mercoledì 7 maggio 2008


Capitolo Generale della Congregazione

Sabato 10 e domenica 11 maggio Pentecoste - 2008

per partecipare e informazioni: templaritaliani@g.mail.com


I Doni e le Virtù dello
SPIRITO SANTO

Per attuare in pienezza la vita nuova nello Spirito e rimanere fedele alla sua realtà di figlio, il cristiano viene munito di molteplici aiuti divini che gli sono comunicati dallo Spirito Santo, come i doni infusi al battesimo, le virtù teologali e cardinali, i carismi e i frutti. In questa sede consideriamo i doni e le virtù. Secondo la tradizione cristiana sono sette i doni dello Spirito Santo, conformemente al testo di Isaia 11,2-3 nella versione greca dei LXX. Tuttavia non è tanto importante determinare il numero dei doni, quanto capirne il significato. Nella Scrittura il numero sette indica la pienezza o la perfezione dello Spirito che viene riversato sul Messia, il quale raccoglie in sé e porta a compimento le virtù degli antenati. Questi medesimi doni sono comunicati al cristiano il giorno del suo battesimo e confermati con il sacramento della cresima. Essi sono il patrimonio spirituale che lo accompagna per tutta la vita e ogni battezzato ne può liberamente usufruire. Tommaso d’Aquino definisce l’essenza e la funzione dei doni dello Spirito Santo in questi termini: «I doni sono perfezioni dell’uomo, con i quali l’uomo è disposto ad assecondare benevolmente l’istinto divino». I doni perciò sono delle disposizioni interiori che lo Spirito Santo infonde nell’animo per predisporlo a seguire prontamente e docilmente le sue ispirazioni. Infatti l’uomo, pur avendo la grazia santificante, non possiede in modo perfetto la natura divina e quindi necessita di altri aiuti spirituali che lo rendano abile e pronto a compiere quegli atti che sono conformi alla volontà divina e alla sua verità. Con i doni dello Spirito Santo il cristiano acquista una certa connaturalità con la sfera divina ovvero un istinto divino, con il quale vive e agisce secondo Dio e non più secondo le sole capacità umane. In ciò sta la differenza tra i doni e le virtù teologali e cardinali, in quanto queste dispongono l’uomo a muovere se stesso verso il fine soprannaturale secondo il modo umano di conoscere ed amare; mentre i doni dello Spirito sono dati affinché l’uomo sia pronto ad agire in conformità al modo di vedere e di pensare di Dio, cioè sia totalmente mosso dallo Spirito di Dio. Secondo tale prospettiva alcuni doni sono dati per perfezionare l’intelligenza umana (intelletto, scienza, sapienza e consiglio); altri per muovere la volontà umana (pietà, fortezza, timore di Dio). Ad essi corrispondono armonicamente le sette virtù cristiane: tre teologali (fede, speranza e carità) e quattro cardinali (giustizia, fortezza, prudenza, temperanza).

DONI INTELLETTIVI

I doni intellettivi sono rapportati alle verità proposte dalla fede, in modo che siano capite e vissute con profonda chiarezza interiore, sia le verità che riguardano il mistero di Dio sia quelle che si riferiscono alla cose create e agli uomini. Il dono dell’intelletto ha il compito di penetrare intimamente (“intus legere” = leggere dentro), cioè di leggere dentro le verità accolte mediante la fede e capirle nella loro profondità e nel loro autentico valore. La virtù della fede è una semplice adesione alla verità rivelata, mentre il dono dell’intelletto dà una percezione viva e una retta comprensione di essa sia nell’aspetto teorico che pratico. Pertanto con il dono dell’intelletto non sono date all’uomo nuove verità o nuove concezioni, ma semplicemente è data l’intelligenza o percezione delle verità di fede, con la giusta valutazione del loro significato vitale e con l’esatta distinzione della verità dagli errori. Il dono dell’intelletto perciò perfeziona e approfondisce la virtù della fede.
L'intelletto è una luce soprannaturale, che illumina l'occhio dell'anima fortificandola e donandole una più estesa vista sulle cose divine.

L'intelligenza ci fa apparire le cose spirituali come nuda Verità. (S. Tommaso)

Si rivela la bellezza piena d'incanto dei misteri di Dio ed appaiono armonie nuove che portano ad una dolcezza infinita. Tutto sembra nuovo all'anima, la Verità è colta in maniera più completa.

La condizione indispensabile per il dono dell'intelletto è la purezza di cuore: un cuore puro è un cuore sincero, limpido, leale, trasparente, libero da ogni male. "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti ed agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli." (Mt.5,8)

Bisogna essere piccoli, lasciarsi purificare, spogliarsi di tutto, anche delle certezze più assolute. Il dono dell'intelletto dona all'anima una conoscenza profonda della propria vita, le fa capire i disegni di Dio facendola raggiungere lo scopo della sua esistenza.

Il dono della scienza riguarda il giudizio nei confronti delle verità di fede, per mezzo del quale l’uomo riesce a distinguere ciò che si deve credere ovvero che è conforme alla volontà di Dio e alla sua verità da ciò che si oppone ad essa od ostacola e ottenebra la sua attuazione. Il suo oggetto proprio non è il mistero di Dio in se stesso, come per il dono dell’intelletto, ma tutte le realtà create che sono collegate con Dio e da lui dipendono. In tal modo il dono della scienza fa capire all’uomo che le creature non sono il bene ultimo e assoluto, sono invece rapportate al bene sommo e ad esso sottomesse. Pertanto il cristiano, con il dono della scienza, può ordinare se stesso e l’uso delle cose create al bene divino e non scambiare i beni creati con l’unico vero bene che è Dio. A questo scopo mette a disposizione la virtù della temperanza, con il cui esercizio sa disporre giustamente di tutto quello che possiede, senza eccedere nell’abuso o nel disprezzo né delle cose né di se stesso. La temperanza prepara e accompagna l’attuazione del dono della scienza, il quale, a sua volta, ne diventa il rafforzamento e il perfezionamento.
"Grazie al dono della scienza ci è dato conoscere il vero valore delle creature nel loro rapporto col Creatore.

Grazie ad essa - scrive S. Tommaso - l'uomo non stima le creature più di quello che valgono e non pone in esse, ma in Dio, il fine della propria vita."(Giovanni Paolo II).

Il dono della scienza insegna a fare ringraziamento e offerta di ogni cosa creata perché ci è stata data per aiutarci nel cammino verso Dio. La scienza suggerisce un ordinato e illuminato distacco dalle creature per entrare in armonia e in profonda comunione con esse e assaporarne tutta la bellezza come riflesso della bellezza di Dio.Nel Siracide leggiamo: "...pose lo sguardo nel cuore degli uomini per mostrare loro la grandezza delle sue opere", "I loro occhi contemplarono la grandezza della sua gloria e i loro orecchi sentirono la magnificenza della sua voce".

Il dono della scienza è sorgente di lode, di canto ed è fonte di libertà interiore che porta alla contemplazione di Dio.

Il dono della sapienza consente all’uomo la contemplazione delle verità rivelate con amore, cioè con l’adesione del cuore. Nel rapporto con Dio non basta conoscere intellettivamente il suo mistero, ma occorre aderirvi con tutto il proprio essere, con tutto l’amore. Infatti, mediante l’amore l’uomo si unisce a Dio formando un solo Spirito con Lui ed effondendosi in una profonda comunione affettiva. Sotto questo aspetto il dono della sapienza completa il dono dell’intelletto e pone in esso uno slancio sempre più intenso di desiderare la conoscenza diretta di Dio e la piena unione con lui, che si avrà alla fine della vita nella visione beatifica. Questo desiderio è sorretto dalla virtù della speranza, che consiste precisamente nel coltivare nel cuore umano l’anelito alla vita eterna come all’unico proprio bene, che diventa luce e nutrimento salutare lungo il cammino cristiano. Il dono del consiglio abilita l’uomo a compiere le proprie azioni in ordine al fine ultimo voluto da Dio. Ciò comporta che il cristiano, con il dono del consiglio, accoglie dentro di sé la ragione stessa di Dio, le sue motivazioni, i suoi pensieri, le sue prospettive, le quali dirigono l’intelletto umano a comprendere le cose e gli avvenimenti nel senso giusto, quello voluto da Dio, soprattutto in alcuni casi particolari in cui si può avere incertezza o dubbio. Alle volte il dono del Consiglio illumina l’uomo ad attuare delle scelte che vanno al di là della semplice concezione o saggezza umana o anche al di là della stessa legge, ponendolo in uno stato di interiore illuminazione e libertà. Tale dono si accompagna ed è sorretto dalla virtù della prudenza, che rende l’uomo capace di vagliare il momento in cui deve agire con decisione senza lasciarsi condizionare da situazioni o da atteggiamenti puramente terreni, ma con la forza di seguire il disegno divino qualunque siano gli effetti, con la consapevolezza che la sapienza di Dio oltrepassa i progetti umani e conduce sempre al bene per se stesso e per gli altri.
"Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto." (Rm. 12,2)

Il dono del consiglio ci fa attuare il proposito di vivere secondo il Vangelo nelle situazioni concrete: ci ispira scelte conforme alla volontà di Dio, ci aiuta a risolvere i problemi della condotta personale.

E' una specie d'intuizione soprannaturale che aiuta a giudicare prontamente e sicuramente ciò che conviene fare e decidere, senza esitazioni e dubbi, anche nei casi difficili.Lo Spirito ci mette in piena sintonia con Dio e ci fa realizzare il proposito di vivere secondo la sua volontà, e viene in aiuto della nostra debolezza perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare.

Occorre essere docili, sottomessi alla mozione dello Spirito, cioè non ostacolarne l'azione: il dono del consiglio richiede alcune disposizioni fondamentali tra cui un profondo sentimento della nostra impotenza ed incapacità, che solo può attirare lo Spirito di Dio ad agire in noi. E' necessaria anche la semplicità e la retta intenzione che ci libera da riguardi e considerazioni umane e ci indirizza con purezza di cuore a Dio.

DONI VOLITIVI

I doni volitivi perfezionano la volontà umana in modo che si ponga in perfetta sintonia e disponibilità alla volontà divina e al suo amore. Il dono della pietà ha la funzione di offrire a Dio un culto autentico e appropriato alla sua realtà di Padre e Signore. Tale culto è dato dall’amore filiale verso di lui e dal riconoscimento della sua sovranità. Il cristiano, mosso dallo Spirito, onora e prega Dio in quanto lo considera Padre e Signore ed ha verso di lui un affetto filiale e una sottomissione obbediente. Tale dono completa la virtù della giustizia intesa nel senso religioso di dare a Dio ciò che a lui compete quale Creatore di tutte le cose e di rivolgersi a lui quale unico vero Dio, il quale vuole la salvezza di tutti i suoi figli. Con il dono della pietà e la virtù della giustizia l’uomo si allontana dall’idolatria o dai culti esoterici e pagani, per orientare tutta la sua vita al culto di adorazione dovuto al Signore rivelatosi in Cristo suo Figlio.
La pietà, come dono dello Spirito Santo, ci rende capaci di rispondere all'amore misericordioso di Dio con un attaccamento filiale fatto di vigilanza e tenerezza, che si traduce in un'obbedienza pronta e gioiosa verso Dio e un'attenta misericordia verso il prossimo. (A. Doneda)

La consapevolezza dell'amore di Dio permette all'anima di volgere lo sguardo a Lui. Ci sentiamo figli protetti, custoditi in mani sicure, perché sappiamo che il suo perdono è amore, non giustizia.

Consapevole della propria povertà, la creatura si abbandona al suo Creatore per riceverne consolazione.

Dio ama e attende da ciascuno una risposta al suo amore.

Negli avvenimenti di ogni giorno e nelle prove più difficili, questo dono ci fa essere pronti ad ogni sacrificio, per amore di un Padre così tenero che in tutti gli eventi opera solo per il bene dei suoi figli. E' il dono della pietà che trasforma il nostro cuore e vi infonde gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù.

Il dono della fortezza comporta la fermezza d’animo richiesta sia nel fare il bene sia nel sopportare il male, in particolare quei beni e quei mali che si presentano molto ardui e impegnativi. Con questo dono il cristiano viene rafforzato in modo tale che non deve lasciare di fare il bene a causa delle difficoltà, né deve essere sopraffatto dal male a motivo delle grandi sofferenze da affrontare. Lo Spirito Santo viene in soccorso dell’uomo aiutandolo a superare tutte le contrarietà e restare fedele alla volontà di Dio, fino al punto estremo di vivere le prove più difficili come fossero le più amabili e persino dilettevoli. È naturale vedere come il dono della fortezza si unisca alla virtù della fortezza per formare un unico robusto baluardo contro qualsiasi ostacolo che si voglia opporre sul cammino che conduce alla vita eterna e alla totale comunione con Dio.

La fortezza è l'espressione della fede matura, provata da tutto quello che il maligno può scatenare dentro di noi e intorno a noi per vincere la debolezza umana.A sostegno della fortezza Dio ci offre se stesso e la sua parola."

Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui." (Gv. 14,23)

L'impegno perseverante delle virtù morali, porta come frutto il gaudio spirituale.

La fortezza è dono della bontà di Dio e frutto della redenzione: Maria, la Madre di Dio, è donna forte nei disagi, nei pericoli, nel silenzioso servizio quotidiano nella famiglia, più ancora ai piedi della croce, ed è oggi modello di fortezza per tutti.

Gesù, l'Emmanuele, "Dio con noi" può trasformare la debolezza dell'uomo in fortezza, la croce nella gloria della resurrezione. Per quanto riguarda il dono del timore di Dio, occorre precisare che non si tratta della paura servile di chi non accetta la signoria divina e si chiude in se stesso, e ciò è sempre un dato negativo, piuttosto esso indica l’atteggiamento di colui che vuole aderire a Dio per timore del peccato quale offesa di Dio Padre e separazione dal suo amore salvifico. In tal senso il dono del timore è mosso e animato dalla virtù della carità , che spinge l’uomo ad allontanarsi dal male per non offendere il Signore e ad obbedire a Dio unicamente per amore, trovando in ciò la piena soddisfazione e il compimento della propria felicità. Il timore di Dio va capito in unione con la carità, che ne è come l’anima e il dinamismo interiore che gli offre gioia e freschezza.

I sette doni e le sette virtù costituiscono un tesoro spirituale immenso, che ogni cristiano porta dentro di sé, ma che purtroppo non viene sempre sufficientemente valorizzato e compreso. Da qui l’urgenza e l’importanza di riscoprirne e riviverne il significato e il valore, affinché esso rifiorisca nell’animo e sia utilizzato per la propria santificazione."

Venite, figli, ascoltatemi; vi insegnerò il timore del Signore"(Sal. 34,12)

Mentre l'amore ci fa accelerate il passo, il timore ci induce a guardare dove posiamo il passo per non cadere.

Il timore servile induce a fuggire il peccato per evitare le pene eterne dell'inferno: è un timore buono, che per molti uomini lontani da Dio rappresenta il primo passo verso la conversione e l'inizio dell'amore, è una grande difesa contro le tentazioni e le attrattive del male.

Il cristiano è mosso dall'amore divino ed è chiamato ad amare: quando l'amore elimina ogni timore, questo si trasforma tutto in amore.

Il cristiano dunque deve coltivare il santo timore di Dio, per avere una percezione forte del senso del peccato, per non avere paura " di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" ma avere santo timore di "Colui che può far perire e l'anima e il corpo...".

Il dono del timore è per eccellenza il dono della lotta contro il peccato.

lunedì 5 maggio 2008


MAGGIO MARIANO

Cari fratelli, stiamo alla scuola di Maria
per apprendere da essa come dimorare
quotidianamente dentro il Mistero

"Allora Maria disse:
L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio,
mio salvatore"

Omelia del Card. Carlo Caffarra
nella Solennità della B.V.di S. Luca
Cattedrale di San Pietro, 1 maggio 2008


1. "Allora Maria disse: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore". Cari fratelli, dobbiamo essere grati all’evangelista Luca di aver messo sulle labbra di Maria il cantico del Magnificat. In questo modo il divino autore delle Scritture ci fa il privilegio di entrare nel segreto di Maria, di conoscere il suo mondo intimo.

Siamo spinti a questa conoscenza non da empia curiosità, ma dal desiderio di ricevere da Maria un’intelligenza più profonda del Mistero ed il modo giusto di dimorarvi. "Infatti" scrive il venerabile Beda "nella Chiesa è invalsa la buona e salutare abitudine di cantare l’inno … poiché grazie a questa pratica il continuo ricordo dell’Incarnazione del Signore accenda ad ardente devozione l’anima dei fedeli" [Omelie sul Vangelo – Nell’Avvento 1,4, CN ed., Roma 1990, 65].

È necessario in primo luogo considerare attentamente il contesto in cui Maria elevò il suo cantico. Questo accade nell’incontro fra Elisabetta e Maria, al quale partecipa in modo mirabile anche il bambino non ancora nato e concepito nel grembo di Elisabetta. È il primo evento messianico, questo incontro, poiché Elisabetta e Giovanni sono i primi a sapere che Dio ha visitato il suo popolo, ed ha compiuto le promesse. Maria di Nazareth entra nella casa di Elisabetta e Zaccaria come madre del Figlio di Dio: "A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?".

Ma le parole più importanti, dal nostro punto di vista, dette da Elisabetta a Maria sono le seguenti: "E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore". Queste parole ci rivelano come Maria è entrata dentro al Mistero.

Il Concilio Vaticano II insegna: "A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede (Rom 16,26; cfr. Rom 1,5; 2Cor 10,5-6), per la quale l’uomo si abbandona a Dio tutto intero [se totum committit] liberamente" [Cost. dogm. Dei Verbum 5; EV 1/877]. Maria nel momento dell’annuncio dell’angelo si è abbandonata tutta intera a Dio che le rivelava il suo disegno di amore. La rivelazione riguardava il suo Figlio, ma – come insegna ancora il Concilio – "volle il Padre delle misericordie che l’accettazione della predestinata madre precedesse l’incarnazione"" [Cost. dogm. Lumen gentium 56; EV 1/430]. L’accettazione, il consenso mariano all’opera del Padre fu dato mediante la fede, così che – come amavano dire i Padri della Chiesa – Maria prima di concepire l’Unigenito nel suo corpo, l’aveva concepito nella mente.

Maria dunque nel momento in cui visita la cugina è già "coinvolta" dentro al Mistero; vi è già entrata e ne comincia a vedere, nella casa di Zaccaria, i gioiosi primordi. Come vi resta? come, con quali pensieri ed attitudini ella vi dimora? il cantico del Magnificat ce lo rivela. Esso in un certo senso ci dona la "teologia di Maria". Al riguardo mi limito solamente ad alcuni suggerimenti per la vostra meditazione e preghiera.

L’opera della salvezza è contemplata e magnificata come l’atto della misericordia: l’incontro del mistero della Gloria coll’abisso della miseria. Di questo evento Maria sente di farne esperienza.
L’atto di fede che l’ha introdotta nel Mistero, ora le dona un’intelligenza straordinaria del medesimo. La misericordia si estende di generazione in generazione, poiché l’amore del Padre per l’uomo accompagna questi lungo tutta la sua storia. Ed è un amore più potente di ogni male, di ogni deturpazione della dignità, in cui l’uomo, l’umanità, il mondo è coinvolto. È la potenza di una grazia che sovrabbonda là dove abbonda il male, il modo specifico in cui si rivela il Mistero e prende posizione nei confronti del mondo.

2. Cari fratelli, stiamo alla scuola di Maria per apprendere da essa come dimorare quotidianamente dentro il Mistero.

L’imposizione sacramentale delle mani ci ha introdotti nel dramma della redenzione dell’uomo, come segni efficaci della misericordia che "si estende di generazione in generazione". Come dobbiamo rimanervi? Come vi rimase Maria.

Ella vi rimase perché si è abbandonata tutta intera al Padre mediante l’obbedienza della fede. Tutto nella Chiesa, e dunque anche nel nostro ministero apostolico, è radicato nell’obbedienza mariana di fede. Cari fratelli, fuori di una "visione di una fede", la nostra vita sacerdotale perde ogni senso, anche se producesse frutti che il mondo legittima ed approva. Se l’occhio della fede si appanna, la coscienza che ciascuno ha di se stesso come sacerdote si oscura e si smarrisce.

Radicati e fondati nell’obbedienza della fede, ci collocheremo col nostro ministero nel posto giusto, come già vi dissi nell’omelia della Messa crismale. Nel punto cioè in cui la misericordia si incontra colla miseria; nel punto in cui "gli umili sono innalzati, gli affamati sono ricolmati di beni". Maria ha visto nella fede questo evento di grazia che, accaduto nel suo grembo, si riversava su ogni generazione, ed ha magnificato il Signore. Ciascuno di noi vede che in se stesso prima di tutto la misericordia ha sollevato la miseria e si stupisce quotidianamente di essere lo "strumento" di quella misericordia: "Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, ad esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna" [1Tim 1,16].

L’uomo ha bisogno di sentire nel nostro sacerdozio la vicinanza misericordiosa di Dio alla sua miseria. Solo in questo modo, possiamo parlare in maniera sensata di "salvezza" all’uomo di oggi, cui diventa sempre più difficile comprendere tale annuncio. Ma esso è il "centro" del Vangelo.È in questo "centro" che Maria ci educa a rimanere col suo Magnificat. Amen.

tratto dal sito: www.caffarra.it/omelia010508.php