giovedì 22 novembre 2007

RIFLESSIONE DEL CARD. JOSÉ SARAIVA MARTINS
Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi

Il significato dei santi oggi
in un mondo che cambia

1. "Per fare di un uomo un santo occorre solo la Grazia. Chi dubita di questo non sa cosa sia un santo né cosa sia un uomo", ha osservato con la sua caratteristica lapidarietà Pascal nei Pensieri.
Prendo questa osservazione per accennare alle due prospettive di queste riflessioni: nel santo si congiungono la celebrazione di Dio (della sua Grazia appunto) e la celebrazione dell'uomo, nelle sue potenzialità e nei suoi limiti, nelle sue aspirazioni e nelle sue realizzazioni.
Sono note le tante obiezioni che oggi si muovono al concetto di "santità" e di "santo". Non poche critiche sono rivolte anche alla tradizionale e ininterrotta pratica della Chiesa di riconoscere e proclamare "santi" alcuni suoi figli più esemplari. Nel grande risalto, anche numerico, dato da Giovanni Paolo II alle beatificazioni e canonizzazioni durante il suo pontificato, qualcuno ha insinuato esservi una strategia espansionistica della Chiesa cattolica. Per altri, la proposta di nuovi beati e santi, così diversificati per categorie, nazionalità e culture, sarebbe solo un'operazione di marketing della santità con scopi di leadership del Papato nella società civile attuale. C'è, infine, chi vede nelle canonizzazioni e nel culto dei santi un residuo anacronistico di trionfalismo religioso, estraneo o persino contrario allo spirito e al dettato del Concilio Vaticano II che tanto ha evidenziato la vocazione alla santità di tutti i cristiani.
Evidentemente, una lettura esclusivamente sociologica del nostro tema rischia di essere non solo riduttiva ma anche fuorviante dalla comprensione di questo fenomeno tanto caratteristico della Chiesa cattolica.
2. Nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte, la lettera che il Papa ha consegnato alla Chiesa a conclusione del Giubileo dell'anno 2000, si parla con accenti profondi del tema della santità. Nella "grande schiera di santi e di martiri" che include "Pontefici ben noti alla storia o umili figure di laici e religiosi, da un continente all'altro del globo - ha osservato Giovanni Paolo II al n. 7 della Lettera - la santità è apparsa più che mai la dimensione che meglio esprime il mistero della Chiesa. Messaggio eloquente che non ha bisogno di parole, essa rappresenta al vivo il volto di Cristo".
Per capire la Chiesa occorre conoscere i santi che ne sono il segno e il frutto più maturo ed eloquente. Per contemplare il volto di Cristo nelle mutevoli e diversificate situazioni del mondo moderno occorre guardare ai santi che "rappresentano al vivo il volto di Cristo", come ci ricorda il Papa. La Chiesa deve proclamare dei santi e lo deve fare in nome di quell'annuncio della santità che la riempie e la fa essere appunto, strumento di santità nel mondo.
"Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia trasformati nell'immagine di Cristo (Cfr 2 Cor 3, 18), Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci mostra il segno del suo regno, verso il quale, avendo davanti a noi un tal nugolo di testimoni (Cfr Ebr 12, 1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati" (LG, 50). In questo passaggio della Lumen Gentium troviamo la ragione profonda del culto di beati e santi.
3. La Chiesa compie la missione affidatale dal Divin Maestro di essere strumento di santità attraverso le vie dell'evangelizzazione, dei sacramenti e della pratica della carità. Tale missione riceve un notevole contributo di contenuti e di stimoli spirituali anche dalla proclamazione dei beati e santi, perché essi mostrano che la santità è accessibile alle moltitudini, che la santità è imitabile. Con la loro concretezza personale e storica fanno sperimentare che il Vangelo e la vita nuova in Cristo non sono un'utopia o un mero sistema di valori, ma sono "lievito" e "sale" capaci di far vivere la fede cristiana all'interno e dall'interno delle diverse culture, aree geografiche ed epoche storiche.
"L'avvenire degli uomini - ha osservato il compianto Card. Giuseppe Siri - non è mai chiaro, perché tutti i loro peccati corrodono tutti i sentieri della storia e inducono una dialettica intricata di cause e di effetti, di errori e di nemesi, di esplosioni e di interruzioni. La certezza che i santi continueranno ad accompagnare gli uomini è una delle poche garanzie dell'avvenire" (Il primato della verità, 154).
4. Il fenomeno dei santi e della santità cristiana, crea uno stupore che non è mai venuto meno nella vita della Chiesa e che non può non sorprendere anche un osservatore laico attento, soprattutto oggi, in un mondo che cambia continuamente e rapidamente, in un mondo frammentato culturalmente sia a livello di valori che di costumi. Dallo stupore nasce la domanda: cosa fa sì che la fede si incarni in tutte le latitudini, nei diversi contesti storici, tra le più variate categorie e stati di vita? Come è possibile che senza dinamismi di potere, impositivi o persuasivi che siano, e senza dinamismi di uniformità, ci siano tanti santi così diversi e così consonanti con Cristo e con la Chiesa? Cosa spinge alla libera assunzione del nucleo germinativo cristiano che poi sviluppa tanta diversità e bellezza nell'unità della santità? Quanto è diversa la globalizzazione, di cui oggi tanto si parla, dalla cattolicità o universalità della fede cristiana e della Chiesa che quella fede vive, custodisce e diffonde!
Quell'internazionalismo del cattolicesimo, che non è ricercato per mire di potere ma di servizio e di salvezza, viene confermato dai santi e dalle sante che appartengono ai più diversi quadri di riferimento storico, ma hanno vissuto la stessa fede. Tale internazionalismo conferma che la santità non ha confini e che essa non è morta nella Chiesa e, anzi, continua ad essere di viva attualità. Il mondo cambia, ma i santi, pur cambiando essi stessi con il mondo che cambia, ripresentano sempre il medesimo volto vivo di Cristo. Non vi è in questo un indizio inconfondibile della vitalità unica, meta-culturale e meta-storica - "soprannaturale" è per noi cattolici la parola giusta - dell'annuncio e della Grazia cristiana?
5. In questo contesto di pensieri è interessante fare un'osservazione su come la Chiesa cattolica riconosce e proclama i beati e santi. Mi riferisco in particolare al lavoro della Congregazione delle Cause dei Santi, chiamata a studiare e riconoscere la santità e i santi attraverso un procedura minuziosa e saggia, consolidata, rinnovata e rinnovabile nel tempo.
I santi e la santità sono riconosciuti con un movimento dal basso verso l'alto. Ancor oggi, è il popolo cristiano stesso che, riconoscendo per intuito della fede la "fama di santità", segnala i candidati alla canonizzazione al proprio Vescovo - titolare della prima fase del processo di canonizzazione - e successivamente al Dicastero della Santa Sede competente. Né la Congregazione delle Cause dei Santi e né il Papa "inventano" o "fabbricano" i santi. Ci pensa già, come sanno bene tutti i credenti, lo Spirito Santo. Che poi questo stesso Spirito - come dice il Vangelo - "spiri dove vuole" è una constatazione a cui siamo abituati da secoli, e tanto più oggi, essendo la Chiesa diffusa in ogni parte del mondo e in ogni strato sociale.
Ciò detto, va riconosciuto che Papa Giovanni Paolo II ha fatto della proclamazione di nuovi beati e santi una autentica e costante forma di evangelizzazione e di magistero. Ha voluto accompagnare la predicazione delle verità e dei valori evangelici con la presentazione di santi che hanno vissuto quelle verità e quei valori in modo esemplare. Nel corso del suo pontificato, e dunque dal 1978 ad oggi, Giovanni Paolo II ha beatificato 1.299 persone di cui 1.029 sono martiri, mentre ne ha canonizzate 464 di cui 401 hanno incontrato il martirio. I laici elevati agli onori degli altari sono anche molti di più di quanto si pensi, di solito: si tratta infatti di 268 beati e 246 santi, in tutto sono ben 514 laici.
Sono tanti per alcuni; sono pochi per altri.
Per quanto riguarda il numero dei Santi, Giovanni Paolo II non ignora il parere di chi ritiene che essi siano troppi. Anzi, ne parla esplicitamente. Ecco la risposta del Papa in proposito: "Si dice talora che oggi ci sono troppe beatificazioni. Ma questo, oltre a rispecchiare la realtà, che per grazia di Dio è quella che è, corrisponde anche al desiderio espresso dal Concilio. Il Vangelo si è talmente diffuso nel mondo e il suo messaggio ha messo così profonde radici, che proprio il grande numero di beatificazioni rispecchia vividamente l'azione dello Spirito Santo e la vitalità che da Lui scaturisce nel campo più essenziale per la Chiesa, quello della santità. È stato infatti il Concilio a mettere in particolare rilievo la chiamata universale alla santità" (13-VI- 1994, in apertura del Concistoro straordinario in preparazione al Giubileo del 2000).
Nella Tertio Millennio adveniente Giovanni Paolo II scrive: "In questi anni si sono moltiplicate le canonizzazioni e le beatificazioni. Esse manifestano la vivacità delle Chiese locali, molto più numerose oggi che nei primi secoli e nel primo millennio. Il più grande omaggio, che tutte le Chiese renderanno a Cristo alla soglia del terzo millennio, sarà la dimostrazione dell'onnipotente presenza del Redentore mediante i frutti di fede, di speranza e di carità in uomini e donne di tante lingue e razze, che hanno seguito Cristo nelle varie forme della vocazione cristiana" (TMA, 37).
Nella Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, il Papa osserva inoltre: "Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. Ringrazio il Signore che mi ha concesso di beatificare e canonizzare, in questi anni, tanti cristiani, e tra loro molti laici che si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita" (NMI 31).
Certamente, tante beatificazioni e canonizzazioni sono anche un segno della capacità di inculturazione della vita della fede cristiana e della Chiesa.
6. Vorrei infine soffermarmi sul contributo culturale dato dai santi, dal loro culto e dal fervoroso e serio lavoro di studio che precede e segue la loro canonizzazione.
Il Concilio Vaticano II chiese che un'"accurata investigazione storica, teologica e pastorale" circondasse la proposta del culto dei santi (Sacrosanctum Concilium n.23). Tale indicazione trovava già preparata, e oggi pienamente sperimentata, la Congregazione delle Cause dei Santi.
La cura della verità storica fu sempre presente nel lavoro della Congregazione delle Cause dei Santi. Già in un "Decreto" di Pio X del 26.8.1913, poi recepito nel "Codice di Diritto Canonico" del 1917, chiedeva la raccolta e lo studio di tutti i documenti storici relativi alle cause. Ma la fondamentale novità fu apportata dal Motu Proprio "Già da qualche tempo" del 6.2.1930, con il quale Pio XI istituiva presso la Congregazione dei Riti la "Sezione storica", con il compito di portare il suo efficace contributo per la trattazione delle cause "storiche", cioè di quelle senza testimoni contemporanei ai fatti in causa. Il servizio reso dalla "Sezione storica", poi denominata dal 1969 "Ufficio storico-agiografico", fu esteso a tutte le cause, anche a quelle "recenti", accrescendo la sensibilità storico-critica a tutti i livelli e in tutte le fasi del processo. Finalmente, la Costituzione Apostolica "Divinus perfectionis Magister", del 25.1.1983, seguita dalle "Normae servandae" del 7.2.1983, sancì definitivamente il determinante apporto del metodo e della qualità storica nella trattazione delle cause dei santi.
La verità storica, tanto diligentemente ricercata per motivi teologici e pastorali, porta molti benefìci anche alla presentazione culturale dei santi. I nuovi beati e santi sono "usciti di sacrestia" per essere studiati e presentati anche come personaggi storicamente significativi, ben dentro alla vita della loro Chiesa, della loro società, del loro tempo. Così non interessano più solo alla Chiesa e ai credenti, ma a tutti coloro che si occupano di storia, di cultura, di vita civile, di politica, di pedagogia ecc. In tale maniera, la missione di questi straordinari uomini di Dio continua in modo diverso, ma comunque efficace per il bene di tutta la società. Significativo al riguardo è il fatto che l'Archivio della Congregazione delle Cause dei Santi non è più soltanto frequentato da "addetti al lavoro ecclesiastici", ma anche da studiosi laici che vi attingono per tesi di laurea, per studi storici, di pedagogia, di sociologia, ecc. perché vi trovano materiale copioso e storicamente attendibile.
7. La santità tocca, dunque, con una sua valenza particolare anche la cultura. I santi hanno permesso che si creassero dei nuovi modelli culturali, nuove risposte ai problemi e alle grandi sfide dei popoli, nuovi sviluppi di umanità nel cammino della storia. Quella dei santi "è un'eredità da non disperdere - ha più volte insistito il Santo Padre -, ma da consegnare a un perenne dovere di gratitudine e a un rinnovato proposito di imitazione" (Novo Millennio Ineunte n. 7).
I santi sono come dei fari; hanno indicato agli uomini le possibilità di cui l'essere umano dispone. Per questo sono interessanti anche culturalmente, indipendentemente dall'approccio culturale, religioso e di studio con cui li si avvicini. Un grande filosofo francese del XX secolo, Henry Bergson, ha osservato che "i più grandi personaggi della storia non sono i conquistatori ma i santi".
Mentre Jean Delumeau, uno storico del cattolicesimo del Cinquecento ha invitato a verificare come i grandi risvegli nella storia della cristianità siano stati caratterizzati da un ritorno alle fonti, cioè alla santità del Vangelo, provocata dai santi e dai movimenti di santità nella Chiesa.
In tempi più recenti, il Card. Joseph Ratzinger ha giustamente affermato che "Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e nostro cammino. Essi, i Santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell'umano, l'eterno nel tempo".
8. In un mondo che cambia, i santi non solo non restano spiazzati storicamente o culturalmente, ma - mi pare di dover concludere - stanno diventando un soggetto ancor più interessante e attendibile. In un'epoca di caduta delle utopie collettive, in un'epoca di diffidenza e di inappetenza di quanto è teorico e ideologico sta sorgendo una nuova attenzione verso i santi, figure singolari nelle quali si incontra non una teoria e neanche semplicemente una morale, ma un disegno di vita da narrare, da scoprire con lo studio, da amare con la devozione, da attuare con la imitazione.
Di questo risveglio di attenzione verso i santi non c'è che da rallegrarsi perché i santi sono di tutti, sono un patrimonio dell'umanità che si sporge oltre se stessa in uno sviluppo che mentre onora l'uomo rende anche gloria a Dio, perché "gloria di Dio è l'uomo vivente" (s. Ireneo di Lione).
Tutto quanto fin qui considerato, mi piace leggerlo alla luce di un messaggio, davvero avvincente, del Santo Padre Giovanni Paolo II, che mi pare possa dare, a chi riflette su questo tema, almeno un'idea della visione del Sommo Pontefice circa la santità, inscindibilmente legata alla dignità battesimale di ogni cristiano, e quindi spiegare meglio anche il ruolo delle beatificazioni e canonizzazioni nel cammino pastorale della Chiesa, in questi XXV anni di pontificato di Karol Wojtyla. Il messaggio è quello inviato per la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni del 2002: "Compito primario della Chiesa è accompagnare i cristiani sulle vie della santità. (...) La Chiesa è "la casa della santità", e la carità di Cristo, effusa dallo Spirito Santo, ne costituisce l'anima" (AAS, vol. XCIV, 3 maggio 2002, n. 5).
Nella Chiesa dunque tutto, ed ogni vocazione in particolare è a servizio della santità! Ed è indubbiamente in questo senso che quando guardiamo alla Chiesa, non dobbiamo mai dimenticare di vedere in essa il volto della "madre dei santi", che genera santità con feconda e magnanima sovrabbondanza.

tratto da: amarelachiesa.blogspot.com

mercoledì 21 novembre 2007

Dichiarazione del Concilio vaticano II°
sulla libertà religiosa

DIGNITATIS HUMANAE SULLA
LIBERTA' RELIGIOSA
IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

PROEMIO


1. Nell'età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive. Parimenti, gli stessi esseri umani postulano una giuridica delimitazione del potere delle autorità pubbliche, affinché non siano troppo circoscritti i confini alla onesta libertà, tanto delle singole persone, quanto delle associazioni. Questa esigenza di libertà nella convivenza umana riguarda soprattutto i valori dello spirito, e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società. Considerando diligentemente tali aspirazioni, e proponendosi di dichiarare quanto e come siano conformi alla verità e alla giustizia, questo Concilio Vaticano rimedita la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi in costante armonia con quelli già posseduti. Anzitutto, il sacro Concilio professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli:”Andate dunque, istruite tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quello che io vi ho comandato” (Mt 28,19-20). E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli. Il sacro Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore. E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell'adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo. Inoltre il sacro Concilio, trattando di questa libertà religiosa, si propone di sviluppare la dottrina dei sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana e all'ordinamento giuridico della società.

I. ASPETTI GENERALI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA
Oggetto e fondamento della libertà religiosa2. Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società.A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell'immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito. Libertà religiosa e rapporto dell'uomo con Dio3. Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza qualora si consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con sapienza e amore ordina, dirige e governa l'universo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l'essere umano della sua legge, cosicché l'uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l'immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza. La verità, però, va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l'aiuto dell'insegnamento o dell'educazione, per mezzo dello scambio e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; inoltre, una volta conosciuta la verità, occorre aderirvi fermamente con assenso personale. L'uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio. Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso. Infatti l'esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente verso Dio: e tali atti da un'autorità meramente umana non possono essere né comandati, né proibiti. Però la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario. Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio per gli esseri umani, quando si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia. Inoltre gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli esseri umani con decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l'ordine terrestre e temporale delle cose. Quindi la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza se presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi.La libertà dei gruppi religiosi4. La libertà religiosa che compete alle singole persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. I gruppi religiosi, infatti, sono postulati dalla natura sociale tanto degli esseri umani, quanto della stessa religione. A tali gruppi, pertanto, posto che le giuste esigenze dell'ordine pubblico non siano violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria religione. Parimenti ai gruppi religiosi compete il diritto di non essere impediti con leggi o con atti amministrativi del potere civile di scegliere, educare, nominare e trasferire i propri ministri, di comunicare con le autorità e con le comunità religiose che vivono in altre regioni della terra, di costruire edifici religiosi, di acquistare e di godere di beni adeguati. I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto. Però, nel diffondere la fede religiosa e nell'introdurre pratiche religiose, si deve evitare ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse: un tale modo di agire va considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del diritto altrui. Inoltre la libertà religiosa comporta pure che i gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la virtù singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività. Infine, nel carattere sociale della natura umana e della stessa religione si fonda il diritto in virtù del quale gli esseri umani, mossi dalla propria convinzione religiosa, possano liberamente riunirsi e dar vita ad associazioni educative, culturali, caritative e sociali.La libertà religiosa della famiglia5. Ad ogni famiglia - società che gode di un diritto proprio e primordiale - compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l'educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere dalla potestà civile riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione, e per una tale libertà di scelta non debbono essere gravati, né direttamente né indirettamente, da oneri ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori, o se viene imposta un'unica forma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione religiosa. Cura della libertà religiosa6. Poiché il bene comune della società - che si concreta nell'insieme delle condizioni sociali, grazie alle quali gli uomini possono perseguire il loro perfezionamento più riccamente o con maggiore facilità - consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti della persona umana e nell'adempimento dei rispettivi doveri, adoperarsi positivamente per il diritto alla libertà religiosa spetta tanto ai cittadini quanto ai gruppi sociali, ai poteri civili, alla Chiesa e agli altri gruppi religiosi: a ciascuno nel modo ad esso proprio, tenuto conto del loro specifico dovere verso il bene comune. Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell'uomo è dovere essenziale di ogni potere civile. Questo deve quindi assicurare a tutti i cittadini, con leggi giuste e con mezzi idonei, l'efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà. Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad un determinato gruppo religioso una speciale posizione civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutti i gruppi religiosi venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa. Infine il potere civile deve provvedere che l'eguaglianza giuridica dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società, per motivi religiosi non sia mai lesa, apertamente o in forma occulta, e che non si facciano fra essi discriminazioni. Da ciò segue che non è permesso al pubblico potere imporre ai cittadini con la violenza o con il timore o con altri mezzi la professione di una religione qualsivoglia oppure la sua negazione, o di impedire che aderiscano ad un gruppo religioso o che se ne allontanino. Tanto più poi si agisce contro la volontà di Dio e i sacri diritti della persona e il diritto delle genti quando si usa, in qualunque modo, la violenza per distruggere o per comprimere la stessa religione o in tutto il genere umano oppure in qualche regione o in un determinato gruppo. I limiti della libertà religiosa7. Il diritto alla libertà in materia religiosa viene esercitato nella società umana; di conseguenza il suo esercizio è regolato da alcune norme. Nell'esercizio di ogni libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell'esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune. Con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia ed umanità. Inoltre, poiché la società civile ha il diritto di proteggersi contro i disordini che si possono verificare sotto pretesto della libertà religiosa, spetta soprattutto al potere civile prestare una tale protezione; ciò però va compiuto non in modo arbitrario o favorendo iniquamente una delle parti, ma secondo norme giuridiche, conformi all'ordine morale obiettivo: norme giuridiche postulate dall'efficace difesa dei diritti e dalla loro pacifica armonizzazione a vantaggio di tutti i cittadini, da una sufficiente tutela di quella autentica pace pubblica che consiste in una vita vissuta in comune sulla base di una onesta giustizia, nonché dalla debita custodia della pubblica moralità. Questi sono elementi che costituiscono la parte fondamentale del bene comune e sono compresi sotto il nome di ordine pubblico. Per il resto nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata, se non quando e in quanto è necessario. Educazione all'esercizio della libertà8. Nella nostra età gli esseri umani, a motivo di molteplici fattori, vivono in un'atmosfera di pressioni e corrono il pericolo di essere privati della facoltà di agire liberamente e responsabilmente. D'altra parte non sembrano pochi quelli che, sotto il pretesto della libertà, respingono ogni dipendenza e apprezzano poco la dovuta obbedienza. Ragione per cui questo Concilio Vaticano esorta tutti, ma soprattutto coloro che sono impegnati in compiti educativi, ad adoperarsi per formare esseri umani i quali, nel pieno riconoscimento dell'ordine morale, sappiano obbedire alla legittima autorità e siano amanti della genuina libertà, esseri umani cioè che siano capaci di emettere giudizi personali nella luce della verità, di svolgere le proprie attività con senso di responsabilità, e che si impegnano a perseguire tutto ciò che è vero e buono, generosamente disposti a collaborare a tale scopo con gli altri. La libertà religiosa, quindi, deve pure essere ordinata e contribuire a che gli esseri umani adempiano con maggiore responsabilità i loro doveri nella vita sociale.

II. LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE
La dottrina della libertà religiosa affonda le radici nella Rivelazione9. Quanto questo Concilio Vaticano dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l'esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani. Quantunque, infatti, la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana degli esseri umani nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di una tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione. Tutto ciò illustra i principi generali sopra cui si fonda la dottrina della presente dichiarazione sulla libertà religiosa. E anzitutto, la libertà religiosa nella società è in piena rispondenza con la libertà propria dell'atto di fede cristiana.Libertà dell'atto di fede10. Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri, è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti, l'atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell'ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita. Modo di agire di Cristo e degli apostoli11. Dio chiama gli esseri umani al suo servizio in spirito e verità; per cui essi sono vincolati in coscienza a rispondere alla loro vocazione, ma non coartati. Egli, infatti, ha riguardo della dignità della persona umana da lui creata, che deve godere di libertà e agire con responsabilità. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù, nel quale Dio ha manifestato se stesso e le sue vie in modo perfetto. Infatti Cristo, che è Maestro e Signore nostro, mite ed umile di cuore ha invitato e attratto i discepoli pazientemente. Certo, ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna coercizione Ha pure rimproverato l'incredulità degli uditori, lasciando però la punizione a Dio nel giorno del giudizio. Mandando gli apostoli nel mondo, disse loro:” Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non avrà creduto sarà condannato”(Mc 16,16). ma conoscendo che la zizzania è stata seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo. Non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza preferì essere chiamato Figlio dell'uomo che viene”per servire e dare la sua vita in redenzione di molti” (Mc 10,45). Si presentò come il perfetto servo di Dio che” non rompe la canna incrinata e non smorza il lucignolo che fuma” (Mt 12,20). Riconobbe la potestà civile e i suoi diritti, comandando di versare il tributo a Cesare, ammonì però chiaramente di rispettare i superiori diritti di Dio:” Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Finalmente ha ultimato la sua rivelazione compiendo nella croce l'opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità, però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell'amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani. Gli apostoli, istruiti dalla parola e dall'esempio di Cristo, hanno seguito la stessa via. Fin dal primo costituirsi della Chiesa i discepoli di Cristo si sono adoperati per convertire gli esseri umani a confessare Cristo Signore, non però con un'azione coercitiva né con artifizi indegni del Vangelo, ma anzitutto con la forza della parola di Dio, Con coraggio annunziavano a tutti il proposito di Dio salvatore,” il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4); nello stesso tempo, però, avevano riguardo per i deboli, sebbene fossero nell'errore, mostrando in tal modo come” ognuno di noi renderà conto di sé a Dio” (Rm 14,12) e sia tenuto ad obbedire soltanto alla propria coscienza. Come Cristo, gli apostoli hanno sempre cercato di rendere testimonianza alla verità di Dio, arditamente osando dinanzi al popolo e ai principi di” annunziare con fiducia la parola di Dio” (At 4,31). Con ferma fede ritenevano che lo stesso Vangelo fosse realmente la forza di Dio per la salvezza di ogni credente. Sprezzando quindi tutte”le armi carnali” seguendo l'esempio di mansuetudine e di modestia di Cristo, hanno predicato la parola di Dio pienamente fiduciosi nella divina virtù di tale parola del distruggere le forze avverse a Dio e nell'avviare gli esseri umani alla fede e all'ossequio di Cristo, Come il Maestro, così anche gli apostoli hanno riconosciuto la legittima autorità civile:” Non vi è infatti potestà se non da Dio”, insegna l'Apostolo, il quale perciò comanda:”Ognuno sia soggetto alle autorità in carica... Chi si oppone alla potestà, resiste all'ordine stabilito da Dio” (Rm 13,1-5). Nello stesso tempo, però, non hanno avuto timore di resistere al pubblico potere che si opponeva alla santa volontà di Dio:” È necessario obbedire a Dio prima che agli uomini” (At 5,29). La stessa via hanno seguito innumerevoli martiri e fedeli attraverso i secoli e in tutta la terra.La Chiesa segue le tracce di Cristo e degli apostoli12. La Chiesa pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce. Essa ha custodito e tramandato nel decorso dei secoli la dottrina ricevuta da Cristo e dagli apostoli. E quantunque nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno. Il fermento evangelico ha pure lungamente operato nell'animo degli esseri umani e molto ha contribuito perché gli uomini lungo i tempi riconoscessero più largamente e meglio la dignità della propria persona e maturasse la convinzione che la persona nella società deve essere immune da ogni umana coercizione in materia religiosa. La libertà della Chiesa13. Fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell'agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani. È questa, infatti, la libertà sacra, di cui l'unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l'impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l'ordinamento giuridico della società Civile. Nella società umana e dinanzi a qualsivoglia pubblico potere, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l'obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura. Parimenti, la Chiesa rivendica a sé la libertà in quanto è una comunità di esseri umani che hanno il diritto di vivere nella società civile secondo i precetti della fede cristiana. Ora, se vige un regime di libertà religiosa non solo proclamato a parole né solo sancito nelle leggi, ma con sincerità tradotto realmente nella vita, in tal caso la Chiesa, di diritto e di fatto, usufruisce di una condizione stabile per l'indipendenza necessaria all'adempimento della sua divina missione: indipendenza nella società, che le autorità ecclesiastiche hanno sempre più vigorosamente rivendicato. Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell'ordinamento giuridico delle società civili.La missione della Chiesa14. La Chiesa cattolica per obbedire al divino mandato:” Istruite tutte le genti (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente” affinché la parola di Dio corra e sia glorificata” (2 Ts 3,1). La Chiesa esorta quindi ardentemente i suoi figli affinché” anzitutto si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti per tutti gli uomini... Ciò infatti è bene e gradito al cospetto del Salvatore e Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 1-4). I cristiani, però, nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s'adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all'effusione del sangue,” nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità” (2 Cor 6,6-7). Infatti il discepolo ha verso Cristo Maestro il dovere grave di conoscere sempre meglio la verità da lui ricevuta, di annunciarla fedelmente e di difenderla con fierezza, non utilizzando mai mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo, però, la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e con pazienza gli esseri umani che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede. Si deve quindi aver riguardo sia ai doveri verso Cristo, il Verbo vivificante che deve essere annunciato, sia ai diritti della persona umana, sia alla misura secondo la quale Dio attraverso il Cristo distribuisce la sua grazia agli esseri umani che vengono invitati ad accettare e a professare la fede liberamente.
CONCLUSIONE
15. È manifesto che oggi gli esseri umani aspirano di poter professare liberamente la religione sia in forma privata che pubblica; anzi la libertà religiosa nella maggior parte delle costituzioni è già dichiarata diritto civile ed è solennemente proclamata in documenti internazionali. Non mancano però regimi i quali, anche se nelle loro costituzioni riconoscono la libertà del culto religioso, si sforzano di stornare i cittadini dalla professione della religione e di rendere assai difficile e pericolosa la vita alle comunità religiose. Il sacro Sinodo, mentre saluta con lieto animo quei segni propizi di questo tempo e denuncia con amarezza questi fatti deplorevoli, esorta i cattolici e invita tutti gli esseri umani a considerare con la più grande attenzione quanto la libertà religiosa sia necessaria, soprattutto nella presente situazione della famiglia umana. È infatti manifesto che tutte le genti si vanno sempre più unificando, che si fanno sempre più stretti i rapporti fra gli esseri umani di cultura e religione diverse, mentre si fa ognora più viva in ognuno la coscienza della propria responsabilità personale. Per cui, affinché nella famiglia umana si instaurino e si consolidino relazioni di concordia e di pace, si richiede che ovunque la libertà religiosa sia munita di una efficace tutela giuridica e che siano osservati i doveri e i diritti supremi degli esseri umani attinenti la libera espressione della vita religiosa nella società. Faccia Dio, Padre di tutti, che la famiglia umana, diligentemente elevando a metodo nei rapporti sociali l'esercizio della libertà religiosa, in virtù della grazia di Cristo e per l'azione dello Spirito Santo pervenga alla sublime e perenne” libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21).
7 dicembre 1965

martedì 20 novembre 2007

Pur non condividendo il titolo, che non centra con la fede, ma con gli aspetti esteriori, che non sempre rendono evidente ciò che c'è nel cuore, pubblichiamo questo contributo tratto dal blog: amarelachiesa.blogspot.com, perché parla di templari. Ma soprattutto parla dell'esteriorità che gran parte dei neotemplari di oggi scambiano per Fede! fra' Gianni

TEMPLARI: a cavallo? No, in mercedes.

L’anacronistica voglia dei neo-templarismi, tutto esoterismo, simbologie e suggestioni. Ma nel nome di chi?

Cresce, decresce, sparisce e ricompare. Puntuale come una eclissi, appunto. La voglia ed il vezzo di compaginie tra le più disparate, che mettendosi tra il cattolicesimo e “il fai-da-te” vorrebbero, riconosciuti sul “campo”, l’ormai storica memoria di quel che furono i Milites Templi ovvero i Poveri commilitoni di Cristo od anche, per semplificare, i Templari.
Oltre che fuori del tempo, la richiesta è semplicemente ridicola.
Vedi le esplicite delucidazioni della stessa Chiesa cattolica, vedi ciò che storicamente è stata la sospensione di questo Ordine monastico-cavalleresco.
Ripetiamo: monastico! Cioè i Templari erano veri frati, uomini che emettevano i tre voti religiosi.
Oggi tante compaginie eterogenee raccolgono uomini sposati, conviventi, signorine e signore, e chi più ne ha più ne metta. Ma non sono, ne potranno mai, qual ora ne avessero ‘desio’, ottenere nessuna logica e conseguente riconosciuta immagine nel nome da “pedegree” di Templare.
Oh ben inteso quale riconoscimento ‘ufficiale’ di un Ordine che non è più da circa 700 anni. E questi vorrebbero in barba al Codice di Diritto Canonico, al Magistero petrino e quant’altro, ed alla faccia della storia, “essere riconosciuti quale Ordine”.
Potranno tuttal’più ed anzi possono, registrarsi quale associazione culturale di tempo libero.
Ed a parte l’ironia queste armate Brancaleone sono veramente tristi.
Tutte comprese! Esoterismo, cabale e predizioni, riti propiziatori con simbologie e saluti da fràmassone, sono all’ordine del giorno, peccato.
Gli unici che hanno un riconoscimento diocesano, esteso con Decreto vescovile in Siena del 18 novembre 1990 alla loro “Regola dei poveri Cavalieri di Cristo”, sono i membri professi dell’Ordine della Milizia del Tempio del Castello di Poggibonsi (Siena) con a capo il Conte dom. Marcello A. Cristofani della Magione.

Ovviamente sul web trovate tutte le delucidazioni attese.
Auguri,

Umberto Battini

_________________________________________________

Per approfondire questo delicato tema, pubblichiamo un altro interessante contributo che ci è stato inviato come commento al testo "Ancora c'è chi dice che i Templari soppressi dalla Chiesa hanno continuato la loro attività in segreto". fra' Gianni

LA QUESTIONE NEOTEMPLARE
don Lino ha detto...

Dal 1312 le cose sono inevitabilmente cambiate. Per intenderci, da quel dodici aprile in cui papa Clemente V con la bolla “Vox calmantis in excelso”, decretava a Vienne la sospensione dell’Ordine del Tempio di Gerusalemme dalle funzioni istituzionali esercitate nell’ambito ecclesiastico. Il due maggio dello stesso anno seguiva un altro decreto, il “Ad providam Christi vicarii”, con il quale lo stesso pontefice assegnava i beni dell’Ordine ad altre istituzioni religiose e alla corona di Francia. Due anni dopo, precisamente il 18 marzo, il gran maestro del Tempio Jacques Bérnard de Molay veniva arso sul rogo davanti al popolo di Parigi. Questi sono i fatti che hanno portato alla fine dell’Ordine. Questo dice la storia, così è innegabilmente accaduto. Da allora l’Ordine Templare è stato cancellato dalla giurisdizione canonica della Chiesa, ma non da quella della storia e degli uomini. Nel mondo esistono vari gruppi neotemplari che vantano la continuità storica con il Grande, Vero ed illustre Ordine. Ma nonostante quello che affermano, sono soltanto una maldestra contraffazione di quella realtà che solo il Vero Ordine del Tempio (che non c’è) può vantare: il buio non genera ombra, così come il vuoto non è pieno. La mentalità degli uomini che fingono di essere templari oggi è cambiata dal tempo del Medioevo. Peraltro le motivazioni che li spingono sono estranee allo spirito che aveva animato l’Ordine, così che le affermazioni di volerlo riattivare sembrano essere ancora più inappropriate e fuori dal tempo. Come già detto, questi gruppi sono contraffazioni male riuscite dell’antico Tempio. Spesso parodie ingenue di ciò che fu. Si ispirano ad avvenimenti mai accaduti e a situazioni giuridiche mai verificate, trascurando di fare presente che la continuità con l’antico Ordine non esiste, non può esistere, sia per diritto giuridico che per coerenza storica. Occorre tuttavia rimarcare che non è proibito che qualcuno voglia ricordare la spiritualità e la sostanza religiosa degli antichi cavalieri. Anzi, ben vengano di queste nostalgie. Nessuno però dovrebbe credere di essersi trasformato in cavaliere templare per avere ricevuto un mantello bianco e un tocco sulla spalla da gran maestri illegittimi. Piuttosto dovrebbe iniziare a comportarsi da templare. Questa condotta, che prima di tutto è etica, si identifica soprattutto con l’onestà verso se stesso. Qualità che a ben riflettere riassume e contempla ogni altra virtù civile. Per secoli i Templari sono stati considerati estinti. Poche indicazioni, per di più estrose e velleitarie, avevano circolato nel diciassettesimo secolo negli ambienti culturali germanici, quantunque avessero richiamato la memoria del Tempio soltanto esteriormente. Ancora nel 1705 avvenne l’adunanza neotemplare di Versailles, che decretò – secondo loro – la rinascita del Tempio. Poi, nel 1737, un massone di origini scozzesi, André Michel de Ramsay, pubblicava a Parigi i “Discorsi sui Crociati e le Logge francesi”. L’autore rivendicava l’origine templare sia della framassoneria scozzese che delle sue diramazioni continentali. Gli storici del periodo ed altri seguenti, osservarono nel testo contraddizioni storiche azzardate, attribuendo alle tesi di de Ramsay valenze più letterarie che storiche. Nel 1804, in piena epoca napoleonica, un personaggio dalle notorie bizzarre abitudini, tale Bernard Fabré Palaprat, diede pubblicamente notizia della costituzione di un “Ordine Templare Rinnovato”. Palaprat impugnava come unico supporto della rifondazione un documento che nemmeno lui sapeva da dove fosse provenuto e che nessuno storico poté analizzare e vedere: la “charta transmissionis”, ossia il passaggio dei diritti giuridici del Tempio dall’ultimo gran maestro a Jean Marc Larmenius (Marco l’Armeno). Personaggio fantomatico, giacché il suo nome non risultò mai menzionato tra i dignitari dell’Ordine. Secondo i sostenitori dell’esistenza, della autenticità e della veridicità della charta, Jacques de Molay avrebbe trasferito la sua autorità di comando – ed il tesoro del tempio – prima di essere arrestato nell’ottobre del 1307 a tal Larmenius, ma soprattutto prima che papa Clemente avesse decretato la sospensione dell’Ordine nel 1312. Il fatto rivestirebbe significativa importanza per ribadire la continuità giuridica e storica dell’antico Ordine con chi avesse custodito il documento per secoli. Certi commentatori hanno sostenuto che Larmenius fosse stato il nipote di de Molay, che fosse fuggito in Scozia ospitato da re Robert Bruce, e che avesse operato per perpetuare l’Ordine nella clandestinità. Ma di ciò, non è stata ancora reperita alcuna documentazione che sorregga, almeno in parte, queste asserzioni. Dal punto di vista prettamente storico, queste sono e rimangono soltanto congetture stravaganti. Inoltre, nel marzo del 1877 veniva pubblicato ad Amburgo, a cura dello studioso Wilhelm von Merzdorff, il presunto “Statuto Segreto” dell’antico Ordine Templare. Si disse che fosse stato trovato per caso alcuni anni prima tra le scartoffie della Biblioteca Corsini di Roma. Gli storici da sempre nutrono seri dubbi sulla autenticità del documento, ma sulla base dell’avvenimento in Europa iniziarono a svilupparsi filiazioni “para” e “meta” massoniche, le stesse che successivamente diedero vita alle più note organizzazioni neotemplari di oggi. Questi sono i tre avvenimenti cardinali sui quali i sostenitori della continuità storica basano tesi e credenze. Secondo noi è molto poco. Praticamente è niente, se si consideri il forte odore di inattendibilità e di falsificazione che i testi sprigionano, nonché l’alone di mistero sempre associata ai fatti che, nondimeno, fanno parte di uno stereotipo parastorico a lungo collaudato. Ma oltre alla inattendibilità che rende inammissibile la possibilità della continuità storica, c’è da considerare anche un altro aspetto della questione, sicuramente più importante, che mette definitivamente al tappeto ogni velleità dei neotemplari. Questo è connesso al potere giuridico della Santa Sede. Difatti, dato che fu un papa nelle sue piene funzioni istituzionali a sciogliere il Tempio, le organizzazioni fuori del contesto ecclesiastico che vi si richiamano non possono costituire né ricostruire l’Ordine Templare in termini giuridici. In base alle norme vigenti di diritto canonico il ripristino è prerogativa assoluta della Santa Sede. Per questo motivo i gruppi neotemplari sono tutti illegittimi nell’ambito della Chiesa di Roma alla quale l’antico Ordine apparteneva come istituzione. S’è detto “illegittimi”, non illegali. Difatti i neotemplari seguono con scrupolo le leggi. Si sono dati statuti associativi previsti dalle norme degli stati, da regolamenti che rendono consentita qualsiasi loro attività, purché lecita per i codici penali. I Templari ritrovati sono in genere persone che appartengono alla èlite della società. Uomini e donne di spessore culturale (o economico) superiore alla norma che aspirano a un rapporto più elevato, almeno più soddisfacente, con le strutture secolari della religione cristiana. Altri fanno i Templari per convinzione di fare parte di un’istituzione già fortemente gloriosa e celebrata. Altri ancora per ottenere possibili supremazie personali, oppure grazie politiche da parte di confratelli di autorità più elevata. In ogni caso quasi tutti rincorrono, o dicono di seguire, gli ideali della filosofia graalica. Perfino quelli del mito del sangue o di dottrine esoteriche. Nei tempi attuali è possibile ravvisare richiami neotemplari anche nello sconfinato scenario della cultura newage. Peraltro, dai guru di questa moda culturale è stata apprezzata degli antichi Templari la fierezza nei riguardi delle istituzioni religiose medievali. E’ anche facile scovare alcuni elementi caratteristici del pensiero neotemplare nelle filosofie di ispirazione orientalista, o nelle tendenze intellettuali con configurazione antistoricistica. Il pensiero neotemplare è comunque accomunato alle mode culturali vigenti da un atteggiamento critico nei confronti della storia accademica, al cui magistero vengono contrapposti avvenimenti non accertati formalmente e spesso mai accaduti. Alla luce delle situazioni ingenerate, diversi osservatori hanno sostenuto che gli storici dovrebbero adottare una distinzione terminologica tra i concetti di “templarismo” e di “neo templarismo”. In fatti, se il primo si qualifica come una corrente culturale eclettica che racchiude le più disparate tematiche inerenti all’antico Ordine e alle sue componenti ancora non sufficientemente delineate, il secondo consiste nel tentativo di resuscitare un Ordine Templare che giuridicamente non esiste. Già negli anni ’30 del secolo scorso Julius Evola, l’ultimo maitre à pénser della sacralità del pensiero politico medievale, liquidava senza appello ogni formazione neotemplare organizzata, e con queste ogni modello di folclore massonico ad esse correlate. Il filosofo riconobbe nei Templari l’immagine più pura dei difensori di una civiltà tradizionale sacra, il cui schema ideologico coincideva con le istanze di cavalieri custodi di una graalica spiritualità. Per Evola le dottrine templari sarebbero state ispirate alla centralità metafisica della tradizione primordiale dalle quali, per tutto il corso della sua epopea, l’Ordine non avrebbe deviato nonostante gli stimoli per concezioni di vita che di lì a poco avrebbero condotto verso il crepuscolo la genuina civiltà occidente. Quelle stesse spinte disgregatrici che, viceversa, ora sembrerebbero costituire i cardini culturali delle ambizioni neotemplari.

________________________________________________

M A G I S T E R O

Benedetto XVI mette in guardia dai "messianismi che di volta in volta annunciano come imminente la fine del mondo. In realtà la storia deve fare il suo corso, che comporta anche drammi umani e calamità naturali. Non dobbiamo temere l'avvenire anche quando ci appare a tinte fosche" Angelus di domenica 18 novembre 2007
[*] SIMBOLI, ALLEGORIE, METAFORE E SEGNI DELLA TRADIZIONE

T A U simbolo francescano

Il TAU è l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico. Esso venne adoperato con valore simbolico sin dall'Antico Testamento, per indicare la salvezza e l'amore di Dio per gli uomini. Se ne parla nel Libro del Profeta Ezechiele, quando Dio manda il suo angelo ad imprimere sulla fronte dei servi di Dio questo seguo di salvezza: "Il Signore disse: passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un TAU sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono".
Il TAU è perciò segno di redenzione. E' segno esteriore di quella novità di vita cristiana, interiormente segnata dal sigillo dello Spirito Santo, dato a noi in dono il giorno del Battesimo. Il TAU fu adottato prestissimo dai cristiani. Tale segno lo troviamo già nelle Catacombe di Roma, perché la sua forma ricordava ad essi la Croce, sulla quale Cristo s'immolò per la salvezza del Mondo.S. Francesco d'Assisi, proprio per la somiglianza che il Tau ha con la Croce, ebbe carissimo questo segno, tanto che esso occupò un posto rilevante nella sua vita e nei suoi gesti. In lui il vecchio segno profetico si attualizza, si ricolora, riacquista la sua forza di salvezza, perché San Francesco si sente "un salvato dall'amore e dalla misericordia di Dio".Era una amore che scaturiva da una appassionata venerazione per la croce, per l'umiltà di Cristo e per la missione del Cristo che attraverso la croce ha dato a tutti gli uomini il segno e l'espressione più grande del suo amore. Il TAU era inoltre per il Santo il segno concreto della sua salvezza e la vittoria di Cristo sul male. Il TAU ha alle sue spalle una solida tradizione biblico cristiana. Fu accolto da San Francesco nel suo valore spirituale e il Santo se ne impossessò in maniera così intensa e totale sino a diventare a lui stesso, attraverso le Stimmate della carne, quel TAU vivente che egli aveva così spesso contemplato, disegnato ma soprattutto amato. Il TAU, segno concreto di una devozione cristiana, è soprattutto impegno di vita nella sequela di Cristo. Il Tau perciò deve ricordarci una grande verità cristiana: la nostra vita, salvata e redenta dall'amore di Cristo crocefisso, deve diventare, ogni giorno di più, vita nuova, vita donata per amore. Portando questo segno viviamone la spiritualità, rendiamo ragione della "speranza che é in noi", riconosciamoci seguaci di San Francesco.
Il popolo ebreo, come molte antiche culture, ha progressivamente elaborato una teologia o una complementare interpretazione spirituale adattata a ogni lettera del proprio alfabeto.
Poiché la scrittura ebraica, e di conseguenza l'alfabeto ebraico, non venne formalmente codificata fino a quasi 200 anni dopo la nascita di Cristo, molte lettere erano talvolta tracciate in forme diverse a seconda delle regioni dove vivevano gli ebrei, sia in Israele sia nella "diaspora" in luoghi al di fuori di Israele, prevalentemente nel mondo di lingua greca.
L'ultima lettera dell'alfabeto ebraico rappresentava il compimento dell'intera parola rivelata di Dio. Questa lettera era chiamata TAU (o TAW, pronunciato Tav in ebraico), che poteva essere scritta: /\ X + T. Esso venne adoperato con valore simbolico sin dall'Antico Testamento; se ne parla già nel libro di Ezechiele: «Il Signore disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono...» (EZ. 9,4). In questo stesso passo il Profeta Ezechiele raccomanda a Israele di restare fedele a Dio fino alla fine, per essere riconosciuto come simbolicamente segnato con il "sigillo" del TAU sulla fronte quale popolo scelto da Dio fino alla fine della vita. Coloro che rimanevano fedeli erano chiamati il resto di Israele; erano spesso gente povera e semplice, che aveva fiducia in Dio anche quando non riusciva a darsi ragione della lotta e della fatica della propria vita.
Sebbene l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico non fosse più a forma di croce, come nelle varianti sopra descritte, i primi scrittori cristiani avrebbero utilizzato, nel commentare la Bibbia, la sua versione greca detta dei "Settanta". In questa traduzione delle scritture ebraiche (che i cristiani chiamano Antico Testamento), il TAU veniva scritto T.
Con questo stesso senso e valore se ne parla anche nell'Apocalisse (Apoc. 7, 2-3). Il Tau è perciò segno di redenzione. È segno esteriore di quella novità di vita cristiana, più interiormente segnata dal Sigillo dello Spirito Santo, dato a noi in dono il giorno del Battesimo (Ef 1,13).
Il Tau fu adottato prestissimo dai cristiani per un duplice motivo. Esso, appunto come ultima lettera dell'alfabeto ebraico, era una profezia dell’ultimo giorno ed aveva la stessa funzione della lettera greca Omega, come appare ancora dall'Apocalisse: «Io sono l'Alfa e l'omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente dalla fonte dell'acqua della vita... Io sono l'Alfa e ''Omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine» (Apoc. 21,6; 22,13).
Ecco perché per i cristiani il TAU cominciò a rappresentare la croce di Cristo come compimento delle promesse dell'Antico Testamento. La croce, prefigurata nell'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, rappresentava il mezzo con cui Cristo ha rovesciato la disobbedienza del vecchio Adamo, diventando il nostro Salvatore come "nuovo Adamo". Durante il Medioevo, la comunità religiosa di S. Antonio Eremita, con la quale S. Francesco era familiare, era molto impegnata nell'assistenza ai lebbrosi. Questi uomini usavano la croce di Cristo, rappresentata come il TAU greco, quale amuleto per difendersi dalle piaghe e da altre malattie della pelle. Nei primi anni della sua conversione, Francesco avrebbe lavorato con questi religiosi nella zona di Assisi e sarebbe stato ospite nel loro ospizio presso S. Giovanni in Laterano a Roma. Francesco parlò spesso dell'incontro con Cristo, nascosto sotto l'aspetto di un lebbroso, come del punto di svolta della sua conversione. È quindi fuor di dubbio che Francesco, in seguito, avrebbe adottato e adattato il TAU quale distintivo o firma, combinando l'antico significato della fedeltà per tutta la vita con il comandamento di servire gli ultimi, i lebbrosi del suo tempo. La simbologia del TAU acquistò un significato ancora più profondo per S. Francesco, dal momento in cui nel 1215 Innocenzo III promosse una grande riforma della Chiesa Cattolica ed egli ascoltò il sermone del Papa in apertura del Concilio Laterano IV, contenente la stessa esortazione del profeta Ezechiele nell'Antico Testamento: "Siamo chiamati a riformare le nostre vite, a stare alla presenza di DIO come popolo giusto. Dio ci riconoscerà dal segno Tau impresso sulle nostre fronti". L'anziano papa, nel riprendere questo simbolo, avrebbe voluto - diceva - essere lui stesso quell’uomo “vestito di lino, con una borsa da scriba al fianco” e passare personalmente per tutta la Chiesa a segnare un Tau sulla fronte delle persone che accettavano di entrare in stato di vera conversione [Innocenzo III, Sermo VI (PL 217, 673-678)].
Questa immagine simbolica, usata dallo stesso Papa che solo 5 anni prima aveva approvato la nuova comunità di Francesco, venne immediatamente accolta come invito alla conversione. Per questo, grande fu in Francesco l'amore e la fede in questo segno. «Con tale sigillo, San Francesco si firmava ogni qualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche sua lettera» (FF 980); «Con esso dava inizio alle sue azioni» (Fr 1347). Se Francesco adottò il TAU come sigillo personale, "segno manuale" come si diceva ai suoi suoi tempi e con esso firmava ogni suo scritto, Tommaso da Celano ce ne tramanda un altro uso da parte sua: egli lo tracciava sui muri, sulle porte, e sugli stipiti delle celle. Come non pensare in questo caso, non più soltanto ad Ezechiele, dove si trattava di segnare le fronti con il segno della salvezza, ma al libro dell'Esodo, in cui il segno della salvezza altro non era che il sangue dell'agnello pasquale sull'architrave delle porte? Il Tau era quindi il segno più caro per Francesco, il segno rivelatore di una convinzione spirituale profonda che solo nella croce di Cristo è la salvezza di ogni uomo.
L'affermazione del Celano concernente la scritta del Tau sui muri, è confermata dall'archeologia: al tempo del restauro della cappella di Santa Maddalena a Fonte Colombo fu rinvenuto nel vano di una finestra, dal lato del Vangelo, un Tau, dipinto in rosso, ricoperto poi con una tinta del secolo XV. Questo disegno risale allo stesso san Francesco.
San Francesco d'Assisi faceva riferimento in tutto al Cristo, all’ultimo; per la somiglianza che il Tau ha con la croce, ebbe carissimo questo segno, tanto che esso occupò un posto rilevante nella sua vita come pure nei gesti. Questo comportamento, tenuto da san Francesco, era rimarchevole in una epoca nella quale tutta una corrente catara o neo-manichea, rifuggiva dallo stesso segno di croce, considerandolo indegno dell'opera redentrice di Dio. Con le braccia aperte, Francesco spesso diceva ai suoi frati che il loro abito religioso aveva lo stesso aspetto del TAU, intendendo che essi erano chiamati a comportarsi come "crocifissi", testimoni di un Dio compassionevole ed esempi di fedeltà fino alla morte.
Fu per questo che Francesco fu talvolta chiamato “l’angelo del sesto sigillo”: l’angelo che reca, lui stesso, il sigillo del Dio vivente e lo segna sulla fronte degli eletti (cf. Ap 7, 2 s.) e San Bonaventura poté dire dopo la sua morte: "Egli ebbe dal cielo la missione di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi... e di imprimere il Tau sulla fronte di coloro che gemono e piangono" [S. Bonaventura, Legenda maior, 2 (FF, 1022)].
Non possiamo non ricordare la Benedizione per frate Leone, custodita nella sacrestia del Sacro Convento di Assisi. Il ramo verticale del Tau tracciato dalla mano di Francesco, attraversa il nome del frate; e questo è un fatto intenzionale. Ci ricorda l'uso tradizionale all'epoca delle catacombe, in cui spesso appare il Tau un grande evidenza in un nome proprio delle cui lettere non fa nemmeno parte.
Oggi i seguaci di Francesco, laici e religiosi, portano il TAU come segno esterno, come "sigillo" del proprio impegno, come ricordo della vittoria di Cristo sul demonio attraverso il quotidiano amore oblativo. Si tratta del segno distintivo del riconoscimento della loro appartenenza alla famiglia o alla spiritualità francescana. Il Tau non è un feticcio, né tanto meno un ninnolo: esso, segno concreto di una devozione cristiana, è soprattutto un impegno di vita nella sequela del Cristo povero e crocifisso.
Il segno di contraddizione è diventato segno di speranza, testimonianza di fedeltà fino al termine della nostra esistenza terrena.

grazie del bel testo a www.parrocchie.it e amarelachiesa.blogspot.com

lunedì 19 novembre 2007


Riflettere

"A proposito di magia
e demonologia"

Nota Pastorale della Conferenza Episcopale Toscana

11. Incompatibilità tra magia e fede

E tale è l’insegnamento costante della tradizione cristiana. Già la «Didaché», tra le vie che conducono alla morte, accanto all’idolatria, pone la magia e gli incantesimi. Taziano, verso la fine del II secolo, elabora una dura polemica contro il fatalismo astrale nel quale vede una forma di potere del demonio sull’umanità. Ippolito, nella «Tradizione apostolica», esclude dal battesimo maghi, astrologi e indovini. Tertulliano pronuncia parole severissime verso tutti gli operatori di magia: «Di astrologi, di stregoni, di ciarlatani d’ogni risma, non si dovrebbe nemmeno parlare. Eppure, recentemente, un astrologo che dichiara di essere cristiano ha avuto la sfacciataggine di fare l’apologia del suo mestiere! È dunque necessario ricordare, sia pure brevemente, a lui e ai suoi simili, ch’essi offendono Dio, mettendo gli astri sotto la protezione degli idoli e facendo dipendere da loro la sorte degli uomini. L’astrologia e la magia sono turpi invenzioni dei demoni».Un giudizio questo condiviso dalla maggioranza dei padri della Chiesa. Secondo Agostino, la magia è demoniaca; la religione cristiana all’opposto è vittoria sul potere del demonio e rottura completa con tale mondo. Di fronte alle difficoltà dei neo-convertiti ad abbandonare le antiche pratiche magiche, la condanna si fa così forte e massiccia da finire per trasferire a carico del demonio tutta la magia, in ogni sua forma, identificata con la possessione diabolica. Se la posizione di san Tommaso rimane estremamente equilibrata, non mancano testi che, specie nel tardo medioevo, tendono ad accentuazioni eccessive, arrivando a sviluppare l’idea del «maleficio» come di un potere che esseri umani, specialmente donne, possono esercitare sugli altri, avendo patteggiato con il demonio la cessione della propria anima in cambio di capacità preternaturali da esercitare in vita. Un’idea che ha condotto nei secoli XV-XVIII alla triste storia delle persecuzioni di streghe e maghi. Questa vicenda, pur tenendo conto del contesto e della difficoltà di un giudizio storico a posteriori, rimane mortificante per la cristianità occidentale. Non dobbiamo dimenticare d’altra parte che, anche in quelle circostanze, non sono mancati uomini coraggiosi come Cornelius Loos e il gesuita E von Spes in Germania che, in nome della fede, si sono opposti a simili eccessi. Le vicende di quei secoli, in ogni caso, devono rendere i cristiani cauti nel giudicare la magia come un effetto diretto - sempre e in ogni circostanza - dei demonio. Dal punto di vista teologico, peraltro, non si può razionalisticamente ridurre la realtà delle pratiche magiche, specie quelle «nere», solo ad un fenomeno psichico deviante o ad un semplice atto peccaminoso dell’uomo. In tali pratiche non si può escludere un’azione o dipendenza da satana, avversario giurato dei Signore Gesù e della sua salvezza. Il diavolo - come ci insegna l’Apocalisse - sino alla fine dei tempi userà tutti i suoi poteri e la sua sagacia per ingannare i battezzati ed ostacolare la piena attuazione dei progetto salvifico di Dio sul mondo. «Tutta intera la storia umana afferma il Concilio Vaticano II - è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre, lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio» (GS 37).

Commento: tutto il documento, che è reperibile on-line è interessantissimo! Auspicabile una conoscenza ed una diffusione corretta di questo atto di Magistero dei Vescovi tutti della regione Toscana.
da amarelachiesa.blogspot.com