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sabato 4 giugno 2011


I cristiani sono "una forza benefica e pacifica di cambiamento profondo":  è questa "la forma di presenza e di azione nel mondo proposta dalla dottrina sociale della Chiesa". Lo ha ricordato il Papa all'omelia della messa celebrata domenica mattina, 5 settembre, a Carpineto Romano, per il bicentenario della nascita di Papa Leone XIII

sabato 21 maggio 2011


“L’Osservatore Romano”
Quotidiano Città del Vaticano

Istruzione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei

Universae Ecclesiae

L'applicazione del motu proprio

"Summorum Pontificum"
 

È stata resa nota venerdì 13 maggio, l'istruzione Universae Ecclesiae della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, approvata da Benedetto XVI l'8 aprile scorso. Il documento, che porta la data del 30 aprile 2011, memoria liturgica di San Pio V, è stato redatto tenendo conto delle osservazioni giunte in questi anni dai vescovi della Chiesa di tutto il mondo ‑ e anche raccogliendo domande di chiarificazione e richieste di indicazioni specifiche ‑ circa l'applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, emanato il 7 luglio 2007 ed entrato in vigore il 14 settembre successivo. Con esso il Pontefice ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l'intento di regolamentare l'uso della liturgia romana in vigore nel 1962 - prima della riforma effettuata nel 1970 - illustrando le ragioni della sua decisione nella Lettera ai Vescovi che ne ha accompagnato la pubblicazione.

(©L'Osservatore Romano 14 maggio 2011)

Fonte come da titolazione, rilevato da Ciani Vittorio x l’Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.

PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI
ISTRUZIONE
sull’applicazione della Lettera Apostolica
Motu Proprio data Summorum Pontificum di
S.S. BENEDETTO PP. XVI
I.
Introduzione
1. La Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana.
2. Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962.
3. Il Santo Padre, dopo aver richiamato la sollecitudine dei Sommi Pontefici nella cura per la Sacra Liturgia e nella ricognizione dei libri liturgici, riafferma il principio tradizionale, riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire, secondo il quale "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede" [1].
4. Il Sommo Pontefice ricorda inoltre i Pontefici Romani che, in modo particolare, si sono impegnati in questo compito, specificamente San Gregorio Magno e San Pio V. Il Papa sottolinea altresì che, tra i sacri libri liturgici, particolare risalto nella storia ha avuto il Missale Romanum, che ha ricevuto nuovi aggiornamenti lungo il corso dei tempi fino al Beato Papa Giovanni XXIII. Successivamente, in seguito alla riforma liturgica posteriore al Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI nel 1970 approvò per la Chiesa di rito latino un nuovo Messale, poi tradotto in diverse lingue. Papa Giovanni Paolo II nell’anno 2000 ne promulgò una terza edizione.
5. Diversi fedeli, formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II, hanno espresso il vivo desiderio di conservare la tradizione antica. Per questo motivo, Papa Giovanni Paolo II con lo speciale Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse a determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII. Inoltre, Papa Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, esortò i Vescovi perché fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano. Nella medesima linea si pone Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale vengono indicati alcuni criteri essenziali per l’Usus Antiquior del Rito Romano, che qui è opportuno ricordare.
6. I testi del Messale Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di Papa Giovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore.
7. Il Motu Proprio Summorum Pontificum è accompagnato da una Lettera del Santo Padre ai Vescovi, con la stessa data del Motu Proprio (7 luglio 2007). Con essa vengono offerte ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso; si trattava, cioè, di colmare una lacuna, dando una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962. Tale normativa si imponeva particolarmente per il fatto che, al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962. In ragione dell’aumento di quanti richiedono di poter usare la forma extraordinaria, si è reso necessario dare alcune norme in materia.
Tra l’altro Papa Benedetto XVI afferma: "Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso" [2].
8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa [3] e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale [4].
Esso si propone l’obiettivo di:
a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare;
b) garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari;
c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa.
II.
Compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei
9. Il Sommo Pontefice ha conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).
10. § 1. La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio.
§ 2. I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
11. Spetta alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano.
III.
Norme specifiche
12. Questa Pontificia Commissione, in forza dell’autorità che le è stata attribuita e delle facoltà di cui gode, a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo, con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, emana la seguente Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico.
La competenza dei Vescovi diocesani
13. I Vescovi diocesani, secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi [5], sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum [6]. In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
14. È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum.
Il coetus fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 1)
15. Un coetus fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1 del Motu Proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella.
16. Nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa.
17. § 1. Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza.
§ 2. Nei casi di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e una più degna celebrazione della Santa Messa.
18. Anche nei santuari e luoghi di pellegrinaggio si offra la possibilità di celebrare nella forma extraordinaria ai gruppi di pellegrini che lo richiedano (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se c’è un sacerdote idoneo.
19. I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale.
Il sacerdos idoneus (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4)
20. In merito alla questione di quali siano i requisiti necessari, affinché un sacerdote sia ritenuto "idoneo" a celebrare nella forma extraordinaria, si enuncia quanto segue:
a) Ogni sacerdote che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla celebrazione della Santa Messa nella forma extraordinaria [7].
b) Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato.
c) Per quanto riguarda la conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente.
21. Si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino [8] e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito.
22. Nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa.
23. La facoltà di celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 2). Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori.
La disciplina liturgica ed ecclesiastica
24. I libri liturgici della forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle celebrazioni.
25. Nel Messale del 1962 potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi9, secondo la normativa che verrà indicata in seguito.
26. Come prevede il Motu Proprio Summorum Pontificum all’art. 6, si precisa che le letture della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o esclusivamente in lingua latina, o in lingua latina seguita dalla traduzione in lingua vernacola, ovvero, nelle Messe lette, anche solo in lingua vernacola.
27. Per quanto riguarda le norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico.
28. Inoltre, in forza del suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962.
Cresima e Ordine sacro
29. La concessione di usare la formula antica per il rito della Cresima è stata confermata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 9 § 2). Pertanto non è necessario utilizzare per la forma extraordinaria la formula rinnovata del Rito della Confermazione promulgato da Papa Paolo VI.
30. Con riguardo alla tonsura, agli ordini minori e al suddiaconato, il Motu Proprio Summorum Pontificum non introduce nessun cambiamento nella disciplina del Codice di Diritto Canonico del 1983; di conseguenza, negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il professo con voti perpetui oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell’istituto o nella società, a norma del canone 266 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
31. Soltanto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e maggiori.
Breviarium Romanum
32. Viene data ai chierici la facoltà di usare il Breviarium Romanum in vigore nel 1962, di cui all’art. 9 § 3 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso va recitato integralmente e in lingua latina.
Il Triduo sacro
33. Il coetus fidelium, che aderisce alla precedente tradizione liturgica, se c’è un sacerdote idoneo, può anche celebrare il Triduo Sacro nella forma extraordinaria. Nei casi in cui non ci sia una chiesa o oratorio previsti esclusivamente per queste celebrazioni, il parroco o l’Ordinario, d’intesa con il sacerdote idoneo, dispongano le modalità più favorevoli per il bene delle anime, non esclusa la possibilità di ripetere le celebrazioni del Triduo Sacro nella stessa chiesa.
I Riti degli Ordini Religiosi
34. È permesso l’uso dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962.
Pontificale Romanum e Rituale Romanum
35. È permesso l’uso del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum, così come del Caeremoniale Episcoporum in vigore nel 1962, a norma del n. 28 di questa Istruzione e fermo restando quanto disposto nel n. 31 della medesima.
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’ Udienza concessa il giorno 8 aprile 2011 al sottoscritto Cardinale Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.
Dato a Roma, dalla Sede della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il 30 aprile 2011, nella memoria di san Pio V.
William Cardinale Levada
Presidente
Mons. Guido Pozzo
Segretario
_______________
[1] BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Summorum Pontificum Motu Proprio data, AAS 99 (2007) 777; cf. Ordinamento generale del Messale Romano, terza ed. 2002, n. 397.
[2] BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 798.
[3] Cf. C.I.C. can. 838 §1 e §2.
[4] Cf. C.I.C. can. 331.
[5] Cf. C.I.C. cann. 223 § 2; 838 §1 e § 4.
[6] Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 799.
[7] Cf. C.I.C. can. 900 § 2.
[8] Cf. C.I.C. can. 249; cf. Conc. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Dich. Optatam totius, n. 13.
[9] Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 797.
 

mercoledì 15 dicembre 2010

Catechismo della Chiesa Cattolica

PARTE TERZA
LA VITA IN CRISTO

SEZIONE PRIMA
LA VOCAZIONE DELL'UOMO:
LA VITA NELLO SPIRITO

CAPITOLO TERZO
LA SALVEZZA DI DIO:
LA LEGGE E LA GRAZIA

ARTICOLO 3
LA CHIESA, MADRE E MAESTRA

2030 È nella Chiesa, in comunione con tutti i battezzati, che il cristiano realizza la propria vocazione. Dalla Chiesa accoglie la Parola di Dio che contiene gli insegnamenti della « Legge di Cristo ». 254 Dalla Chiesa riceve la grazia dei sacramenti che lo sostengono lungo la « via ». Dalla Chiesa apprende l'esempio della santità; ne riconosce il modello e la sorgente nella santissima Vergine Maria; la riconosce nella testimonianza autentica di coloro che la vivono; la scopre nella tradizione spirituale e nella lunga storia dei santi che l'hanno preceduto e che la liturgia celebra seguendo il santorale.
2031 La vita morale è un culto spirituale. Noi offriamo i nostri « corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio » (Rm 12,1), in seno al corpo di Cristo, che noi formiamo, e in comunione con l'offerta della sua Eucaristia. Nella liturgia e nella celebrazione dei sacramenti, preghiera ed insegnamento si uniscono alla grazia di Cristo, per illuminare e nutrire l'agire cristiano. Come l'insieme della vita cristiana, la vita morale trova la propria fonte e il proprio culmine nel sacrificio eucaristico.
2032 La Chiesa, « colonna e sostegno della verità » (1 Tm 3,15), « ha ricevuto dagli Apostoli il solenne comandamento di Cristo di annunziare la verità della salvezza ». 255 « È compito della Chiesa annunziare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigano i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime ». 256
2033 Il Magistero dei Pastori della Chiesa in materia morale ordinariamente si esercita nella catechesi e nella predicazione, con l'aiuto delle opere dei teologi e degli autori spirituali. In tal modo, di generazione in generazione, sotto la guida e la vigilanza dei Pastori, si è trasmesso il « deposito » della morale cristiana, composto da un insieme caratteristico di norme, di comandamenti e di virtù che derivano dalla fede in Cristo e che sono vivificati dalla carità. Tale catechesi ha tradizionalmente preso come base, accanto al Credo e al Pater, il Decalogo, che enuncia i principi della vita morale validi per tutti gli uomini.
2034 Il Romano Pontefice e i Vescovi « sono i dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita ». 257 Il Magistero ordinario e universale del Papa e dei Vescovi in comunione con lui insegna ai fedeli la verità da credere, la carità da praticare, la beatitudine da sperare.
2035 Il grado più alto nella partecipazione all'autorità di Cristo è assicurato dal carisma dell'infallibilità. Essa « si estende tanto quanto il deposito della divina rivelazione »; 258 si estende anche a tutti gli elementi di dottrina, ivi compresa la morale, senza i quali le verità salvifiche della fede non possono essere custodite, esposte o osservate. 259
2036 L'autorità del Magistero si estende anche ai precetti specifici della legge naturale, perché la loro osservanza, chiesta dal Creatore, è necessaria alla salvezza. Richiamando le prescrizioni della legge naturale, il Magistero della Chiesa esercita una parte essenziale della sua funzione profetica di annunziare agli uomini ciò che essi sono veramente e di ricordare loro ciò che devono essere davanti a Dio. 260
2037 La Legge di Dio, affidata alla Chiesa, è insegnata ai fedeli come cammino di vita e di verità. I fedeli hanno, quindi, il diritto 261 di essere istruiti intorno ai precetti divini salvifici, i quali purificano il giudizio e, mediante la grazia, guariscono la ragione umana ferita. Hanno il dovere di osservare le costituzioni e i decreti emanati dalla legittima autorità della Chiesa. Anche se sono disciplinari, tali deliberazioni richiedono la docilità nella carità.
2038 Nell'opera di insegnamento e di applicazione della morale cristiana, la Chiesa ha bisogno della dedizione dei Pastori, della scienza dei teologi, del contributo di tutti i cristiani e degli uomini di buona volontà. Attraverso la fede e la pratica del Vangelo i singoli fanno un'esperienza della « vita in Cristo », che li illumina e li rende capaci di discernere le realtà divine e umane secondo lo Spirito di Dio. 262 Così lo Spirito Santo può servirsi dei più umili per illuminare i sapienti e i più eminenti in dignità.
2039 I ministeri vanno esercitati in uno spirito di servizio fraterno e di dedizione alla Chiesa, in nome del Signore. 263 Al tempo stesso la coscienza di ognuno, nel suo giudizio morale sui propri atti personali, deve evitare di rimanere chiusa entro i limiti di una considerazione individuale. Come meglio può, deve aprirsi alla considerazione del bene di tutti, quale è espresso nella legge morale, naturale e rivelata, e conseguentemente nella legge della Chiesa e nell'insegnamento autorizzato del Magistero sulle questioni morali. Non bisogna opporre la coscienza personale e la ragione alla legge morale o al Magistero della Chiesa.
2040 In tal modo può svilupparsi tra i cristiani un vero spirito filiale nei confronti della Chiesa. Esso è il normale sviluppo della grazia battesimale, che ci ha generati nel seno della Chiesa e ci ha resi membri del corpo di Cristo. La Chiesa, nella sua sollecitudine materna, ci accorda la misericordia di Dio, che trionfa su tutti i nostri peccati e agisce soprattutto nel sacramento della Riconciliazione. Come madre premurosa, attraverso la sua liturgia, giorno dopo giorno, ci elargisce anche il nutrimento della Parola e dell'Eucaristia del Signore.
2041 I precetti della Chiesa si collocano in questa linea di una vita morale che si aggancia alla vita liturgica e di essa si nutre. Il carattere obbligatorio di tali leggi positive promulgate dalle autorità pastorali, ha come fine di garantire ai fedeli il minimo indispensabile nello spirito di preghiera e nell'impegno morale, nella crescita del l'amore di Dio e del prossimo.
2042 Il primo precetto (« Partecipa alla Messa la domenica e le altre feste comandate e rimani libero dalle occupazioni del lavoro ») esige dai fedeli che santifichino il giorno in cui si ricorda la risurrezione del Signore e le particolari festività liturgiche in onore dei misteri del Signore, della beata Vergine Maria e dei santi, in primo luogo partecipando alla celebrazione eucaristica in cui si riunisce la comunità cristiana, e che riposino da quei lavori e da quelle attività che potrebbero impedire una tale santificazione di questi giorni. 264
Il secondo precetto (« Confessa i tuoi peccati almeno una volta all'anno ») assicura la preparazione all'Eucaristia attraverso la recezione del sacramento della Riconciliazione, che continua l'opera di conversione e di perdono del Battesimo. 265
Il terzo precetto (« Ricevi il sacramento dell'Eucaristia almeno a Pasqua ») garantisce un minimo in ordine alla recezione del Corpo e del Sangue del Signore in collegamento con le feste pasquali, origine e centro della liturgia cristiana. 266
2043 Il quarto precetto (« In giorni stabiliti dalla Chiesa astieniti dal mangiare carne e osserva il digiuno ») assicura i tempi di ascesi e di penitenza, che ci preparano alle feste liturgiche e a farci acquisire il dominio sui nostri istinti e la libertà di cuore. 267
Il quinto precetto (« Sovvieni alle necessità della Chiesa ») enuncia che i fedeli sono tenuti a venire incontro alle necessità materiali della Chiesa, ciascuno secondo le proprie possibilità. 268
2044 La fedeltà dei battezzati è una condizione fondamentale per l'annunzio del Vangelo e per la missione della Chiesa nel mondo. Il messaggio della salvezza, per manifestare davanti agli uomini la sua forza di verità e di irradiamento, deve essere autenticato dalla testimonianza di vita dei cristiani. « La testimonianza della vita cristiana e le opere buone compiute con spirito soprannaturale hanno la forza di attirare gli uomini alla fede e a Dio ». 269
2045 Poiché sono le membra del corpo di cui Cristo è il Capo, 270 i cristiani contribuiscono all'edificazione della Chiesa con la saldezza delle loro convinzioni e dei loro costumi. La Chiesa cresce, si sviluppa e si espande mediante la santità dei suoi fedeli, 271 finché arriviamo tutti « allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo » (Ef 4,13).
2046 Con la loro vita secondo Cristo, i cristiani affrettano la venuta del regno di Dio, del « regno di giustizia, di amore e di pace ». 272 Non per questo trascurano i loro impegni terreni; fedeli al loro Maestro, ad essi attendono con rettitudine, pazienza e amore.
2047 La vita morale è un culto spirituale. L'agire cristiano trova il proprio nutrimento nella liturgia e nella celebrazione dei sacramenti.
2048 I precetti della Chiesa riguardano la vita morale e cristiana, che è sempre unita alla liturgia, della quale si nutre.
2049 Il Magistero dei Pastori della Chiesa in materia morale ordinariamente si esercita nella catechesi e nella predicazione, sulla base del Decalogo, il quale enuncia i principi della vita morale validi per tutti gli uomini.
2050 Il Romano Pontefice e i Vescovi, quali maestri autentici, predicano al popolo di Dio la fede che deve essere creduta e applicata nei costumi. È anche di loro competenza pronunciarsi sulle questioni morali che hanno attinenza con la legge naturale e la ragione.
2051 L'infallibilità del Magistero dei Pastori si estende a tutti gli elementi di dottrina, ivi compresa la morale, senza i quali le verità salvifiche della fede non possono essere custodite, esposte o osservate.

Esodo 20,2-17 Deuteronomio 5,6-21 Formula catechistica
Io sono il Signore tuo Dio
che ti ho fatto uscire
dal paese d'Egitto,
dalla condizione di schiavitù.
Io sono il Signore tuo Dio
che ti ho fatto uscire
dal paese di Egitto,
dalla condizione servile.
Io sono il Signore Dio tuo:
Non avrai
altri dei di fronte a me.
Non ti farai
idolo né immagine alcuna
di ciò che è lassù nel cielo,
né di ciò che è quaggiù sulla terra,
né di ciò che è nelle acque,
sotto la terra.
Non ti prostrerai
davanti a loro
e non li servirai.
Perché io, il Signore,
sono il tuo Dio,
un Dio geloso,
che punisce la colpa dei padri
nei figli
fino alla terza
e alla quarta generazione,
per coloro che mi odiano,
ma che dimostra il suo favore
fino a mille generazioni, per coloro
che mi amano e osservano
i miei comandamenti.
Non avere
altri dei di fronte a me...
1. Non avrai altro Dio
fuori di me.
Non pronuncerai
invano il nome
del Signore tuo Dio,
perché il Signore non lascerà
impunito chi
pronuncia il suo nome invano.
Non pronunciare invano
il nome del Signore
tuo Dio...
2. Non nominare
il nome di Dio invano.
Ricordati del giorno
di sabato per santificarlo.
Sei giorni
faticherai
e farai ogni tuo lavoro;
ma il settimo giorno
è il sabato
in onore del Signore, tuo Dio.
Tu non farai alcun lavoro,
né tu, né tuo figlio, né tua figlia,
né il tuo schiavo, né la tua schiava,
né il tuo bestiame, né il forestiero
che dimora presso di te.
Perché in sei giorni
il Signore ha fatto
il cielo e la terra e il mare
e quanto è in essi,
ma si è riposato il giorno settimo.
Perciò il Signore
ha benedetto il giorno di sabato
e lo ha dichiarato sacro.
Osserva il giorno di sabato
per santificarlo...
3. Ricordati di
santificare le feste.
Onora tuo padre e tua madre
perché si prolunghino
i tuoi giorni nel paese
che ti dà
il Signore, tuo Dio.
Onora tuo padre
e tua madre...
4. Onora tuo padre
e tua madre.
Non uccidere. Non uccidere. 5. Non uccidere.
Non commettere
adulterio.
Non commettere
adulterio.
6. Non commettere
atti impuri.
Non rubare. Non rubare. 7. Non rubare.
Non pronunciare
falsa testimonianza
contro il tuo prossimo.
Non pronunciare
falsa testimonianza
contro il tuo prossimo.
8. Non dire
falsa testimonianza.
Non desiderare
la casa del tuo prossimo.
Non desiderare
la moglie del tuo prossimo.
9. Non desiderare
la donna d'altri.
Non desiderare
la moglie del tuo prossimo,
né il suo schiavo,
né la sua schiava,
né il suo bue, né il suo asino,
né alcuna cosa
che appartenga al tuo prossimo.
Non desiderare alcuna
delle cose
che sono del tuo prossimo.
10. Non desiderare
la roba d'altri.
 

(254) Cf Gal 6,2.
(255) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 17: AAS 57 (1965) 21.
(256) CIC canone 747, § 2.
(257) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 25: AAS 57 (1965) 29.
(258) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 25: AAS 57 (1965) 30.
(259) Cf Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Mysterium Ecclesiae, 3: AAS 65 (1973) 401.
(260) Cf Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 14: AAS 58 (1966) 940.
(261) Cf CIC canone 213.
(262) Cf 1 Cor 2,10-15.
(263) Cf Rm 12,8.11.
(264) Cf CIC canoni 1246-1248; CCEO canoni 880, § 3. 881, §§ 1. 2. 4.
(265) Cf CIC canone 989; CCEO canone 719.
(266) Cf CIC canone 920; CCEO canoni 708. 881, § 3.
(267) Cf CIC canoni 1249-1251; CCEO canone 882.
(268) Cf CIC canone 222; CCEO canone 25. Le Conferenze Episcopali possono inoltre stabilire altri precetti ecclesiastici per il proprio territorio; cf CIC canone 455.
(269) Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, 6: AAS 58 (1966) 842.
(270) Cf Ef 1,22.
(271) Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 39: AAS 57 (1965) 44.
(272) Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo, Prefazio: Messale Romano (Libreria Editrice Vaticana 1993) p. 281.
(273) Catechismo della Conferenza Episcopale Italiana per la vita cristiana – 2. La verità, vi farà liberi (Libreria Editrice Vaticana, 1995), p. 598.

giovedì 23 settembre 2010

PARTE QUARTA (CCC)
LA PREGHIERA CRISTIANA

SEZIONE PRIMA 
LA PREGHIERA NELLA VITA CRISTIANA

CAPITOLO PRIMO 
LA RIVELAZIONE DELLA PREGHIERA

ARTICOLO 2 
NELLA PIENEZZA DEL TEMPO

2598 L'evento della preghiera ci viene pienamente rivelato nel Verbo che si è fatto carne e dimora in mezzo a noi. Cercare di comprendere la sua preghiera, attraverso ciò che i suoi testimoni ci dicono di essa nel Vangelo, è avvicinarci al santo Signore Gesù come al roveto ardente: dapprima contemplarlo mentre prega, poi ascoltare come ci insegna a pregare, infine conoscere come egli esaudisce la nostra preghiera.

Gesù prega

2599 Il Figlio di Dio diventato Figlio della Vergine ha anche imparato a pregare secondo il suo cuore d'uomo. Egli apprende le formule di preghiera da sua Madre, che serbava e meditava nel suo cuore tutte le « grandi cose » fatte dall'Onnipotente.51 Egli prega nelle parole e nei ritmi di preghiera del suo popolo, nella sinagoga di Nazaret e al Tempio. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente ben più segreta, come lascia presagire già all'età di dodici anni: « Io devo occuparmi delle cose del Padre mio » (Lc 2,49). Qui comincia a rivelarsi la novità della preghiera nella pienezza dei tempi: la preghiera filiale, che il Padre aspettava dai suoi figli, viene finalmente vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua umanità, con gli uomini e per gli uomini.

2600 Il Vangelo secondo san Luca sottolinea l'azione dello Spirito Santo e il senso della preghiera nel ministero di Cristo. Gesù prega prima dei momenti decisivi della sua missione: prima che il Padre gli renda testimonianza, al momento del suo battesimo52 e della trasfigurazione,53 e prima di realizzare, mediante la sua passione, il disegno di amore del Padre.54 Egli prega anche prima dei momenti decisivi che danno inizio alla missione dei suoi Apostoli: prima di scegliere e chiamare i Dodici,55 prima che Pietro lo confessi come « il Cristo di Dio »56 e affinché la fede del capo degli Apostoli non venga meno nella tentazione.57 La preghiera di Gesù prima delle azioni salvifiche che il Padre gli chiede di compiere, è un'adesione umile e fiduciosa della sua volontà umana alla volontà piena d'amore del Padre.

2601 « Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e, quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare" » (Lc 11,1). Non è forse anzitutto contemplando il suo Maestro orante che nel discepolo di Cristo nasce il desiderio di pregare? Può allora impararlo dal Maestro della preghiera. È contemplando ed ascoltando il Figlio che i figli apprendono a pregare il Padre.

2602 Gesù si ritira spesso in disparte, nella solitudine, sulla montagna, generalmente di notte, per pregare.58 Egli porta gli uomini nella sua preghiera, poiché egli ha pienamente assunto l'umanità nella sua incarnazione, e li offre al Padre offrendo se stesso. Egli, il Verbo che « si è fatto carne », nella sua preghiera umana partecipa a tutto ciò che vivono i « suoi fratelli »;59 compatisce le loro infermità per liberarli da esse.60 Proprio per questo il Padre l'ha mandato. Le sue parole e le sue azioni appaiono allora come la manifestazione visibile della sua preghiera « nel segreto ».

2603 Gli evangelisti hanno riportato in modo esplicito due preghiere pronunciate da Gesù durante il suo ministero. Ognuna comincia con il rendimento di grazie. Nella prima,61 Gesù confessa il Padre, lo riconosce e lo benedice perché ha nascosto i misteri del Regno a coloro che si credono dotti e li ha rivelati ai « piccoli » (i poveri delle beatitudini). Il suo trasalire: « Sì, Padre! » esprime la profondità del suo cuore, la sua adesione al « beneplacito » del Padre, come eco al « Fiat » di sua Madre al momento del suo concepimento e come preludio a quello che egli dirà al Padre durante la sua agonia. Tutta la preghiera di Gesù è in questa amorosa adesione del suo cuore di uomo al « mistero della volontà » del Padre.62

2604 La seconda preghiera è riferita da san Giovanni63 prima della risurrezione di Lazzaro. L'azione di grazie precede l'evento: « Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato », il che implica che il Padre ascolta sempre la sua supplica; e Gesù subito aggiunge: « Io sapevo che sempre mi dai ascolto », il che implica che Gesù, dal canto suo, domanda in modo costante. Così, introdotta dal rendimento di grazie, la preghiera di Gesù ci rivela come chiedere: prima che il dono venga concesso, Gesù aderisce a colui che dona e che nei suoi doni dona se stesso. Il Donatore è più prezioso del dono accordato; è il « Tesoro », ed il cuore del Figlio suo è in lui; il dono viene concesso « in aggiunta ».64

La « preghiera sacerdotale » di Gesù65 occupa un posto unico nell'Economia della salvezza. Su di essa si mediterà nella parte conclusiva della sezione prima. In realtà essa rivela la preghiera sempre attuale del nostro Sommo Sacerdote, e, al tempo stesso, è intessuta di ciò che Gesù ci insegna nella nostra preghiera al Padre, che sarà commentata nella sezione seconda.

2605 Quando giunge l'Ora in cui porta a compimento il disegno di amore del Padre, Gesù lascia intravvedere l'insondabile profondità della sua preghiera filiale, non soltanto prima di consegnarsi volontariamente (« Padre,... non... la mia, ma la tua volontà »: Lc 22,42), ma anche nelle ultime sue parole sulla croce, là dove pregare e donarsi si identificano: « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Lc 23,34); « In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso » (Lc 23,43); « Donna, ecco il tuo figlio. [...] Ecco la tua Madre » (Gv 19,26-27); « Ho sete! » (Gv 19,28); « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » (Mc 15,34);66 « Tutto è compiuto! » (Gv 19,30); « Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito » (Lc 23,46), fino a quel « forte grido » con il quale muore, rendendo lo spirito.67

2606 Tutte le angosce dell'umanità di ogni tempo, schiava del peccato e della morte, tutte le implorazioni e le intercessioni della storia della salvezza confluiscono in questo grido del Verbo incarnato. Ed ecco che il Padre le accoglie e, al di là di ogni speranza, le esaudisce risuscitando il Figlio suo. Così si compie e si consuma l'evento della preghiera nell'Economia della creazione e della salvezza. Il Salterio ce ne offre la chiave in Cristo. È nell'oggi della risurrezione che il Padre dice: « Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra! » (Sal 2,7-8).68

La lettera agli Ebrei esprime in termini drammatici come la preghiera di Gesù operi la vittoria della salvezza: « Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono » (Eb 5,7-9).

Gesù insegna a pregare

2607 Quando Gesù prega, già ci insegna a pregare. Il cammino teologale della nostra preghiera è la sua preghiera al Padre. Ma il Vangelo ci offre un esplicito insegnamento di Gesù sulla preghiera. Come un pedagogo, egli ci prende là dove siamo e, progressivamente, ci conduce al Padre. Rivolgendosi alle folle che lo seguono, Gesù prende le mosse da ciò che queste già conoscono della preghiera secondo l'Antica Alleanza e le apre alla novità del Regno che viene. Poi rivela loro tale novità con parabole. Infine, ai suoi discepoli, che dovranno essere pedagoghi della preghiera nella sua Chiesa, parlerà apertamente del Padre e dello Spirito Santo.

2608 Fin dal discorso della montagna, Gesù insiste sulla conversione del cuore: la riconciliazione con il fratello prima di presentare un'offerta sull'altare,69 l'amore per i nemici e la preghiera per i persecutori,70 la preghiera al Padre « nel segreto » (Mt 6,6), senza sprecare molte parole,71 il perdono dal profondo del cuore nella preghiera,72 la purezza del cuore e la ricerca del Regno.73 Tale conversione è tutta orientata al Padre: è filiale.

2609 Il cuore, deciso così a convertirsi, apprende a pregare nella fede. La fede è un'adesione filiale a Dio, al di là di ciò che sentiamo e comprendiamo. È diventata possibile perché il Figlio diletto ci apre l'accesso al Padre. Egli può chiederci di « cercare » e di « bussare », perché egli stesso è la porta e la via.74

2610 Come Gesù prega il Padre e rende grazie prima di ricevere i suoi doni, così egli ci insegna questa audacia filiale: « Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto » (Mc 11,24). Tale è la forza della preghiera: « Tutto è possibile per chi crede » (Mc 9,23), con una fede che non dubita.75 Quanto Gesù è rattristato dalla « incredulità » (Mc 6,6) dei suoi compaesani e dalla poca fede dei suoi discepoli,76 tanto si mostra pieno di ammirazione davanti alla fede davvero grande del centurione romano77 e della Cananea.78

2611 La preghiera di fede non consiste soltanto nel dire: « Signore, Signore », ma nel disporre il cuore a fare la volontà del Padre.79 Gesù esorta i suoi discepoli a portare nella preghiera questa passione di collaborare al disegno divino.80

2612 In Gesù « il regno di Dio è vicino » (Mc 1,15); egli chiama alla conversione e alla fede, ma anche alla vigilanza. Nella preghiera, il discepolo veglia attento a colui che è e che viene, nella memoria della sua prima venuta nell'umiltà della carne e nella speranza del suo secondo avvento nella gloria.81 La preghiera dei discepoli, in comunione con il loro Maestro, è un combattimento, ed è vegliando nella preghiera che non si entra in tentazione.82

2613 Tre parabole sulla preghiera di particolare importanza ci sono tramandate da san Luca:

La prima, « l'amico importuno »,83 esorta ad una preghiera fatta con insistenza: « Bussate e vi sarà aperto ». A colui che prega così, il Padre del cielo « darà tutto ciò di cui ha bisogno », e principalmente lo Spirito Santo che contiene tutti i doni.

La seconda, « la vedova importuna »,84 è centrata su una delle qualità della preghiera: si deve pregare sempre, senza stancarsi, con la pazienza della fede. « Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? ».

La terza parabola, « il fariseo e il pubblicano »,85 riguarda l'umiltà del cuore che prega: « O Dio, abbi pietà di me, peccatore ». La Chiesa non cessa di fare sua questa preghiera: « Kyrie eleison! ».

2614 Quando Gesù confida apertamente ai suoi discepoli il mistero della preghiera al Padre, svela ad essi quale dovrà essere la loro preghiera, e la nostra, allorquando egli, nella sua umanità glorificata, sarà tornato presso il Padre. La novità, attualmente, è di « chiedere nel suo nome ».86 La fede in lui introduce i discepoli nella conoscenza del Padre, perché Gesù è « la via, la verità e la vita » (Gv 14,6). La fede porta il suo frutto nell'amore: osservare la sua parola, i suoi comandamenti, dimorare con lui nel Padre, che in lui ci ama fino a prendere dimora in noi. In questa nuova Alleanza, la certezza di essere esauditi nelle nostre suppliche è fondata sulla preghiera di Gesù.87

2615 Ancor più, quando la nostra preghiera è unita a quella di Gesù, il Padre ci dà un « altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità » (Gv 14,16-17). Questa novità della preghiera e delle sue condizioni appare attraverso il discorso di addio.88 Nello Spirito Santo, la preghiera cristiana è comunione di amore con il Padre, non solamente per mezzo di Cristo, ma anche in lui: « Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena » (Gv 16,24).

Gesù esaudisce la preghiera

2616 La preghiera a Gesù è già esaudita da lui durante il suo ministero, mediante segni che anticipano la potenza della sua morte e della sua risurrezione: Gesù esaudisce la preghiera di fede, espressa a parole (dal lebbroso;89 da Giairo;90 dalla Cananea;91 dal buon ladrone92) oppure in silenzio (da coloro che portano il paralitico;93 dall'emoroissa che tocca il suo mantello;94 dalle lacrime e dall'olio profumato della peccatrice95). La supplica accorata dei ciechi: « Figlio di Davide, abbi pietà di noi » (Mt 9,27) o: « Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me » (Mc 10,47) è stata ripresa nella tradizione della Preghiera a Gesù: « Gesù, Cristo, Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di me peccatore! ». Si tratti di guarire le malattie o di rimettere i peccati, alla preghiera che implora con fede Gesù risponde sempre: « Va' in pace, la tua fede ti ha salvato! ».


Sant'Agostino riassume in modo mirabile le tre dimensioni della preghiera di Gesù: « Prega per noi come nostro Sacerdote; prega in noi come nostro Capo; è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo, dunque, in lui la nostra voce, e in noi la sua voce ».96

La preghiera della Vergine Maria

2617 La preghiera di Maria ci è rivelata all'aurora della pienezza dei tempi. Prima dell'incarnazione del Figlio di Dio e prima dell'effusione dello Spirito Santo, la sua preghiera coopera in una maniera unica al disegno benevolo del Padre: al momento dell'annunciazione per il concepimento di Cristo,97 e in attesa della pentecoste per la formazione della Chiesa, corpo di Cristo.98 Nella fede della sua umile serva il dono di Dio trova l'accoglienza che fin dall'inizio dei tempi aspettava. Colei che l'Onnipotente ha fatto « piena di grazia », risponde con l'offerta di tutto il proprio essere: « Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto ». « Fiat », è la preghiera cristiana: essere interamente per lui, dal momento che egli è interamente per noi.

2618 Il Vangelo ci rivela come Maria preghi e interceda nella fede: a Cana99 la Madre di Gesù prega il Figlio suo per le necessità di un banchetto di nozze, segno di un altro Banchetto, quello delle nozze dell'Agnello che, alla richiesta della Chiesa, sua Sposa, offre il proprio Corpo e il proprio Sangue. Ed è nell'ora della Nuova Alleanza, ai piedi della croce, 100 che Maria viene esaudita come la Donna, la nuova Eva, la vera « Madre dei viventi ».

2619 È per questo che il cantico di Maria, 101 il « Magnificat » latino, il 9,("8L< bizantino, rappresenta ad un tempo il cantico della Madre di Dio e quello della Chiesa, cantico della Figlia di Sion e del nuovo popolo di Dio, cantico di ringraziamento per la pienezza di grazie elargite nell'Economia della salvezza, cantico dei « poveri », la cui speranza si realizza mediante il compimento delle promesse fatte ai nostri padri, « ad Abramo e alla sua discendenza per sempre ».

In sintesi

2620 Nel Nuovo Testamento il modello perfetto della preghiera si trova nella preghiera filiale di Gesù. Fatta spesso nella solitudine, nel silenzio, la preghiera di Gesù comporta un'adesione piena d'amore alla volontà del Padre fino alla croce e un'assoluta fiducia di essere esaudito.
2621 Nel suo insegnamento, Gesù educa i suoi discepoli a pregare con un cuore purificato, con una fede viva e perseverante, con un'audacia filiale. Li esorta alla vigilanza e li invita a rivolgere le loro domande a Dio nel suo nome. Gesù Cristo stesso esaudisce le preghiere che gli vengono rivolte.
2622 La preghiera della Vergine Maria, nel suo « Fiat » e nel suo Magnificat, è caratterizzata dalla generosa offerta di tutto il suo essere nella fede.

(51) Cf Lc 1,49; 2,19; 2,51.
(52) Cf Lc 3,21.
(53) Cf Lc 9,28.
(54) Cf Lc 22,41-44.
(55) Cf Lc 6,12.
(56) Cf Lc 9,18-20.
(57) Cf Lc 22,32.
(58) Cf Mc 1,35; 6,46; Lc 5,16.
(59) Cf Eb 2,12.
(60) Cf Eb 2,15; 4,15.
(61) Cf Mt 11,25-27 e Lc 10,21-22.
(62) Cf Ef 1,9.
(63) Cf Gv 11,41-42.
(64) Cf Mt 6,21.33.
(65) Cf Gv 17.
(66) Cf Sal 22,2.
(67) Cf Mc 15,37; Gv 19,30.
(68) Cf At 13,33.
(69) Cf Mt 5,23-24.
(70) Cf Mt 5,44-45.
(71) Cf Mt 6,7.
(72) Cf Mt 6,14-15.
(73) Cf Mt 6,21.25.33.
(74) Cf Mt 7,7-11.13-14.
(75) Cf Mt 21,21.
(76) Cf Mt 8,26.
(77) Cf Mt 8,10.
(78) Cf Mt 15,28.
(79) Cf Mt 7,21.
(80) Cf Mt 9,38; Lc 10,2; Gv 4,34.
(81) Cf Mc 13; Lc 21,34-36.
(82) Cf Lc 22,40.46.
(83) Cf Lc 11,5-13.
(84) Cf Lc 18,1-8.
(85) Cf Lc 18,9-14.
(86) Cf Gv 14,13.
(87) Cf Gv 14,13-14.
(88) Cf Gv 14,23-26; 15,7.16; 16,13-15.23-27.
(89) Cf Mc 1,40-41.
(90) Cf Mc 5,36.
(91) Cf Mc 7,29.
(92) Cf Lc 23,39-43.
(93) Cf Mc 2,5.
(94) Cf Mc 5,28.
(95) Cf Lc 7,37-38.
(96) Sant'Agostino, Enarratio in Psalmum 85, 1: CCL 39, 1176 (PL 36, 1081); cf Principi e norme per la Liturgia delle Ore, 7: Liturgia delle Ore, v. 1 (Libreria Editrice Vaticana 1981) p. 30.
(97) Cf Lc 1,38.
(98) Cf At 1,14.
(99) Cf Gv 2,1-12.
(100) Cf Gv 19,25-27.
(101) Cf Lc 1,46-55.

martedì 3 agosto 2010


DISPOSIZIONI SULLA DISTRIBUZIONE DELLA COMUNIONE EUCARISTICA

Decreto del 27 aprile 2009


Fin dalle sue origini la Chiesa apostolica ha espresso la convinzione di fede che i discepoli s’incontrano con il Risorto, ne fanno esperienza nel primo giorno dopo il sabato ascoltando la Parola di Dio e la sua spiegazione e spezzando il pane eucaristico (cfr. Le 24, 13-35; Al 20, 7-12). San Giustino nella I Apologia, al n. 67 testimonia l’ulteriore sviluppo di questa prassi.

La predicazione degli apostoli, poi, illustrava ai fedeli la grandezza del Sacramento dell’altare e le disposizioni interiori necessarie per potervi partecipare con frutto, senza correre il rischio di mangiare e bere la propria condanna (cfr. 1 Cor 11, 29), ma al contrario perché mangiando di quel pane, Corpo di Cristo dato per la vita del mondo, chi crede possa avere la vita eterna (cfr. Gv 6, 51).

È quindi preciso dovere dell’apostolo esortare spesso i cristiani perché possano ricevere degnamente il Corpo di Cristo plasmando la propria vita ad immagine di Colui che nel sacramento viene ricevuto.

La pietà e la venerazione interiore con cui i fedeli si accostano all’Eucaristia si manifesta anche esteriormente nel modo con cui essi ricevono il Pane consacrato.

La catechesi dei pastori non manchi dunque di soffermarsi anche sul modo con cui ci si può accostare all’Eucaristia perché si eviti il più possibile che il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia sia trattato con superficialità o addirittura in modo irriverente o, peggio ancora, sacrilego.

Dobbiamo infatti prendere atto che purtroppo si sono ripetuti casi di profanazione dell’Eucaristia approfittando della possibilità di accogliere il Pane consacrato sul palmo della mano, soprattutto, ma non solo, in occasione di grandi celebrazioni o in grandi chiese oggetto di passaggio di numerosi fedeli.

Per tale motivo è bene vigilare sul momento della santa Comunione partendo dall’osservanza delle comuni norme ben note a tutti.

La distribuzione dell’Eucaristia avvenga in modo pacato ed ordinato, sia fatta in primo luogo dai ministri ordinati (presbitero e diacono); solo in loro mancanza dai ministri a ciò istituiti (accoliti). Solo in casi veramente eccezionali si ricorra ad altri ministri istituiti (lettori), alle religiose o a fedeli ben preparati.

Durante la Comunione i ministranti assistano il ministro, per quanto possibile, vigilando che ogni fedele dopo aver ricevuto il Pane consacrato lo consumi immediatamente davanti al ministro e che per nessun motivo venga portato al posto, oppure riposto nelle tasche o in borse o altrove, né cada per terra e venga calpestato.

L’Eucaristia è infatti il bene più prezioso che la Chiesa custodisce, presenza viva del Signore Risorto; tutti i fedeli si devono sentire chiamati a fare ogni sforzo perché questa presenza sia onorata prima di tutto con la vita e, poi, con i segni esteriori della nostra adorazione.

In ogni caso, considerata anche la frequenza in cui sono stati segnalati casi di comportamenti irriverenti nell’atto di ricevere l’Eucaristia, disponiamo che a partire da oggi nella Chiesa Metropolitana di S. Pietro, nella Basilica di S. Petronio e nel Santuario della B.V. di San Luca in Bologna i fedeli ricevano il Pane consacrato solamente dalle mani del ministro direttamente sulla lingua.

Raccomandiamo poi a tutti i sacerdoti di richiamare al popolo loro affidato la necessità di essere in grazia di Dio per poter ricevere l’Eucaristia e il grande rispetto dovuto al sacramento dell’Altare: con la catechesi, la predicazione, la celebrazione attenta e amorosa del Santi Misteri, educando i fedeli ad adorare il Dio fatto uomo con l’atteggiamento della vita e con la partecipazione curata in tutto, anche nei gesti, alla Mensa del Signore.

Esortiamo infine i fedeli a mettere ogni impegno perché l’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana, sia sempre più amata e venerata, riconoscendo in essa la presenza stessa del Figlio di Dio in mezzo a noi.

Bologna, dalla Residenza Arcivescovile, 27 aprile 2009.

+ Cardinale Carlo Caffarra
Arcivescovo

venerdì 23 luglio 2010

Vita Cristiana
«Orbene, bisognerà che ci decidiamo a renderci conto [...] del cumulo di giudizi arbitrari, di sostanziali deformazioni, di vere e proprie bugie, che incombe su tutto ciò che è storicamente attinente alla Chiesa. Siamo letteralmente invasi dai travisamenti e dalle menzogne: i cattolici in larga parte non se ne avvedono, quando addirittura non rifiutano di avvedersene. Se io vengo percosso sulla guancia destra, la perfezione evangelica mi propone di offrire la sinistra. Ma se si attenta alla verità, la stessa perfezione evangelica mi fa obbligo di adoperarmi a ristabilirla: perché, dove si estingue il rispetto della verità, comincia a precludersi per l'uomo ogni via di salvezza» (Card. G. Biffi).

Prendo spunto da queste bellissime parole del Cardinale Giacomo Biffi per introdurre l'argomento trattato in questa sezione: la vita cristiana. Non è tempo di rimanere ognuno al proprio posto, è tempo di reagire, è tempo di testimoniare la Verità, di salire fin sopra i tetti per annunziare la parola di Cristo! Il Signore ci chiede di essere testimoni attivi, membri di una Chiesa viva come ha detto recenteente il nostro amato Papa Benedetto XVI! Molto probabilmente in molti di noi risuonano ancora le splendide parole simbolo del pontificato di Giovanni Paolo II, quel "Non abbiate paura" che ha fatto il giro del mondo e che ha contribuito ad un risveglio delle coscienze in paesi martoriati dalla logica di regimi spietati e senza Dio. "Non abbiate paura di aprire la porte a Cristo", non dobbiamo aver paura di testimoniare la Parola di Verità, di anunziare alle genti la Buona Novella come 2000 anni fa...Cristo è morto e risorto per noi! In un epoca di relativismo etico in cui gli stessi cattolici stentano a comprendere che l'aborto è un atroce delitto, che l'uomo non può e non deve decidere legalmente in merito alla vita, che esistono ancora i vizi capitali e il peccato non è andato in pensione, che Satana esiste ed opera instancabilmente nel mondo contro la Chiesa di Cristo...è giunto il tempo di svegliarsi, di destarsi dal sonno della passività, è tempo di testimoniare attivamente la nostra fede, come nei primi secoli!

Rm 13,11 «E' ormai tempo di svegliarsi dal sonno»

Ef 5,14 «Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà»

Queste parole:

- Indicano la necessità di tornare al fervore di un tempo a suscitare l'entusiasmo degli inizi
«Hai abbandonato il tuo amore di un tempo, ricorda da dove sei caduto ravvediti e compi le opere di prima.
- Sono un avvertimento a non rimanere nella tiepidezza: «Sii zelante e ravvediti perché non sei né freddo ne caldo e Io sto per vomitarti dalla mia bocca...»
- Sono un invito al risveglio spirituale a quanti vivono spensieratamente «Ti si crede vivo invece sei morto svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire».

Di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, di fronte alle tenebre e al loro esercito schierato non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza della Sua promessa: «Io sono con voi». Pertanto mettiamo Gesù al centro della nostra vita, in ogni ambito: familiare, politico, istituzionale, culturale, storico, filosofico! Vogliamo che Cristo sia il centro vivente della nostra vita cristiana, il cuore pulsante della nostra esistenza! Pertanto non esitiamo e apriamo, spalanchiamo le porte del nostro cuore a Cristo, al Suo Spirito di Verità...e la Sua Luce ci rischiarerà!

Tratto da Christus veritas

venerdì 24 aprile 2009


ALLA PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA

Il Papa: la Scrittura può essere compresa soltanto nella Chiesa

Avvenire 24 Aprile 2009

Ieri mattina Benedetto XVI ha ricevuto in u­dienza i membri della Pontificia Commis­sione Biblica. Di seguito il testo del discor­so pronunciato dal Papa. Signor cardinale, cari membri della Pontificia Commissione Biblica, sono lieto di accogliervi ancora una volta al termine della vostra annuale Assemblea plenaria. Ringrazio il signor cardinale Wil­liam Levada per il suo indirizzo di saluto e per la concisa esposizione del tema che è stato oggetto di attenta riflessione nel cor­so della vostra riunione. Vi siete nuova­mente radunati per approfondire un argo­mento molto importante: l’ispirazione e la verità della Bibbia. Si tratta di un tema che riguarda non soltanto il credente, ma la stessa Chiesa, poiché la vita e la missione della Chiesa si fondano necessariamente sulla Parola di Dio, la quale è anima della teologia e, insieme, ispiratrice di tutta l’e­sistenza cristiana. Il tema che avete af­frontato risponde, inoltre, a una preoccu­pazione che mi sta particolarmente a cuo­re, poiché l’interpretazione della Sacra Scrittura è di importanza capitale per la fe­de cristiana e per la vita della Chiesa. Come ella ha già ricordato, signor pre­sidente, nell’enciclica Providentissi­mus Deus papa Leone XIII offriva a­gli esegeti cattolici nuovi incoraggiamenti e nuove direttive in tema di ispirazione, ve­rità ed ermeneutica biblica. Più tardi Pio XII nella sua enciclica Divino afflante Spi­ritu raccoglieva e completava il preceden­te insegnamento, esortando gli esegeti cat­tolici a giungere a soluzioni in pieno ac­cordo con la dottrina della Chiesa, tenen­do debitamente conto dei positivi apporti delle scienze profane. Il vivo impulso dato da questi due Pontefici agli studi biblici ha trovato piena conferma nel Concilio Vati­cano II, cosicché tutta la Chiesa ne ha trat­to beneficio. In particolare, la Costituzione conciliare Dei Verbum illumina ancora og­gi l’opera degli esegeti cattolici e invita i pa­stori e i fedeli ad alimentarsi più assidua­mente alla mensa della Parola di Dio. Il Concilio ricorda, al riguardo, innanzitutto che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura: «Le cose divinamente rivelate che nei libri del­la Sacra Scrittura sono contenute e pre­sentate, furono consegnate sotto l’ispira­zione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le lo­ro parti, perché, scritti sotto ispirazione del­lo Spirito Santo, hanno Dio per autore e co- D me tali sono stati consegnati alla Chiesa» (Dei Verbum, 11). Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asserisco­no è da ritenersi asserito dallo Spirito San­to, invisibile e trascendente Autore, si de­ve dichiarare, per conseguenza, che «i libri della Scrittura insegnano fermamente, fe­delmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse conse­gnata nelle sacre Lettere» (ibid., 11). Alla corretta impostazione del con­cetto di divina ispirazione e verità della Sacra Scrittura derivano alcu­ne norme che riguardano direttamente la sua interpretazione. La stessa Costituzione Dei Verbum, dopo aver affermato che Dio è l’autore della Bibbia, ci ricorda che nella Sacra Scrittura Dio parla all’uomo alla ma­niera umana. Per una retta interpretazio­ne della Scrittura bisogna dunque ricerca­re con attenzione che cosa gli agiografi han­no veramente voluto affermare e che cosa è piaciuto a Dio manifestare con le loro pa­role. «Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al lin­guaggio degli uomini, come già il Verbo del­l’eterno Padre, avendo assunto le debolez­ze dell’umana natura, si fece simile agli uo­mini » (Dei Verbum, 13). Queste indicazio­ni, offerte per una corretta interpretazione di carattere storico-letterario, richiedono un indispensabile collegamento con le pre­messe della dottrina sull’ispirazione e ve­rità della Sacra Scrittura. Infatti, essendo la Sacra Scrittura ispirata, c’è un sommo prin­cipio di retta interpretazione senza il qua­le gli scritti sacri resterebbero lettera mor­ta: la Sacra Scrittura deve «essere letta e in­terpretata con l’aiuto dello stes­so Spirito mediante il quale è sta­ta scritta» (Dei Verbum, 12). A l riguardo, il Concilio Va­ticano II indica tre criteri sempre validi per una in­terpretazione della Sacra Scrittu­ra conforme allo Spirito che l’ha ispirata. Anzitutto occorre pre­stare grande attenzione al conte­nuto e all’unità di tutta la Scrit­tura. Infatti, per quanto siano dif­ferenti i libri che la compongo­no, la Sacra Scrittura è una in forza dell’u­nità del disegno di Dio, del quale Cristo Ge­sù è il centro e il cuore (cfr Lc 24,25-27; Lc 24,44-46). In secondo luogo occorre legge­re la Scrittura nel contesto della Tradizio­ne vivente di tutta la Chiesa. Secondo un detto dei Padri « Sacra Scriptura principa­lius est in corde Ecclesiae quam in mate­rialibus instrumentis scripta » ossia «la Sa­cra Scrittura è scritta nel cuore della Chie­sa prima che su strumenti materiali». Infatti la Chiesa porta nella sua Tradizione la me­moria viva della Parola di Dio ed è lo Spiri­to Santo che le dona l’interpretazione di essa secondo il senso spirituale (cfr Orige­ne, Homiliae in Leviticum, 5,5). Come ter­zo criterio è necessario prestare attenzio­ne all’analogia della fede, ossia alla coe­sione delle singole verità di fede tra di loro e con il piano complessivo della Rivelazio­ne e la pienezza della divina economia in esso racchiusa. I l compito dei ricercatori che studiano con diversi metodi la Sacra Scrittura è quello di contribuire secondo i suddet­ti principi alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittu­ra. Lo studio scientifico dei testi sacri non è da solo sufficiente. Per rispettare la coe­renza della fede della Chiesa l’esegeta cat­tolico deve essere attento a percepire la Pa­rola di Dio in questi testi, all’interno della stessa fede della Chiesa. In mancanza di questo imprescindibile punto di riferi­mento la ricerca esegetica resta incomple­ta, perdendo di vista la sua finalità princi­pale, con il pericolo di diventare addirittu­ra una sorta di mero esercizio intellettua­le. L’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scien­tifico individuale, ma deve essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla Tra­dizione vivente della Chiesa. Questa nor­ma è decisiva per precisare il corretto e re­ciproco rapporto tra l’esegesi e il Magiste­ro della Chiesa. L’esegeta cattolico non nu­tre l’illusione individualista che, al di fuori della comunità dei credenti, si possano comprendere meglio i testi biblici. È vero invece il contrario, poiché questi testi non sono stati dati ai singoli ricercatori « per soddisfare la loro curiosità o per fornire lo­ro degli argomenti di studio e di ricerca» (Divino afflante Spiritu, EB 566). I testi i­spirati da Dio sono stati affidati alla comu­nità dei credenti, alla Chiesa di Cristo, per alimentare la fede e guidare la vita di carità. Il rispetto di questa finalità condiziona la validità e l’efficacia dell’ermeneutica bi­blica. L’enciclica Providentissimus Deus ha ricordato questa verità fondamentale e ha osservato che, lungi dall’ostacolare la ri­cerca biblica, il rispetto di questo dato ne favorisce l’autentico progresso. Essere fedeli alla Chiesa significa, in­fatti, collocarsi nella corrente della grande Tradizione che, sotto la guida del Magistero, ha riconosciuto gli scritti ca­nonici come parola rivolta da Dio al suo popolo e non ha mai cessato di meditarli e di scoprirne le inesauribili ricchezze. Il Concilio Vaticano II lo ha ribadito con gran­de chiarezza: «Tutto quello che concerne il modo di interpretare la Scrittura è sotto­posto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino manda­to e ministero di conservare e interpretare la Parola di Dio» (Dei Verbum, 12). Come ci ricorda la summenzionata Costituzione dogmatica esiste una inscindibile unità tra Sacra Scrittura e Tradizione, poiché en­trambe provengono da una stessa fonte: «La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura so­no strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue infatti, scaturendo dal­la stessa divina sorgente, formano, in un certo qual modo, una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscrit­to sotto l’ispirazione dello Spirito Santo; in­vece la sacra Tradizione trasmette inte­gralmente la parola di Dio, affidata da Cri­sto Signore e dallo Spirito Santo agli apo­stoli, ai loro successori, affinché questi, il­luminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo mo­do la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose ri­velate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l’una e l’al­tra devono esser accettate e venerate con pari sentimen­to di pietà e di riverenza » (Dei Verbum, 9). Soltanto il contesto ecclesiale permette alla Sacra Scrittura di essere compresa come autentica Parola di Dio che si fa guida, norma e regola per la vita della Chiesa e la crescita spirituale dei cre­denti. Ciò comporta il rifiuto di ogni in­terpretazione soggettiva o semplicemen­te limitata a una sola analisi, incapace di accogliere in sé il senso globale che nel corso dei secoli ha guidato la Tradizione dell’intero popolo di Dio. C ari membri della Pontificia Com­missione Biblica, desidero conclu­dere il mio intervento formulando a tutti voi i miei personali ringraziamenti e incoraggiamenti. Vi ringrazio cordialmen­te per l’impegnativo lavoro che compite al servizio della Parola di Dio e della Chiesa mediante la ricerca, l’insegnamento e la pubblicazione dei vostri studi. A ciò ag­giungo i miei incoraggiamenti per il cam­mino che resta ancora da percorrere. In un mondo dove la ricerca scientifica assume una sempre maggiore importanza in nu­merosi campi è indispensabile che la scien­za esegetica si situi a un livello adeguato. È uno degli aspetti dell’inculturazione della fede che fa parte della missione della Chie­sa, in sintonia con l’accoglienza del miste­ro dell’Incarnazione. Cari fratelli, il Signo­re Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato e di­vino Maestro che ha aperto lo spirito dei suoi discepoli all’intelligenza delle Scrit­ture (cfr Lc 24,45), vi guidi e vi sostenga nelle vostre riflessioni. La Vergine Maria, modello di docilità e di obbedienza alla Parola di Dio, vi insegni ad accogliere sempre meglio la ricchezza inesauribile della Sacra Scrittura, non soltanto attra­verso la ricerca intellettuale, ma anche nella vostra vita di credenti, affinché il vo­stro lavoro e la vostra azione possano con­tribuire a fare sempre più risplendere da­vanti ai fedeli la luce della Sacra Scrittu­ra. Nell’assicurarvi il sostegno della mia preghiera nella vostra fatica, vi imparto di cuore, quale pegno dei divini favori, l’a­postolica benedizione.

Benedetto XVI

Avvenire - 24 Aprile 2009

martedì 10 febbraio 2009


La croce

La croce, già segno del più terribile fra i supplizi, è per il cristiano l'albero della vita, il talamo, il trono, l'altare della nuova alleanza. Dal Cristo, nuovo Adamo addormentato sulla croce, è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa. La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria. Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del figlio dell'uomo che comparirà alla fine dei tempi. La festa dell'esaltazione della croce, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo. (Mess. Rom.)

giovedì 9 ottobre 2008


il tema

«Indispensabile l’unità visibile dei cristiani»

DA ROMA

Ricercare «l’unicità visibile» tra i di­scepoli di Cristo «è una dimensio­ne indispensabile della vita e della missione della Chiesa». E tanto più lo è «in un mondo lacerato da conflitti e guer­re, diviso tra ricchi e poveri, afflitto da o­dio sociale e violenza». Per questo è ne­cessario affidarsi alla Parola di Dio, e per questo le Chiese cristiane pregano «per questo Sinodo dei vescovi». È quanto ha scritto il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, Samuel Kobia – che si firma: «Il vostro umile fratello nel nome di Cristo» –, nel messaggio inviato alla XII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi. Il testo è stato letto in aula dal metropolita Mihail Nifon di Târgovite, del Patriarcato ortodosso di Romania, durante i lavori della quarta Congrega­zione generale, al termine degli interven­ti preordinati e prima del dibattito libero. Un messaggio aperto al dialogo e im­prontato all’ottimismo, che l’Assemblea, come ha detto al termine della lettura il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e presidente delegato del Sinodo, ringraziando il metropolita rumeno, «ha accolto in spirito di fraternità». «È la Pa­rola viva di Dio – è scritto nel messaggio del Consiglio ecumenico delle Chiese – a edificare la Chiesa e a trasformare la vita delle persone affinché diventino discepo­li credibili e visibili di Cristo attraverso la santa Eucaristia, la meditazione dei testi biblici e la testimonianza quotidiana dei fedeli nelle loro case, per strada e nel po­sto di lavoro». Infatti il modo in cui «la Parola di Dio risuona nella nostra vita sollecita atti di amore tra di noi ed è il fat­to centrale della missione olistica della Chiesa», ed è per questo motivo che al­lora «è tanto necessario il discepolato in un mondo lacerato da conflitti e guerre, diviso tra ricchi e poveri, afflitto da odio so­ciale e violenza». Attraver­so la Croce di Gesù «vediamo la sofferen­za e la disperazione del mondo. Nel Cri­sto risorto – si legge ancora nel docu­mento – la nostra speranza è reale. Le conseguenze del peccato possono essere vinte». La ricerca dell’unità visibile della Chiesa, afferma ancora il messaggio nella sua conclusione, è «una dimensione in­dispensabile della vita e della missione della Chiesa. Nello spirito di questa affermazione – è l’augurio finale che Kobia rivolge all’Assemblea a nome della Kek – posso assicurarvi le nostre pre­ghiere per questo Sinodo dei vescovi. Possa Dio, Pa­dre, Figlio e Spirito Santo, essere con voi e benedire le vostre delibe­razioni».

Salvatore Mazza richiama la centralità del dialogo, il messaggio inviato dal Consiglio ecumenico delle Chiese.

da Avvenire del 9 ottobre 2008

IL MONDO IN VATICANO

«Dalla Parola di Dio la risposta alle sette»

Al Sinodo dei vescovi l’invito ad approfondire la conoscenza e rilanciare l’annuncio della Bibbia di fronte al proliferare dei nuovi movimenti religiosi

DA ROMA SALVATORE MAZZA

Il ritorno all’annuncio della Parola di Dio, anche come mezzo per contra­stare l’aggressività delle sette, favo­rita proprio dall’«inaridimento» di mol­te comunità ecclesiali. È su questo a­spetto, introdotto in Assemblea dal vi­cario apostolico di Bengasi, monsignor Sylvester Carmel Magro, che s’è soprat­tutto concentrato il dibattito libero che ha concluso la giornata sinodale di mar­tedì, alla vigilia della prima riunione dei Circuli minores, i gruppi linguistici nei quali, da ieri mattina, è iniziata la di­scussione sulla relazione generale. Dopo le indicazioni di arrivare, anche attraverso l’elaborazione di un testo di base, a omelie più preparate per meglio attualizzare la Parola di Dio, il problema delle sette sembra essere il secondo dei temi 'emergenti' in questo Sinodo. As­sieme a questi, non tanto come tema specifico ma piuttosto come tensione che attraversa tutta l’Assemblea, c’è poi l’impegno ecumenico, che nelle Scrit­ture può, secondo i Padri sinodali, tro­vare lo stimolo per poter giungere al tra­guardo della piena unità.

Nel suo intervento monsignor Carmel Magro ha denunciato con forza la vio- lenza usata nei confronti di diverse Chie­se africane da parte di chi aveva tutto l’interesse a disperdere i fedeli cristiani, le sette in primo luogo. Per il presule il risultato più doloroso di questa aggres­sione è che tra queste persone ci sono molti cristiani che, abbandonata la fede, ora si rivoltano quasi con odio contro la Chiesa. La causa di questa situazione, ha affermato l’arcivescovo, va ricercata proprio nella poca coscienza del ruolo della Chiesa nel mondo, all’assoluta mancanza di conoscenza della Parola di Dio nel suo più profondo significato. Anche per questo – e qui è ritornata la questione delle omelie – è necessario se­condo il vescovo della Tanzania Deside­rius Rwoma, ritrovare la capacità di tra­smettere efficacemente la Parola di Dio con la predicazione. Di qui la proposta di istituire dei corsi specifici per i predi- catori, che sia accompagna a quella di proporre, soprattutto per la prima let­tura della Messa, dei testi più semplici per quei sacerdoti che non abbiano profonde conoscenze bibliche.

Per monsignor José Miguel Gómez Ro­dríguez, vescovo di Líbano-Honda, in Colombia, «l’essere umano è reso tale dalla sua capacità di ascoltare Dio». An­cor più, la persona raggiunge «la sua i­dentità » e «la sua dignità fondamenta­li » nell’ascolto della Parola di Dio». Per questo «è necessario che la Chiesa ri­cordi all’umanità queste verità in modo da trovare le soluzioni che ancora non trova»; e per questo è urgente «stabilire i criteri più adeguati per l’interpretazio­ne autentica della Parola rivelata», in quanto «l’interpretazione della Bibbia sfugge al capriccio dei relativismi mo­derni, perciò è scomoda per molti». Un’esigenza tanto più avvertita in Asia, dove, ha osservato l’arcivescovo di Co­tabato (Filippine) Orlando Quevedo, «in­credibilmente ricchi di uno splendido mosaico di antiche culture e religioni, noi siamo però comunque un conti­nente di poveri, di squilibri economici e politici, di divisione etnica e di conflit­to. Il nostro profondo senso di trascen­denza e di armonia viene eroso da una cultura secolare e materialista globaliz­zante ». Tuttavia, ha aggiunto, «la Parola di Dio in Asia chiama... migliaia di pic­cole comunità di poveri. Così facendo, stanno costruendo un 'modo nuovo di essere Chiesa' che in realtà è un modo antico, cioè il modo della prima comu­nità di Gerusalemme... Costituiscono comunità ecclesiali di base... testimo­niando la Parola di Dio in un ambiente multireligioso molto spesso ostile. Sono comunità di solidarietà e fraternità che, nel loro piccolo, sfidano in modo effica­ce la cultura moderna del secolarismo e del materialismo».

Durante la IV Congregazione generale si è svolta la seconda votazione per l’e­lezione della Commissione per il Mes­saggio finale, mentre ieri mattina i lavo­ri sono proseguiti con la prima sessione dei Circoli minori. Tra i quali, quest’an­no, non c’è quello in lingua latina. Che – per la cronaca – era quello al quale par­tecipava regolarmente in passato il car­dinale Joseph Ratzinger.

Da Avvenire del 9 ottobre 2008

lunedì 22 settembre 2008

"A proposito di magia e demonologia"

Nota Pastorale della Conferenza Episcopale Toscana

11. Incompatibilità tra magia e fede

E tale è l’insegnamento costante della tradizione cristiana. Già la «Didaché», tra le vie che conducono alla morte, accanto all’idolatria, pone la magia e gli incantesimi. Taziano, verso la fine del II secolo, elabora una dura polemica contro il fatalismo astrale nel quale vede una forma di potere del demonio sull’umanità. Ippolito, nella «Tradizione apostolica», esclude dal battesimo maghi, astrologi e indovini. Tertulliano pronuncia parole severissime verso tutti gli operatori di magia: «Di astrologi, di stregoni, di ciarlatani d’ogni risma, non si dovrebbe nemmeno parlare. Eppure, recentemente, un astrologo che dichiara di essere cristiano ha avuto la sfacciataggine di fare l’apologia del suo mestiere! È dunque necessario ricordare, sia pure brevemente, a lui e ai suoi simili, ch’essi offendono Dio, mettendo gli astri sotto la protezione degli idoli e facendo dipendere da loro la sorte degli uomini. L’astrologia e la magia sono turpi invenzioni dei demoni».Un giudizio questo condiviso dalla maggioranza dei padri della Chiesa. Secondo Agostino, la magia è demoniaca; la religione cristiana all’opposto è vittoria sul potere del demonio e rottura completa con tale mondo. Di fronte alle difficoltà dei neo-convertiti ad abbandonare le antiche pratiche magiche, la condanna si fa così forte e massiccia da finire per trasferire a carico del demonio tutta la magia, in ogni sua forma, identificata con la possessione diabolica. Se la posizione di san Tommaso rimane estremamente equilibrata, non mancano testi che, specie nel tardo medioevo, tendono ad accentuazioni eccessive, arrivando a sviluppare l’idea del «maleficio» come di un potere che esseri umani, specialmente donne, possono esercitare sugli altri, avendo patteggiato con il demonio la cessione della propria anima in cambio di capacità preternaturali da esercitare in vita. Un’idea che ha condotto nei secoli XV-XVIII alla triste storia delle persecuzioni di streghe e maghi. Questa vicenda, pur tenendo conto del contesto e della difficoltà di un giudizio storico a posteriori, rimane mortificante per la cristianità occidentale. Non dobbiamo dimenticare d’altra parte che, anche in quelle circostanze, non sono mancati uomini coraggiosi come Cornelius Loos e il gesuita E von Spes in Germania che, in nome della fede, si sono opposti a simili eccessi. Le vicende di quei secoli, in ogni caso, devono rendere i cristiani cauti nel giudicare la magia come un effetto diretto - sempre e in ogni circostanza - dei demonio. Dal punto di vista teologico, peraltro, non si può razionalisticamente ridurre la realtà delle pratiche magiche, specie quelle «nere», solo ad un fenomeno psichico deviante o ad un semplice atto peccaminoso dell’uomo. In tali pratiche non si può escludere un’azione o dipendenza da satana, avversario giurato dei Signore Gesù e della sua salvezza. Il diavolo - come ci insegna l’Apocalisse - sino alla fine dei tempi userà tutti i suoi poteri e la sua sagacia per ingannare i battezzati ed ostacolare la piena attuazione dei progetto salvifico di Dio sul mondo. «Tutta intera la storia umana afferma il Concilio Vaticano II - è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio» (GS 37).

Commento: tutto il documento, che è reperibile on-line è interessantissimo! Auspicabile una conoscenza ed una diffusione corretta di questo atto di Magistero dei Vescovi tutti della regione Toscana.

da amarelachiesa.blogspot.com