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giovedì 12 luglio 2012
Pubblicato da
Templari di San Bernardo - Precettoria e Commanderia Lombardo Piacentina - Santa Maria del Tempio
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23:29

Indice:
Apologetica,
Apologetica Dialogo,
Approfondimenti spirituali,
Calendario incontri,
Cristiani perseguitati,
Finalità,
Formazione Spirituale,
Notizie,
Santo Padre,
Simboli,
Storia Templare,
Terrasanta
domenica 24 giugno 2012
domenica 4 dicembre 2011
LA SANTA COMUNIONE RICEVUTA SULLA LINGUA E IN GINOCCHIO

Dal 2008 Benedetto XVI ha ripreso l'antichissima tradizione per evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici e favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la presenza reale di Cristo nel sacramento
da Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa
La più antica prassi di distribuzione della Comunione è stata, con tutta probabilità, quella di dare la Comunione ai fedeli sul palmo della mano. La storia della liturgia evidenzia, tuttavia, anche il processo, iniziato abbastanza presto, di trasformazione di tale prassi. Sin dall'epoca dei Padri, nasce e si consolida una tendenza a restringere sempre più la distribuzione della Comunione sulla mano e a favorire quella sulla lingua. Il motivo di questa preferenza è duplice: da una parte, evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici; dall'altra, favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la presenza reale di Cristo nel sacramento.
All'uso di ricevere la Comunione solo sulla lingua fa riferimento anche san Tommaso d'Aquino, il quale afferma che la distribuzione del Corpo del Signore appartiene al solo sacerdote ordinato. Ciò per diversi motivi, tra i quali l'Angelico cita anche il rispetto verso il sacramento, che «non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento. A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di caso di necessità: se per esempio stesse per cadere per terra, o in altre contingenze simili» (Summa Theologiae, III, 82, 3).
Lungo i secoli, la Chiesa ha sempre cercato di caratterizzare il momento della Comunione con sacralità e somma dignità, sforzandosi costantemente di sviluppare nel modo migliore gesti esterni che favorissero la comprensione del grande mistero sacramentale. Nel suo premuroso amore pastorale, la Chiesa contribuisce a che i fedeli possano ricevere l'Eucaristia con le dovute disposizioni, tra le quali figura il comprendere e considerare interiormente la presenza reale di Colui che si va a ricevere (cf. Catechismo di san Pio X, nn. 628 e 636). Tra i segni di devozione propri ai comunicandi, la Chiesa d'Occidente ha stabilito anche lo stare in ginocchio. Una celebre espressione di sant'Agostino, ripresa al n. 66 della Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI, insegna: «Nessuno mangi quella carne [il Corpo eucaristico], se prima non l'ha adorata. Peccheremmo se non l'adorassimo» (Enarrationes in Psalmos, 98,9). Stare in ginocchio indica e favorisce questa necessaria adorazione previa alla ricezione di Cristo eucaristico.
In questa prospettiva, l'allora cardinale Ratzinger aveva assicurato che «la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall'adorazione» (Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo 2001, p. 86). Per questo, egli riteneva che «la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (cit. nella Lettera This Congregation della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, del 1° luglio 2002: EV 21, n. 666)
Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia, ha scritto al n. 61: «Dando all'Eucaristia tutto il rilievo che essa merita, e badando con ogni premura a non attenuarne alcuna dimensione o esigenza, ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. Ci invita a questo una tradizione ininterrotta, che fin dai primi secoli ha visto la comunità cristiana vigile nella custodia di questo "tesoro". [...] Non c'è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché "in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza"».
In continuità con l'insegnamento del suo Predecessore, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, il Santo Padre Benedetto XVI ha iniziato a distribuire ai fedeli il Corpo del Signore, direttamente sulla lingua e stando inginocchiati.
Fonte: Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa
sabato 27 novembre 2010
Sabato 27 novembre 2010
Veglia mondiale per la Vita Nascente
PAPA BENEDETTO XVI - VEGLIA PER LA VITA NASCENTE
Il nostro Papa presiederà il prossimo 27 novembre in San Pietro una Veglia per la difesa della Vita nascente.
Il nostro Papa presiederà il prossimo 27 novembre in San Pietro una Veglia per la difesa della Vita nascente.
Testimoniamo in preghiera e Comunione con il Santo Padre la volontà di difendere la Vita umana sin dal suo concepimento.
sabato 19 dicembre 2009
L'Avvento dei Templari
CON GESU' E CON LA SUA CHIESA
CON GESU' E CON LA SUA CHIESA
...Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo il dono immenso ricevuto il giorno in cui siamo stati battezzati! In quel momento Cristo ci ha legati per sempre a sé, ma, da parte nostra, continuiamo a restare uniti a Lui attraverso scelte coerenti con il Vangelo?
Non è facile essere cristiani! Ci vuole coraggio e tenacia per non conformarsi alla mentalità del mondo, per non lasciarsi sedurre dai richiami talvolta potenti dell'edonismo e del consumismo, per affrontare, se necessario, anche incomprensioni e talora persino vere persecuzioni.
Vivere il Battesimo comporta restare saldamente uniti alla Chiesa, pure quando vediamo nel suo volto qualche ombra e qualche macchia. È lei che ci ha rigenerati alla vita divina e ci accompagna in tutto il nostro cammino: amiamola, amiamola come nostra vera madre! Amiamola e serviamola con un amore fedele, che si traduca in gesti concreti all'interno delle nostre comunità, non cedendo alla tentazione dell'individualismo e del pregiudizio, e superando ogni rivalità e divisione. Così saremo veri discepoli di Cristo!
(tratto dal discorso del Santo Padre Benedetto XVI durante la visita alla Parrocchia Sant'Antonino, dove fu battezzato Giovanni Battista Montini. Concesio 8/11/2009 )
Non è facile essere cristiani! Ci vuole coraggio e tenacia per non conformarsi alla mentalità del mondo, per non lasciarsi sedurre dai richiami talvolta potenti dell'edonismo e del consumismo, per affrontare, se necessario, anche incomprensioni e talora persino vere persecuzioni.
Vivere il Battesimo comporta restare saldamente uniti alla Chiesa, pure quando vediamo nel suo volto qualche ombra e qualche macchia. È lei che ci ha rigenerati alla vita divina e ci accompagna in tutto il nostro cammino: amiamola, amiamola come nostra vera madre! Amiamola e serviamola con un amore fedele, che si traduca in gesti concreti all'interno delle nostre comunità, non cedendo alla tentazione dell'individualismo e del pregiudizio, e superando ogni rivalità e divisione. Così saremo veri discepoli di Cristo!
(tratto dal discorso del Santo Padre Benedetto XVI durante la visita alla Parrocchia Sant'Antonino, dove fu battezzato Giovanni Battista Montini. Concesio 8/11/2009 )
venerdì 23 ottobre 2009
SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Udienza GeneralePiazza San PietroMercoledì, 21 ottobre 2009
San Bernardo di Chiaravalle
"...per Mariam ad Iesum"
Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei parlare su san Bernardo di Chiaravalle, chiamato “l’ultimo dei Padri” della Chiesa, perché nel XII secolo, ancora una volta, rinnovò e rese presente la grande teologia dei Padri. Non conosciamo in dettaglio gli anni della sua fanciullezza; sappiamo comunque che egli nacque nel 1090 a Fontaines in Francia, in una famiglia numerosa e discretamente agiata. Giovanetto, si prodigò nello studio delle cosiddette arti liberali – specialmente della grammatica, della retorica e della dialettica – presso la scuola dei Canonici della chiesa di Saint-Vorles, a Châtillon-sur-Seine e maturò lentamente la decisione di entrare nella vita religiosa. Intorno ai vent’anni entrò a Cîteaux, una fondazione monastica nuova, più agile rispetto agli antichi e venerabili monasteri di allora e, al tempo stesso, più rigorosa nella pratica dei consigli evangelici. Qualche anno più tardi, nel 1115, Bernardo venne inviato da santo Stefano Harding, terzo Abate di Cîteaux, a fondare il monastero di Chiaravalle (Clairvaux). Qui il giovane Abate, aveva solo venticinque anni, poté affinare la propria concezione della vita monastica, e impegnarsi nel tradurla in pratica. Guardando alla disciplina di altri monasteri, Bernardo richiamò con decisione la necessità di una vita sobria e misurata, nella mensa come negli indumenti e negli edifici monastici, raccomandando il sostentamento e la cura dei poveri. Intanto la comunità di Chiaravalle diventava sempre più numerosa, e moltiplicava le sue fondazioni.
In quegli stessi anni, prima del 1130, Bernardo avviò una vasta corrispondenza con molte persone, sia importanti che di modeste condizioni sociali. Alle tante Lettere di questo periodo bisogna aggiungere numerosi Sermoni, come anche Sentenze e Trattati. Sempre a questo tempo risale la grande amicizia di Bernardo con Guglielmo, Abate di Saint-Thierry, e con Guglielmo di Champeaux, figure tra le più importanti del XII secolo. Dal 1130 in poi, iniziò a occuparsi di non pochi e gravi questioni della Santa Sede e della Chiesa. Per tale motivo dovette sempre più spesso uscire dal suo monastero, e talvolta fuori dalla Francia. Fondò anche alcuni monasteri femminili, e fu protagonista di un vivace epistolario con Pietro il Venerabile, Abate di Cluny, sul quale ho parlato mercoledì scorso. Diresse soprattutto i suoi scritti polemici contro Abelardo, un grande pensatore che ha iniziato un nuovo modo di fare teologia, introducendo soprattutto il metodo dialettico-filosofico nella costruzione del pensiero teologico. Un altro fronte contro il quale Bernardo ha lottato è stata l’eresia dei Catari, che disprezzavano la materia e il corpo umano, disprezzando, di conseguenza, il Creatore. Egli, invece, si sentì in dovere di prendere le difese degli ebrei, condannando i sempre più diffusi rigurgiti di antisemitismo. Per quest’ultimo aspetto della sua azione apostolica, alcune decine di anni più tardi, Ephraim, rabbino di Bonn, indirizzò a Bernardo un vibrante omaggio. In quel medesimo periodo il santo Abate scrisse le sue opere più famose, come i celeberrimi Sermoni sul Cantico dei Cantici. Negli ultimi anni della sua vita – la sua morte sopravvenne nel 1153 – Bernardo dovette limitare i viaggi, senza peraltro interromperli del tutto. Ne approfittò per rivedere definitivamente il complesso delle Lettere, dei Sermoni e dei Trattati. Merita di essere menzionato un libro abbastanza particolare, che egli terminò proprio in questo periodo, nel 1145, quando un suo allievo, Bernardo Pignatelli, fu eletto Papa col nome di Eugenio III. In questa circostanza, Bernardo, in qualità di Padre spirituale, scrisse a questo suo figlio spirituale il testo De Consideratione, che contiene insegnamenti per poter essere un buon Papa. In questo libro, che rimane una lettura conveniente per i Papi di tutti i tempi, Bernardo non indica soltanto come fare bene il Papa, ma esprime anche una profonda visione del mistero della Chiesa e del mistero di Cristo, che si risolve, alla fine, nella contemplazione del mistero di Dio trino e uno: “Dovrebbe proseguire ancora la ricerca di questo Dio, che non è ancora abbastanza cercato”, scrive il santo Abate “ma forse si può cercare meglio e trovare più facilmente con la preghiera che con la discussione. Mettiamo allora qui termine al libro, ma non alla ricerca” (XIV, 32: PL 182, 808), all’essere in cammino verso Dio.
Vorrei ora soffermarmi solo su due aspetti centrali della ricca dottrina di Bernardo: essi riguardano Gesù Cristo e Maria santissima, sua Madre. La sua sollecitudine per l’intima e vitale partecipazione del cristiano all’amore di Dio in Gesù Cristo non porta orientamenti nuovi nello statuto scientifico della teologia. Ma, in maniera più che mai decisa, l’Abate di Clairvaux configura il teologo al contemplativo e al mistico. Solo Gesù – insiste Bernardo dinanzi ai complessi ragionamenti dialettici del suo tempo – solo Gesù è “miele alla bocca, cantico all’orecchio, giubilo nel cuore (mel in ore, in aure melos, in corde iubilum)”. Viene proprio da qui il titolo, a lui attribuito dalla tradizione, di Doctor mellifluus: la sua lode di Gesù Cristo, infatti, “scorre come il miele”. Nelle estenuanti battaglie tra nominalisti e realisti – due correnti filosofiche dell’epoca - l’Abate di Chiaravalle non si stanca di ripetere che uno solo è il nome che conta, quello di Gesù Nazareno. “Arido è ogni cibo dell’anima”, confessa, “se non è irrorato con questo olio; insipido, se non è condito con questo sale. Quello che scrivi non ha sapore per me, se non vi avrò letto Gesù”. E conclude: “Quando discuti o parli, nulla ha sapore per me, se non vi avrò sentito risuonare il nome di Gesù” (Sermones in Cantica Canticorum XV, 6: PL 183,847). Per Bernardo, infatti, la vera conoscenza di Dio consiste nell’esperienza personale, profonda di Gesù Cristo e del suo amore. E questo, cari fratelli e sorelle, vale per ogni cristiano: la fede è anzitutto incontro personale, intimo con Gesù, è fare esperienza della sua vicinanza, della sua amicizia, del suo amore, e solo così si impara a conoscerlo sempre di più, ad amarlo e seguirlo sempre più. Che questo possa avvenire per ciascuno di noi!
In un altro celebre Sermone nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione, il santo Abate descrive in termini appassionati l’intima partecipazione di Maria al sacrificio redentore del Figlio. “O santa Madre, - egli esclama - veramente una spada ha trapassato la tua anima!... A tal punto la violenza del dolore ha trapassato la tua anima, che a ragione noi ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio superò di molto nell’intensità le sofferenze fisiche del martirio” (14: PL 183,437-438). Bernardo non ha dubbi: “per Mariam ad Iesum”, attraverso Maria siamo condotti a Gesù. Egli attesta con chiarezza la subordinazione di Maria a Gesù, secondo i fondamenti della mariologia tradizionale. Ma il corpo del Sermone documenta anche il posto privilegiato della Vergine nell’economia della salvezza, a seguito della particolarissima partecipazione della Madre (compassio) al sacrificio del Figlio. Non per nulla, un secolo e mezzo dopo la morte di Bernardo, Dante Alighieri, nell’ultimo canto della Divina Commedia, metterà sulle labbra del “Dottore mellifluo” la sublime preghiera a Maria: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,/umile ed alta più che creatura,/termine fisso d’eterno consiglio, …” (Paradiso 33, vv. 1ss.).
Queste riflessioni, caratteristiche di un innamorato di Gesù e di Maria come san Bernardo, provocano ancor oggi in maniera salutare non solo i teologi, ma tutti i credenti. A volte si pretende di risolvere le questioni fondamentali su Dio, sull’uomo e sul mondo con le sole forze della ragione. San Bernardo, invece, solidamente fondato sulla Bibbia e sui Padri della Chiesa, ci ricorda che senza una profonda fede in Dio, alimentata dalla preghiera e dalla contemplazione, da un intimo rapporto con il Signore, le nostre riflessioni sui misteri divini rischiano di diventare un vano esercizio intellettuale, e perdono la loro credibilità. La teologia rinvia alla “scienza dei santi”, alla loro intuizione dei misteri del Dio vivente, alla loro sapienza, dono dello Spirito Santo, che diventano punto di riferimento del pensiero teologico. Insieme a Bernardo di Chiaravalle, anche noi dobbiamo riconoscere che l’uomo cerca meglio e trova più facilmente Dio “con la preghiera che con la discussione”. Alla fine, la figura più vera del teologo e di ogni evangelizzatore rimane quella dell’apostolo Giovanni, che ha poggiato il suo capo sul cuore del Maestro.
Vorrei concludere queste riflessioni su san Bernardo con le invocazioni a Maria, che leggiamo in una sua bella omelia. “Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, - egli dice - pensa a Maria, invoca Maria. Ella non si parta mai dal tuo labbro, non si parta mai dal tuo cuore; e perché tu abbia ad ottenere l'aiuto della sua preghiera, non dimenticare mai l'esempio della sua vita. Se tu la segui, non puoi deviare; se tu la preghi, non puoi disperare; se tu pensi a lei, non puoi sbagliare. Se ella ti sorregge, non cadi; se ella ti protegge, non hai da temere; se ella ti guida, non ti stanchi; se ella ti è propizia, giungerai alla meta...” (Hom. II super «Missus est», 17: PL 183, 70-71).
martedì 21 aprile 2009
19 Aprile 2009
ANNIVERSARIO
ANNIVERSARIO
Benedetto XVI, quattro anni al servizio della verità
«Nell’intraprendere il suo ministero il nuovo Papa sa che suo compito è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo», scandiva mercoledì 20 aprile 2005 Benedetto XVI nel suo primo messaggio, al termine della Messa nella Cappella Sistina con i cardinali che il giorno prima lo avevano eletto. Sono passati quattro anni da quelle ore memorabili che videro il successore di Karol Wojtyla additare fra i cardini del proprio pontificato l’attuazione del Vaticano II, l’impegno per la «piena e visibile unità» dei cristiani, il «dialogo aperto e sincero» con gli ebrei, con i fedeli di altre religioni, con i non credenti appassionati al «vero bene» dell’uomo e della società. «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore», aveva detto con voce commossa il giorno precedente, martedì 19 aprile 2005, benedicendo i fedeli che affollavano piazza San Pietro. «Mi consola il fatto – aveva aggiunto – che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere». Una richiesta che avrebbe rinnovato pochi giorni dopo, domenica 24 aprile, nella Messa per l’inizio del ministero petrino. Già lunedì 18 aprile l’allora decano del Collegio cardinalizio Joseph Ratzinger, nella Missa Pro Eligendo Romano Pontifice, aveva chiamato alla preghiera perché la Chiesa potesse ricevere, dopo Wojtyla, com’era stato con Wojtyla, il dono di un pastore «secondo il cuore» del Signore. Per annunciare a tutti che «incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio». E che «quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza». E che di fronte alla crescente «dittatura del relativismo» possiamo trovare nel «Figlio di Dio, il vero uomo», la «misura del vero umanesimo».
Un «apostolo» fra le gentiQuattro anni dopo quelle espressioni possono essere d’aiuto per rileggere – senza pretesa alcuna di esaustività – gli ultimi dodici mesi di pontificato di Ratzinger. Dodici mesi intensissimi. Che hanno intrecciato momenti di vera gioia con altri di prova e di sofferenza. Ma sempre per far risplendere la «luce di Cristo». L’Anno Paolino, aperto il 28 giugno 2008 con Bartolomeo I e gli esponenti di altre Chiese e comunità ecclesiali. Il Sinodo sulla Parola di Dio, nell’ottobre scorso, che ha chiamato in Vaticano al reciproco ascolto non solo vescovi da tutto il mondo ma anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli e un rabbino. I quattro grandi viaggi internazionali: negli Stati Uniti e all’Onu (15-21 aprile 2008); a Sydney, in Australia (12-21 luglio 2008), per la Giornata mondiale della gioventù; in Francia (12-15 settembre), a Parigi e poi a Lourdes, nel 150° delle apparizioni mariane; in Camerun e in Angola (17-23 marzo 2009), la «prima» di papa Ratzinger in Africa. Le quattro visite pastorali in Italia: a Savona e Genova (17-18 maggio 2008), a Santa Maria di Leuca e Brindisi (14-15 giugno 2008), a Cagliari (7 settembre 2008) e a Pompei (19 ottobre 2008).La misericordia e la chiarezzaFra tante occasioni gioiose, una vicenda che voleva essere un «gesto discreto di misericordia», mentre invece è stata accolta, non da pochi, anche dentro la Chiesa, con inquietudine e perplessità: la remissione (con decreto del 21 gennaio 2009) della scomunica ai quattro vescovi consacrati nel 1988 dall’arcivescovo Lefebvre. Una vicenda che si è sovrapposta col «caso Williamson», dal nome del presule lefebvriano negazionista, e con precedenti polemiche legate alla preghiera pro Judaeis del Venerdì santo secondo il rito antico. Benedetto XVI, dolorosamente colpito dalle accuse di voler tornare indietro, a prima del Vaticano II, e di rimettere in discussione il dialogo con gli ebrei, ha saputo offrire una «parola chiarificatrice» con un gesto coraggioso e inedito: una Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica (10 marzo 2009) in cui ha spiegato respiro, obiettivi e limiti della remissione della scomunica. Parole lucide e accorate per ribadire la sua sollecitudine verso l’unità e la riconciliazione, assieme alla priorità che interpella il ministero petrino e la Chiesa intera: «rendere Dio presente in questo mondo» e «aprire agli uomini l’accesso a Dio», in tempi in cui «in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento».
La richiesta di preghiera e consiglioA turbare e addolorare il Papa non furono solo talune ostinazioni e opposizioni reiterate dalla Fraternità San Pio X riguardo all’accoglienza del Vaticano II e del successivo magistero dei Pontefici – fin qui poco di nuovo sotto il sole – ma anche alcune aspre reazioni scaturite dall’interno della comunità ecclesiale che Ratzinger stigmatizzò con accorata severità visitando il Seminario Romano Maggiore il 20 febbraio scorso, quando denunciò quegli atteggiamenti di arroganza e superbia che lacerano la Chiesa riducendola a «caricatura» di se stessa. Non meno accorate le parole con cui – all’Angelus del 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro – chiese ai fedeli di accompagnare nella preghiera il suo servizio alla comunione e all’unità della Chiesa, così come quelle pronunciate il 29 marzo nella parrocchia romana del Santo Volto alla Magliana, quando disse che «il consiglio è un dono dello Spirito Santo e un parroco, tanto più un Papa, ha bisogno di consiglio, di essere aiutato nel trovare le decisioni».
Alla radice del vero umanesimoQuelle parole non sono cadute nel vuoto. Numerose sono state negli ultimi mesi le espressioni di solidarietà giunte da vescovi, associazioni, movimenti, semplici fedeli, oltre che da autorevoli esponenti del mondo ebraico. Accoglienza gioiosa della sua persona e del suo insegnamento, spesso oltre le aspettative, sono emerse proprio durante i viaggi che – spiegò il Papa nel discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2008 – offrono la possibilità di rendere «pubblicamente percepibile» non solo la Chiesa ma anzitutto «la questione su Dio» e la sua «presenza» nell’«attuale ora della storia». Occasioni per ribadire il fondamento inviolabile della dignità umana che trascende la pluralità delle culture, come fu nel discorso alle Nazioni Unite. Per riscoprire le radici della gioia autentica, dono dello Spirito, come avvenne a Sydney con i giovani di tutto il mondo. Per rilanciare il «messaggio di conversione e di amore che si irradia» da Lourdes e apre le persone e i popoli a relazioni di fraternità; per additare – come fece a Parigi – il senso di una «sana laicità» e il ruolo della religione quale «solido fondamento per la costruzione di una società più giusta e più libera» (discorso agli ambasciatori, 8 gennaio 2009). Per incoraggiare i popoli – come fece in Africa – alla riconciliazione, alla giustizia, alla democrazia, alla tutela della vita, alla scoperta della pienezza e autenticità dell’amore tra l’uomo e la donna. Parole che nemmeno le incomprensioni e le polemiche sulle affermazioni del Papa in materia di prevenzione dell’Aids sono riuscite a spegnere. Ratzinger, si rammenterà, ad una domanda dei giornalisti con lui sull’aereo, aveva detto come per superare il problema dell’Aids non bastano i soldi, «pur necessari», né la «distribuzione di preservativi»; la via è invece l’«umanizzazione della sessualità», insieme alla «vera amicizia» con le «persone sofferenti». Educare. E prendersi cura. Parole che hanno scatenato polemiche, soprattutto in Occidente. E consenso, a partire dall’Africa e da vasti, autorevoli settori della comunità scientifica.
Ora in Abruzzo e in Terra SantaSe nei viaggi si manifesta con maggiore evidenza il respiro universale del suo magistero, vi sono poi le innumerevoli occasioni di magistero «ordinario» offerte nelle udienze, catechesi, omelie, Angelus, lettere, incontri pubblici e privati che strutturano la fitta «agenda» del Papa e che lo hanno visto toccare temi cruciali – dal valore della vita alla salvaguardia del creato, dalla libertà religiosa alla lotta alla povertà; dalla relazione fede-ragione alle sfide della secolarizzazione, del materialismo, del nichilismo; dagli orizzonti della «legge naturale» ai destini della democrazia e alle responsabilità della scienza di fronte all’identità profonda dell’umano... Così è stato con le riflessioni offerte durante l’ultimo Triduo pasquale – la gioia della Risurrezione, la sua «realtà storica», la «luce» del Risorto per un’umanità disorientata... Lontana dallo sguardo dei media c’è poi la quotidianità fatta di preghiera, studio, colloqui, decisioni da prendere, lavoro oscuro e nascosto – com’è la gestazione della terza enciclica dedicata ai temi sociali. Tutto perché possa risplendere «non la propria luce, ma quella di Cristo». Che fra pochi giorni, il 28 aprile, il Papa recherà all’Abruzzo ferito dal sisma. E che a maggio attingerà nella stessa terra del Nazareno, dove sarà pellegrino di pace e di riconciliazione.
Lorenzo Rosoli - da AVVENIRE
Lorenzo Rosoli - da AVVENIRE
martedì 17 marzo 2009
venerdì 13 marzo 2009

LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA RIGUARDO ALLA REMISSIONE DELLA SCOMUNICA DEI 4 VESCOVI CONSACRATI DALL'ARCIVESCOVO LEFEBVRE
Cari Confratelli nel ministero episcopale!
La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell'anno 1988 dall'Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per molteplici ragioni ha suscitato all'interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento verificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle questioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli in linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizione del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione circa la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa.
Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all'improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio - passi la cui condivisione e promozione fin dall'inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace all'interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l'internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l'atmosfera di amicizia e di fiducia, che - come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II - anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere.
Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un'Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l'unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all'unità. A vent'anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra persona ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall'ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l'istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri - anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica - non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa.
Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" - istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa - con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l'accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali la Congregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la consueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale) garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane e dei rappresentanti dell'Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere. Non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l'intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l'albero vive.
Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo come anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimane la questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu . conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: "Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) - in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.
Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l'unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani - per l'ecumenismo - è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce - è questo il dialogo interreligioso. Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimonianza dell'amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l'odio e l'inimicizia - è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell'Enciclica Deus caritas est.Se dunque l'impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l'amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che "ha qualche cosa contro di te" (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione? Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro eventuali aderenti - per quanto possibile - nelle grandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l'impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l'insieme? Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l'insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l'intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l'amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell'unità? Che ne sarà poi?
Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest'occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un'apertura dei cuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell'ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l'impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcunoosa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo.
Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e commentare il brano di Gal 5, 13 - 15. Ho notato con sorpresa l'immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: "Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!" Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l'uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l'amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fiducia. Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà - anche in tempi turbolenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento vale anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua.
Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo
Vostro nel Signore
BENEDETTO PP. XVI
martedì 7 ottobre 2008
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Benedetto XVI inaugura il Sinodo dei Vescovi:
“Il male non avrà mai l’ultima parola, la vittoria finale sarà di Cristo anche se il mondo ha messo da parte Dio preferendo ingiustizia e violenza”
di Gianluca Barile
CITTA’ DEL VATICANO - Con una solenne concelebrazione nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI ha aperto la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che affrontera' in Vaticano il tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Con il Papa, 326 concelebranti: 52 Cardinali, 14 Patriarchi delle Chiese Orientali, 45 Arcivescovi, 130 Vescovi e 85 Presbiteri (di cui 12 Padri Sinodali, 5 Officiali della Segreteria Generale, 30 Uditori, 5 Esperti, 4 Addetti stampa, 24 Assistenti e 5 traduttori). I lavori termineranno fino al 26 ottobre. "Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una societa' dove regnino la liberta’, la giustizia e la pace?", e’ stato l’interrogativo posto dal Pontefice all’inizio dell’omelia. Benedetto XVI e’ partito dall’amara constatazione che "la cronaca quotidiana dimostra ampiamente che si estendono l'arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l'ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione". "Il punto d'arrivo - ha affermato il Santo Padre - e' che l'uomo si ritrova piu' solo e la societa' piu' divisa e confusa". Per il Papa, dunque, occorre chiedersi se "quando l'uomo elimina Dio dal proprio orizzonte e' veramente piu' felice? Diventa veramente piu' libero?". Nella societa' odierna, ha denunciato Benedetto XVI, "vi e' chi, avendo deciso che 'Dio e' morto', dichiara dio se stesso, ritenendosi l'unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo: sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l'uomo crede di poter fare cio' che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire". "Quando Dio parla - ha scandito il Papa - sollecita sempre una risposta; la sua azione di salvezza richiede l'umana cooperazione; il suo amore attende corrispondenza. Che non debba mai accadere, cari fratelli e sorelle, quanto narra il testo biblico a proposito della vigna!". Ma l'umanita' non deve perdere la speranza: il Vangelo, ha detto il Santo Padre, ci da' un "consolante messaggio: la certezza che il male e la morte non hanno l'ultima parola, ma a vincere alla fine e' Cristo. Sempre". Purtroppo, pero’, "Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identita', sotto l'influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna". "Se guardiamo la storia - ha osservato Benedetto XVI -, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di cio', Dio, pur non venendo mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E' spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunita' cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia". "Non potrebbe avvenire la stessa cosa - si e' domandato il Pontefice - in questa nostra epoca?". In proposito, il Papa ha evocato la parabola della vigna i cui operai "vengono maltrattati e persino uccisi" dai nemici del padrone. La stessa sorte, ha detto, riservata nella storia "al popolo eletto e ai profeti inviati da Dio". Ma non solo: ancora oggi, "il disprezzo per l'ordine impartito dal Padrone si trasforma in disprezzo verso di lui: non e' la semplice disubbidienza ad un precetto divino, e' il vero e proprio rigetto di Dio". Secondo Benedetto XVI, "quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo di pensare e di agire; interpella, in modo speciale, i popoli che hanno ricevuto l'annuncio del Vangelo" e che oggi sono messi a dura prova dal processo di secolarizzazione, fino a rischiare di perdere la propria identita' cristiana. Ma "nelle parole di Gesu' vi e' una promessa: la vigna non sara' distrutta". Infatti, "mentre abbandona al loro destino i vignaioli infedeli, il Padrone non si distacca dalla sua vigna e l'affida ad altri suoi servi fedeli. Questo indica che se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi, vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla: la vigna continuera' allora a produrre uva e sara' data in affitto dal padrone ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo". Intanto, in questo Anno Paolino "sentiremo risuonare con particolare urgenza il grido dell'Apostolo delle genti: 'Guai a me se non predicassi il Vangelo'; grido che per ogni cristiano diventa invito insistente a porsi al servizio di Cristo", ha quindi esortato il Papa citando l'invocazione "rogate" pronunciata da Gesu' nel Vangelo: "La messe e' molta - ha evidenziato Benedetto XVI - ripete anche oggi il Divin Maestro: tanti non lo hanno ancora incontrato e sono in attesa del primo annuncio del suo Vangelo; altri, pur avendo ricevuto una formazione cristiana, si sono affievoliti nell'entusiasmo e conservano con la Parola di Dio un contatto superficiale; altri ancora si sono allontanati dalla pratica della fede e necessitano di una nuova evangelizzazione. Non mancano poi - ha elencato il Pontefice - persone di retto sentire che si pongono domande essenziali sul senso della vita e della morte, domande alle quali solo Cristo puo' fornire risposte appaganti. Diviene allora indispensabile per i cristiani di ogni continente essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che e' in loro, annunciando con gioia la Parola di Dio e vivendo senza compromessi il Vangelo". Da parte sua, ha assicurato il Santo Padre, "la Chiesa non si stanca di proclamare questa Buona Novella, come avviene anche quest'oggi, in questa Basilica dedicata all'Apostolo delle genti, che per primo diffuse il Vangelo in vaste regioni dell'Asia minore e dell'Europa". "Rinnoveremo in modo significativo questo annuncio - ha promesso il Papa - durante tutta la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha come tema 'La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa'. L'Assemblea sinodale volgera' la sua attenzione a questa verita' fondamentale per la vita e la missione della Chiesa: nutrirsi della Parola di Dio e' per essa il compito primo e fondamentale". Infatti, "se l'annuncio del Vangelo costituisce la sua ragione d'essere e la sua missione, e' indispensabile che la Chiesa conosca e viva cio' che annuncia, perche' la sua predicazione sia credibile, nonostante le debolezze e le poverta' degli uomini che la compongono". Conclusa la concelebrazione dell'Eucaristia con tutti i membri del Sinodo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI e' rientrato in Vaticano per recitare l'Angelus con gli oltre 50.000 fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Nel breve discorso pronunciato dalla finestra dello studio privato, ha richiamato l’attenzione "sul valore e la funzione di questa particolare assemblea di Vescovi, scelti in modo da rappresentare tutto l'episcopato e convocati per apportare al Successore di Pietro un aiuto piu' efficace, manifestando e consolidando al tempo stesso la comunione ecclesiale. Si tratta - ha continuato il Papa - di un organismo importante, istituito nel settembre del 1965 dal mio venerato predecessore il servo di Dio Paolo VI, durante l'ultima fase del Concilio Vaticano II, per attuarne una consegna contenuta nel Decreto sul ministero dei Vescovi". "Per l'Assemblea sinodale ordinaria - ha sottolineato ancora il Pontefice -, accogliendo autorevoli pareri in tal senso, ho scelto il tema della Parola di Dio da approfondire, in prospettiva pastorale, nella vita e nella missione della Chiesa. Ampia e' stata la partecipazione alla fase preparatoria da parte delle Chiese particolari di tutto il mondo, che hanno inviato i loro contributi alla Segreteria del Sinodo, la quale a sua volta ha elaborato l''Instrumentum laboris', documento su cui si confronteranno i 253 Padri sinodali: 51 dell'Africa, 62 dell'America, 41 dell'Asia, 90 dell'Europa e 9 dell'Oceania. Ad essi si aggiungono numerosi esperti e uditori, uomini e donne, come pure i 'delegati fraterni' delle altre Chiese e Comunita' ecclesiali e alcuni invitati speciali". "Cari fratelli e sorelle - e’ stato il suo appello -, vi invito tutti a sostenere i lavori del Sinodo con la vostra preghiera, invocando specialmente la materna intercessione della Vergine Maria, perfetta Discepola della divina Parola". Ma quali sono le finalita’ del Sinodo? E’ stato il Papa stesso a rispondere: "Favorire una stretta unione e collaborazione tra il Papa e i Vescovi di tutto il mondo; fornire informazioni dirette ed esatte circa la situazione e i problemi della Chiesa; favorire l'accordo sulla dottrina e sull'azione pastorale; affrontare tematiche di grande importanza ed attualità". "Tali diversi compiti - ha rimarcato Benedetto XVI - vengono coordinati da una Segreteria permanente, che opera in diretta e immediata dipendenza dall'autorita' del Vescovo di Roma". "La dimensione sinodale e' costitutiva della Chiesa - ha proseguito il Santo Padre -: essa consiste nel convenire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: Io sono la Via, la Verita' e la Vita". L'etimologia della parola Sinodo, ha infine rammentato il Pontefice, "suggerisce l'idea del 'fare strada insieme', ed e' proprio questa l'esperienza del Popolo di Dio nella storia della salvezza". Il Papa, sempre all’Angelus, ha tenuto a sottolineare che la lettura integrale della Bibbia promossa dalla Rai rappresenta per lui un "evento che ben si affianca al Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio". "Io stesso - ha annunciato dopo la tradizionale preghiera mariana - daro' avvio alla lettura del primo capitolo del Libro della Genesi. La Parola di Dio potra' cosi' entrare nelle case per accompagnarsi alla vita delle famiglie e delle singole persone: un seme che, se bene accolto, non manchera' di portare frutti abbondanti". Benedetto XVI ha inoltre ricordato che questa "singolare iniziativa" dal titolo "Bibbia giorno e notte" consiste "nella lettura continua di tutta la Bibbia, per sette giorni e sei notti, fino a sabato prossimo, 11 ottobre, in diretta televisiva. La sede sara' la Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, e i lettori che si susseguiranno saranno quasi 1.200, di 50 Paesi diversi, in parte scelti con criterio ecumenico e molti che si sono liberamente iscritti". Al termine dell'Angelus, Benedetto XVI ha inoltre voluto ringraziare gli animatori della missione "Gesu' al Centro", un'iniziativa ideata da Monsignor Mauro Parmeggiani, il responsabile della pastorale giovanile del Vicariato di Roma che proprio in queste ore entra nella diocesi di Tivoli come nuovo Vescovo. "Cari amici - ha detto il Papa ai volontari della pastorale giovanile -, vi ringrazio e vi incoraggio perseverare nella vostra testimonianza al Vangelo". "Con affetto" il Pontefice ha poi salutato anche "i giovani che partecipano al Meeting Vincenziano organizzato dalle Figlie della Carita' di San Vincenzo de' Paoli della Provincia Romana: cari ragazzi e ragazze - li ha esortati -, imparate dai Santi ad amare la Chiesa e i poveri". Il Santo Padre ha infine manifestato la propria vicinanza ai promotori della Giornata per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
martedì 23 settembre 2008
La logica di Dio non è la logica del mondo
A mezzogiorno di domenica 21 settembre, rientrato dalla messa celebrata ad Albano, il Papa ha guidato la preghiera dell'Angelus con i fedeli nel cortile del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo.
Cari fratelli e sorelle, forse ricorderete che quando, nel giorno della mia elezione, mi rivolsi alla folla in Piazza San Pietro, mi venne spontaneo presentarmi come un operaio della vigna del Signore. Ebbene, nel Vangelo di oggi (cfr. Mt 20, 1-16a), Gesù racconta proprio la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna. E alla sera dà a tutti la stessa paga, un denaro, suscitando la protesta di quelli della prima ora. È chiaro che quel denaro rappresenta la vita eterna, dono che Dio riserva a tutti. Anzi, proprio quelli che sono considerati "ultimi", se lo accettano, diventano "primi", mentre i "primi" possono rischiare di finire "ultimi". Un primo messaggio di questa parabola sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione: vuole che tutti siano impegnati nella sua vigna. E in realtà l'essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore, mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Ma lo capisce solo chi ama il Signore e il suo Regno; chi invece lavora unicamente per la paga non si accorgerà mai del valore di questo inestimabile tesoro. A narrare la parabola è san Matteo, apostolo ed evangelista, di cui tra l'altro ricorre proprio oggi la festa liturgica. Mi piace sottolineare che Matteo, in prima persona, ha vissuto questa esperienza (cfr. Mt 9, 9). Egli infatti, prima che Gesù lo chiamasse, faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla "vigna del Signore". Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: "Seguimi". Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò immediatamente discepolo di Cristo. Da "ultimo" si trovò "primo", grazie alla logica di Dio, che - per nostra fortuna! - è diversa da quella del mondo. "I miei pensieri non sono i vostri pensieri - dice il Signore per bocca del profeta Isaia -, / le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55, 8). Anche san Paolo, del quale stiamo celebrando un particolare Anno giubilare, ha sperimentato la gioia di sentirsi chiamato dal Signore a lavorare nella sua vigna. E quanto lavoro ha compiuto! Ma, come egli stesso confessa, è stata la grazia di Dio a operare in lui, quella grazia che da persecutore della Chiesa lo trasformò in apostolo delle genti. Tanto da fargli dire: "Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno". Subito però aggiunge: "Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere" (Fil 1, 21-22). Paolo ha compreso bene che operare per il Signore è già su questa terra una ricompensa. La Vergine Maria, che una settimana fa ho avuto la gioia di venerare a Lourdes, è tralcio perfetto della vigna del Signore. Da lei è germogliato il frutto benedetto dell'amore divino: Gesù, nostro Salvatore. Ci aiuti Lei a rispondere sempre e con gioia alla chiamata del Signore, e a trovare la nostra felicità nel poter faticare per il Regno dei cieli.
(©L'Osservatore Romano - 22-23 settembre 2008)
mercoledì 17 settembre 2008

Informazioni e notizie dal mondo cattolico
Papa: “cercare Dio” resta il fondamento di ogni cultura
Nel primo giorno del suo viaggio in Francia, Benedetto XVI parlando al mondo della cultura afferma che la libertà non è solo come la mancanza totale di legami, come oggi si tende a pensare, favorendo con ciò “inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio”. Nell’essere espressione del Logos, della Ragione, la Bibbia, “secondo la sua natura esclude tutto ciò che oggi viene chiamato fondamentalismo”.
Parigi (AsiaNews) - Una società che rinuncia a “cercare Dio”, rinuncia con ciò stesso alle possibilità più alte della ragione, va verso un “tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi”. Per la cultura europea è l’abbandono di ciò che l’ha fatta grande e che trae origine da quel monachesimo che ha salvato e diffuso la lettura, la scrittura, la musica, l’architettura e, soprattutto, la volontà di ricercare il fine ultimo, superando le cose “penultime”. Ed è al tempo stesso un modo per comprendere che la libertà non è solo come la mancanza totale di legami, come oggi si tende a pensare, favorendo con ciò “inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio. Mancanza di legame e arbitrio non sono la libertà, ma la sua distruzione”.
E’ una lezione di storia del monachesimo e dei perché del suo ruolo fondatore della cultura europea il lungo e articolato discorso che Benedetto XVI ha fatto oggi pomeriggio a 700 esponenti della cultura francese ed europea, incontrati nel primo giorno del suo viaggio in Francia. Ad ascoltarlo, nel restaurato storico Collège des Bernardins, anche rappresentanti dell’Unesco e della comunità musulmana francese. Il Papa ha dichiaratamente affrontato il tema delle radici della cultura europea, ma non si è trattato della dotta lezione di un grande teologo - quale egli indubbiamente è - ma di un invito a riflettere sulla necessità di riprendere una strada che porta a riconoscere il valore che anche per la cultura del mondo moderno ha quel “cercare Dio” che era la molla profonda dell’agire dei monaci. Al monachesimo occidentale tutti riconoscono il merito di aver fatto sopravvivere la cultura antica. Far ciò ha richiesto la costruzione di una cultura della parola ed anche della biblioteca, della scuola, della musica, dell’architettura, in complesso di una nuova cultura. Ma, “per sua natura”, il monachesimo non aveva tale obiettivo. “Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio.
Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile”, “il definitivo”. Nella loro ricerca avevano già una guida: Dio stesso aveva parlato, nelle Scritture. E “poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi. Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua”. Per capire la cultura della parola, ha detto poi il Papa, “occorre fare almeno un breve cenno alla particolarità del Libro o dei Libri in cui questa Parola è venuta incontro ai monaci. La Bibbia, vista sotto l’aspetto puramente storico o letterario, non è semplicemente un libro, ma una raccolta di testi letterari, la cui stesura si estende lungo più di un millennio e i cui singoli libri non sono facilmente riconoscibili come appartenenti ad un’unità interiore; esistono invece tensioni visibili tra di essi.
Ciò vale già all’interno della Bibbia di Israele, “vale tanto più quando noi, come cristiani, colleghiamo il Nuovo Testamento e i suoi scritti, quasi come chiave ermeneutica, con la Bibbia di Israele, interpretandola così come via verso Cristo”. In altri termini, “l’unità dei libri biblici e il carattere divino delle loro parole non sono, da un punto di vista puramente storico, afferrabili. L’elemento storico è la molteplicità e l’umanità”. “In modo più semplice: la Scrittura ha bisogno dell’interpretazione, e ha bisogno della comunità in cui si è formata e in cui viene vissuta. In essa ha la sua unità e in essa si dischiude il senso che tiene unito il tutto”. Il cristianesimo insomma “non è semplicemente una religione del libro nel senso classico. Il cristianesimo percepisce nelle parole la Parola, il Logos stesso, che estende il suo mistero attraverso tale molteplicità. Questa struttura particolare della Bibbia è una sfida sempre nuova per ogni generazione. Secondo la sua natura essa esclude tutto ciò che oggi viene chiamato fondamentalismo. La Parola di Dio stesso, infatti, non è mai presente già nella semplice letteralità del testo. Per raggiungerla occorre un trascendimento e un processo di comprensione, che si lascia guidare dal movimento interiore dell’insieme e perciò deve diventare anche un processo divita. Sempre e solo nell’unità dinamica dell’insieme i molti libri formano un Libro, si rivelano nella parola e nella storia umane la Parola di Dio e l’agire di Dio nel mondo”.
Benedetto XVI ha poi rilevato come del monachesimo “fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Questo ethos dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui la misura. Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme, la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione. Siamo partiti dall’osservazione che, nel crollo di vecchi ordini e sicurezze, l’atteggiamento di fondo dei monaci era il quaerere Deum – mettersi alla ricerca di Dio. Potremmo dire che questo è l’atteggiamento veramente filosofico: guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere”. “Il cercare dei monaci, sotto certi aspetti, porta in se stesso già un trovare.
Occorre dunque, affinché questo cercare sia reso possibile, che in precedenza esista già un primo movimento che non solo susciti la volontà di cercare, ma renda anche credibile che in questa Parola sia nascosta la via – o meglio: che in questa Parola Dio stesso si faccia incontro agli uomini e perciò gli uomini attraverso di essa possano raggiungere Dio. Con altre parole: deve esserci l’annuncio che si rivolge all’uomo creando così in lui una convinzione che può trasformarsi in vita. Affinché si apra una via verso il cuore della Parola biblica quale Parola di Dio, questa stessa Parola deve prima essere annunciata verso l’esterno”. “Di fatto, i cristiani della Chiesa nascente non hanno considerato il loro annuncio missionario come una propaganda, che doveva servire ad aumentare il proprio gruppo, ma come una necessità intrinseca che derivava dalla natura della loro fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che riguardava tutti e che, nel loro intimo, tutti gli uomini attendono.
L’universalità di Dio e l’universalità della ragione aperta verso di Lui costituivano per loro la motivazione e insieme il dovere dell’annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all’ambito della verità che riguarda ugualmente tutti”. Il più profondo del pensiero e del sentimento umani sa in qualche modo che Egli deve esistere. Che all’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà. Tuttavia, malgrado che tutti gli uomini in qualche modo sappiano questo – come Paolo sottolinea nella Lettera ai Romani (1, 21) – questo sapere rimane irreale: un Dio soltantopensato e inventato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui.
La novità dell’annuncio cristiano consiste in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14): proprio così nel fatto ora c’è il Logos, il Logos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole. Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio”. La situazione di oggi, sotto molti aspetti, è diversa da quella di un tempo, tuttavia, in molte cose anche assai analoga. “Le nostre città non sono più piene di are ed immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui.
Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.
12 settembre 2008 Fonte: www.asianews.it
venerdì 29 agosto 2008
giovedì 21 agosto 2008
Benedetto XVI

I veggenti di Fatima
È stata dedicata alla santità la riflessione proposta dal Papa ai fedeli che hanno partecipato all'udienza generale, svoltasi mercoledì 20 agosto a Castel Gandolfo. Benedetto XVI ha riproposto la testimonianza di santi e beati. Ha ricordato che la santità "non è un lusso" e che non è necessario essere famosi per essere santi: anzi quelli i cui nomi sono noti solo a Dio, ha detto, "sono i santi che Dio vuole".
Cari fratelli e sorelle! Ogni giorno la Chiesa offre alla nostra considerazione, uno o più santi e beati da invocare e da imitare. In questa settimana, ad esempio, ne ricordiamo alcuni molto cari alla devozione popolare. Ieri, san Giovanni Eudes, che di fronte al rigorismo dei giansenisti - siamo nel secolo XVIi - promosse una tenera devozione, le cui fonti inesauribili egli indicò nei sacri Cuori di Gesù e di Maria. Quest'oggi ricordiamo san Bernardo di Chiaravalle che, dal Papa Pio viii fu chiamato "dottore mellifluo", perché eccelleva "nel far distillare dai testi biblici il senso che vi si trova nascosto". Questo mistico, desideroso di vivere immerso nella "valle luminosa" della contemplazione, fu condotto dagli eventi a viaggiare per l'Europa per servire la Chiesa, nelle necessità del tempo e per difendere la fede cristiana. È stato definito anche "dottore mariano" non perché abbia scritto moltissimo sulla Madonna, ma perché ne seppe cogliere l'essenziale ruolo nella Chiesa, presentandola come il modello perfetto della vita monastica e di ogni altra forma di vita cristiana. Domani ricorderemo san Pio x, che visse in un periodo storico travagliato. Di lui Giovanni Paolo ii ebbe a dire, visitandone il paese natale nel 1985: "Ha lottato e sofferto per la libertà della Chiesa, e per questa libertà si è rivelato pronto a sacrificare privilegi ed onori, ad affrontare incomprensione e derisione, in quanto valutava questa libertà come garanzia ultima per l'integrità e la coerenza della fede" (Insegnamenti di Giovanni Paolo ii viii, 1, 1985, p. 1818). Venerdì prossimo sarà dedicato alla Beata Maria Vergine Regina, memoria istituita dal Servo di Dio Pio xii nel 1954, e che il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano ii ha posto a complemento della solennità dell'Assunta, poiché i due privilegi formano un unico mistero. Sabato, infine, pregheremo santa Rosa da Lima, prima santa canonizzata del continente latinoamericano, del quale è patrona principale. Santa Rosa amava ripetere: "Se gli uomini sapessero che cos'è vivere in grazia, non si spaventerebbero di nessuna sofferenza e patirebbero volentieri qualunque pena, perché la grazia è frutto della pazienza". Morì a 31 anni nel 1617, dopo una breve esistenza intrisa di privazioni e di sofferenza, nella festa di san Bartolomeo apostolo, del quale era molto devota, perché aveva patito un martirio particolarmente doloroso. Cari fratelli e sorelle, giorno dopo giorno la Chiesa ci offre dunque la possibilità di camminare in compagnia dei santi. Scriveva Hans Urs von Balthasar che i santi costituiscono il commento più importante del Vangelo, una sua attualizzazione nel quotidiano e quindi rappresentano per noi una reale via di accesso a Gesù. Lo scrittore francese Jean Guitton li descriveva "come i colori dello spettro in rapporto alla luce", perché con tonalità e accentuazioni proprie ognuno di loro riflette la luce della santità di Dio. Quanto importante e proficuo è, pertanto, l'impegno di coltivare la conoscenza e la devozione dei santi, accanto alla quotidiana meditazione della Parola di Dio e a un amore filiale verso la Madonna! Il periodo delle ferie costituisce certamente un tempo utile per prendere in mano la biografia e gli scritti di qualche santo o santa in particolare, ma ogni giorno dell'anno ci offre l'opportunità di familiarizzare con i nostri celesti patroni. La loro esperienza umana e spirituale mostra che la santità non è un lusso, non è un privilegio per pochi, un traguardo impossibile per un uomo normale; essa, in realtà, è il destino comune di tutti gli uomini chiamati ad essere figli di Dio, la vocazione universale di tutti i battezzati. La santità è offerta a tutti; naturalmente non tutti i santi sono uguali: sono infatti, come ho detto, lo spettro della luce divina. E non necessariamente è grande santo colui che possiede carismi straordinari. Ce ne sono infatti moltissimi i cui nomi sono noti soltanto a Dio, perché sulla terra hanno condotto un'esistenza apparentemente normalissima. E proprio questi santi "normali" sono i santi abitualmente voluti da Dio. Il loro esempio testimonia che, soltanto quando si è a contatto con il Signore, ci si riempie della sua pace e della sua gioia e si è in grado di diffondere dappertutto serenità, speranza e ottimismo. Considerando proprio la varietà dei loro carismi, Bernanos, grande scrittore francese che fu sempre affascinato dall'idea dei santi - ne cita molti nei suoi romanzi - nota che "ogni vita di santo è come una nuova fioritura di primavera". Che ciò avvenga anche per noi! Lasciamoci per questo attrarre dal soprannaturale fascino della santità! Ci ottenga questa grazia Maria, la Regina di tutti i santi, Madre e Rifugio dei peccatori!
(©L'Osservatore Romano - 21 agosto 2008)
domenica 27 luglio 2008
Benedetto XVI: In molte nostre società, accanto alla prosperità materiale, si sta allargando il deserto spirituale: un vuoto interiore, una paura indefinibile, un nascosto senso di disperazione
VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SYDNEY (AUSTRALIA) IN OCCASIONE DELLA XXIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (12 - 21 LUGLIO 2008)
20.07.2008
SANTA MESSA A CONCLUSIONE DELLA XXIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ, NELL’IPPODROMO DI RANDWICK
Cari amici,
"avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi" (At 1,8). Abbiamo visto realizzata questa promessa! Nel giorno di Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, il Signore risorto, seduto alla destra del Padre, ha inviato lo Spirito sui discepoli riuniti nel Cenacolo. Per la forza di questo Spirito, Pietro e gli Apostoli sono andati a predicare il Vangelo fino ai confini della terra. In ogni età ed in ogni lingua la Chiesa continua a proclamare in tutto il mondo le meraviglie di Dio e invita tutte le nazioni e i popoli alla fede, alla speranza e alla nuova vita in Cristo.
"avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi" (At 1,8). Abbiamo visto realizzata questa promessa! Nel giorno di Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, il Signore risorto, seduto alla destra del Padre, ha inviato lo Spirito sui discepoli riuniti nel Cenacolo. Per la forza di questo Spirito, Pietro e gli Apostoli sono andati a predicare il Vangelo fino ai confini della terra. In ogni età ed in ogni lingua la Chiesa continua a proclamare in tutto il mondo le meraviglie di Dio e invita tutte le nazioni e i popoli alla fede, alla speranza e alla nuova vita in Cristo.
In questi giorni anch’io sono venuto, come Successore di san Pietro, in questa stupenda terra d’Australia. Sono venuto a confermare voi, miei giovani fratelli e sorelle, nella vostra fede e ad aprire i vostri cuori al potere dello Spirito di Cristo e alla ricchezza dei suoi doni. Prego perché questa grande assemblea, che unisce giovani "di ogni nazione che è sotto il cielo" (At 2,5), diventi un nuovo Cenacolo. Possa il fuoco dell’amore di Dio scendere a riempire i vostri cuori, per unirvi sempre di più al Signore e alla sua Chiesa e inviarvi, come nuova generazione di apostoli, a portare il mondo a Cristo!
"Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi". Queste parole del Signore Risorto hanno uno speciale significato per quei giovani che saranno confermati, segnati con il dono dello Spirito Santo, durante questa Santa Messa. Ma queste parole sono anche indirizzate ad ognuno di noi, a tutti coloro cioè che hanno ricevuto il dono dello Spirito di riconciliazione e della nuova vita nel Battesimo, che lo hanno accolto nei loro cuori come loro aiuto e guida nella Confermazione e che quotidianamente crescono nei suoi doni di grazia mediante la Santa Eucaristia. In ogni Messa, infatti, lo Spirito Santo discende nuovamente, invocato nella solenne preghiera della Chiesa, non solo per trasformare i nostri doni del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Signore, ma anche per trasformare le nostre vite, per fare di noi, con la sua forza, "un solo corpo ed un solo spirito in Cristo".
Ma che cosa è questo "potere" dello Spirito Santo? E’ il potere della vita di Dio! E’ il potere dello stesso Spirito che si librò sulle acque all’alba della creazione e che, nella pienezza dei tempi, rialzò Gesù dalla morte. E’ il potere che conduce noi e il nostro mondo verso l’avvento del Regno di Dio. Nel Vangelo di oggi, Gesù annuncia che è iniziata una nuova era, nella quale lo Spirito Santo sarà effuso sull’umanità intera (cfr Lc 4,21). Egli stesso, concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria, è venuto tra noi per portarci questo Spirito. Come sorgente della nostra nuova vita in Cristo, lo Spirito Santo è anche, in un modo molto vero, l’anima della Chiesa, l’amore che ci lega al Signore e tra di noi e la luce che apre i nostri occhi per vedere le meraviglie della grazia di Dio intorno a noi.
Qui in Australia, questa "grande terra meridionale dello Spirito Santo", noi tutti abbiamo avuto un’indimenticabile esperienza della presenza e della potenza dello Spirito nella bellezza della natura. I nostri occhi sono stati aperti per vedere il mondo attorno a noi come veramente è: "ricolmo", come dice il poeta "della grandezza di Dio", ripieno della gloria del suo amore creativo. Anche qui, in questa grande assemblea di giovani cristiani provenienti da tutto il mondo, abbiamo avuto una vivida esperienza della presenza e della forza dello Spirito nella vita della Chiesa. Abbiamo visto la Chiesa per quello che veramente è: Corpo di Cristo, vivente comunità d’amore, comprendente gente di ogni razza, nazione e lingua, di ogni tempo e luogo, nell’unità nata dalla nostra fede nel Signore risorto.
La forza dello Spirito non cessa mai di riempire di vita la Chiesa! Attraverso la grazia dei Sacramenti della Chiesa, questa forza fluisce anche nel nostro intimo, come un fiume sotterraneo che nutre lo spirito e ci attira sempre più vicino alla fonte della nostra vera vita, che è Cristo. Sant’Ignazio di Antiochia, che morì martire a Roma all’inizio del secondo secolo, ci ha lasciato una splendida descrizione della forza dello Spirito che dimora dentro di noi. Egli ha parlato dello Spirito come di una fontana di acqua viva che zampilla nel suo cuore e sussurra: "Vieni, vieni al Padre!" (cfr Ai Romani, 6,1-9).
Tuttavia questa forza, la grazia dello Spirito, non è qualcosa che possiamo meritare o conquistare; possiamo solamente riceverla come puro dono. L’amore di Dio può effondere la sua forza solo quando gli permettiamo di cambiarci dal di dentro. Noi dobbiamo permettergli di penetrare nella dura crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del nostro cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo. Solo allora possiamo permettergli di accendere la nostra immaginazione e plasmare i nostri desideri più profondi. Ecco perché la preghiera è così importante: la preghiera quotidiana, quella privata nella quiete dei nostri cuori e davanti al Santissimo Sacramento e la preghiera liturgica nel cuore della Chiesa. Essa è pura ricettività della grazia di Dio, amore in azione, comunione con lo Spirito che dimora in noi e ci conduce, attraverso Gesù, nella Chiesa, al nostro Padre celeste. Nella potenza del suo Spirito, Gesù è sempre presente nei nostri cuori, aspettando quietamente che ci disponiamo nel silenzio accanto a Lui per sentire la sua voce, restare nel suo amore e ricevere la "forza che proviene dall’alto", una forza che ci abilita ad essere sale e luce per il nostro mondo.
Nella sua Ascensione, il Signore risorto disse ai suoi discepoli: "Sarete miei testimoni... fino ai confini del mondo" (At 1,8). Qui, in Australia, ringraziamo il Signore per il dono della fede, che è giunto fino a noi come un tesoro trasmesso di generazione in generazione nella comunione della Chiesa. Qui, in Oceania, ringraziamo in modo speciale tutti quegli eroici missionari, sacerdoti e religiosi impegnati, genitori e nonni cristiani, maestri e catechisti che hanno edificato la Chiesa in queste terre. Testimoni come la Beata Mary MacKillop, San Peter Chanel, il Beato Peter To Rot e molti altri! La forza dello Spirito, rivelata nelle loro vite, è ancora all’opera nelle iniziative di bene che hanno lasciato, nella società che hanno plasmato e che ora è consegnata a voi.
Cari giovani, permettetemi di farvi ora una domanda. Che cosa lascerete voi alla prossima generazione? State voi costruendo le vostre esistenze su fondamenta solide, state costruendo qualcosa che durerà? State vivendo le vostre vite in modo da fare spazio allo Spirito in mezzo ad un mondo che vuole dimenticare Dio, o addirittura rigettarlo in nome di un falso concetto di libertà? Come state usando i doni che vi sono stati dati, la "forza" che lo Spirito Santo è anche ora pronto a effondere su di voi? Che eredità lascerete ai giovani che verranno? Quale differenza voi farete?
La forza dello Spirito Santo non ci illumina soltanto né solo ci consola. Ci indirizza anche verso il futuro, verso l’avvento del Regno di Dio. Che magnifica visione di una umanità redenta e rinnovata noi scorgiamo nella nuova era promessa dal Vangelo odierno! San Luca ci dice che Gesù Cristo è il compimento di tutte le promesse di Dio, il Messia che possiede in pienezza lo Spirito Santo per comunicarlo all’intera umanità. L’effusione dello Spirito di Cristo sull’umanità è un pegno di speranza e di liberazione contro tutto quello che ci impoverisce. Tale effusione dona nuova vista al cieco, manda liberi gli oppressi, e crea unità nella e con la diversità ( cfr Lc 4,18-19; Is 61,1-2). Questa forza può creare un mondo nuovo: può "rinnovare la faccia della terra" (cfr Sal 104, 30)!
Rafforzata dallo Spirito e attingendo ad una ricca visione di fede, una nuova generazione di cristiani è chiamata a contribuire all’edificazione di un mondo in cui la vita sia accolta, rispettata e curata amorevolmente, non respinta o temuta come una minaccia e perciò distrutta. Una nuova era in cui l’amore non sia avido ed egoista, ma puro, fedele e sinceramente libero, aperto agli altri, rispettoso della loro dignità, un amore che promuova il loro bene e irradi gioia e bellezza. Una nuova era nella quale la speranza ci liberi dalla superficialità, dall’apatia e dall’egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani. Cari giovani amici, il Signore vi sta chiedendo di essere profeti di questa nuova era, messaggeri del suo amore, capaci di attrarre la gente verso il Padre e di costruire un futuro di speranza per tutta l’umanità.
Il mondo ha bisogno di questo rinnovamento! In molte nostre società, accanto alla prosperità materiale, si sta allargando il deserto spirituale: un vuoto interiore, una paura indefinibile, un nascosto senso di disperazione. Quanti dei nostri contemporanei si sono scavati cisterne screpolate e vuote (cfr Ger 2,13) in una disperata ricerca di significato, di quell’ultimo significato che solo l’amore può dare? Questo è il grande e liberante dono che il Vangelo porta con sé: esso rivela la nostra dignità di uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio. Rivela la sublime chiamata dell’umanità, che è quella di trovare la propria pienezza nell’amore. Esso dischiude la verità sull’uomo, la verità sulla vita.
Anche la Chiesa ha bisogno di questo rinnovamento! Ha bisogno della vostra fede, del vostro idealismo e della vostra generosità, così da poter essere sempre giovane nello Spirito (cfr Lumen gentium, 4). Nella seconda Lettura di oggi, l’apostolo Paolo ci ricorda che ogni singolo Cristiano ha ricevuto un dono che deve essere usato per edificare il Corpo di Cristo. La Chiesa ha specialmente bisogno del dono dei giovani, di tutti i giovani. Essa ha bisogno di crescere nella forza dello Spirito che anche adesso dona gioia a voi giovani e vi ispira a servire il Signore con allegrezza. Aprite il vostro cuore a questa forza! Rivolgo questo appello in modo speciale a coloro che il Signore chiama alla vita sacerdotale e consacrata. Non abbiate paura di dire il vostro "sì" a Gesù, di trovare la vostra gioia nel fare la sua volontà, donandovi completamente per arrivare alla santità e facendo uso dei vostri talenti a servizio degli altri!
Fra poco celebreremo il sacramento della Confermazione. Lo Spirito Santo discenderà sui candidati; essi saranno "segnati" con il dono dello Spirito e inviati ad essere testimoni di Cristo. Che cosa significa ricevere il "sigillo" dello Spirito Santo? Significa essere indelebilmente segnati, inalterabilmente cambiati, significa essere nuove creature. Per coloro che hanno ricevuto questo dono, nulla può mai più essere lo stesso! Essere "battezzati" nello Spirito significa essere incendiati dall’amore di Dio. Essersi "abbeverati" allo Spirito (cfr 1 Cor 12,13) significa essere rinfrescati dalla bellezza del piano di Dio per noi e per il mondo, e divenire a nostra volta una fonte di freschezza per gli altri. Essere "sigillati con lo Spirito" significa inoltre non avere paura di difendere Cristo, lasciando che la verità del Vangelo permei il nostro modo di vedere, pensare ed agire, mentre lavoriamo per il trionfo della civiltà dell’amore.
Nell’elevare la nostra preghiera per i confermandi, preghiamo anche perché la forza dello Spirito Santo ravvivi la grazia della Confermazione in ciascuno di noi. Voglia lo Spirito riversare i suoi doni in abbondanza su tutti i presenti, sulla città di Sydney, su questa terra di Australia e su tutto il suo popolo. Che ciascuno di noi sia rinnovato nello spirito di sapienza e d’intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà, spirito di santo timore di Dio!
Attraverso l’amorevole intercessione di Maria, Madre della Chiesa, possa questa XXIII Giornata Mondiale della Gioventù essere vissuta come un nuovo Cenacolo, così che tutti noi, ardenti del fuoco dell’amore dello Spirito Santo, possiamo continuare a proclamare il Signore risorto e attrarre ogni cuore a lui. Amen!
* * *
Saluto di cuore i giovani di lingua italiana, ed estendo il mio affettuoso pensiero a quanti sono originari dell’Italia e vivono in Australia. Al termine di questa straordinaria esperienza di Chiesa, che ci ha fatto vivere una rinnovata Pentecoste, tornate a casa rinvigoriti dalla forza dello Spirito Santo. Siate testimoni di Cristo risorto, speranza dei giovani e dell’intera famiglia umana!
[Chers jeunes francophones, l’Esprit Saint est la source du message de Jésus-Christ et de son action salvifique. Il parle au cœur de chacun le langage qu’il comprend. La diversité des dons de l’Esprit vous fait comprendre la richesse de grâces qui est en Dieu. Puissiez-vous vous ouvrir à son souffle ! Puissiez-vous permettre son action en vous et autour de vous ! Vous vivrez ainsi en Dieu et vous témoignerez que le Christ est le Sauveur que le monde espère.
Auch euch, liebe junge Freunde deutscher Sprache, gilt mein herzlicher Gruß. Der Heilige Geist ist ein Geist der Gemeinschaft und wirkt Verständigung und Kommunikation. Sprecht mit anderen über eure Hoffnungen und Ideale, und sprecht von Gott und mit Gott! Glücklich ist der Mensch, der in der Liebe Gottes und in der Liebe zum Nächsten lebt. Gottes Geist führe euch auf Wegen des Friedens!
Queridos jóvenes, en Cristo se cumplen todas las promesas de salvación verdadera para la humanidad. Él tiene para cada uno de vosotros un proyecto de amor en el que se encuentra el sentido y la plenitud de la vida, y espera de todos vosotros que hagáis fructificar los dones que os ha dado, siendo sus testigos de palabra y con el propio ejemplo. No lo defraudéis.
Amados jovens de língua portuguesa, queridos amigos em Cristo! Sabeis que Jesus não vos quer sozinhos; disse Ele: «Eu rogarei ao Pai e Ele vos dará outro Consolador para estar convosco para sempre, o Espírito da verdade (…) que vós conheceis, porque habita convosco e está em vós» (Jo 14, 16-17). É verdade! Sobre vós desceu uma língua de fogo do Pentecostes: é a vossa marca de cristãos. Mas não foi para a guardardes só para vós, porque «a manifestação do Espírito é dada a cada um para proveito comum» (1 Cor 12, 7). Levai este Fogo santo a todos os cantos da terra. Nada e ninguém O poderá apagar, porque desceu do céu. Tal é a vossa força, caros jovens amigos! Por isso, vivei do Espírito e para o Espírito!]
[01116-01.02] [Testo originale: Plurilingue]
(C) Vatican.va
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