venerdì 7 novembre 2008


La gnosi

di Giacomo Samek Lodovici

È una corrente filosofico-religiosa molto antica, la cui mentalità si riproduce in tutti i tempi. Permeando teorie filosofiche, pratiche religiose, libri e film.

[Da «il Timone», n. 69, gennaio 2008]

Capita abbastanza sovente di sentir dire che un certo libro, film, discorso, pratica, ecc. ha qualcosa di gnostico. Cerchiamo dunque di considerare le principali tesi della gnosi.

La gnosi è una corrente filosofico-religiosa che affonda le sue radici in Oriente in un periodo non del tutto precisato; in seguito (almeno secondo Hans Jonas) scaturisce definitivamente da quel crogiuolo che è la cultura ellenistica: dopo la conquista dell’Oriente fatta da Alessandro Magno, infatti, si producono una profonda crisi spirituale ed un’ansia di salvezza.

Lo gnosticisimo diviene poi particolarmente rilevante intorno al II secolo dopo Cristo, quando entra in contatto con il cristianesimo, insidiandolo come avversario molto temibile.
Quando si parla di gnosi, si può distinguere una sua espressione in tale preciso momento storico (di cui si possono ricordare esponenti come Valentino, Basilide e Marcione), ma anche una mentalità gnostica, che invece pervade la storia delle espressioni culturali dell’uomo e che, come dicevamo all’inizio, si ripresenta anche in taluni libri, film, discorsi filosofici, ecc. contemporanei.
Certo, lo gnosticismo antico aveva un quadro teologico-antropologico che è poi caduto, ma le sue seguenti tesi perdurano nella mentalità gnostica di tutti i tempi.

1. II mondo è una realtà degradata, oscura e corrotta, da cui bisogna ottenere la liberazione (nello gnosticismo antico ciò si spiega dicendo che è vero che esiste una divinità, ma che è assolutamente lontana dal mondo, il quale è malvagio e oscuro perché posto da potenze malvagie, che hanno talvolta caratteri demoniaci; nell’uomo l’anima e il corpo sono prodotti da queste potenze, mentre una dimensione superiore, quella dello spirito, è una scintilla divina che è caduta nel corpo, in cui si trova imprigionata).
2. Esistono alcuni uomini eletti, gli gnostici, che possiedono una conoscenza (= gnosi, dal greco) redentiva, un sapere che salva (un sapere che, per lo gnosticismo antico, può essere guadagnato grazie ad un’illuminazione divina o tramite un esercizio sfrenato della sessualità).
2.1. Questi uomini sono perfetti.
2.2. Questo sapere è esoterico, cioè riservato solo a loro in esclusiva.

3. Agli eletti è possibile, grazie al sapere salvifico che possiedono, abolire ogni limite; essi sono in grado di estinguere ogni imperfezione e di creare un mondo perfetto (nello gnosticismo antico ciò vuol dire di ritornare in Dio).
Se la gnosi prende il nome dalla seconda tesi, è però la terza tesi quella che definisce la sua cifra essenziale: il rifiuto della condizione finita e del limite, perché non c’è male che non possa essere redento. Questa tesi ha delle implicazioni molto importanti.
3.1. Questi uomini eletti sono in grado da soli di salvarsi dalla condizione tragica e malvagia in cui si trovano senza l’aiuto di Dio, sono autosufficienti a redimersi, sono capaci da soli di creare un mondo ed una società nuovi.
3.2. In vista della rigenerazione totale del mondo, della sua trasfigurazione completa, lo gnostico rifiuta la legge giuridica e lo Stato, non deve fermarsi di fronte al limite della legge.
3.3. In vista ditale fine, lo gnostico rifiuta la legge morale, non deve lasciarsi fermare da alcuna norma etica. Anche il ricorso alla violenza più efferata e atroce è giustificabile.

Da questa sintetica presentazione si evincono i motivi dell’irriducibile opposizione tra lo gnosticismo e il cristianesimo.

1. Per il cristianesimo il mondo è buono, sia perché è creato da Dio, sia perché Dio si è incarnato nel mondo.
2. Non esiste una conoscenza che sia da sola salvifica, perché per salvarsi la fede è necessaria, ma lo sono anche la rettitudine della volontà e il compimento delle opere buone.
2.1. Non esistono uomini perfetti.
2.2. I contenuti della fede cristiana non sono riservati solo ad alcuni iniziati, bensì sono rivolti a tutti.

3. Non è possibile estinguere il limite, perché la condizione finita è la differenza ineliminabile tra Dio e le cose create.
3.1. Gli uomini da soli non possono salvarsi: devono sì prodigarsi per la propria salvezza, ma non possono redimersi senza la grazia di Dio.
3.2. Lo Stato e le leggi (purché non siano iniqui) sono dei modi attraverso cui gli uomini regolamentano la loro vita associata in vista del bene comune, quindi devono essere rispettati.
3.3. Bisogna rispettare la legge morale naturale.

Abbiamo detto all’inizio che molte espressioni culturali di ogni tempo sono una rifrazione della mentalità gnostica. Ad esempio, secondo autori come Eric Voegelin, Augusto del Noce ed Emanuele Samek Lodovici, il marxismo è stato una ripresentazione della gnosi, come si vede dalle seguenti tesi marxiste.

1. Il mondo una realtà degradata, malvagia e corrotta, è da sempre caratterizzato dalla lotta di classe e dall’oppressione, che culmina con la società capitalista.
2. Il marxista detiene un sapere che salva, cioè il socialismo scientifico, con il quale ha finalmente compreso il meccanismo di sviluppo della storia.

3. Il marxista opera in vista della rigenerazione totale del mondo, della trasfigurazione della storia e di una riplasmazione della vita dell’uomo: aspira a realizzare la «Gerusalemme mondana» contrapposta alla «Gerusalemme celeste», ovvero è in grado di realizzare il paradiso in terra.
3.1. L’uomo non ha bisogno di Dio, il quale non esiste; anzi, la religione è l’oppio dei popoli.
3.2. Bisogna rifiutare la legge e l’organizzazione sociopolitica (per Marx, infatti, uno dei fini del comunismo è abolire lo Stato).
3.3. Bisogna rifiutare la legge morale naturale (infatti per Marx la morale è frutto delle condizioni socio-economiche, è imposta dalla classe dominante e non esistono leggi morali immutabili), perché la società comunista deve essere conseguita con qualsiasi mezzo, a costo di qualsiasi spargimento di sangue, anche con ogni tipo di violenza.
In questo senso, dunque, il marxismo è una riproposizione della mentalità gnostica e costituisce una metamorfosi della gnosi.

Quanto ai film, per limitarci ad un solo caso recente, basta citare Matrix, in cui c’è una società corrotta e degradata e dove al protagonista, che viene proprio chiamato l’Eletto, viene rivelata la vera conoscenza salvifica, affinché salvi il mondo. Tra i libri recenti almeno una tesi gnostica si trova certamente nel Codice da Vinci, che propaga l’idea secondo cui Gesù avrebbe avuto rapporti sessuali con la Maddalena come metodo di illuminazione.

Ma la riproposizione dello gnosticismo prosegue se consideriamo il pensiero radicale contemporaneo e alcune varianti del femminismo. Infatti, per lo gnosticismo libertario e sessuale del II secolo, lo stadio originario del genere umano è una condizione sia di perfetta uguaglianza, dato che gli esseri umani non differiscono l’uno dall’altro, né per caratteristiche estrinseche (come la proprietà di certi beni), né per qualità fisiche o intellettuali, sia di unità, dato che vi è un’assoluta comunione di tutti da parte di tutti, cioè tutti sono di tutti, anche sessualmente.

È facile vedere una riproposizione di questa visione: sia in certe varianti del femminismo, che negano l’esistenza di una natura specifica femminile, che differenzi l’uomo dalla donna; sia nel libertarismo radicale odierno, con la sua esaltazione dei rapporti omo e bisessuali, o con la mistica del sesso (celebrata da alcuni suoi esponenti), inteso come via di liberazione e di fusione totale tra gli esseri umani; sia nella cosiddetta teoria del gender, secondo la quale la nostra identità psicologica maschile o femminile non è legata al sesso con cui nasciamo biologicamente, bensì è indotta dall’educazione e dalla cultura in cui ci troviamo a vivere: perciò ognuno di noi dovrebbe essere lasciato libero di scegliere continuamente se vivere e agire come uomo/donna o tutti e due insieme anche se i suoi organi genitali sono femminili/maschili. Ma su questi ultimi aspetti di ri-presentazione dello gnosticismo dobbiamo limitarci a questi pochi cenni, per limiti di spazio.

Bibliografia

- Emanuele Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea, Ares, 1979, 19912.
- Hans Jonas, Lo gnosticismo, Sei, 1991.
- Eric Voegelin, La nuova scienza politica, Borla, 1968, con un saggio introduttivo di Augusto Del Noce.
- Augusto Del Noce, Violenza e secolarizzazione della gnosi, in AA. VV., Violenza, una ricerca per comprendere, Morcelliana, 1980, pp. 195-215.


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lunedì 3 novembre 2008

Sant'Agostino (354-430),
vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Esposizione sul salmo 121(Nuova Biblioteca Agostiniana)

« Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti »

Grande la forza dell'amore! E questo amore è la nostra forza, al segno che, se non fossimo radicati in esso, a nulla ci varrebbero tutte le altre risorse che potessimo avere. Dice l'Apostolo: «Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, e non avessi amore, non sarei che un bronzo risonante, o un cembalo squillante» (1 Cor 13,1). E aggiunge una cosa sensazionale: «E se anche sbocconcellassi a favore dei poveri tutto quello che ho, e dessi il mio corpo per essere arso, e non avessi amore, non ne avrei alcun giovamento» (vs 3). Si abbia invece la carità, essa sola. E se non si trova alcunché da distribuire ai poveri, si dia loro l'amore: si dia magari un bicchiere d'acqua fresca (Mt 10,42). Si otterrà la stessa ricompensa di Zaccheo che donò ai poveri la metà del suo patrimonio ( Lc 19,8). Perché questo? L'uno ha dato così poco, l'altro così tanto; perché al primo la [stessa] ricompensa? Sicuro! la stessa. Differenti erano in effetti le disponibilità, ma non differente la carità...Dice il salmista: «Andremo nella casa del Signore» (Sal 121,4). Controllate dunque se davvero camminiamo, poiché non si cammina con i piedi ma con gli affetti. Controllate se camminiamo. Ciascuno di voi si esamini sul proprio comportamento verso i santi poveri, verso i fratelli bisognosi, sul comportamento verso il bisognoso e il mendicante. Veda un po' ciascuno se il suo cuore non sia troppo angusto...«Chiedete le cose che contribuiscono alla pace di Gerusalemme» (vs 6). Ma quali cose contribuiscono a questa pace? «E l'abbondanza per coloro che ti amano» (Volg), dice rivolgendo il discorso direttamente a Gerusalemme. «Per chi la ama c'è l'abbondanza»: un'abbondanza dove prima c'era scarsità. Qui infatti si è nella penuria, là nell'abbondanza; qui si è deboli, là robusti; qui poveri, là ricchi. Ma come avranno fatto [gli amici di Gerusalemme] per diventare ricchi? Hanno dato quaggiù ciò che avevano ricevuto da Dio per un uso temporaneo e di là hanno ricevuto i beni che Dio ha promesso per l'eternità. Miei fratelli, anche i ricchi in questo mondo sono poveri! Buon per il ricco se si riconoscerà povero! Se al contrario si considerasse colmo [di beni], sarebbe gonfiezza, non pienezza, la sua. Si riconosca vuoto, per poter così essere riempito. Cos'ha infatti adesso? Dell'oro. Cosa non ha ancora raggiunto? La vita eterna. Osservi ciò che possiede e rifletta su quel che gli manca. Fratelli, dia agli altri attingendo a ciò che possiede, se gli sta a cuore ottenere ciò che ancora non possiede.

domenica 2 novembre 2008

XXXI Domenica del Tempo Ordinario A

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria.
E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri,
e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,
nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?
Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?
E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?
Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.
Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere;
ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.
Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?
Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me.
E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

IL MAESTRO

Non fatevi chiamare rabbì,
perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo
(Mt 23,10)

Guardate a lui e sarete raggianti
canta con forza il salmo.
Rispecchiati nel volto splendente di Cristo
per ritrovare la tua immagine pura.

A forza di ascoltare se stesso
l’uomo dimentica che esiste l’altro.
Per ricercare la propria vita
deve considerarsi solo al mondo.

Un monaco/monos di egoismo,
di ricerca del tutto per sé,
perché tutto deve essere in funzione
di se stesso, ombelico polare.

Ascoltare il Maestro è aprire il cuore,
liberato da ogni legame terreno;
è avere bisogno dell’Altro
per crescere bene in ogni cosa.

Accogliere il Maestro è ricevere da lui
quella vita che ci manca;
vedere il senso delle cose
con la sua stessa misericordia.

Lasciati portare dalla verità,
corrispondenza di parole e cuore;
scopri l’umile verità dell’altro
che fa fatica anche lui a vivere.

Non imporre te stesso con arroganza,
ma accetta il fratello come è;
servi l’altro con dedizione, perché
servire è diventare maestro d’amore.

Sì, sì; no, no. L’uomo semplice
si fa sempre accettare dagli altri;
l’uomo doppio non passa nei cuori,
ma diventa inciampo per tutti.

Gesù è il Maestro, il solo Rabbì
perché servo di tutti, crocifisso;
la sua parola esce dalla sua bocca
già evento, perché lui la compie.

Dice e fa; ama e offre se stesso,
risana per riempire il cuore
del suo Spirito divinizzante,
serve, perché è un Maestro perfetto.

Pben 2, xi, 2008

Commemorazione di tutti i fedeli defunti

La commemorazione dei fedeli defunti al 2 novembre ebbe origine nel 998 nel monastero benedettino di Cluny per iniziativa di s. Odilone (quinto abate di Cluny); il fatto che migliaia di monasteri benedettini dipendessero da Cluny favorì l'ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell'Europa settentrionale. Nel 1311 anche a Roma venne istituita ufficialmente la memoria dei defunti mentre il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale, da Benedetto XV, solo nel 1915. Scopo della commemorazione di tutti i defunti in passato era quello di suffragare i morti; di qui le Messe, la novena, l'ottavario, le preghiere al cimitero. Questo scopo naturalmente rimane; ma oggi se ne avverte un altro altrettanto urgente: creare nel corso dell'anno un'occasione per pensare religiosamente, cioè con fede e speranza, alla propria morte. Spezzare la congiura del silenzio riguardo a essa. Quando nasce un uomo, diceva sant'Agostino, si possono fare tutte le ipotesi: forse sarà bello, forse sarà brutto, forse sarà ricco, forse sarà povero, forse vivrà a lungo, forse no. Ma di nessuno si dice: forse morirà, forse non morirà. Questa è l'unica cosa assolutamente certa della vita. Nella nostra vita noi pensiamo di non avere mai abbastanza: viviamo protesi verso un continuo «domani», dal quale ci attendiamo sempre «di più»: più amore, più felicità, più benessere. Viviamo sospinti dalla speranza. Ma in fondo a tutto il nostro stordirci di vita e di speranza si annida, sempre in agguato, il pensiero della morte: un pensiero a cui è molto difficile abituarci, che si vorrebbe spesso scacciare. Eppure la morte è la compagna di tutta la nostra esistenza: addii e malattie, dolori e delusioni ne sono come i segni premonitori. La morte resta per l'uomo un mistero profondo per credenti e non credenti. Essere cristiani cambia qualcosa nel modo di considerare la morte e di affrontarla? Qual'è l'atteggiamento del cristiano di fronte alla domanda, che la morte pone continuamente, sul senso ultimo dell'esistenza umana? La risposta si trova nella profondità della nostra fede. San Paolo scriveva : «Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui.» (1Ts 4,13-14) La morte del cristiano si colloca nel solco della morte di Cristo: è un calice amaro da bere fino in fondo perché frutto del peccato. Ma la morte è anche volontà amorosa del Padre che ci aspetta, al di là della soglia, a braccia aperte: una morte che è essenzialmente non-morte ma vita, gloria, risurrezione. Come tutto questo avvenga di preciso non si sa. Umanamente non si può misurare l'immensità delle promesse e del dono di Dio. Il Prefazio dei defunti rivela un accento di umana soavità e di divina certezza: «È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Nel quale rifulse a noi la speranza della beata resurrezione: cosí che coloro che sono contristati dalla certezza della morte, siano consolati dalla promessa della futura immortalità. Poiché, o Signore, la vita dei tuoi fedeli non si distrugge, ma si cambia, e dissolta la casa di questa dimora terrestre, si acquista eterna abitazione in cielo.... ».

GIOVANNI PAOLO II
ANGELUS

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti
Domenica, 2 novembre 2003

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Dopo aver celebrato ieri la Solennità di Tutti i Santi, oggi, due novembre, il nostro sguardo orante si volge a coloro che hanno lasciato questo mondo e attendono di raggiungere la Città celeste. Da sempre la Chiesa ha esortato a pregare per i defunti. Essa invita i credenti a guardare al mistero della morte non come all'ultima parola sulla sorte umana, ma come al passaggio verso la vita eterna. "Mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno - leggiamo nel prefazio odierno -, viene preparata un'abitazione eterna nel Cielo".

2. E' importante e doveroso pregare per i defunti, perché anche se morti nella grazia e nell'amicizia di Dio, essi forse abbisognano ancora di un'ultima purificazione per entrare nella gioia del Cielo (cfr Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1030). Il suffragio per loro si esprime in vari modi, tra i quali anche la visita ai cimiteri. Sostare in questi luoghi sacri costituisce un'occasione propizia per riflettere sul senso della vita terrena e per alimentare, al tempo stesso, la speranza nell'eternità beata del Paradiso.

Maria, Porta del cielo, ci aiuti a non dimenticare e a non perdere mai di vista la Patria celeste, meta ultima del nostro pellegrinaggio qui sulla Terra.