mercoledì 23 aprile 2008

Origine della Custodia
di Terra Santa

Siamo agli inizi del secolo XIII. Il piccolo gruppo dei seguaci di S. Francesco è diventato un grande Ordine religioso animato da grande fervore e da irrefrenabile dinamismo.
Al Capitolo generale del 1217 - i "Capitoli generali" sono i raduni periodici (come gli odierni "congressi") che ne puntualizzano lo stato e ne fissano le linee di sviluppo - i francescani decisero di portare l’annuncio evangelico e la testimonianza della loro vita in tutto il mondo.
Decisione che nasceva dallo spirito profetico ed ecumenico di S. Francesco. "Tutti gli uomini - sintetizzerà il Concilio Vaticano II - sono chiamati a formare il nuovo popolo di Dio". Tutti: cattolici e non cattolici, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti (islamici, buddisti, ecc).
Nel Capitolo generale del 1217 il mondo intero venne diviso in "Province" francescane e i frati sciamarono da Assisi verso i quattro punti cardinali.
L’iniziativa ridette vitalità all’impulso missionario della Chiesa che si servì spesso dei francescani. Nei secoli XIV, XV e XVI alcuni Legati mandati dai Papi nelle nazioni dei greco-ortodossi e in quelle più lontane - geograficamente e ideologicamente - degli "infedeli", furono frati minori. Basti ricordare Giovanni del Pian dei Carpini, Odorico da Pordenone, Giovanni da Montecorvino, Giovanni dei Marignolli, che furono nel secolo XIV messaggeri del vangelo e della Chiesa fino all’interno della Russia, fino al Tibet, fino a Pechino.
Una delle ‘Province’ costituite nel Capitolo del 1217 fu la Provincia di Terra Santa, chiamata anche di Siria, di Romania, o, con termine più generico, Ultramarina. Si estendeva a tutte le regioni gravitanti sul bacino sud-orientale dle Mediterraneo, dall’Egitto fino alla Grecia e oltre.
Comprendendo la patria di Cristo, questa Provincia fu considerata la perla delle missioni francescane. S. Francesco vi soggiornò parecchi mesi, fra il 1219 e il 1220. Esemplare fu il contatto che stabilì con quello che era allora l’antagonista ‘storico’ del cristianesimo: l’Islam. Propose in tono umile il mistero di Cristo, soltanto nel quale c’è salvezza. Nello stesso tempo confortò l’insediamento dei suoi frati, che sarebbe durato ben oltre il tormentato periodo crociato.
La Provincia di Terra Santa continuò nei tempi successivi ad essere trattata dalle Autorità dell’Ordine con le attenzioni dovute alla creatura prediletta di S. Francesco. Nel Capitolo generale di Pisa, tenutosi nel 1263 sotto il generalato di S. Bonaventura, si constatò che la grande estensione ostacolava l’organizzazione di un lavoro apostolico e capillare. Per cui la Provincia di Terra Santa venne ristretta a Cipro, Siria, Libano e Palestina: cioè ai territori corrispondenti al dominio crociato.
Come in altre Province religiose, anche la Provincia di Terra Santa era suddivisa in più sottocircoscrizioni chiamate "Custodie", che comprendevano i conventi di una determinata regione. Durante il secolo XIII era formata dai conventi di Acri, Antiochia, Sidone, Tripoli, Tiro, Gerusalemme e Giaffa. L’apostolato dei frati si svolgeva in gran parte, anche se non esclusivamente, entro l’ambiente crociato.
La caduta di S. Giovanni d’Acri in mano musulmana il 18 maggio 1281 segnò pure la fine della primitiva presenza francescana in Terra Santa.
Instaurato di nuovo e definitivamente il dominio islamico in Palestina, i frati minori si rifugiarono a Cipro, sede del Superiore provinciale della Provincia d’Oriente. Da Cipro venne avviata, diretta e gradualmente potenziata la successiva presenza francescana a Gerusalemme e nelle altre zone dei santuari palestinesi. Una bolla di Papa Giovanni XXII (9 agosto 1328) concedeva al Ministro provinciale residente in Cipro facoltà di inviare ogni anno due suoi frati nei luoghi santi.
Da vari indizi storici si rileva la presenza di alcuni francescani al servizio del S. Sepolcro già entro il periodo 1322-1327.
Attorno al 1333 Fra Ruggero Garini riuscì ad ottenere dal Sultano d’Egitto il S. Cenacolo presso il quale fondò, grazie alla generosità della regina Sancia di Napoli, un convento per i suoi confratelli. Contemporaneamente le autorità musulmane riconoscevano ufficialmente la presenza dei francescani, come officianti abituali, nella basilica del S. Sepolcro.
Il definitivo ritorno dei figli di S. Francesco in Terra Santa, in possesso legale di determinati santuari e con il diritto d’uso per altri, si deve alla munificenza di Roberto d’Angiò re di Napoli e della sua consorte, la già ricordata regina Sancia. Dopo laboriose trattative con il sultano d’Egitto condotte tramite il citato Fra Ruggero Garini, i reali acquistarono con denaro sonante il Cenacolo e il diritto di funzionamento del S. Sepolcro. E ottennero che i francescani godessero di tali diritti "in nome e per conto" della Chiesa cattolica. Papa Clemente VI con le bolle "Gratias agimus" e "Nuper carissimae" del 21 novembre 1342, approva l’operato dei Reali di Napoli ed emana disposizioni per il buon funzionamento del nuovo organismo ecclesiastico-religioso.
Le due bolle sono in pratica l’atto costitutivo della nuova Custodia di Terra Santa di cui enunciano il basilare principio giuridico-ecclesiastico. I frati possono provenire da tutte le Province dell’Ordine (internazionalità della Custodia). E una volta al servizio dei Luoghi Santi, sono sotto la giurisdizione del Padre guardiano (=superiore) del convento del Monte Sion in Gerusalemme , dipendente a sua volta dal Ministro provinciale di Terra Santa con sede a Cipro.
Nel 1347 i francescani si insediano definitivamente anche a Betlemme presso la basilica della Natività di Nostro Signore.
I primi Statuti di Terra Santa, che risalgono al 1377, prevedevano non più di venti religiosi al servizio del S. Cenacolo, del S. Sepolcro e di Betlemme. Dovevano assicurare la vita liturgica nei santuari e l’assistenza religiosa ai pellegrini europei.
In questo primo periodo ufficiale della sua storia la Custodia ebbe il sigillo del martirio. Ricordiamo i quattro canonizzati da Paolo VI il 21 giugno 1970: Nicolò Tavelic’ (croato), Stefano da Cuneo (italiano), Deodato da Rodez e Pietro da Narbona (francesi). Appartenevano al convento del Monte Sion in Gerusalemme. Furono uccisi il 14 novembre del 1391.
Nel Capitolo generale di Losanna del 1414 venne riconosciuta la necessità di aumentare il numero dei frati destinati al servizio dei Luoghi Santi.
Nel 1430 fu stabilito che il Padre guardiano del Monte Sion, vale a dire il ‘Custode di Terra Santa’, venisse eletto dal Capitolo generale: si faceva così notare l’importanza dell’ufficio e l’interesse di tutto l’Ordine alla Custodia. Tre secoli dopo l’elezione del Custode venne attribuita al Definitorio generale (cioè al Ministro generale e al suo Consiglio permanente). Nel 1517 la Custodia, pur mantenendo la sua denominazione, acquistò piena autonomia con configurazione di Provincia, caratterizzata sempre però da prerogative del tutto speciali.
In concomitanza al progressivo definirsi della sua figura giuridica, ebbe dalla S. Sede particolari facoltà e autorizzazioni in vista di una più dinamica presenza in Terra Santa, specialmente nell’assistenza spirituale dei pellegrini, e più ancora nell’attività ecumenica. La riconciliazione fra cristiani separati d’Oriente e Chiesa cattolica raggiunta al Concilio di Firenze (1431-43) doveva ben presto rivelarsi effimera. E così per circa due secoli i francescani rapresentarono pressoché l’unica possibilità ‘in loco’ di relazioni dirette e autorizzate del mondo cattolico con le Chiese separate del Vicino e Medio Oriente.
Altra attività, rimasta piuttosto in ombra, è quella, sviluppatasi soprattutto dal secolo XV in poi, dell’assistenza spirituale ai commercianti europei residenti o di passaggio nelle principali città d’Egitto, di Siria e del Libano. Da attività temporanea, specie in occasione dell’avvento e della quaresima, con la seconda metà del ‘500 essa diventò più o meno continuativa, fino ad assumere nel secolo XVII carattere stabile con residenze fisse. I francescani, entrati dapprima come cappellani di consoli di colonie commerciali europee, vi rimasero come apostoli a servizio di tutti. E irradiarono la luce del vangelo attorno alle loro residenze, che un po’ alla volta finirono per configurarsi come vere e proprie parrocchie.
Ma la presenza dei frati in Terra Santa è soprattutto legata ai santuari e alla loro custodia. Tutte le altre attività trassero origine da questo motivo e furono finalizzate a questo servizio di importanza primaria per tutta la Chiesa. Una presenza, che si affermò gradualmente, grazie a successive acquisizioni.
Insieme alle acquisizioni e agli ampliamenti di possesso, però, non mancarono perdite e limitazioni, imposte dai governanti turchi il più delle volte dietro istigazione delle comunità cristiane dissidenti. Basterà ricordare l’espulsione dal S. Sepolcro nel 1551; e le alterne vicende di perdite e di parziali recuperi di diritti nelle basiliche del S. Sepolcro e di Betlemme, vicende che si protrassero per tre secoli, in forma drammatica per tutto il ‘600 e con acute recrudescenze nel ‘700 e nell’ ‘800.
Lungo i secoli i francescani chiesero, direttamente o tramite la S. Sede, protezione alle potenze cattoliche che avevano rapporti diplomatici con i sultani musulmani (nei primi secoli il sultano d’Egitto, poi dal 1517 il sultano di Costantinopoli). Con una bolla del 1623, papa Urbano VIII ribadisce che è dovere di tutti i principi cattolici oltre che dei Sommi Pontefici, proteggere i francescani di Terra Santa perché i giusti titoli del possesso antichissimo dei Luoghi Santi da parte dei frati minori sono titoli di possesso per tutta la Chiesa cattolica e per questo devono interessare tutti i figli della stessa Chiesa.
Naturalmente il rapporto fra la Custodia e l’Occidente cattolico ebbe anche carattere economico. A motivo della sua organizzazione francescana priva di capitali e senza possibilità di proventi nella zona di attività, la Custodia ha sempre avuto necessità di finanziamenti dall’esterno. Lungo i secoli, i papi non cessarono di ricordare a tutta la Chiesa "il dovere di Terra Santa" prescrivendo periodiche raccolte di offerte in tutte le diocesi. Anche l’aiuto economico di alcuni governi europei fu provvidenziale, benché non sempre adeguato alle reali necessità.
Va ricordato comunque che proprio nei secoli difficili che vanno dalla fine del ‘500 a tutto l’ ‘800 i francescani crearono svariate opere religiose, culturali, sociali e assistenziali. Alcune di esse, dati i tempi i luoghi e le circostanze, potrebbero considerarsi opera di pionieri.
Non poche, dal ‘500 all’ ‘800, le variazioni che la figura giuridica della Custodia ebbe nel campo ecclesiastico; variazioni in pratica corrispondenti all’evoluzione della figura giuridica del Padre Custode. Il domenicano P. Felice Fabri, che fu in Terra Santa due volte (1480 e 1483) presenta il P. Custode di Terra Santa con titolo e qualifica di "Provisor" per la Chiesa latina in Oriente, incarico che, come egli dice, il Papa frequentemente gli conferiva.
"Responsabile" della S. Congregazione di Propaganda Fide in quasi tutto il Medio Oriente. È uno dei titoli - che compare la prima volta nel 1628 - dati al Custode di Terra Santa. Altri titoli: "Prefetto delle Missioni" di Egitto, Cipro ecc.; "Commissario Apostolico della Terra Santa e dell’Oriente". Tutti questi titoli e incarichi cessarono con la ricostituzione del Patriarcato Latino di Gerusalemme nel 1847.
I francescani continuano, ancora oggi, la loro missione di "custodia" dei santuari e più genericamente di testimonianza cattolica nei paesi del Medio Oriente. Si tratta di attività potenziate o ristrette, ristrutturate o variate, secondo le esigenze dei tormentati ultimi secoli. Nei decenni anteriori alla prima guerra mondiale, per esempio, sono state sviluppate in maniera cospicua le attività sociali. Negli ultimi cento anni è stato dato notevole impulso all’attività scientifico-culturale nel campo della ricerca biblica e archeologica.

Fonte: sito ufficiale della Custodia di Terra Santa
http://198.62.75.1/www1/ofm/pope/40GPit/46/46GPcu01.html

lunedì 21 aprile 2008


IL PAPA ALL'ONU: I DIRITTI UMANI

di Riccardo Cascioli

Con il discorso alle Nazioni Unite pronunciato il 18 aprile, il Papa ha ancora una volta spiazzato la maggior parte degli analisti. Era noto che avrebbe parlato di diritti umani, anche perché l’invito a parlare al Palazzo di Vetro coincideva proprio con il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Ma in molti si aspettavano che si soffermasse su sviluppo, ambiente, vita, famiglia, pace e così via. Argomenti che il Papa ha soltanto sfiorato, a titolo esemplificativo, andando invece al cuore del problema: cosa sono i diritti umani, qual è la loro radice, e qual è dunque il compito degli Stati.

Si tratta di un intervento che, pur nella morbidezza dei toni, è di una grande durezza e determinazione perché si tratta di una critica radicale al dibattito sui diritti umani così come viene condotto alle Nazioni Unite. La battaglia che le solite lobby e tanti governi (Unione Europea in testa) stanno conducendo oggi, ruota infatti intorno al tentativo di “ridefinire” i diritti umani legandoli ai contesti culturali, sociali e politici. E’ quello che accade con il tentativo di invocare un diritto universale all’aborto, e con il tentativo di considerare famiglia ogni genere di unione. Ma non solo: in Europa, ad esempio, aumentano le sentenze di tribunali che “giustificano” la violazione del nostro diritto in nome della cultura di provenienza degli immigrati islamici (vedi la poligamia e la violenza contro le donne). Ed è una visione che fa gioire anche la Cina e altri Paesi asiatici che hanno sempre invocato una propria, originale, concezione dei diritti umani a motivo della loro cultura (in realtà per giustificare l’oppressione dei propri popoli).


Il Papa ha spazzato via qualunque ambiguità al proposito: “I diritti umani sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà… Non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti”. Se si viene meno a questa concezione, ha detto il Papa, il risultato è il restringersi dei diritti umani, anche quando sembrerebbe che se ne voglia allargare l’ambito.


Il Papa è consapevole che alle Nazioni Unite sono rimasti ben pochi a sostenere che i diritti umani sono universali e fondati sulla legge naturale e – potremmo aggiungere – una spallata decisiva si sta portando sulla spinta dell’ideologia ecologista che pretende addirittura di cancellare la centralità dell’uomo quale criterio ultimo delle politiche globali (la Carta della Terra promulgata nel 2000 all’interno del sistema delle Nazioni Unite sostituisce i diritti dell’uomo con i diritti della comunità di vita, in cui uomini, animali e piante hanno gli stessi diritti). Così il Papa chiama a "raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione (Universale dei diritti dell’uomo) e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari”.


Da questo punto di vista colpisce anche l’insistenza di Benedetto XVI sulla differenza tra legalità (ovvero norme volute da chi detiene il potere) e giustizia (che non cambia ed è l’unica fonte dei diritti umani). Proprio su questa distinzione poggia l’istituto dell’obiezione di coscienza che, ad esempio, l’Unione Europea amerebbe limitare o addirittura cancellare (ci ha provato anche il governo italiano uscente). Tutto il resto – la libertà religiosa, il ruolo della scienza, il superamento delle ineguaglianze, il rispetto del Creato, la promozione della famiglia – è una conseguenza ed è importante andarsi a rileggere l’intero discorso del Papa per cogliere l’intima unità tra tutti gli aspetti che riguardano la persona umana.


Un’ultima notazione: i rappresentanti dei 192 Paesi che hanno ascoltato il discorso, hanno tributato al Papa una “standing ovation” di un minuto: sembrerebbe contraddittorio considerando che in nome dei propri governi, gran parte di quei rappresentanti lavorano ogni giorno nella direzione contraria a quella indicata dal Papa. Escludiamo che si sia trattato di un applauso di circostanza, era troppo partecipato e sincero. Rimangono due possibilità: la prima è che non abbiano capito in realtà cosa abbia detto il Papa, ma escluderemmo anche questa ipotesi; sia perché il discorso era molto chiaro e senza giri di parole sia perché chi non capisce al massimo resta in silenzio o applaude giusto per educazione. Sicuramente non dedica una “standing ovation”. C’è dunque una sola spiegazione plausibile: che abbiano cioè applaudito non in rappresentanza dei propri governi, ma come persone che si sono sentite “lette” nel cuore, nel loro desiderio personale di giustizia e di libertà; che si sono sentite valorizzate nella loro dignità di uomini. In altre parole: hanno applaudito come uomini, non come rappresentanti; in nome della giustizia, non della legalità.

Da: www.iltimone.org