giovedì 6 marzo 2008

LA FEDE DEI TEMPLARI
Il simbolo della nostra Fede

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la Chiesa, una, santa, cattolica, e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Il Santo Padre:

VESCOVO DI ROMA

VICARIO DI GESÙ CRISTO

SUCCESSORE DEL PRINCIPE DEGLI APOSTOLI

SOMMO PONTEFICE DELLA CHIESA UNIVERSALE

PATRIARCA DELL’OCCIDENTE

PRIMATE D’ITALIA

ARCIVESCOVO E METROPOLITA DELLA
PROVINCIA ROMANA

SOVRANO DELLO STATO DELLA
CITTÀ DEL VATICANO

SERVO DEI SERVI DI DIO
JOSEPH RATZINGER


nato in Marktl am Inn,Diocesi di Passau (Germania),
il 16 aprile 1927;
ordinato Sacerdote il 29 giugno 1951;
eletto a München und Freising il 25 marzo 1977
e consacrato il 28 maggio 1977;
creato e pubblicato Cardinalenel Concistoro
del 27 giugno 1977

Seguirono in Roma, nel 2005

la Sua elezione al Pontificato: 19 aprile
l'inizio solenne del Suo ministero
di Pastore Universale della Chiesa: 24 aprile

dall' OMELIA DI BENEDETTO XVI
DURANTE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA E
L’INSEDIAMENTO SULLA CATHEDRA ROMANA
IN SAN GIOVANNI IN LATERANO

07 maggio 2005

... Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile. Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire. Per questo occorre un mandato più grande, che non può scaturire dalle sole capacità umane. Per questo occorre la voce della Chiesa viva, di quella Chiesa affidata a Pietro e al collegio degli apostoli fino alla fine dei tempi.

Questa potestà di insegnamento spaventa tanti
uomini dentro e fuori la Chiesa...

Tratto da amarelachiesa.blogspot.com

martedì 4 marzo 2008

Pubblichiamo per gentile concessione dell’autrice
un'interessantissimo testo
sull’Ordine del Tempio e San Bernardo

Raffaella Risuleo
San Bernardo e i Templari
Il mito e la realtà

Le origini

«Dopo il 1050 i Papi della riforma avevano cercato di indirizzare gli impulsi bellicosi degli uomini verso mete più elevate: Gregorio VII aveva parlato dei « soldati di Cristo» che desideravano combattere per la causa della Chiesa, utilizzando l’espressione non più come in passato per descrivere la battaglia monastica contro le forze del male, ma riferendola a guerrieri laici che concepivano il combattimento in senso fisico.»[1] Nel 1095 a Clermond Papa Urbano II aveva esortato i cristiani a prendere le armi per soccorrere i loro fratelli stabilitisi in Oriente, a quanto si diceva vessati, torturati e uccisi dai Turchi selgiuchidi. A tale richiamo risposero migliaia di soldati e contadini, che unendosi dettero vita alla prima crociata. «La chiamata di Urbano II rappresenta una versione più sviluppata di tale concezione, che possedeva il duplice vantaggio di far fronte all’avvertita minaccia mussulmana e di ridurre l’alto tasso di conflittualità interna»[2]. Dopo incredibili sofferenze ed esperienze orribili i crociati meglio organizzati raggiunsero Gerusalemme, e, nel 1099 la conquistarono con terribile spargimento di sangue. I conquistatori cristiani portarono usi Occidentali uniti ad una organizzazione feudale che riproduceva strutture ormai sorpassate in Occidente, arretrate e mantenute in vita da una nobiltà che in patria era ormai emarginata. Essi dovettero subito farsi carico di risolvere il problema della sicurezza militare delle installazioni di quel nuovo regno: da una parte infatti le forze dell’Islam andavano riorganizzandosi e, premevano alle frontiere in attesa della rivincita, dall’altra gli Occidentali concepivano, come unico modo per dissuaderli, il saccheggio dei loro villaggi. La nobiltà franco-siriaca doveva svolgere opera di mediazione che assicurasse le posizioni acquisite e le consentisse di vivere in modo pacifico. Per vivere pacificamente era necessaria una forza militare stabile: nel 1100 le strade che circondavano Gerusalemme e gli adiacenti luoghi santi non erano sicure, i predoni assalivano i pellegrini provenienti dal porto di Giaffa. Tuttavia i crociati, una volta sciolto il loro voto non chiedevano di meglio che reimbarcarsi per tornare al più presto in Europa, nonostante la propaganda di quanti erano viceversa decisi a rimanere e a trasformare l’Oltremare nella loro nuova patria.

«All’epoca in cui i primi Templari presero i voti la « Santa violenza» era ampiamente accettata, e ben radicata l’idea che i laici potessero raggiungere la salvezza impegnandosi in questa causa. Queste circostanze aiutano a comprendere il senso della crescita di un ordine di monaci combattenti simbolo di quella che veniva considerata una religione di pace. È dunque possibile identificare gli elementi generatori dell’ordine militare come del movimento crociato entro le tendenze prevalenti all’interno della società cristiana occidentale alla fine dell’XI secolo e agli inizi del successivo. Tuttavia mentre la Crociata fu avviata dal Papa a seguito della predicazione tenuta ad un concilio in Francia, i Templari ebbero origine nella società di frontiera in Outremer, dove entravano in contatto quotidianamente con i Mussulmani»[3]. Secondo la storiografia più recente gli inizi dell’Ordine templare furono poco appariscenti: un cavaliere di nome Ugo di Payns nell’anno 1118 0 1120 si incaricò di proteggere i pellegrini che da Gaza si recavano a Gerusalemme, con un gruppo di compagni che condividevano le sue aspirazioni: essi ritennero loro dovere e loro missione il porsi a difesa stabile della Terra Santa, delle vie di Pellegrinaggio, delle strade, degli Ospizi, delle cisterne e dei pauperes che vi peregrinavano. La povertà volontaria e la comunione dei beni – secondo la pratica penitenziale del tempo – furono il punto fermo della loro nuova vocazione: rompendo con una tradizione che a livello non solo sociologico, ma anche terminologico, era fortissima, essi poterono dirsi milites e pauperes a un tempo. Nessun contemporaneo li ritenne così importanti da registrare la loro prima fondazione, solo tre cronisti della seconda metà del dodicesimo secolo, Guglielmo di Tiro (morto nel 1186), Michele il Siriano ( morto nel 1199) e Walter Map, (morto tra il 1208 e il 1210), parlarono dell’Ordine alla luce del rilievo assunto da questo in seguito. La comunità trovò alloggio in un’ala del palazzo di re Baldovino II, che sorgeva nel luogo in cui si riteneva fosse stato il Tempio di Salomone. Il nome di
«Militia Templi» gli deriva da quello: in origine il gruppo era denominato «Pauperi milites Christi»: Essi pronunciarono i loro voti di castità, ubbidienza e povertà dinanzi al patriarca di Gerusalemme. La loro vita si modellò sulle norme dei «canonici regolari» di Gerusalemme (che avevano assunto la regola di S. Agostino), ai quali a quel tempo erano legati. I Templari all’epoca erano cavalieri e non un Ordine monastico. Nella primitiva vocazione templare era, quindi, molto forte la componente penitenziale: i cavalieri che accedevano alla fraternitas intendevano essenzialmente scontare i propri peccati. Paul Russet coglie molto bene quest’aspetto e definisce il templare «espèce de croisé à vie, moine armé, laïc religieux», evidenziando la situazione paradossalmente anticanonica creatasi con il loro nascere. I primi passi dei Templari furono duri: anche se in realtà sembra che non fossero nove per nove anni (come sostiene Guglielmo di Tiro nei suoi scritti) essi erano comunque pochi per il compito che si erano prefissati. Il reclutamento di nuovi cavalieri presentava parecchie difficoltà per la penuria di vocazioni, per le perplessità sollevate dallo strano esperimento religioso – militare e per la precaria situazione della Terra Santa crociata. Ciò indusse Ugo di Payns a inviare Andrea di Montbard, zio di Bernardo di Clairvaux e Gundemaro in Francia per pregare lo stesso Bernardo di redigere per loro una regola. Nel 1128 Ugo di Payns stesso si recò al sinodo di Troyes per consultarsi in merito del futuro della comunità: la fraternitas venne ufficialmente approvata dalla Chiesa e fu anche abbozzata, pare col determinante concorso di San Bernardo, la regola, riveduta poi e messa a punto due anni dopo dal patriarca di Gerusalemme. La regola dei Templari, per influsso di Bernardo, risultò modellata su quella benedettina e, in ultima analisi risulta permeata più da principi di tipo monastico che cavalleresco: nonostante la redazione di una Regola, serpeggiavano ancora i dubbi e le incertezze, le debolezze e i pentimenti. Per il Demurger i Templari sono innanzitutto dei religiosi che hanno pronunciato i tre voti di obbedienza, povertà e castità: come i monaci essi vivono secondo una regola, ma a differenza di questi essi non pregano e meditano al riparo del chiostro, ma combattono sul campo di battaglia per difendere Dio e la Sua Chiesa. Altri autori sostengono, invece, che i Templari non erano un Ordine monastico votatosi all’ideale della cavalleria crociata, ma erano un Ordine cavalleresco che aveva tratto le sue norme di vita dalla regola di un Ordine monastico. La forza che li animava era l’ideale devoto ai crociati: la consapevolezza di essere guerrieri di Dio, non la pietà monastica. Questo tratto accomunava i Templari agli altri Ordini cavallereschi, per tutti era l’elemento essenziale. Essi divenuti i crociati per eccellenza, se paragonati ai Gerosolimitani e ai Teutonici presentano un fatto caratterizzante: mancano dell’elemento caritativo. La protezione dei pellegrini e il presidio delle strade da questi percorse era, infatti, un compito prettamente militare. L’insediamento dei Templari in occidente, riflette la chiara consapevolezza di dover creare una rete di supporto in grado di fornire agli stati crociati nuove forze, entrate regolari e approvvigionamenti di cibo, vestiario ed armi. Nel corso della seconda e terza decade del 1100 i latini d’Oriente si convinsero che l’esistenza dei loro insediamenti dipendeva dall’organizzazione di stabili sistemi di supporto logistico piuttosto che dagli scoppi di entusiasmo per la crociata. Il riconoscimento dell’Ordine nel 1129 costituì l’evento centrale degli esordi templari, e nello stesso tempo rivestì per la politica orientale di Baldovino II una importanza ingente.

San Bernardo e i Templari

San Bernardo è il riformatore pronto ad accogliere le novità: incoraggia i benedettini di S. Denis e di Cluny a praticare un’austerità maggiore, segnata dalla semplicità e dalla povertà, apprezza i nuovi Ordini: Premonstratensi, Vittorini, Certosini, e per i nuovi cavalieri Templari redige un elogio di una cavalleria nuova.
«Il De laude è redatto con l’abilità ed il talento letterario consueti a San Bernardo, il quale sfrutta con estrema intelligenza le correnti di opinione che avevano costituito la precondizione necessaria all’indizione della crociata e reso possibile l’istituzione dei Templari. Pertanto sebbene lo scopo fondamentale fosse quello di promuovere lo sviluppo spirituale dei Templari, la prima parte del trattato si configura come una sorte di panegirico in loro favore, che direttamente o indirettamente esercitò una profonda influenza sugli spiriti contemporanei e delle generazioni successive. Il suo successo risiedeva nella creazione di una immagine»[4]. Tema fondamentale è il rigetto da parte dei Templari delle superficialità e delle tentazioni della vita secolare per il servizio del Signore: era questa infatti, per Bernardo l’autentica vocazione monastica. S. Bernardo condanna i vizi della saecularis militia, della cavalleria laica: la guerra ingiusta, la superbia, l’ostentazione del lusso, e soprattutto la vanitas. Allo spettacolo di corruzione e di prevaricazione offerta dalla cavalleria mondana si contrappongono i Christi milites, i quali non temono di peccare uccidendo il nemico e non hanno paura della morte giacché sono certi della grazia del Signore. Il martirio è il massimo premio per il Templare: egli è il Cristi miles nell’antico genuino senso martiriologico.[5]
L’argomento che fra tutti dava evidentemente più scandalo, quello che con il Templare vedeva entrare nella cristianità occidentale la figura del monaco che combatteva e uccideva, viene risolto da S. Bernardo con l’introduzione nel suo assunto della categoria del «malicidio». Egli considera la soppressione del nemico nelle guerre contro i pagani un epifenomeno dell’eliminazione del male dal mondo, il trionfo sul nemico diviene simbolo del trionfo sul peccato, la sconfitta del guerriero cristiano è sentita come conseguenza dei suoi peccati. L’elogio comunque del cavaliere – martire, che S. Bernardo fa seguire alla pagina relativa al malicidio, rivela che tale pagina ha addolorato, e imbarazzato il Santo: meglio sarebbe il non uccidere nessuno, nemmeno i pagani, se soltanto vi fosse un altro modo di impedire loro di nuocere ai cristiani.[6] In ogni caso, si ribadisce qui che la dottrina cristiana ortodossa non proibisce l’uso legittimo delle armi, e quest’affermazione sembra chiarire quale fosse il terreno sul quale avevano attecchito i dubbi relativi alla missione templare. Quello del cristiano dinanzi alla guerra, è un problema vecchio quanto la Chiesa stessa, e materia di continue polemiche, nonostante le varie sistemazioni teologiche.[7] San Bernardo in realtà sa e si cura di sapere assai poco dei problemi effettivi dei Templari e della Terra Santa crociata: egli non dipinge i Templari quali crede che siano o quali spera che divengano, bensì quale ritiene dovrebbe essere una perfetta fraternitas religioso – cavalleresca, una societas di perfetti monaci che fossero ad un tempo cavalieri perfetti.[8] S. Bernardo esalta nei Templari le virtù quali l’obbedienza, la disciplina, il disinteresse per le vesti e per il cibo, la povertà, la castità, la concorde vita comune dei commilitones. Così dipinti essi servono da modello non solo ai cavalieri laici, ma anche a parecchi monaci: non oziano mai, sono sempre pronti ad obbedire al Maestro, non conoscono invidia, mormorii, malumori, trascurano il loro aspetto esteriore, detestano le vanitates quali i giochi, gli spettacoli e la caccia: la loro lunga barba, strana nell’occidente del XII secolo è il segno più evidente della vita penitenziale. In realtà S. Bernardo ricordando che il Templare non gioca, non caccia e non ascolta giullari, intende colpire gli usi laicali coltivati da vescovi e abati a dispetto delle disposizioni canoniche e allo stesso modo ricordando la disadorna povertà d’aspetto dei Templari fustiga l’opulenza e la vanità di tanti prelati.[9] Il contegno dei Templari in battaglia gli offre ulteriori spunti di critica per la cavalleria laica: il cavaliere laico è imprudente e impetuoso, ha un coraggio incauto e irriflessivo spesso irrazionale, viceversa i Templari si schierano in battaglia non turbolenti o impetuosi, ma disciplinati e riflessivi. A proposito della prudenza in guerra, S. Bernardo non lascia dubbi sul fatto che questa sia accompagnata da coraggio e da valore: la prudenza nell’impostare il combattimento è per lui essenzialmente una virtù. Per S. Bernardo i Templari, come ordine possiedono pienamente e la sapientia e la fortitudo. Nel Cardini troviamo un’interessante interpretazione a proposito di tali virtù. Le Chansons de Geste sottolineano come il perfetto cavaliere possieda due doti complementari: Prouesse e Sagesse, Fortitudo e Sapientia. Nella realtà queste due doti, egli osserva, raramente si accompagnano e convivono in modo equilibrato nella stessa persona, ecco che il paradigma perfetto dell’eroe cristiano si ha sovente attraverso ciò che egli definisce il «compagnonaggio» di due eroi, entrambi prodi e saggi, ma dei quali l’uno possiede in prevalente quantità la prima dote, l’altro la seconda: Rolando è prode, Olivieri è saggio. [10] Si stabilisce così attraverso il « compagnonaggio» un fenomeno che nella realtà doveva accompagnarsi ai riti della «fratellanza d’armi», una sorta di «coppia di eroi» che solo insieme, integrandosi a vicenda, offrono l’immagine del perfetto cavaliere. Nei Templari, viceversa, Sapientia e Fortitudo convivono nella stessa persona: perfetti monaci e al tempo stesso perfetti cavalieri. Bernardo ripercorre i problemi specifici più spinosi, dall’uccisione dei nemici in battaglia, all’appropriazione del bottino, all’assenza di polemiche e di murmurationes all’interno dell’ordine come se tutto andasse liscio: sa che in realtà non è così e che la sua finzione apparirà ai destinatari del De Laude, come un duro rimprovero. Egli infatti non intende constatare una perfezione che sa non essere raggiunta, ma indica il modo corretto e spiritualmente più valido per superare le difficoltà e far si che i cavalieri entrati nel Tempio, vi trovino quella conversio che cercano. Quanto al carattere della conversio templare, S. Bernardo ne sottolinea il radicale valore. Laddove papa Urbano, nell’incitare alla liberazione dei luoghi santi nella prima crociata, sottolineava i benefici sociali che sarebbero derivati dalla Crociata, S. Bernardo pone l’accento sul carattere penitenziale che l’arruolamento nel Tempio comporta: mentre Urbano si accontentava che la cavalleria del suo tempo cambiasse aria, S. Bernardo esige che cambi vita. Esige che i cavalieri trovino la loro Gerusalemme, non solo nel senso della peregrinatio, bensì in quello della conquista della grazia di Dio e del regno dei cieli. Egli vedeva nella crociata una forma di pellegrinaggio in cui i cristiani si rendevano partecipi della passione di Cristo e perciò suoi eredi. Al contrario i musulmani apparivano gli invasori del patrimonio di Cristo. Bernardo poteva così rappresentare i Templari come la perfetta realizzazione di questo ruolo cristiano: vivere in Terra Santa, nei luoghi dell’esistenza e del sacrificio del Cristo, difendendoli dalla profanazione degli infedeli[11]. Poiché ai Templari spettava la difesa dei Luoghi Santi, Bernardo deve aver sperato che una volta compreso il pieno significato del proprio ruolo, essi sarebbero stati permeati da un fortissimo senso della missione. Per maggiore comprensione basta pensare alle frasi conclusive che fecero da tema conduttore e da motto dell’azione Templare: «Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria».[12] Lo stretto coinvolgimento di Bernardo garantiva che i Templari sarebbero divenuti oggetti di ampio interesse all’interno della cerchie monastica[13]. In realtà le perplessità sugli ordini militari erano forti: esisteva una ostilità profondamente radicata verso l’idea di una partecipazione monastica alle crociate o ai pellegrinaggi – condivisa dallo stesso S. Bernardo – non è difficile immaginare perciò che alcuni contemporanei, portati a credere in una divisione funzionale degli ordini sociali, potessero trovare il dualismo Templare un’idea bizzarra[14]. Per comprendere appieno l’intervento di Bernardo a favore dei Templari e la loro lode occorre tenere presente che egli scrive partendo da quella crisi e dalla cognizione delle cause intime di essa per costruire un’exortatio che serva a rinfrancarli, a dar loro coscienza di tutta l’originalità e la profondità della loro vocazione, a rispondere ai dubbi che nascevano all’interno dell’ordine non meno che alle critiche che lo colpivano dall’esterno chiarendo gli aspetti della vocazione dei pauperes milites Chisti. S. Bernardo in realtà non è un fautore della guerra in sé, nemmeno di quella considerata «Santa «, come invece si è spesso tentato di presentarlo, in virtù dell’equivoco nato soprattutto sulla base del De Laude, e anche per la sua attività di predicatore della seconda crociata. In realtà la sua lode alla nova militia è una critica dura, nei confronti della cavalleria mondana: il lodare la nova militia si risolve in un elogiarla per essere un tipo di cavalleria che non è più tale in quanto sta divenendo ordine monastico, anche se sui generis. Per quanto concerne la crociata egli si dette a propagandarla su ordine del papa: egli riteneva la guerra tra cristiani e infedeli come una condizione della pace tra cristiani, perché la lotta ai nemici di Cristo era per lui inevitabile, e infine perché la crociata gli appariva come un’occasione di penitenza e conversione per i cavalieri mondani la cui vanità aveva condannato nel De Laude. Questa giustificazione penitenziale, accompagnava, nel sistema di valori di S. Bernardo, l’esperienza crociata così come aveva accompagnato quella della nascita dell’ordine del Tempio[15]. È questa spiritualità cristica centrata sulla morte che ha formato i milites: la vita del Templare è per Cristo, mentre la sua morte va compresa come compimento dell’appartenenza a lui. Sotto questo profilo lo stato di vita del Templare è uno stato di prossimità o di prossima possibilità al martirio cristiano, dove a valere è la motivazione della fede.[16] Tuttavia S. Bernardo non può non riservare la sua preferenza alla scelta propriamente monastica: egli è consapevole delle difficoltà a dover giustificare l’aspetto bellicoso della vocazione templare essendo un uomo di pace, non di guerra cristiana. La preoccupazione vera di S. Bernardo verte tutta sullo stile di vita e sui costumi dei soldati del Tempio che devono essere determinate dalla legge di Cristo. Si è parlato di «una utopia» della vita quasi monacale di questi soldati di Cristo, d’altra parte, è proprio in questa quasi monasticità regolata dalla «lex Christi» che S. Bernardo, manifesta la sua più alta e felice capacità magistrale nei riguardi della milizia templare. Ma come poté dunque colui che nel 1125 aveva rimproverato al Conte di Champagne, l’ingresso nella societas templare, determinare, appena tre anni dopo, il definitivo accoglimento di essa come Ordine monastico e addirittura scrivere di lì a poco in sua lode quel trattato che, è senza dubbio una delle più belle pagine da lui scritte?[17] S. Bernardo per comprendere e giustificare la missione dei Templari dovette compiere uno sforzo grave: egli era fedele alla visione monastica tradizionale e non amava le innovazioni, soprattutto quelle che aprivano il chiostro a orizzonti mondani che rischiavano di distrarre dalla preghiera e dalla contemplazione; saldo nel principio della «stabilitas loci», diffidava dei viaggi e dei pellegrinaggi stessi, considerandoli una inutile fonte di tentazioni. Pur conoscendo il mondo cavalleresco perché vi apparteneva per nascita, considerava qualunque attività militare incompatibile con lo stato clericale: queste sue nette e irrevocabili convinzioni vengono puntualmente ribadite nel De Laude. In che cosa dunque si potevano dal suo punto di vista, non solo difendere e apprezzare ma addirittura esaltare i Templari? In questo sostanzialmente: che i cavalieri presenti nell’ordine erano si cavalieri, ma al tempo stesso veri monaci: monachi mansuetudo…militis fortitudo; e che come veri monaci osservavano l’obbedienza, la castità e la povertà.[18] Ma come entrò S. Bernardo, che alla Gerusalemme terrestre e alle sue vicende non si era mai interessato, in contatto con i Templari?.È assai probabile che siamo stati i Templari stessi ad indirizzarsi a lui o a esservi indirizzati: nonostante l’età egli si avviava già ad essere il leader spirituale dell’Occidente cristiano quando, nel 1127, Ugo di Payns intraprese il suo viaggio in Europa. Ma vi era anche di più: i legami di parentela e di conoscenza indiretta forse ma comunque personale tra il Maestro del Tempio e l’abate di Clairvaux. Il Castello di Montigny possesso del lignaggio di Ugo era presso Montbard culla della famiglia di origine della madre del Santo e più tardi uno zio, fratello di sua madre, Andrea di Montbard, entrato nell’Ordine ne sarebbe divenuto a sua volta maestro (nel 1153). Superate le prime perplessità l’idea di creare un ordine di monaci – cavalieri dovette affascinare S. Bernardo al punto di indurlo a farsi in un certo senso garante e padre spirituale dell’iniziativa di Ugo di Payns. Sia o no di S. Bernardo l’idea dell’Ordine monastico – militare, o lo sia tutto o in parte, si deve sottolineare che prima del Concilio di Troyes non pare che Ugo di Payns e i suoi seguaci pensassero di uscire dalla logica del gruppo penitenziale laico; e si deve sottolineare che viceversa il nuovo Ordine rispondeva in modo coerente agli ideali Cistercensi di una progressiva totale monasticizzazione della società.[19] Negli Ordini tradizionali v’era già posto per due dei tre ordines dei quali parlavano i teorici, vale a dire per gli oratores e per i laboratores: con i Templari anche i bellatores fanno finalmente ingresso nella vita monastica, risolvendo in modo radicalmente innovatore il problema costituito dal divieto di portare le armi che fino ad allora aveva tenuto rigorosamente separati i monaci dai laici combattenti.[20] Poco sappiamo circa lo specifico ruolo di S. Bernardo sia, nella sanzione dell’Ordine del Tempio ricevuta all’atto del Concilio di Troyes, sia nella stesura della Regola. S. Bernardo è considerato il principale ispiratore della formulazione del contenuto e, come in più punti risulta palese, dell’effettiva enunciazione della nuova regola, tuttavia inizialmente essa fu sottoposta ad una ampia discussione da parte del Concilio. L’esperienza della vita religiosa assunse un peso determinante, a fronte di una scarsa comprensione delle esigenze legate al combattimento in Oriente. Il risultato è una regola monastica che riflette ampiamente lo spirito ascetico e le tendenze antimaterialistiche dell’epoca, generatrici degli ordini riformati dell’XI secolo, in particolare dei cistercensi, ma sostanzialmente incapace di adattare questi principi alla lotta dei Templari contro gli infedeli.[21] È certo che da allora in poi Ugo di Payns non trascurò di ricorrere all’abate di Clairvaux per indurlo a perfezionare nei particolari la sua visione della spiritualità templare. Senza dubbio, l’appoggio di S. Bernardo costituiva per lui elemento di basilare importanza per fugare ogni dubbio o scoraggiare ogni polemica sul nuovo Ordine.

Il Liber ad milites templi de laude novae militiae

Per rafforzare e chiarire i punti ancora deboli e oscuri Ugo di Payns chiese a S. Bernardo uno scritto: egli si fece dapprima pregare poi non poté esimersi dall’accettare di scrivere un opera a elogio dei Templari probabilmente per evitare che il suo silenzio creasse scandalo od alimentasse la crisi dell’ordine che era in atto, com’è provato da una lettera di Ugo di S. Vittore. Scritto tra il 1128 e il 1136,[22] si compone di un prologo e 13 capitoli. I primi 4 sono dedicati alla nova militia templare e al suo modo di vita, in puntuale contrapposizione rispetto alla cavalleria laica; il quinto capitolo è dedicato alla lettura simbolica della sede dell’ordine: il tempio e quindi al valore della conversio templare; gli altri ai principali Luoghi Santi di Palestina, ciascuno dei quali è fatto non già centro di una descrizione storico- geografica- religiosa com’era uso nella letteratura coeva degli «itineraria» scritti dai ed ad uso dei pellegrini, ma oggetto di una meditazione a carattere teologico – mistico. Da un lato S. Bernardo, che personalmente non ha mai visitato la Terra Santa, è intimamente inclinato a interiorizzarla, a trascenderla nella sua geograficità, per coglierne e affermarne la verità e trasferirne il senso sul piano dell’esperienza interiore e con l’assunzione della speciale visibilità del monastero e precisamente del monastero di Clairvaux.[23] Sotto questo profilo i «Loca Sancta» considerati come luoghi fisici perdono il loro rilievo e la loro attrattiva. Per S. Bernardo, tali Luoghi Santi, o luoghi di Cristo, costituiscono «le inestimabili ricchezze del popolo cristiano» che i Templari, secondo i termini costitutivi del loro ordine, si sono impegnati a difendere sino al sacrificio della loro vita; questi stessi luoghi, oggetto dell’impegnativa occupazione di colui che è stato chiamato «crociato permanente», ricevono in S. Bernardo una lievitazione allegorica, che è quella che gli preme e che lo stimola a sviluppare e a proporre tutta una suggestiva teologia dei misteri della vita di Cristo, che offre l’oggetto più costante e più significativo della contemplazione e che forma la sostanza più profonda della vita spirituale del Templare. Ci si accorge subito che il Santo è a suo agio soprattutto in questa illustrazione che lo porta a oltrepassare le modalità e la consistenza fisica e sensibile dei luoghi che il Templare si impegna a custodire, facendolo indugiare su quanto invece sanno scoprire o gustare gli spirituales sensus. Guidati da questi sensi spirituali, l’abate di Clairvaux conduce i Templari sui luoghi che lui geograficamente ignorava (anche se poteva rappresentarseli grazie alla conoscenza della Scrittura o ad altri strumenti disponibili), e che invece erano ben noti ai Templari a cui invece rimaneva oscuro il senso spirituale ben noto a Bernardo. Egli aprendo il mistero dei luoghi santi con questo genere di lettura estendeva ai Templari la Cristologia che veniva delineando e proponendo ai suoi monaci, in più con quella vicinanza di cui i militi in Palestina potevano godere: se S. Bernardo si muoveva all’interno di una «geografia spirituale» essi si trovano davanti a una «geografia terrena» che l’abate di Clairvaux via via illuminava dall’interno, e senza essere impedito coi «sensi spirituali», a sua volta, di vederli, ammirarli, sentirne il profumo e il gusto, di visitarli e di concentrare su di essi da tutta la Scrittura, contenuti ed allusioni.[24] I Templari, custodi della Terra Santa, sono quindi, per Bernardo, guardiani della Hierusalem Interior che sta nel cuore di ogni fedele. Difendere la Terra Santa con le armi è simbolo di questa più profonda difesa della Parola di Dio, che ciascun monaco – cavaliere è tenuto ad attuare nel silenzio della propria anima. La guerra tra cristiani e infedeli altro non diviene che il riflesso della lotta di ciascuno contro il male, la morte, il peccato, e la vita del cavaliere si presenta al santo come un’imitatio Christi. Che il De Laude sia ben poco celebrativo, nonostante il titolo che porta – e che in realtà costituisca un’esortazione accorata nella quale si potrebbero addirittura facilmente scorgere ammonizioni e rimproveri, risulta evidente fin dal prologo.[25] L’interpretazione di questo come di uno scritto propagandistico atto a procurare nuove reclute al Tempio è invecchiata e superata in quanto parziale. L’aspetto propagandistico c’era, tuttavia era superato dal significato interno: il De Laude è destinato ai Templari perché lo meditino. Il novum militiae genus è tale, soprattutto, perché combatte non solo e non tanto la battaglia dei cavalieri ma anche e prima di tutto quella dei monaci: la battaglia contro i nemici di Cristo, ma anche quella contro il demonio e il peccato. I due tipi di battaglia, sono qui riuniti in una, a condurre la quale è il monaco – cavaliere.[26] Questa è la grande novità templare.

Conclusioni

I Templari esaltarono il lungo sodalizio con S. Bernardo e il suo Ordine a tal punto che, a dispetto della verità storica, giunsero a considerare la militia del Tempio una filiazione Cistercense – in modo sostanzialmente non dissimile da decine abbazie in Europa, ma con la differenza che figlie di Clairvaux o di Cîteaux esse lo erano a tutti gli effetti. Alain Demurger, precisa che «sarebbe ugualmente eccessivo vedere i Templari come cistercensi militarizzati, per i quali monachesimo e vita contemplativa sarebbero l’ideale da raggiungere mentre il servizio militare costituirebbe solo un interludio nell’ambito di una esistenza essenzialmente ascetica. Monaco o soldato? No, monaco e soldato insieme, il problema sta appunto qui».[27] Tuttavia, è netta sensazione che da parte cistercense fossero evitati gli entusiasmi e che l’attitudine verso il problema tendenzialmente fosse improntata a più prudenza e realismo. Così mentre Goffredo di Auxerre, segretario – biografo del primo abate e lui stesso 4° abate di Clairvaux si limita a parlare di S. Bernardo come dello «specialis patronus», di un commendator et adjutor del Tempio, diversamente altri, estranei all’ordine Cistercense, fanno uso del binomio patronus et pater, come riporta anche nel Cartulair général de l’Ordre du Temple il Marquis d’Albon.

La regola latina [28]

Ugo di Payns descrisse «Il comportamento e l’osservanza della sua militia» in un discorso tenuto prima del Concilio il 13 gennaio, giorno della festa di Santa Ilaria.. Essa aderiva essenzialmente a pochi e semplici concetti: partecipazione comunitaria agli uffici del coro assieme ai canonici regolari, pasti comuni, vestiario semplice, presenza modesta, nessun contatto con le donne. Differiva dai canonici per il fatto di svolgere frequentemente servizio esterno e pertanto ai cavalieri veniva concesso un cavallo ( in seguito 3) e un ridotto numero di servitori. Nei periodi di servizio la presenza agli uffici veniva sostituita dalla recita di un certo numero di preghiere. Pur essendo sottoposto alla giurisdizione del patriarca di Gerusalemme, l’Ordine doveva ubbidienza al Maestro. Queste disposizioni informali costituirono la base della regola latina, comprendente settantadue articoli. Secondo la testimonianza di Jean Michel, che si definisce» l’umile estensore delle presenti pagine» i padri riuniti in Concilio vagliarono criticamente l’esposizione del Maestro elogiando o respingendo quanto veniva proposto. Si trattò di una disamina alla quale persino i laici presenti che Jean Michel descrive come «illetterati» offrirono il loro contributo. Ai cavalieri professi erano concesse vesti bianche. Lo stile d vita generale rifletteva la modestia dei costumi iniziali: vestiario semplice e indifferenziato, testa tonsurata, un pagliericcio, una coperta e un copriletto ciascuno per dormire, pasti in comune consumati in silenzio durante i quali doveva tenersi la lettura di un testo sacro. La dieta era strettamente regolamentata perché «è risaputo che conduce alla corruzione del corpo» la carne era consentita solo tre volte alla settimana, ad eccezione delle grandi festività e dei periodi stabiliti di digiuno. Dopo i pasti si rendeva grazie a Dio e quanto era d’avanzo andava distribuito a servitori e poveri, ad eccezione dei pani intatti che venivano ritirati. La regola stabiliva che un decimo di tutto il pane doveva essere donato in elemosina. La conversazione era strettamente limitata alle necessità funzionali e le espressioni scurrili e ignominiose unitamente alle risa erano del tutto proibite, norme legate ad un tema ricorrente nella regola: il bisogno di evitare l’ira, la malizia, le lagnanze o i ricordi della vita precedentemente condotta. Aderire all’Ordine significava rinunciare alla volontà e perciò ridurre fortemente la libertà d’azione individuale; la disciplina veniva fatta valere secondo l’uso monastico attraverso un sistema di penitenze che si estendeva dalle trasgressioni di minore entità, di cui si occupava il Maestro, fino ai comportamenti che potevano condurre all’espulsione. Erano concesse deroghe ai gravi debilitati, malati o anziani. Le questioni più importanti venivano discusse e decise in seno al capitolo presieduto dal Maestro. I frati costretti a viaggiare e quindi a star lontani dalla magione erano tenuti « ad osservare la regola per quanto in loro potere».
Il Maestro, che presto sarebbe divenuto una delle figure di maggior rilievo dell’apparato militare nel regno di Gerusalemme, nel 1129 veniva presentato nei termini di un tradizionale abate benedettino, cui la regola imponeva di esercitare in ogni frangente la moderazione. S. Bernardo si era prodigato per limitare i comportamenti di impronta materialistica, e tuttavia riconosceva che il Tempio era « un nuovo tipo di ordine presente nei luoghi santi» in cui si combinavano cavalleria e religione e che, diversamente ai cistercensi aveva bisogno di possedere case, terre, servi e tributi ed aveva pieno titolo a farsi garante di protezione, opponendosi a quelli che la regola chiama «gli innumerevoli persecutori della santa chiesa». Bernardo vedeva sicuramente nei cavalieri professi il nucleo dell’ordine, infatti la regola non dice molto riguardo agli altri componenti. Vennero fissate condizioni che consentivano ai cavalieri di prestare servizio ad terminum, ovvero per un periodo determinato in attesa di tornare alla vita secolare. Erano ammessi anche fratres coniugati, ossia frati che già avevano contratto il vincolo del matrimonio, ed in caso di morte la moglie aveva diritto ad una parte dei possessi per il proprio sostentamento. In due punti si parla di clientes, termine tradotto nella versione francese con sergens, i sergenti o frati servienti, che in futuro avrebbero costituito un elemento essenziale dell’Ordine. Anche quelli che la regola chiamava famuli, persone a quanto pare legate all’ordine in modo da poter godere di benefici spirituali, indossavano il saio bruno o nero. L’accesso alle donne era impedito «perché è attraverso la femmina che l’antico nemico distolse molti dalla via diretta in Paradiso». La regola originaria, data all’ordine nel concilio di Troyes il 1129 comprendeva solo 72 articoli in lingua latina, ampliata attorno al 1267 fino ad includerne 686, scritti in francese per facilitarne la comprensione ai frati. Le esigenze militari e disciplinari resero necessarie ulteriori aggiunte, poiché la regola latina era influenzata più dal chiostro che dai campi di battaglia: sezioni intere sono dedicate alla gerarchia militare, alla condotta conventuale, ai capitoli e all’applicazione di un complesso sistema di penitenze furono aggiunte prima del 1187, fra gli anni quaranta e l’inizio degli anni sessanta, anche se le nuove sezioni non sono contemporanee. Intorno alla metà del tredicesimo secolo la chiarificazione del sistema delle penitenze portò ad un ulteriore ampliamento della regola, l’estensore di quest’ultima sezione, riportando casi occorsi nella storia dell’ordine a dimostrazione delle proprie argomentazioni, offre preziose informazioni sulle attività templari. Ancora successiva è la versione catalana della regola.
Geografia cristologica di s. Bernardo.

a) Il tempio

Il tempio che richiama la vita religiosa del «devotus exercitus» che adesso vi dimora e i cui sacrifici sono «la carità fraterna, l’obbedienza devota, la povertà volontaria» ( in altre parole la vita dei Templari profondamente trasformata). Il Tempio evoca a S. Bernardo la chiesa nella sua genesi e la salvezza nella sua fonte. Esso gli si presenta carico di simbolicità: con la scusa del Tempio è tutta la terra promessa ad apparirgli «terra buona e optima»[29]

b) Gerusalemme

Pensando ai pellegrini che hanno visitato Gerusalemme egli dichiara:» pienamente saziati e abbondantemente nutriti della ricchezza della sua dolcezza, coloro che ti hanno vista diffondono dappertutto il ricordo della tua abbondante fragranza e ripetono sino agli ultimi confini della terra e coloro che non ti hanno veduta la magnificenza della tua gloria e raccontano le meraviglie che in te si compiono»: di essi i Templari sono gli assidui testimoni. S. Bernardo non ha mai visto Gerusalemme ma è anch’egli un autentico pellegrino anche se spirituale.[30]

c) Betlemme

Casa del pane e ristoro delle anime sante: etimologia che permette a S. Bernardo il discorso sul « Pane vivo disceso dal Cielo». Prendendo spunti dal contesto della natività come popolarmente animato, con animali, fieno e mangiatoia, congegna una pittoresca e suggestiva riflessione: l’uomo peccando ha smentito la sua originaria dignità e si è fatto simile agli animali disabituandosi « a nutrirsi con il pane della divina Parola». Per questo il verbo da « pane degli angeli» si è fatto carne e quindi fieno perché l’uomo avesse come cibo « il fieno della carne» del Verbo, e risalisse, grazie al Dio fatto uomo alla primitiva dignità, ridiventando uomo. Uomini si diviene quando «mangiando il pane della divina Parola» con la fede, si conosce il verbo in profondità, oltre la sua stessa carne. Riferito ai Templari oltre la visibilità che si presenta ai Templari allo stesso modo chiamati a conoscere Cristo di là dalle sue tracce visibili nella Terra Santa. [31]

d) Nazaret

Apparso a Betlemme come Pane Vivo il Verbo incarnato è vissuto a Nazaret «a cui viene attribuita l’interpretazione di Fiore». Su Cristo Fiore S. Bernardo scrive uno dei passi più belli dove impegna la sua arte di fantasticare, scrivere e di rappresentare in immagine la sua teologia di Cristo: il Dio bambino è vissuto a Nazaret come Fiore nel quale allega il frutto, affinché il profumo del fiore precedesse il sapore del frutto e il nettare santo potesse essere infuso dalle narici dei profeti alla bocca degli apostoli e ristorasse del Suo intenso sapore i cristiani, rimanendo gli Ebrei appagati di un impercettibile profumo». Per S. Bernardo la Profezia e l’Antico Testamento, di Cristo sente solo il profumo, ma non lo gusta ancora. La Cristologia del santo è qui espressa usandon impressioni e linguaggio sensoriale dove il gusto dice che il compimento dell’esperienza di Cristo, prima soltanto odorato. In condizione di speciale sensibilità vengono certamente a trovarsi i Templari, ma con l’avvertenza ancora che questi sensi sono attivi solo in un oltrepasso della pura sensorialità.[32]

e) Il monte degli Ulivi e la valle di Giosafat

Contengono il messaggio sulla « molteplicità delle misericordie» e sul giudizio divino. « Si ascende al monte degli Ulivi e si discende nella valle di Giosafat» per meditare sulle ricchezze della misericordia di Dio senza mai dimenticare l’orrore del giudizio «; da qui l’esortazione all’umiltà e l’urgenza del pentimento: un tema non inappropriato in un discorso ai Templari per i quali la Terra Santa è il traguardo e l’indice di una conversione e di una scelta penitenziale.[33]

f) Il Giordano

Nella sosta la Giordano « che si vanta di essere stato consacrato dal Battesimo di Cristo, S. Bernardo ripassa la storia della salvezza legata a questo fiume e soprattutto ricorda la presenza della Trinità: 2 nel Giordano il Padre è stato ascoltato, lo Spirito Santo è stato veduto, il Figlio è stato Battezzato».[34]

g) Il Calvario

Tra le stazioni immaginarie del suo pellegrinaggio geografico – cristologico quello che trattiene più a lungo e con più intenso pensiero S. Bernardo riguarda il calvario e il sepolcro. « Sale sulla croce il nostro uomo senza capelli offrendosi al mondo, a servizio al mondo, e come con il viso scoperto e la fronte nuda, realizzando la giustificazione dei peccati, come non arrossì per l’ignominia di quella morte infamante e dolorosa, come non inorridì per la condanna, pur di strapparci all’eterno disonore e restituirci alla gloria»: una restituzione che è il fine stesso dell’incarnazione che è l’abbassamento del Verbo per il nostro innalzamento alla dignità perduta con la colpa.

h) Il Sepolcro

S. Bernardo è particolarmente attratto dal sepolcro di Gesù, speciale oggetto della cura dei Templari – e dell’avvenuta crociata – presso il quale sviluppa un vero minuscolo trattato teologico sulla morte redentiva di Cristo e sul suo valore. Il sepolcro osserva Bernardo « tiene tra i luoghi santi e desiderabili in certo modo il primato» perché « il ricordo della morte di Gesù eccita la pietà più che non il ricordo della sua vita». «Chi lo contempla da vicino, deve, credo, sentirsi pervaso da una devozione dolcissima». È esattamente quanto possono fare i Templari le cui considerazioni sul Sepolcro sono suggerite. Il sepolcro è la meta riposante dei pellegrini in Terra Santa dopo il loro pericoloso viaggio e si direbbe che S. Bernardo si immedesimi nelle persone dei pellegrini. L’impegno teologico maggiore è svolto da S. Bernardo quando, con intento che si direbbe formalmente teologico o di « intelletto della fede» e con metodo che richiama quello dialettico, cerca di comprendere il significato della morte di Cristo in rapporto alla remissione del peccato dell’uomo. « La vita di Cristo è per me una regola di vita, la sua morte è il mio riscatto dalla morte. La prima ha edificato la mia vita, l’altra ha distrutto la mia morte. La sua vita è stata operosa, la sua morte preziosa ma indubbiamente necessaria». «Poiché per noi era necessario pienamente vivere e morire serenamente, egli ha insegnato a vivere con la sua vita e con la sua morte ha dato sicurezza alla nostra morte, in quanto è morto con la certezza di risorgere a ha dato a tutti coloro che muoiono la speranza della resurrezione».[35]

i) Betfage e Betania

Betfage e Betania gli richiamano» il mistero della confessione e del ministero sacerdotale» e «la virtù dell’obbedienza» esemplarmente esercitata da Cristo che si è fatto obbediente fino alla morte. Il suo itinerario termina con Betania, la «casa dell’ubbidienza», il villaggio di Maria e di Marta. Questa scelta non è priva di significato: il conflitto tra Maria, « la contemplazione» e Marta «l’azione», era uno dei più sentiti negli Ordini monastici, non meno che in quello templare e S. Bernardo vuol ricordare che né l’una né l’altra e neppure la penitenza stessa, hanno valore se fuori dall’obbedienza. L’obbedienza è per Bernardo la prima virtù del cristiano, quella del quale Gesù si è fatto modello obbedendo al Padre fino alla morte: « non mea voluntas, sed tua fiat».[36]

S. Bernardo di Clairvaux

Nasce al castello di Fontaine, presso Digione il 1090, muore a Clairvaux il 1153.
Figlio di Tecelin, signore di Fontaine e di Alette di Montbard.
Nel 1113 entrò in monastero a Citeaux portando con sé trenta nobili compreso alcuni fratelli e parenti. Nel 1115 l’abate di Cîteaux gli affidò l’incarico di fondare l’abbazia di Clairvaux, di cui fu primo abate. Alla sua morte l’ordine contava ben 700 monaci e 80 monasteri affiliati, tra cui le omonime abbazie italiane. Grazie a Bernardo la vasta e multiforme influenza religiosa fino ad allora esercitata dai monaci di Cluny, divenne prerogativa di Cîteaux. Nel 1128 Bernardo iniziò ad occuparsi di affari pubblici sostenendo il vescovo di Parigi e l’arcivescovo di Sens contro Luigi il Grosso. Appoggiò Ugo di Payns, creatore dell’Ordine dei Templari facendogli ottenere il riconoscimento ufficiale del papato: Quando alla morte di ONORIO II furono eletti due papi, egli si schierò contro Anacleto dalla parte di Innocenzo II, contribuendo con il suo appoggio al suo trionfo. Da allora l’influenza sulla corte pontificia fu enorme. Nel 1140 ottenne la condanna di alcune proposizioni di Abelardo, da lui ritenute contrarie alla fede. La seconda crociata ebbe in lui un ardente e eloquente sostenitore (1145-46)Fu un trascinatore di folle. Profondamente conservatore e particolarmente legato all’ordinamento feudale, si schierò contro il comune di Reims. Fu canonizzato nel 1174 da Alessandro III ad Anagni. In teologia, non ha un sistema compiuto, tuttavia può essere considerato il padre della mistica cristocentrica. Fu un contemplativo e la sua accentuata tendenza mistica fu soprattutto ostile al razionalismo della scuola di Abelardo. Tre sono secondo il suo pensiero le vie per elevarsi a Dio: la vita pratica, la vita contemplativa, la vita estatica. Ebbe un particolare culto per la Vergine. Con la stessa energia combatté Abelardo, Arnaldo da Brescia e gli eretici delle sponde del Reno. Fu intransigente contro i nemici della Chiesa, ebbe però il coraggio di denunciare gli abusi che la mettevano in pericolo e indirizzò al papa Eugenio III, suo discepolo, energici avvertimenti. Ci ha lasciato trattati di spiritualità, liturgici, dogmatici, e polemici: De contemptu Dei, De Considerazione, De diligendo Deo, Contra quaedam capitula errorum Abelardi. Ci sono rimasti ben 340 sermoni, molte lettere e numerose composizioni poetiche. La prima edizione delle sue opere risale al 1475 (Magonza) una buona edizione è quella di Mabillion ( Parigi 1667-1690). Leclercq dal 1957 al 1977 ha curato l’edizione critica delle opere di Bernardo eliminando tutti i trattati apocrifi. Dal 1984 è il corso l’edizione bilingue, curata da Ferruccio Gastaldelli.
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[1] Barber, M., La storia dei Templari, p. 53.
[2] Barber, M,, La storia dei Templari, p. 53.
[3] Barber , M. La storia dei Templari, p. 53.
[4] BARBER, M., Op. Cit., p. 59.
[5] CARDINI F., I primi tempi dell'ordine del Tempio, sta in I templari -Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p.111
[6] CARDINI, F., Op. Cit., p. 112
[7] CARDINI F., Op. Cit. , p.112
[8] CARDINI F., I primi tempi dell'ordine del Tempio, sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p.113
[9] CARDINI F.,I primi tempi dell'ordine del Tempio, sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995., p.114
[10] I personaggi sono tratti dalla Chanson de Roland. - CARDINI F., I primi tempi dell'ordine del Tempio, sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p.116.
[11] Barber, M., La storia dei Templari, "I Templari vivevano ed operavano nel contesto fisico dei luoghi santi, che erano per questo a loro familiari: chiarendone l'intimo significato San Bernardo desiderava invece svelare una dimensione interiore fondamentale agli occhi di Bernardo e degli intellettuali suoi pari. Se fosse stato possibile mostrare loro come guardare ai Luoghi Sacri, i Templari sarebbero stati in grado di trascendere la mera apparenza esteriore e incoraggiati così a ricercare un significato spirituale più profondo",p.60.
[12] Salmo ( T. M. 115),1
[13] Barber, M., La storia dei Templari, Op., Cit., p. 64.
[14] "Bernardo riconosce apertamente i problemi derivanti dalla natura contrastante dei monaci - cavalieri, e, si sforza di adattare il suo messaggio alle esigenze del nuovo Ordine e del tipo di persone ad esso attratte"
[15] LEONARDI,C., La tradizione cavalleresca e San Bernardo sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p.17 "Bernardo traveste il miles da monaco, cerca di fare della guerra un'opera monastica mediante una grande struttura culturale, che è quella del monachesimo cristiano: pensa cioè di portare dentro la tradizione cavalleresca la componente monastica, di determinare, nella realtà della guerra, una dimensione spirituale"
[16] INOS BIFFI, La figura di Cristo e i "Loca Sancta" nella vita dei Templari, sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p.21.
[17] CARDINI, F. I primi tempi dell'Ordine del Tempio :sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p. 103.
[18] CARDINI ,F. I primi tempi dell'Ordine del Tempio sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p.104
[19] DIMER A. Der heilige Bernhard und die "conversio", "Anima", VIII,1953 p.72"extra Cistercium,nulla salus".
[20] CARDINI, F, I primi tempi dell'Ordine del Tempio, sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p.106.
[21] BARBER M La storia dei Templari, op. cit.,p.25.
[22] Più verosimilmente tra il 1132 e il 1135 come sostiene Franco Cardini.
[23] INOS BIFFI , La figura di Cristo e i "LOCA Sancta" nella vita dei Templari, p 20. sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle", Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995., p.20. Ne è evidente esempio la lettera ad Alessandro vescovo di Lincoln circa il monaco Filippo che incamminandosi verso Gerusalemme si fermerà poi a Clairvaux.
[24] INOS BIFFI La figura di Cristo e i "Loca Sancta" nella vita dei templari , sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle", Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p.24.
[25] CARDINI F. I primi tempi dell'Ordine del Tempio sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle", Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995 , p108.
[26] IDEM, sta in I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p. 109.
[27] Demurger, A., Vita e morte dell'Ordine dei Templari, Milano 1992, p.38.
[28] Barber M., La storia dei Templari ,ed. Piemme,1997.
[29] INOS BIFFI.
[30] INOS BIFFI.
[31] INOS BIFFI.
[32] INOS BIFFI.
[33] INOS BIFFI,
[34] INOS BIFFI,
[35] INOS BIFFI,
[36] CARDINI F.