


SEQUENZA

Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore con inni e cantici.

Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno.

Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto, oggetto della lode.

Veramente fu donato
agli apostoli riuniti in fraterna e sacra cena. .

Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito.

Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo la prima sacra cena.

E il banchetto del nuovo Re,
nuova, Pasqua, nuova legge; e l'antico è giunto a termine.

Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra: luce, non più tenebra.

Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo,

Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza.

È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino.

Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma, oltre la natura.

È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero realtà sublimi.

Mangi carne, bevi sangue;
ma rimane Cristo intero in ciascuna specie.

Chi ne mangia non lo spezza,
né separa, né divide: intatto lo riceve.

Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono: mai è consumato.

Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca.

Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione ben diverso è l'esito!

Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell'intero.

È diviso solo il segno non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito della sua persona.

Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini,
vero pane dei figli: non dev'essere gettato.

Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua, nella manna data ai padri.

Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni nella terra dei viventi.

Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.

AMEN


(San Tommaso d’Acquino)

Le Riflessioni...


XII Domenica del Tempo Ordinario A

SENZA DI TE

Non abbiate dunque timore:
voi valete più di molti passeri

(Mt 10,31)

Sono pieno di paure, Signore,
sembra che tutto mi affligga senza di te:
il giorno con la sua luce offuscata
e la notte con il troppo silenzio.

Il vicino m'incute timore
perché non si fa mai conoscere;
tutto mi strugge dell'esistenza
e cerco sempre nuove ragioni di vita.

Ho paura di essere solo, solo,
di non essere più giovane né sano;
cerco stime e approvazioni da tutti
per poi non ascoltare nessuno.

E l'angoscia cresce senza di te;
ma tu non mi lasci in balia di me stesso,
sempre presente, sei accanto a me,
sei dentro i miei peccati e dentro la mia storia.

Uno squarcio di luce in questo giorno,
un nuovo orizzonte si apre come l'alba:
un sole sorge fedele su ogni notte
e rischiara le tenebre più buie.

Tutto è presente al tuo amore di Padre:
i capelli del mio capo, i pensieri
di un cuore sempre in subbuglio,
i desideri di vita e d'amore, mai sopiti.

E oggi mi sento vicino a te, perché
tu ti sei fatto mio prossimo; credevo
di cercarti mentre tu mi hai trovato per primo;
esisti da sempre ed io in te, sempre.

Tu sei al mio fianco, prode valoroso!
Mi conosci fino in fondo, e così mi ami;
scruti tutti i cuori e ti fai conoscere
padre misericordioso e salvatore.

La tua presenza ora ha un volto di uomo,
figlio dell'uomo tra i figli, per dire
a tutti che noi siamo impressi
nelle tue mani e sul tuo cuore trafitto.

Così doni di grazia si riversano
sugli uomini in attesa di luce,
abbondanza di pace per coloro
che si lasciano amare dall'amore.

Di chi avrò paura se mi sento con te?
Dammi la gioia della tua presenza,
sempre attenta, vigile, amorosa e sicura
che non lascia mai solo il mondo.

Pben 22, VI, 2008

mercoledì 25 giugno 2008

Il Vangelo
DAI LORO FRUTTI LI RICONOSCERETE

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai lorof rutti li riconoscerete.
Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere". (Mt 7,15-20)

Si contano tremila sette negli Stati Uniti e duemilacinquencento in Europa. Ognuna di queste sette si attribuisce il monopolio della verità, e, di conseguenza, si adopera a convincervi che, fuori della loro dottrina, marcireste nell'errore.
Da qualche tempo gli evangelisti televisivi degli Stati Uniti lamentano un calo di ascolto, dovuto ad alcune delle loro prediche, o al loro agire scandaloso. Tutti si ricordano di James Jones, in Guyana, che impose il suicidio a novecento dei suoi adepti. Il lavaggio del cervello (attentato supremo alla libertà) non fallisce mai i suoi obiettivi.
I capi delle sette si impongono come investiti da Dio di una missione particolare e salvifica. Essi si considerano eletti, puri, e perciò dicono di essere incompresi e perseguitati. Essi posseggono la capacità di suscitare turbamento, paura e insicurezza nei loro adepti, di farli regredire in qualche modo, rendendoli incapaci di "essere" al di fuori del giro della setta. Alcuni capi giungono fino al punto di minacciare di morte coloro che osassero rinnegare "la loro fede".
Il pericolo viene dal fatto che questi "illuminati" (o questi profittatori) recitano la persuasione come dei virtuosi, alternando dolcezza e fermezza con un'arte consumata. Essi "seducono" i loro "fans", che finiscono conl'inghiottire tutto con delizia. Ogni volta che la convinzione o la pratica religiosa indietreggiano, le sette prendono piede.
L'intolleranza dei loro fondatori verso quelli che non pensano come loro giunge spesso fino all'aggressività. Purtroppo, non sembra che la carità abiti i loro cuori. E, senza carità, non si può essere che falsi profeti.
Fu chiesto un giorno al pastore di una setta come andasse la sua chiesa: "Non molto bene - disse -, ma grazie a Dio le altre non se la cavano meglio".

Grazie, Signore, della serenità che mi dà la tua Chiesa.
Giovanni: Dio è misericordioso

GIOVANNI ANNUNCIA LA MISERICORDIA DIVINA

Anche noi come Zaccaria, se vogliamo che le nostre pene cessino, senza indugi e senza riserve forniamo la prova della vera fede


Per bocca del profeta Dio annunciò: "Per voi... cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla" (Ml 3,20).
L'inno di Zaccaria è il mirabile sviluppo di questa profezia. Quando, obbedendo all'ingiunzione dell'angelo, diede a suo figlio il nome di Giovanni (che significa: Dio è misericordioso), avendo fornito la prova di una fede senza indugi e senza riserve, la sua pena finì. E, avendo ritrovato la parola, Zaccaria cantò un inno di riconoscenza contenente tutta la speranza del popolo eletto. La prima parte, in forma di salmo, è una lode a Dio per le opere da lui compiute per la salvezza. La seconda parte è un canto in onore della nascita di Giovanni e una profezia sulla sua futura missione diprofeta dell'Altissimo. Giovanni sarà l'annunciatore della misericordia divina, che si manifesta nel perdono concesso da Dio ai peccatori. La prova più meravigliosa di questa pietà divina sarà il Messia che apparirà sulla terra come il sole nascente. Un sole che strapperà alle tenebre i pagani immersi nelle eresie e nella depravazione morale, rivelando loro la vera fede, mentre, al popolo eletto, che conosceva già il vero Dio, concederà la pace.


L'inno di Zaccaria sulla misericordia divina può diventare la nostra preghiera quotidiana.

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MEDITAZIONE

"Volevano chiamarlo Zaccaria. Ma sua madre intervenne: No, si chiamerà Giovanni" (Lc 1,60).
Questo è il significato di questo nome: grazia di Dio, cioè colui in cui è la grazia.
Poiché questa parola annuncia l'economia del Vangelo. Giovanni significa il Signore stesso che viene, colui attraverso il quale la grazia è concessa al mondo. I parenti volevano che questo bambino si chiamasse Zaccaria piuttosto che Giovanni. Essi rappresentano bene coloro che, di fronte al Signore che propone loro il dono di una nuova economia della grazia, desiderano ricordare piuttosto il sacerdozio dell'antica Legge. Essi si opponevano così a ciò che dichiarava sua madre, a viva voce, e suo padre, per iscritto: "Si chiamerà Giovanni" (Lc 1,60).
Quelle persone non erano ancora entrate nella nuova economia della grazia; pretendevano che si dovesse ancora osservare il rito dell'antico sacerdozio, nel momento in cui appariva il Vangelo del Signore. A quelle persone la Legge stessa dice di aprirsi alla grazia di Cristo: "Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò" (Dt 18,18).
No, ormai non si possono più osservare le usanze dell'antico sacerdozio, se non annuncia la grazia del Vangelo. Inoltre, una volta riconosciuto e imposto il nome di Giovanni, Zaccaria ritrova la parola. Si mette a benedire Dio. È la grazia della nuova Alleanza che l'apostolo avrebbe un giorno proclamato pubblicamente. Allora numerosi sacerdoti di Israele si sottometteranno alla fede. E saranno tutti liberati, come Zaccaria oggi, dal loro mutismo; potranno confessare, lodare ed annunciare a tutti, con fervore, il dono della redenzione.
È nel giorno della circoncisione di Giovanni che, all'annuncio dell'avvenimento, la paura invade il popolo. Quanto a Zaccaria, egli diventa testimone dello Spirito. Si mette a fare profezie; annuncia il nostro Redentore e la sua opera di liberazione.

SAN BEDA VENERABILE

lunedì 23 giugno 2008



Il Papa: San Colombano indica le radici per far rinascere l'Europa

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 11 giugno 2008 (ZENIT.org).

San Colombano, abate irlandese del primo Medioevo, ha un messaggio valido anche per i cristiani di oggi perché indica le basi sulle quali si può ricostruire l'Europa, ha affermato Benedetto XVI.
Il Papa ha dedicato il suo intervento nell'udienza generale di questo mercoledì alla figura di questo santo, che “con buona ragione” può essere definito “'europeo', perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari Paesi dell’Europa occidentale”.
“Con la sua energia spirituale, con la sua fede, con il suo amore per Dio e per il prossimo divenne realmente uno dei Padri dell’Europa: egli mostra anche oggi a noi dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa”, ha osservato.
Insieme agli Irlandesi del suo tempo, Colombano egli era consapevole dell’unità culturale dell’Europa, al punto che è in una sua lettera scritta intorno all’anno 600 ed indirizzata a Papa Gregorio Magno si trova per la prima volta l’espressione “totius Europae – di tutta l’Europa”, con riferimento alla presenza della Chiesa nel continente.
Nato intorno all’anno 543 nella provincia di Leinster, nel sud-est dell’Irlanda, a circa vent’anni entrò nel monastero di Bangor, il cui abate Comgall era noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico.
In piena sintonia con Comgall, ha ricordato Benedetto XVI, “praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote”.
A circa cinquant’anni, “seguendo l’ideale ascetico tipicamente irlandese della 'peregrinatio pro Christo', del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l’isola per intraprendere con dodici compagni un’opera missionaria sul continente europeo”.
Approdati sulla costa bretone, vennero accolti con benevolenza dal re dei Franchi d’Austrasia (l’attuale Francia). Dopo aver chiesto solo un pezzo di terra incolta, ottennero l’antica fortezza romana di Annegray,
diroccata e abbandonata, sulle cui rovine costruirono in pochi mesi il primo eremo.
“La loro rievangelizzazione iniziò a svolgersi innanzitutto mediante la testimonianza della vita”, ha sottolineato il Papa, aggiungendo che “con la nuova coltivazione della terra cominciarono anche una nuova coltivazione delle anime”.
“La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse celermente attraendo pellegrini e penitenti. Soprattutto molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle anime”.
Per questo motivo, fu presto necessaria la fondazione di un secondo monastero a Luxeuil, che divenne in seguito il centro dell’irradiazione monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu poi eretto a Fontaine.
Colombano visse a Luxeuil quasi vent’anni, scrivendo per i suoi seguaci la Regula monachorum, l’unica antica regola monastica irlandese rimasta, che integrò con la Regula coenobialis, “una sorta di codice penale per le infrazioni dei monaci, con punizioni piuttosto sorprendenti per la sensibilità moderna, spiegabili soltanto con la mentalità del tempo e dell’ambiente”.
Con un'altra opera famosa, intitolata De poenitentiarum misura taxanda, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; venne chiamata penitenza “tariffata” per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore.
Queste novità, ha sottolineato il Papa, destarono nei Vescovi della regione un sospetto che si trasformò in ostilità quando Colombano li rimproverò apertamente per i costumi di alcuni di loro, entrando poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato il re Teodorico per le sue relazioni adulterine.
Nel 610, a seguito di una serie di intrighi e manovre a livello personale, religioso e politico, Colombano e tutti i monaci di origine irlandese vennero espulsi da Luxeuil, scortati fino al mare ed imbarcati a spese della corte verso l’Irlanda.
La nave, ha ricordato Benedetto XVI, “si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò all’impresa e, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i monaci sulla terra ferma”.
Anziché tornare a Luxeuil, i monaci decisero di iniziare una nuova opera di evangelizzazione e arrivarono in Italia, dove il re dei Longobardi assegnò loro un terreno a Bobbio. Colombano vi fondò un nuovo monastero, dove morì il 23 novembre 615.
Secondo il Pontefice, il messaggio di San Colombano si concentra in “un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista dell’eredità eterna”.
La sua austerità, tuttavia, non era mai fine a se stessa, rappresentando “solo il mezzo per aprirsi liberamente all’amore di Dio e corrispondere con tutto l’essere ai doni da Lui ricevuti, ricostruendo così in sé l’immagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana”.
“Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti – ha concluso il Papa –, egli evoca la figura severa di san Giovanni Battista”.

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Benedetto XVI presenta la figura di San Colombano

Intervento in occasione dell'Udienza generale CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 11 giugno 2008 (ZENIT.org).


Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato questo mercoledì mattina da Benedetto XVI nel corso dell'Udienza generale in piazza San Pietro in Vaticano, dedicata a presentare la figura di San Colombano.

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Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei parlare del santo abate Colombano, l'irlandese più noto del primo Medioevo: con buona ragione egli può essere chiamato un santo "europeo", perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari Paesi dell'Europa occidentale. Insieme agli irlandesi del suo tempo, egli era consapevole dell'unità culturale dell'Europa. In una sua lettera, scritta intorno all'anno 600 ed indirizzata a Papa Gregorio Magno, si trova per la prima volta l'espressione "totius Europae - di tutta l'Europa", con riferimento alla presenza della Chiesa nel Continente (cfr Epistula I,1).
Colombano era nato intorno all'anno 543 nella provincia di Leinster, nel sud-est dell'Irlanda. Educato nella propria casa da ottimi maestri che lo avviarono allo studio delle arti liberali, si affidò poi alla guida dell'abate Sinell della comunità di Cluain-Inis, nell'Irlanda settentrionale, ove poté approfondire lo studio delle Sacre Scritture. All'età di circa vent'anni entrò nel monastero di Bangor nel nord-est dell'isola, ove era abate Comgall, un monaco ben noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico. In piena sintonia col suo abate, Colombano praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote. La vita a Bangor e l'esempio dell'abate influirono sulla concezione del monachesimo che Colombano maturò col tempo e diffuse poi nel corso della sua vita.
All'età di circa cinquant'anni, seguendo l'ideale ascetico tipicamente irlandese della "peregrinatio pro Christo", del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l'isola per intraprendere con dodici compagni un'opera missionaria sul continente europeo. Dobbiamo infatti tener presente che la migrazione di popoli dal nord e dall'est aveva fatto ricadere nel paganesimo intere Regioni già cristianizzate. Intorno all'anno 590 questo piccolo drappello di missionari approdò sulla costa bretone. Accolti con benevolenza dal re dei Franchi d'Austrasia (l'attuale Francia), chiesero solo un pezzo di terra incolta. Ottennero l'antica fortezza romana di Annegray, tutta diroccata ed abbandonata, ormai coperta dalla foresta. Abituati ad una vita di estrema rinuncia, i monaci riuscirono entro pochi mesi a costruire sulle rovine il primo eremo. Così, la loro rievangelizzazione iniziò a svolgersi innanzitutto mediante la testimonianza della vita. Con la nuova coltivazione della terra cominciarono anche una nuova coltivazione delle anime. La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse celermente attraendo pellegrini e penitenti. Soprattutto molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle anime. Ben presto si rese necessaria la fondazione di un secondo monastero. Fu edificato a pochi chilometri di distanza, sulle rovine di un'antica città termale, Luxeuil. Il monastero sarebbe poi diventato il centro dell'irradiazione monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu eretto a Fontaine, un'ora di cammino più a nord.
A Luxeuil Colombano visse per quasi vent'anni. Qui il santo scrisse per i suoi seguaci la Regula
monachorum - per un certo tempo più diffusa in Europa di quella di san Benedetto - disegnando l'immagine ideale del monaco. È l'unica antica regola monastica irlandese che oggi possediamo. Come integrazione egli elaborò la Regula coenobialis, una sorta di codice penale per le infrazioni dei monaci, con punizioni piuttosto sorprendenti per la sensibilità moderna, spiegabili soltanto con la mentalità del tempo e dell'ambiente. Con un'altra opera famosa intitolata De poenitentiarum misura taxanda, scritta pure a Luxeuil, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; fu detta penitenza "tariffata" per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore. Queste novità destarono il sospetto dei Vescovi della regione, un sospetto che si tramutò in ostilità quando Colombano ebbe il coraggio di rimproverarli apertamente per i costumi di alcuni di loro. Occasione per il manifestarsi del contrasto fu la disputa circa la data della Pasqua: l'Irlanda seguiva infatti la tradizione orientale in contrasto con la tradizione romana. Il monaco irlandese fu convocato nel 603 a Châlon-sur-Saôn per rendere conto davanti a un sinodo delle sue consuetudini relative alla penitenza e alla Pasqua. Invece di presentarsi al sinodo, egli mandò una lettera in cui minimizzava la questione invitando i Padri sinodali a discutere non solo del problema della data della Pasqua, problema piccolo secondo lui, "ma anche di tutte le necessarie normative canoniche che da molti - cosa più grave - sono disattese" (cfr Epistula II,1). Contemporaneamente scrisse a Papa Bonifacio IV - come qualche anno prima già si era rivolto a Papa Gregorio Magno (cfr Epistula I) - per difendere la tradizione irlandese (cfr Epistula III).
Intransigente come era in ogni questione morale, Colombano entrò poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato aspramente il re Teodorico per le sue relazioni adulterine. Ne nacque una rete di intrighi e manovre a livello personale, religioso e politico che, nell'anno 610, si tradusse in un decreto di espulsione da Luxeuil di Colombano e di tutti i monaci di origine irlandese, che furono condannati ad un definitivo esilio. Furono scortati fino al mare ed imbarcati a spese della corte verso l'Irlanda. Ma la nave si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò all'impresa e, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i monaci sulla terra ferma. Essi, invece di tornare a Luxeuil, decisero di cominciare una nuova opera di evangelizzazione. Si imbarcarono sul Reno e risalirono il fiume.
Dopo una prima tappa a Tuggen presso il lago di Zurigo, andarono nella regione di Bregenz presso il lago di Costanza per evangelizzare gli Alemanni.
Poco dopo però Colombano, a causa di vicende politiche poco favorevoli alla sua opera, decise di
attraversare le Alpi con la maggior parte dei suoi discepoli. Rimase solo un monaco di nome Gallus; dal suo eremo si sarebbe poi sviluppata la famosa abbazia di Sankt Gallen, in Svizzera. Giunto in Italia, Colombano trovò un'accoglienza benevola presso la corte reale longobarda, ma dovette affrontare subito difficoltà notevoli: la vita della Chiesa era lacerata dall'eresia ariana ancora prevalente tra i longobardi e da uno scisma che aveva staccato la maggior parte delle Chiese dell'Italia settentrionale dalla comunione col Vescovo di Roma. Colombano si inserì con autorevolezza in questo contesto, scrivendo un libello contro l'arianesimo e una lettera a Bonifacio IV per convincerlo a fare alcuni passi decisi in vista di un ristabilimento dell'unità (cfr Epistula V). Quando il re dei longobardi, nel 612 o 613, gli assegnò un terreno a Bobbio, nella valle della Trebbia, Colombano fondò un nuovo monastero che sarebbe poi diventato un centro di cultura paragonabile a quello famoso di Montecassino. Qui giunse al termine dei suoi giorni: morì il 23 novembre 615 e in tale data è commemorato nel rito romano fino ad oggi.
Il messaggio di san Colombano si concentra in un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista dell'eredità eterna. Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti, egli evoca la figura severa di san Giovanni Battista. La sua austerità, tuttavia, non è mai fine a se stessa, ma è solo il mezzo per aprirsi liberamente all'amore di Dio e corrispondere con tutto l'essere ai doni da Lui ricevuti, ricostruendo così in sé l'immagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana. Cito dalle sue Instructiones: "Se l'uomo userà rettamente di quelle facoltà che Dio ha concesso alla sua anima allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria.
Ce ne ha insegnato il modo con i suoi comandamenti. Il primo di essi è quello di amare il Signore con tutto il cuore, perché egli per primo ci ha amato, fin dall'inizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo alla luce di questo mondo" (cfr Instr. XI). Queste parole, il Santo irlandese le incarnò realmente nella propria vita. Uomo di grande cultura -scrisse anche poesie in latino e un libro di grammatica - si rivelò ricco di doni di grazia. Fu un instancabile costruttore di monasteri come anche intransigente predicatore penitenziale, spendendo ogni sua energia per alimentare le radici cristiane dell'Europa che stava nascendo. Con la sua energia spirituale, con la sua fede, con il suo amore per Dio e per il prossimo divenne realmente uno dei Padri dell'Europa: egli mostra anche oggi a noi dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa.
[Dopo l'udienza, il Papa ha salutato i presenti in varie lingue. Queste le sue parole in italiano:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto voi, Suore Ministre degli Infermi di San Camillo, che state celebrando il vostro Capitolo e vi esorto a trasmettere sempre con la vita la gioia della corrispondenza generosa e fedele alla divina chiamata. Saluto i fedeli della Diocesi di Assisi- Nocera Umbra-Gualdo Tadino, qui convenuti con l'Arcivescovo Mons. Domenico Sorrentino e il Vescovo emerito Mons. Sergio Goretti, ad un anno dalla visita che ho avuto la gioia di compiere ad Assisi. Cari amici, vi ringrazio ancora una volta per la calorosa accoglienza che mi avete riservato in quella giornata ricca di fede e di spiritualità. Anche in virtù di quel nostro incontro, possa la vostra Comunità diocesana conoscere una rinnovata vitalità spirituale e operare con ogni energia nel programma pastorale che, ad ottocento anni dalla "conversione" di san Francesco, vi vede impegnati a vivere ora l'anno della "comunione", in preparazione all'anno della "missione". Con particolare affetto saluto i Bambini missionari delle Diocesi di Castellaneta, Taranto e Bari, qui convenuti con il Vescovo Mons. Pierino Fragnelli, come pure le Bambine del Movimento dei Focolari, partecipanti al congresso GEN 4. Cari piccoli amici, vi ringrazio per la vostra presenza e vi auguro di trovare nell'amicizia con Gesù la forza necessaria per annunciarlo con gioia ed entusiasmo ai vostri coetanei, preparandovi così ad assumere i compiti che vi attendono nella Chiesa e nella società.
Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. La testimonianza dell'apostolo san Barnaba, di cui oggi celebriamo la festa, sia per voi, cari giovani, incoraggiamento a camminare sempre secondo lo Spirito di Gesù Risorto; sia per voi, cari malati, sostegno nell'aderire alla volontà di Dio; aiuti voi, cari sposi novelli, ad essere generosi testimoni dell'amore di Cristo.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana
TARDI TI HO AMATO

“Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato.
Tu eri con me ed io non ero con te.
Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità. Tu hai emanato la tua fragranza e io ho sentito il tuo profumo e ora ti bramo.
Ho gustato e ora ho fame e sete.
Tu mi hai toccato e io bramo la tua pace”.

Sant’Agostino


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SACRATISSIMO CUORE DI GESU'


Offerta della giornata al Sacro Cuore di Gesù


Cuore Divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, in unione al Sacrificio Eucaristico, le preghiere, le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno in riparazione dei peccati e per la salvezza di tutti gli uomini, a gloria del Divin Padre. Amen.


Atto di Consacrazione al Sacro Cuore


Il tuo Cuore, o Gesù, è asilo di pace, il soave rifugio nelle prove della vita, il pegno sicuro della mia salvezza. A Te mi consacro interamente, senza riserve, per sempre. Prendi possesso, o Gesù, del mio cuore, della mia mente, del mio corpo, dell'anima mia, di tutto me stesso. I miei sensi, le mie facoltà, i miei pensieri ed affetti sono tuoi. Tutto ti dono e ti offro; tutto appartiene a te. Signore, voglio amarti sempre più, voglio vivere e morire di amore. Fa o Gesù, che ogni mia azione, ogni mia parola, ogni palpito del mio cuore siano una protesta di amore; che l'ultimo respiro sia un atto di ardentissimo e purissimo amore per te.

Le promesse di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque per i devoti del suo Sacro Cuore

1. Darò loro tutte le grazie necessarie al loro stato
2. Porterò soccorso alle famiglie che si trovano in difficoltà e metterò la pace nelle famiglie divise.

3. Li consolerò nelle loro afflizioni.
4. Sarò il loro sicuro rifugio in vita e specialmente in punto di morte.
5. Spargerò abbondanti benedizioni sopra tutte le loro opere.
6. I peccatori troveranno nel mio Cuore la fonte e l'oceano della Misericordia.
7. Le anime tiepide si infervoreranno.
8. Le anime fervorose giungeranno in breve a grande perfezione.9. Benedirò i luoghi dove l'immagine del mio Sacro Cuore verrà esposta ed onorata.
10. A tutti coloro che lavoreranno per la salvezza delle anime darò loro il dono di commuovere i cuori più induriti.
11. Il nome di coloro che propagheranno la devozione al mio Sacro Cuore sarà scritto nel mio Cuore e non ne verrà mai cancellato.
12. Io ti prometto, nell'eccesso della Misericordia del mio Cuore, che il mio Amore Onnipotente concederà a tutti coloro che si comunicheranno al Primo Venerdì del mese per nove mesi consecutivi, la grazia della penitenza finale. Essi non moriranno in mia disgrazia, né senza ricevere i Sacramenti, e il mio Cuore sarà il loro asilo sicuro in quell'ora estrema.