venerdì 11 luglio 2008

SAN BENEDETTO

LA SCALA

Nulla anteporre all’amore di Cristo
(Regola SB)


Esci dal mondo, Padre Benedetto
e conduci i tuoi figli nel deserto:
essi si perdono inghiottiti
dal frastuono assordante delle cose.

La semplice via dell’amore ritrovato
porta a Dio quelli che si sono persi;
l’ascolto semplice della voce del Padre
introduce l’anima sulla via del ritorno.

La scuola del servizio divino
è vivere immersi nella lode
per la salvezza ricevuta come dono
che apre di nuovo il cielo all’uomo.

La terra non è più sola, isolata,
lontana dall’amore di Dio;
una scala si erge sicura fino lassù,
per essa gli angeli scendono e salgono

alla ricerca dell’uomo dormiente.
Ora scende il Verbo nell’umile cuore,
obbediente, povero e casto, per risalire,
vittorioso, con l’uomo rinato.

La Regola di vita è il nuovo status
di chi ha ritrovato la via del cielo
e aiuta in terra a fare con fedeltà
quello che gli angeli fanno lassù.

Non nuovo servaggio o rinuncia,
ma vera libertà di esprimere
la ritrovata identità, dopo essere
ritornati al Signore della vita.

Carità, amore, servizio gioioso,
slancio e desiderio di sottomissione
per non servire e amare se stessi,
ma Colui che mi ha amato per primo.

Davanti a me non ci sono più inciampi
per amare Cristo, perché tutto
è stato purificato dall’obbedienza
e santificato dalla carità.

Ti ritrovo qui, Signore santo e fedele,
in quest’oasi profumata di cielo,
giardino rigoglioso dell’Eden perduto,
per dire ogni giorno: Nulla anteporre a Cristo!

Pben 11. VII. 08

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11 luglio 2008 - S. Benedetto, patrono d'Europa

XIV tempo ordinario (A) - P


Noi potremmo facilmente tenere il Vangelo a distanza pensando: "Sono i discepoli ad essere coinvolti, o, tutt'al più, i santi come Benedetto, che Dio ha chiamato a realizzare una grande opera". Ma il Vangelo non è solo un libro di storia. Non si accontenta di raccontare gli avvenimenti. Gli apostoli, i santi e i missionari rimandano a me. Guardate Pietro che ha accompagnato Gesù e gli altri discepoli che hanno abbandonato tutto; o guardate Benedetto che, giovane studente, rifiuta la vita brillante di Roma per ritirarsi nella solitudine! Tutti sono implicati nella storia.


Noi saremmo semplici spettatori? Il Vangelo non ci riguarderebbe? Eppure il Vangelo parla dell'avvento di un nuovo regno, del segreto inaudito che fa sì che Dio permetta che nasca un regno senza fine. Ciò significa dunque che Dio ha delle aspettative su di noi. È il dramma dell'amore. E la mia storia con Dio. La storia del regno dei cieli è già cominciata. Bisogna continuare a raccontare la storia come storia di Dio e del suo mondo. In questo Vangelo, è la sua storia che Gesù raccontaquando dice: "Nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria..." (Mt 19,28).


Per Gesù, ciò vuol dire amore fino alla croce. Egli sa: "Mio padre mi manda nel mondo per amore e dice: Tu genererai un popolo nuovo. La tua missione è di diffondere l'amore nel mondo intero".
Dio vuole che il suo amore si riversi nel mondo. Si tratta del dramma dell'amore. Noi possiamo parteciparvi lasciando che Dio ci mostri il nostro posto. Poiché egli si indirizza a noi, personalmente. Quante volte abbiamo rifiutato questo invito: eppure la redenzione ha luogo qui e ora, oggi. Non è in teoria, ma nell'istante stesso che Gesù ama, agisce e parla. Ciò che importa è che io alzi gli occhi per vedere cosa accade. A cosa serve, se qualcuno mi perdona in teoria ma non nel suo cuore, né ora? La pratica di Gesù ci mostra una cosa: egli è andato incontro a tutti. Il suo invito valeva per tutti. Non debbo, dunque avere paura. Non sono tenuto a diventare prima un uomo a posto, posso venire quale sono. E, per una comunità, ciò significa semplicemente poter esistere anche con le proprie debolezze.

La parola: verbumweb.net

giovedì 10 luglio 2008

LO SCRUPOLO


1. Che cosa è lo scrupolo e di quante sorta.
2. Donde vengono gli scrupoli.
3. Patimenti e pericoli dello scrupoloso.
4. L'uomo veramente virtuoso non è scrupoloso.
5. Motivi di disprezzare lo scrupolo.
6. Rimedi contro lo scrupolo.

1. CHE COSA È LO SCRUPOLO E DI QUANTE SORTA

Scrupolo, nel suo significato primitivo, indica una pietruzza che, penetrata nella scarpa, rende disagiato il camminare. Nel linguaggio figurato, divenuto l'usuale, significa la trepidazione, il timore, le pene di una coscienza che si conturba senza motivi sufficienti, perché provenienti da supposizioni incerte e senza ragionevole fondamento, che mettono in angoscia l'anima (Psalm. XIII, 5): «Tremarono quando non v'era ragione di timore». Vi sono due sorta di scrupolosi: gli uni dubitano e temono sempre che i loro peccati passati non siano stati bene accusati; temono di aver mancato di contrizione; temono di non aver ricevuto il perdono, avendo però fatto quanto era in loro per eccitarsi al dolore, per confessarsi bene e schiettamente, per non ricadere nella colpa. Tali scrupolosi non lasciano di essere buoni cristiani e ordinariamente finiscono bene. Gli altri, vivendo male, hanno scrupolo sul passato, ma senza darsi pensiero di ben confessarsene, senza desiderio di emendarsi, senza risoluzione di evitare il peccato. Costoro sono vicini alla rovina...

2. DONDE VENGONO GLI SCRUPOLI

1° Presso alcuni lo scrupolo ha origine da un temperamento melanconico, o da qualche affezione morbosa, o da troppo severa mortificazione... In questo caso il rimedio è nella medicina.
2° In altri ha per cagione la debolezza di spirito o di giudizio. Non sanno discernere il bene dal male; vedono il male dove non c'è, non lo vedono dove c'è; quando il male è piccolo, lo credono grande, quando è grave, lo stimano leggero, ecc.
3° Si incontrano degli scrupolosi, e ve ne sono molti, che tali sono per amor proprio, per ostinazione, per disobbedienza, per orgoglio... Si amano troppo; hanno troppo. attaccamento alla propria volontà, un'idea troppo alta dei propri lumi... Sono temerari al punto di credere che i direttori pronunziano sentenza senza sufficiente cognizione di causa; li giudicano o troppo indulgenti, o troppo severi, o non abbastanza istruiti, o mancanti di esperienza, il che tutto infine si riduce a conchiudere che s'ingannano... Pericolosissimo e quasi insanabile è lo scrupolo che deriva da queste fonti...
4° Lo scrupolo può anche essere prodotta da un soverchio timore della morte, del giudizio, dell'inferno. Basta la colpa più leggera per farci credere dannati, l'immaginazione ci esalta, la fantasia ci conduce fuori di senno...
5° Finalmente, lo scrupolo talora viene da Dio che lo permette per metterci alla prova, e se ne serve come di una croce per tribolarci; tal altra viene dal demonio il quale, amante com'è di pescare nel torbido, s'ingegna di conturbare un'anima con lo scrupolo, per impedirle il progresso nel bene...

Si conosce se lo scrupolo viene dal demonio:
1) dall'impulso che si sente e al quale pare che cediamo; se esso è ruvido, molesto, disgustoso, violento, teniamolo sicuramente per diabolico, perché l'impulso divino è soave, dilettevole, calmo... «Dio è tranquillo, dice S. Bernardo, e mette la calma dappertutto; guardare questo Dio di pace, è trovare il riposo (Serm. XXIII. in Cant.)».
2) Si conosce dall'agitazione dell'anima, dalla perdita della pace, dalla dolcezza, dal disgusto della virtù, della rassegnazione, dei pii esercizi...

3. PATIMENTI E PERICOLI DELLO SCRUPOLOSO

Tormento crudele, dolore inesprimibile è lo scrupolo, scrive S. Giovanni Crisostomo; è un verme roditore che divora il corpo e l'anima, le ossa e il cuore; è un perpetuo persecutore, un manigoldo che lentamente indebolisce e consuma le forze dell'anima; è una notte continua; una densa caligine; una nuvola tempestosa; una febbre occulta che brucia più che fuoco; un combattimento senza riposo (Homil. de Cruce). Lo scrupolo inaridisce il cuore, lo rende triste e pesante; ravvolge il cervello in denso fumo e nera caligine; si vede tutto sotto un aspetto tristo, scuro, penoso, nocevole, orrido, spaventoso... Con lo scrupolo più non si scorge né Dio, né la sua legge, né la bellezza e la dolcezza della virtù, né se stesso...
Il giogo di Gesù Cristo pare cosa durissima e insoffribile, e ci sentiamo tentati a parlarne male... Non mai un momento di pace, di tranquillità, di gioia, di luce... Preghiere aride e stentate; sacramenti ricevuti tremando e senza consolazione, se non pure senza frutto...;
tentazioni di scoraggiamento, di diffidenza, di disperazione...
O deplorevole stato! Ma vi è di più; la tentazione dello scrupolo può riuscire molto più pericolosa di ogni altra, perché le altre tentazioni si riguardano come cattive, ma la tentazione di scrupolo ha l'apparenza di prudenza, di verità, di virtù...
Il demonio toglie il timore dei pericoli reali, e ce ne fa temere dei falsi e apparenti... Questa tentazione scuote ed anche toglie affatto la speranza, la rassegnazione; trascina alla mormorazione, all'odio, alla disperazione...
Da lei pericoli d'accecamento spirituale che può condurre all'indurimento del cuore per la via della disobbedienza, dell'ostinazione, dell'orgoglio.

4. L'UOMO VERAMENTE VIRTUOSO NON È SCRUPOLOSO

La vera virtù gode, come dice S. Ambrogio, della tranquillità e della stabilità del riposo. Perciò il Signore riserva il dono inestimabile della pace a quelli che sono perfetti. «Io vi lascio la pace, egli dice agli Apostoli, io vi do la pace, ma non come la dà il mondo, io la do. Il vostro cuore non si turbi e non tema » (IOANN. XIV, 27). Le anime veramente salde nel bene e sinceramente virtuose, non sono agitate dalle cose del mondo, dalle tentazioni, dalle passioni; il timore non le inquieta, non si turbano dei sospetti; niente le spaventa, nemmeno i dolori; ma riparate in porto sicuro, esse vedono passare le tempeste, senza che l'anima loro ne sia smossa (Offic. lib. IV, c. V).

5. MOTIVI DI DISPREZZARE LO SCRUPOLO

1° Il peccato nella sua essenza suppone talmente il concorso della volontà, che se questo manca non vi è mai peccato: così insegna con la Chiesa cattolica S. Agostino (Retract. lib. I, c. XV). - «È impossibile, predicava già San Leone, che vivendo su la terra, anche i più religiosi non ne ritraggano qualche po' di polvere (Serm. IV, de Quadrag.)»; cioè è quasi impossibile che, anche adoperando tutte le possibili precauzioni, attesa la debolezza della natura decaduta, attesi gli ostacoli al bene, attesa l'inclinazione al male, la moltitudine dei nemici e la frequenza dei pericoli, si possano schivare dall'uomo tutte le colpe veniali. Solo nel cielo saremo impeccabili. I Santi medesimi non andarono esenti da alcune leggere macchie... D'altronde, i peccati veniali non tolgono la grazia santificante...
2° Perché dunque tanto affannarsi e crucciarsi? Bisogna umiliarsi e pentirsi, non turbarsi ed angustiarsi...
3° Supposto anche che cadiamo in colpa grave, non sarà mai lo scrupolo e la disperazione che ce ne faranno rialzare, ma la speranza ed il pentimento... Dio perdona sempre a un cuore contrito e umiliato, dice il Salmista (Psalm. L, 19). Dio non nega mai il perdono a chi ritorna pentito a lui. 4° Non bisogna mai separare le nostre miserie e debolezze dalla bontà, dalla misericordia e dal sangue di Gesù Cristo. Tutto ciò è in lui infinito...

6. RIMEDI CONTRO LO SCRUPOLO

«Vuoi tu, dice S. Bernardo, non cedere mai alla tristezza, effetto dello scrupolo? Vivi da buon cristiano : la vita cristiana è sempre nella gioia (De inter. dom. c. XLVI». Infatti S. Paolo scrive: «Gioite nel Signore; di nuovo ve lo ripeto, gioite» (Philipp. IV, 4); e il Salmista esclamava: «Perché sei tu melanconica, anima mia? perché ti conturbi? Spera nel Signore» (Psalm. XLI, 6). «Chi cammina al buio, dice Isaia, chi è nelle tenebre, speri nel nome del Signore, e a lui si affidi» (ISAI. I, 10). Mezzo efficacissimo a schivare e soprattutto a vincere diverse tentazioni è quello di evitare e disprezzare lo scrupolo. Ditegli: No, a te non mi fido, o scrupolo, tu sei troppo cattiva guida; tu vieni dal demonio, mio capitale nemico, e quello che mi offri è falso, inetto, insensato; io mi appiglierò, per prudenza, al contrario di quello che tu mi suggerisci…
S. Antonio assicurava che nessun mezzo è più efficace a sbaragliare i demoni, che la gioia spirituale la quale esclude gli scrupoli. «Se alcuno di voi è triste, preghi» (ISAI. V, 13). Questo è il rimedio che raccomanda S. Giacomo agli scrupolosi i quali però devono prenderlo nel modo indicato dal Savio: «Non moltiplicare le parole tue nelle tue preghiere», come si fa sovente con scrupolose ripetizioni (Eccli. VII, 15). Quegli scrupolosi che non finiscono mai dì affaticarsi lo spirito, ripetendo incessantemente le loro preghiere a cagione delle distrazioni, e che con ciò prendono appunto il partito più sicuro per esserne continuamente assediati, s'ingannano. Questa ripetizione di preghiere, fatta per scrupolo, col timore di non aver detto abbastanza bene, col desiderio sregolato di dire meglio, è inutile, viziosa, ridicola, irriverente; nutre e argomenta i timori e gli scrupoli. Pronunziando le parole, gli scrupolosi soddisfano all'obbligo dell'orazione, e anche quando sono distratti, questa distrazione per l'ordinario non è volontaria, ma è l'effetto dell'immaginazione di una testa esaltata dallo scrupolo ed è quindi esente da colpa. E posto che la distrazione sia volontaria, e vi sia una certa colpa, questa colpa dev'essere cancellata con la contrizione, non con la ripetizione della preghiera... .

Ecco altri eccellenti mezzi per guarire lo scrupolo:


1° Domandare a Dio che ce ne liberi;
2° nutrire una confidenza irremovibile in Dio;
3° non dare orecchio alle suggestioni del demonio e trattarle come si fa, per esempio, coi pensieri contro la fede, di bestemmia, e simili;
4° fermare lo scrupolo sul suo principio; perché lo scrupolo è come una pietra gettata in uno stagno, la quale produce un piccolo cerchio attorno a sé, poi uno più ampio, poi via via cento altri che vanno sempre più dilatandosi;
5° impiegare poco tempo nell'esame di coscienza e non occuparsi della propria confessione se non alcuni minuti prima d'incominciarla;
6° compendiare per quanto si può la propria confessione, non discendere alle particolarità;
7° obbedienza cieca ed assoluta al confessore;
8° comunicarsi spesso e non occuparsi delle proprie colpe né prima né dopo la comunione, ma darsi in braccio a Dio, amarlo, ringraziarlo;
9° ricordare che non la tentazione, ma il consenso macchia l'anima;
10° disprezzare le tentazioni;
11° tenersi umili;
12° invocare sovente i santi nomi di Gesù e di Maria, munirsi spesso del segno di croce.

"DEVOZIONE MARIANA"

Madonna di Lourdes

mercoledì 9 luglio 2008

Benedetto XVI: San Paolo, uomo combattivo che sa maneggiare la spada della parola
La verità era per lui troppo grande per essere disposto a sacrificarla in vista di un successo esterno

S.S. BENEDETTO XVI

CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

IN OCCASIONE DELL’APERTURA DELL’ANNO PAOLINO


28.06.2008

Santità e Delegati fraterni,
Signori Cardinali,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle,

siamo riuniti presso la tomba di san Paolo, il quale nacque, duemila anni fa, a Tarso di Cilicia, nell’odierna Turchia. Chi era questo Paolo? Nel tempio di Gerusalemme, davanti alla folla agitata che voleva ucciderlo, egli presenta se stesso con queste parole: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città [Gerusalemme], formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio…» (At 22,3). Alla fine del suo cammino dirà di sé: «Sono stato fatto… maestro delle genti nella fede e nella verità» (1Tm 2,7; cfr 2Tm 1,11). Maestro delle genti, apostolo e banditore di Gesù Cristo, così egli caratterizza se stesso in uno sguardo retrospettivo al percorso della sua vita. Ma con ciò lo sguardo non va soltanto verso il passato. «Maestro delle genti» – questa parola si apre al futuro, verso tutti i popoli e tutte le generazioni. Paolo non è per noi una figura del passato, che ricordiamo con venerazione. Egli è anche il nostro maestro, apostolo e banditore di Gesù Cristo anche per noi.

Siamo quindi riuniti non per riflettere su una storia passata, irrevocabilmente superata. Paolo vuole parlare con noi – oggi. Per questo ho voluto indire questo speciale "Anno Paolino": per ascoltarlo e per apprendere ora da lui, quale nostro maestro, «la fede e la verità», in cui sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo. In questa prospettiva ho voluto accendere, per questo bimillenario della nascita dell’Apostolo, una speciale "Fiamma Paolina", che resterà accesa durante tutto l’anno in uno speciale braciere posto nel quadriportico della Basilica. Per solennizzare questa ricorrenza ho anche inaugurato la cosiddetta "Porta Paolina", attraverso la quale sono entrato nella Basilica accompagnato dal Patriarca di Costantinopoli, dal Cardinale Arciprete e da altre Autorità religiose. È per me motivo di intima gioia che l’apertura dell’"Anno Paolino" assuma un particolare carattere ecumenico per la presenza di numerosi delegati e rappresentanti di altre Chiese e Comunità ecclesiali, che accolgo con cuore aperto. Saluto in primo luogo Sua Santità il Patriarca Bartolomeo I e i membri della Delegazione che lo accompagna, come pure il folto gruppo di laici che da varie parti del mondo sono venuti a Roma per vivere con Lui e con tutti noi questi momenti di preghiera e di riflessione. Saluto i Delegati Fraterni delle Chiese che hanno un vincolo particolare con l’apostolo Paolo - Gerusalemme, Antiochia, Cipro, Grecia - e che formano l’ambiente geografico della vita dell’Apostolo prima del suo arrivo a Roma. Saluto cordialmente i Fratelli delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali di Oriente ed Occidente, insieme a tutti voi che avete voluto prendere parte a questo solenne inizio dell’"Anno" dedicato all’Apostolo delle Genti.

Siamo dunque qui raccolti per interrogarci sul grande Apostolo delle genti. Ci chiediamo non soltanto: Chi era Paolo? Ci chiediamo soprattutto: Chi è Paolo? Che cosa dice a me? In questa ora, all’inizio dell’"Anno Paolino" che stiamo inaugurando, vorrei scegliere dalla ricca testimonianza del Nuovo Testamento tre testi, in cui appare la sua fisionomia interiore, lo specifico del suo carattere. Nella Lettera ai Galati egli ci ha donato una professione di fede molto personale, in cui apre il suo cuore davanti ai lettori di tutti i tempi e rivela quale sia la molla più intima della sua vita. «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro. La sua fede è l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; è la coscienza del fatto che Cristo ha affrontato la morte non per un qualcosa di anonimo, ma per amore di lui – di Paolo – e che, come Risorto, lo ama tuttora, che cioè Cristo si è donato per lui. La sua fede è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma. La sua fede non è una teoria, un’opinione su Dio e sul mondo. La sua fede è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore. E così questa stessa fede è amore per Gesù Cristo.

Da molti Paolo viene presentato come uomo combattivo che sa maneggiare la spada della parola. Di fatto, sul suo cammino di apostolo non sono mancate le dispute. Non ha cercato un’armonia superficiale. Nella prima delle sue Lettere, quella rivolta ai Tessalonicesi, egli stesso dice: «Abbiamo avuto il coraggio … di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte … Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete» (1Ts 2,2.5). La verità era per lui troppo grande per essere disposto a sacrificarla in vista di un successo esterno. La verità che aveva sperimentato nell‘incontro con il Risorto ben meritava per lui la lotta, la persecuzione, la sofferenza. Ma ciò che lo motivava nel più profondo, era l’essere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore. Paolo era un uomo colpito da un grande amore, e tutto il suo operare e soffrire si spiega solo a partire da questo centro. I concetti fondanti del suo annuncio si comprendono unicamente in base ad esso. Prendiamo soltanto una delle sue parole-chiave: la libertà.
L’esperienza dell’essere amato fino in fondo da Cristo gli aveva aperto gli occhi sulla verità e sulla via dell’esistenza umana – quell’esperienza abbracciava tutto. Paolo era libero come uomo amato da Dio che, in virtù di Dio, era in grado di amare insieme con Lui. Questo amore è ora la «legge» della sua vita e proprio così è la libertà della sua vita. Egli parla ed agisce mosso dalla responsabilità dell’amore. Libertà e responsabilità sono qui uniti in modo inscindibile. Poiché sta nella responsabilità dell’amore, egli è libero; poiché è uno che ama, egli vive totalmente nella responsabilità di questo amore e non prende la libertà come pretesto per l’arbitrio e l’egoismo. Nello stesso spirito Agostino ha formulato la frase diventata poi famosa: Dilige et quod vis fac (Tract. in 1Jo 7 ,7-8) – ama e fa’ quello che vuoi. Chi ama Cristo come lo ha amato Paolo, può veramente fare quello che vuole, perché il suo amore è unito alla volontà di Cristo e così alla volontà di Dio; perché la sua volontà è ancorata alla verità e perché la sua volontà non è più semplicemente volontà sua, arbitrio dell’io autonomo, ma è integrata nella libertà di Dio e da essa riceve la strada da percorrere.

Nella ricerca della fisionomia interiore di san Paolo vorrei, in secondo luogo, ricordare la parola che il Cristo risorto gli rivolse sulla strada verso Damasco. Prima il Signore gli chiede: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» Alla domanda: «Chi sei, o Signore?» vien data la risposta: «Io sono Gesù che tu perseguiti» (At 9,4s). Perseguitando la Chiesa, Paolo perseguita lo stesso Gesù. «Tu perseguiti me». Gesù si identifica con la Chiesa in un solo soggetto. In questa esclamazione del Risorto, che trasformò la vita di Saulo, in fondo ormai è contenuta l’intera dottrina sulla Chiesa come Corpo di Cristo. Cristo non si è ritirato nel cielo, lasciando sulla terra una schiera di seguaci che mandano avanti «la sua causa». La Chiesa non è un’associazione che vuole promuovere una certa causa. In essa non si tratta di una causa. In essa si tratta della persona di Gesù Cristo, che anche da Risorto è rimasto «carne». Egli ha «carne e ossa» (Lc 24, 39), lo afferma in Luca il Risorto davanti ai discepoli che lo avevano considerato un fantasma. Egli ha un corpo. È personalmente presente nella sua Chiesa, «Capo e Corpo» formano un unico soggetto, dirà Agostino. «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?», scrive Paolo ai Corinzi (1Cor 6,15). E aggiunge: come, secondo il Libro della Genesi, l’uomo e la donna diventano una carne sola, così Cristo con i suoi diventa un solo spirito, cioè un unico soggetto nel mondo nuovo della risurrezione (cfr 1Cor 6,16ss). In tutto ciò traspare il mistero eucaristico, nel quale Cristo dona continuamente il suo Corpo e fa di noi il suo Corpo: «Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,16s). Con queste parole si rivolge a noi, in quest’ora, non soltanto Paolo, ma il Signore stesso: Come avete potuto lacerare il mio Corpo? Davanti al volto di Cristo, questa parola diventa al contempo una richiesta urgente: Riportaci insieme da tutte le divisioni. Fa’ che oggi diventi nuovamente realtà: C'è un solo pane, perciò noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo. Per Paolo la parola sulla Chiesa come Corpo di Cristo non è un qualsiasi paragone. Va ben oltre un paragone. «Perché mi perseguiti?» Continuamente Cristo ci attrae dentro il suo Corpo, edifica il suo Corpo a partire dal centro eucaristico, che per Paolo è il centro dell’esistenza cristiana, in virtù del quale tutti, come anche ogni singolo può in modo tutto personale sperimentare: Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me.

Vorrei concludere con una parola tarda di san Paolo, una esortazione a Timoteo dalla prigione, di fronte alla morte. «Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo», dice l’apostolo al suo discepolo (2Tm 1,8). Questa parola, che sta alla fine delle vie percorse dall’apostolo come un testamento, rimanda indietro all’inizio della sua missione. Mentre, dopo il suo incontro con il Risorto, Paolo si trovava cieco nella sua abitazione a Damasco, Anania ricevette l’incarico di andare dal persecutore temuto e di imporgli le mani, perché riavesse la vista. All’obiezione di Anania che questo Saulo era un persecutore pericoloso dei cristiani, viene la risposta: Quest’uomo deve portare il mio nome dinanzi ai popoli e ai re. «Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15s). L’incarico dell’annuncio e la chiamata alla sofferenza per Cristo vanno inscindibilmente insieme. La chiamata a diventare il maestro delle genti è al contempo e intrinsecamente una chiamata alla sofferenza nella comunione con Cristo, che ci ha redenti mediante la sua Passione. In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza – senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà. Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore. L’Eucaristia – il centro del nostro essere cristiani – si fonda nel sacrificio di Gesù per noi, è nata dalla sofferenza dell’amore, che nella Croce ha trovato il suo culmine. Di questo amore che si dona noi viviamo. Esso ci dà il coraggio e la forza di soffrire con Cristo e per Lui in questo mondo, sapendo che proprio così la nostra vita diventa grande e matura e vera. Alla luce di tutte le lettere di san Paolo vediamo come nel suo cammino di maestro delle genti si sia compiuta la profezia fatta ad Anania nell’ora della chiamata: «Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». La sua sofferenza lo rende credibile come maestro di verità, che non cerca il proprio tornaconto, la propria gloria, l’appagamento personale, ma si impegna per Colui che ci ha amati e ha dato se stesso per tutti noi.

In questa ora ringraziamo il Signore, perché ha chiamato Paolo, rendendolo luce delle genti e maestro di tutti noi, e lo preghiamo: Donaci anche oggi testimoni della risurrezione, colpiti dal tuo amore e capaci di portare la luce del Vangelo nel nostro tempo. San Paolo, prega per noi! Amen.

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martedì 8 luglio 2008

Nonostante la luce della verità illumini da anni la storia Templare, a frotte si accalcano a seguire i tanti che, ancora oggi, 8 luglio 2008, si professano eredi legittimi del mitico Ordine.
Come dice un antico detto popolare:
“Chi vuol essere ingannato, crede facilmente a quanto piace”

La leggenda templare massonica e la realtà storica

Di Marco Tangheroni

Saggio tratto da: CESNUR. CENTRO STUDI SULLE NUOVE RELIGIONI, Massoneria e religioni, a cura di Massimo Introvigne, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1994

1. Templarismo, massoneria e "leggenda templare"

I cavalieri templari, a differenza dei cavalieri ospedalieri che ad un certo momento cercarono di far risalire le proprie origini a San Giovanni, non tentarono mai di ricostruire una loro "leggenda". Nonostante ciò, a secoli di distanza, nacque, progressivamente arricchendosi, una leggenda templare. Ciò non finisce di meravigliare gli storici più seri dell'Ordine, come Régine Pernoud, che pubblicò anni orsono una validissima sintesi nella collezione Que sais-je?, ora finalmente tradotta in italiano (1), e Alain Demurger, professore a Parigi, autore dello studio più aggiornato e documentato, pure tradotto (2). Ascoltiamoli un attimo.
Col consueto impeto la Pernoud scrive: "Per lo storico lo scarto tra le fantasie a cui si sono abbandonati senza alcun ritegno gli scrittori di storia di tutte le opinioni e, d'altra parte, i documenti autentici, i materiali sicuri che gli archivi e le biblioteche custodiscono in abbondanza, è tale che non vi si crederebbe, se questo contrasto non si manifestasse nel modo più visibile e più evidente. Succede per i templari quanto è accaduto, per esempio, per Giovanna d'Arco, a proposito della quale, accanto a un'abbondante letteratura agiografica e a ipotesi numerose, totalmente gratuite ed uniformemente sciocche (...) i documenti, da parte loro, si impongono con il rigore più totale. Anche per i templari si fa fatica a credere al confronto in tesi fra la letteratura che hanno suscitato - non più agiografica, ma, in qualche caso, completamente demenziale - e, d'altra parte, i documenti così semplici, così probanti, così tranquillamente irrefutabili, che costituiscono la storia vera" (3).
Più tranquillo, ma non meno deciso, Demurger osserva: "Insieme ai catari e a Giovanna d'Arco, il Tempio alimenta uno degli inesauribili filoni di quella pseudo-storia che ha l'unico scopo di offrire ad avidi lettori la loro razione di misteri e segreti..." (4).
Per quanto una storia globale del "templarismo" sia ancora da scrivere, noi oggi sappiamo bene che la leggenda templare nacque all'interno della massoneria settecentesca, in rapporto a tensioni tra correnti spiritualiste e correnti razionaliste, anche se furono questi in fondo due volti, spesso ambiguamente intrecciati, di un'unica realtà (5). Si cominciò allora a dire e scrivere che l'ordine era una società segreta e che l'ultimo maestro noto, Jacques de Molay, avrebbe avuto il tempo di trasmettere i segreti templari a un cavaliere di nome John Mark Larmenius; da allora la catena dei gran maestri non si sarebbe più interrotta (6).
Veri e propri avventurieri riuscirono allora ad arricchirsi promettendo rivelazioni su questi presunti segreti specie in ordine alla possibilità di arricchirsi per vie occulte. Tuttavia, certe operazioni assunsero un significato simbolico-politico di grande interesse. Come la solenne cerimonia di assoluzione e riabilitazione di Jacques de Molay che Napoleone Bonaparte - circondato in famiglia e nel suo entourage da altissimi dignitari massonici - fece fare dal "suo" clero a Parigi nel 1803. E non è senza interesse constatare che la Rivista Massonica degli ultimi decenni dell'Ottocento, pure espressione della massoneria italiana più laicista e razionalista, rilanciò una campagna templarista, definendo, tra l'altro, i garibaldini come "i nuovi templari" (7).
D'altra parte anche alcuni autori "reazionari" accolsero questa tesi, come l'abate Augustin Barruel, tanto meritorio per certi aspetti, che credette all'esistenza di un vendicativo complotto massonico-templare, con radici pre- e anti-cristiane.
Va pure ricordato che una buona parte della storiografia francese si è a lungo impegnata nella ripresa dei più infondati elementi anti-templari spinta dal desiderio di difendere a oltranza un re di Francia, Filippo il Bello, che si impegnò vittoriosamente in un conflitto con la Chiesa, nelle circostanze assai debole, montando l'affare templare per cupidigia, volontà politica assolutista e altre ragioni di ordine interno ed internazionale.
La leggenda doveva poi trovare accoglimento, anche nel nostro secolo, in correnti esoteriche interne ed esterne alla massoneria, sempre nel più elementare disprezzo, spesso teorizzato, nei confronti della verità storica pur di non difficile accertamento.
Indubbiamente, come ricorda Demurger, la storia di questa leggenda è anch'essa territorio dello storico; ma non di quello medievale, bensì di quello della storia contemporanea.
Qui, molto semplicemente, come contributo alla dissipazione di eventuali nebbie che ancora persistono, vogliamo, invece, parlare del Medio Evo e della storia dell'Ordine del Tempio così come ci è nota dai documenti. Con inevitabile eccessiva rapidità, ma col desiderio di offrire un panorama sufficientemente articolato e, a grandi linee, completo (8).

2. Le origini dell'ordine templare

Nei manuali di storia, normalmente, i capitoli sulle crociate, dopo aver trattato un po' diffusamente della prima crociata e della riconquista cristiana di Gerusalemme (1099), si soffermano soltanto sulle crociate, per così dire, canonizzate e numerate, guidate per lo più da sovrani o imperatori.
Ora, se è vero che in particolari momenti, come risposta a particolari situazioni di emergenza o di pericolo per gli stati latini in Terrasanta e nel Vicino Oriente, venivano organizzate spedizioni militari unitarie, consistenti e complesse (ad esempio la terza crociata, guidata dal Barbarossa che vi trovò la morte, per reagire alla riconquista islamica di Gerusalemme) è anche vero che un flusso continuo di milites cristiani ebbe inizio subito dopo la prima crociata. Apparve infatti immediatamente evidente che la difesa del regno di Gerusalemme e degli altri stati "franchi" nati con essa poneva problemi che le esigue forze superstiti non potevano assolutamente assicurare (9).
Lasciamo da parte, in questa sede, la funzione, pur fondamentale, svolta dalle città marinare italiane, Venezia, Pisa, Genova, le cui flotte e i cui mercanti assicurarono, in cambio di privilegi commerciali, i fondamentali collegamenti marittimi, pur se va almeno ricordato che esse interferivano anche nella vita dei nuovi stati (non a caso il primo patriarca di Gerusalemme fu l'arcivescovo di Pisa Daiberto, giunto con una flotta pisana di centoventi navi). Infatti, ai fini del nostro tema, è più importante concentrare la nostra attenzione sull'afflusso di cavalieri, pressoché continuo, dalle varie aree della Cristianità occidentale, soprattutto dalla Francia (peraltro parzialmente soggetta al re d'Inghilterra, in questi secoli) e dall'Impero.
In particolare, va ricordato che la riconquista di Gerusalemme aveva contribuito soltanto in parte a rendere sicuro il viaggio dei pellegrini verso la Città Santa, continuamente minacciato da bande di briganti e ladroni, oltre che, di tanto in tanto, da più consistenti ed organizzate offensive musulmane, che permettevano alle poche forze cristiane di mantenere soltanto il controllo delle città murate. Anche il viaggio più raccomandabile - giungere per via di mare a Jaffa e da qui percorrere il non lungo cammino alla Città Santa - era insicuro se non compiuto sotto scorta armata.
Del resto, i pellegrini non desideravano limitare a Gerusalemme il proprio pellegrinaggio; essi erano almeno attirati anche, verso sud, dalla vicina Betlemme e, poco oltre, da Hebron, ove si veneravano le tombe dei patriarchi, e, verso nord, dalle località della Galilea, come Nazaret o il lago di Tiberiade, dove tanta parte della vita di Gesù si era svolta. E queste strade erano molto insicure: le fonti riportano una gran quantità di episodi concreti che testimoniano la gravità della situazione e la fondatezza delle preoccupazioni.
Nella risposta a questi problemi bisogna trovare la motivazione immediata della nascita del nostro ordine, pur se essa non può essere completamente compresa - come vedremo tra poco - se non inquadrandola anche nella storia della cavalleria e, più in generale, della spiritualità del Medio Evo. Ma vediamo, prima, qualche data e qualche fatto essenziali, pur senza pretendere, com'è ovvio, di fare qui un riassunto dettagliato delle vicende e delle imprese del nuovo ordine, di questo "novum militiae genus", per riprendere l'espressione di San Bernardo (10).
Nel 1118, dunque, o, secondo altri, nel 1119, un piccolo gruppo di cavalieri - destinato ad accrescersi molto rapidamente - si riunì attorno ad Ugo di Payens, con lo scopo dichiarato di consacrare, con un voto pronunciato di fronte al patriarca, la propria vita alla difesa armata dei pellegrini e delle strade che portavano a Gerusalemme. Tra i baroni di alto rango che si unirono, subito o negli anni immediatamente successivi, a questo gruppo vale la pena di ricordare lo zio di San Bernardo, Montbard, Folco di Angers e lo stesso conte di Champagne, Ugo.
Essi si installarono in una sala del palazzo reale sull'antica spianata del Tempio; quando poi il re trasferì la propria sede nella torre di David, tutto il palazzo reale (l'antica moschea di Al-Aksa) fu ceduto al nuovo ordine: così i "poveri cavalieri di Cristo" divennero i cavalieri del Tempio, i Templari. Il sigillo dell'ordine è stato a lungo considerato come recante l'immagine del Tempio di Salomone, ma recentissimi studi fanno pensare che si trattasse piuttosto della Rotonda, l'Anastasis, del Santo Sepolcro. Sull'altro lato figuravano due cavalieri che montavano uno stesso cavallo: la spiegazione più probabile è che il riferimento simbolico fosse alla buona intesa, alla disciplina e all'armonia che dovevano regnare nell'ordine.
Nel 1127 Ugo, accompagnato da cinque suoi compagni, rientrò in Europa per incontrare il Papa ed ottenere l'approvazione della regola. Un concilio, su richiesta del Papa Onorio II, fu riunito a Troyes, nella Champagne, per iniziativa di San Bernardo e presieduto da un legato pontificio: il concilio approvò la regola, con alcune modificazioni. Essa restò la base della vita dei Templari per i quasi due secoli successivi di esistenza dell'ordine, pur con aggiunte e variazioni introdotte secondo le circostanze in epoche successive.
Nel 1139 un altro Papa, Innocenzo II, con la bolla Omne datum optimum, concesse ai cavalieri del Tempio una serie di privilegi di grande portata, come l'esenzione dalla giurisdizione episcopale, l'autorizzazione ad avere propri preti e cappellani, il diritto di costruire oratori con possibilità di farvisi seppellire, l'esenzione dalle decime. Ciò non mancherà, naturalmente, di suscitare qualche opposizione in una parte della Chiesa. Intanto, anche nella Cristianità occidentale, le donazioni crescevano con una progressione impressionante.


3. Il "De laude novae militiae"

Al grande e universale successo dell'ordine contribuì certamente questo scritto composto tra il 1130 e il 1136 da san Bernardo che era allora il grande padre spirituale della Cristianità (11), proprio per incoraggiare Ugo e i suoi compagni amareggiati e incerti per le critiche mosse al nuovo ordine, toccati, anche, da qualche dubbio sulla validità teologica delle loro scelte.
Era lecita la guerra per un cristiano, si domandava Ugo? E non era questa scelta un impedimento a raggiungere superiori traguardi spirituali? Come inserirsi nelle strutture ecclesiali? San Bernardo vede nel nuovo ordine un salto di qualità della cavalleria, che nella difesa dei deboli pellegrini e nel passaggio a uno status insieme militare e monastico, realizzava pienamente quel matrimonio tra la spada e la croce che aveva già caratterizzato, nei secoli precedenti, lo sforzo della Chiesa per la cristianizzazione dell'attività militare e della confraternita tra combattenti a cavallo che aveva dato origine alla cavalleria quale noi la conosciamo.
L'abate di Clairvaux contrapponeva i Templari alla cavalleria che egli aveva sott'occhio, da lui considerata troppo mondana, oscurata dalla vanagloria e dalla cupidigia: insomma, "non militia, sed malitia". Nello scritto di San Bernardo è netta la contrapposizione tra la "militia Dei", impegnata nella guerra giusta per eccellenza, la difesa contro gli infedeli, e la "militia saeculi". Egli vedeva nella vita di preghiera e di disciplina dei cavalieri del Tempio una sorta di garanzia contro cedimenti mondani; in quanto monaci essi rientravano nello stato che egli considerava di perfezione, quello monastico. "Monachi mansuetudo...militis fortitudo".
San Bernardo dette dunque una spinta decisiva verso la creazione, originale e nuova, di un ordine monastico-militare, composto da cavalieri che fossero insieme (con riferimento alla tradizionale tripartizione della società) "bellatores" e "oratores", guerrieri e contemplativi.
Ma il santo, nel suo Liber, si sofferma anche sul significato spirituale e simbolico della loro sede, il Tempio, in cui gli antichi splendori di Salomone sono stati sostituiti dalle armi, dagli scudi appesi alle pareti, dalle redini, dalle selle e dalle lance. Lo zelo dei cavalieri è analogo a quello che animò il Signore nel cacciare dal vecchio Tempio i mercanti, presidiando "con cavalli e armi la sacra dimora, respingendo da essa e dagli altri luoghi santi gli immondi infedeli, la loro rabbia, la loro prepotenza".
E sgorga, splendido, un inno a Gerusalemme, che tanto più ci è caro riportare in questi momenti politicamente difficili per questa città e la Terrasanta: "Salve dunque, o santa città che l'Altissimo ha santificato, facendone il suo tabernacolo, affinché in te e per te tanti siano salvati! Salve, o città del gran Re da sempre feconda di nuovi e consolanti miracoli! Salve, o signora delle genti, principessa delle province, retaggio dei patriarchi, madre dei profeti e degli apostoli, origine della fede, gloria del popolo cristiano; tu, che fin dall'inizio dei tempi Dio ha sempre sopportato fossi assediata affinché tu divenissi occasione di valore e di salvezza per i forti...".
Al ricordo di Gerusalemme, seguono quelli di Betlemme, "casa del pane, ristoro delle anime sante", di Nazaret, "là dov'è cresciuto quel Dio fanciullo ch'era nato in Betlemme così come il frutto si forma nel fiore", del Monte degli Olivi e della Valle di Giosafat, del Giordano "che si gloria di essere stato consacrato dal Battesimo del Cristo", del Calvario "dove Cristo salì sulla croce (...) per strapparci dall'eterna dannazione e restituirci alla gloria", del Sepolcro, di Betfage, di Betania. Il trattato termina con un citazione tratta dai Salmi (143, 1): "Sia benedetto in tutte le cose Colui che addestra le vostre mani alla battaglia, le vostre dita alla guerra".

4. Il modo di vita templare (12)

I Templari costituivano - come si è detto - un ordine monastico-militare. Per dirla con la Pernoud "le sue strutture sono nettamente gerarchizzate, ma i poteri esercitati non sono totalitari". A capo di esso c'era il "maestro del Tempio" (non il "gran maestro", parola che non figura mai in nessuna redazione della Regola o negli Statuti successivamente compilati, fino a qualche rara apparizione in testi del XIV secolo), con gli stessi poteri di un abate monastico. Egli era assistito da un consiglio di "fratelli saggi" e, per le decisioni più importanti, dal capitolo di tutta la congregazione.
I soli cavalieri che avevano pronunciato i voti potevano portare i caratteristici mantelli bianchi, ma era possibile che ad essi si unissero, oltre ai sergenti, fratelli non cavalieri, anche cavalieri e sergenti per un periodo di tempo limitato. Il mantello bianco era, secondo l'articolo 17 della regola, simbolo di castità e di riconciliazione con Dio; ma era anche, per i tessuti poveri con cui era fatto, segno di umiltà e di povertà. Si noti che i colori erano gli stessi dei cistercensi, bianco per i monaci e bruno per i conversi (in questo caso i "sergenti"). Nel 1147 il papa Eugenio III concesse il diritto di portare in permanenza sul mantello la ben nota croce rossa, riconoscendo così anche esteriormente il fatto che i Templari erano crociati in permanenza.
Verso il 1170 l'Ordine era suddiviso in diverse province. In Terrasanta: Gerusalemme, Tripoli e Antiochia. In Occidente: Francia, Inghilterra, Poitou, Provenza, Aragona, Portogallo, Puglia e Ungheria. Esse erano variamente divise in modo ulteriore.
La vita di preghiera ha un ruolo centrale nella Regola, anche perché ogni cavaliere fosse pronto a ricevere la corona del martirio. Normalmente i Templari dovevano recitare insieme Mattutino, Vespri e Compieta, anche se in caso di emergenza essi potevano sostituirli con un certo numero di "Pater Noster". L'ascesi era presente, ma moderata, giacché i pasti - durante i quali venivano letti brani della Scrittura - dovevano essere tali da consentire il miglior rendimento fisico in battaglia.
Era fortemente raccomandato il silenzio, proibita la caccia (tipico divertimento cavalleresco, ma non adatto allo stato religioso) con l'eccezione di quella, considerata difensiva, al leone. L'obbedienza era esaltata, giacché chi aveva pronunciato i voti aveva rinunciato a se stesso e perché questa virtù era la più cara a Gesù Cristo. Trattandosi di un ordine militare era esclusa la possibilità di accogliere dei ragazzi. Ogni "magione" aveva una "sala grande" dove si tenevano con regolarità e frequenza i "capitoli", nei quali era praticata anche la confessione pubblica: la riservatezza che era legata allo svolgimento dei capitoli fu poi utilizzata per alimentare le false accuse del processo.
Le chiese templari, anche in Occidente, erano sovente rotonde od ottagonali in ricordo della chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme o piuttosto, forse, della cupola del Tempio. In Oriente e nella penisola iberica, inoltre, furono costruiti numerosi castelli, spesso eroici isolotti di resistenza contro le ondate musulmane, sempre nettamente superiori per numero di armati.
Allorché i cavalieri templari erano in viaggio - il che accadeva spesso a questi cavalieri, erranti, anche se non a caso - dovevano sforzarsi di osservare la Regola nei limiti del possibile e dovevano, comunque, "dare esempio di buone opere e di saggezza".

5. L'epopea templare in Terrasanta

Per quanto in diverse occasioni ci fossero contrasti con gli altri ordini consimili, come gli Ospedalieri di San Giovanni o i Cavalieri Teutonici, oppure con il re di Gerusalemme, o con i baroni franchi, o con i Crociati appena arrivati dall'Occidente (i quali magari mal comprendevano una certa quale "orientalizzazione" dei modi di vita, uno strano miscuglio di guerra spietata, ma anche di una componente di tolleranza che consentiva ai musulmani di pregare nella moschea della spianata del Tempio), e per quanto talora alcuni comportamenti abbiano incontrato giudizi negativi da parte di storici contemporanei, è doveroso riconoscere che il bilancio complessivo della presenza militare dei Templari in Terrasanta deve essere considerato altamente positivo per la difesa delle posizioni cristiane e spesso impreziosito da gesta autenticamente eroiche.
Farne qui un elenco è impossibile; bisognerebbe, infatti, rievocare l'intera storia di due secoli di presenza cristiana in Oriente.
Ricorderemo la valorosa e sfortunata difesa della città di Teqoa, la città del profeta Amos, nel 1138; l'appoggio alla crociata guidata da Luigi VII nel 1148, che fu seguito, tra gli altri, anche da centotrenta templari riunitisi per l'occasione a Parigi, pur se va ricordata la sconfitta delle gole di Pisidia, dovuta alla scarsa esperienza dell'avanguardia delle truppe reali, anche se il valore del sovrano impedì un completo disastro; il tentativo di impadronirsi, da soli, di Ascalona, dapprima riuscito, ma concluso con il massacro dei quaranta templari che erano riusciti a penetrarvi (1153); le lotte accanto al giovane re Baldovino IV, l'eroico "re lebbroso", e l'apporto dato alla miracolosa vittoria contro il Saladino nel 1177; il sangue versato nella decisiva, per la caduta di Gerusalemme, battaglia di Hattin e nei massacri immediatamente successivi (i Templari fatti prigionieri furono tutti fatti uccidere dal Saladino e fu risparmiato il solo maestro Gérard de Ridefort, il cui comportamento, con appelli alla resa di varie piazzeforti, fu, e appare anche oggi, fortemente sospetto).
Ancora, dopo la caduta di Gerusalemme, fu decisivo il contributo dei Templari al mantenimento, per più di un secolo, della presenza cristiana in Oriente. Essi furono molto attivi al fianco del re Riccardo d'Inghilterra, noto come il "Cuor di leone", che rientrò in Europa abbigliato da templare. San Giovanni d'Acri - l'odierna Accon, al confine settentrionale d'Israele con il Libano - divenne la base delle operazioni, talora puramente difensive, spesso anche arditamente offensive, come nel caso della spedizione guidata dal re nominale di Gerusalemme, Giovanni di Brienne, contro l'Egitto.
Intanto, il panorama si complicava da un lato per l'irrompere sulla scena dei Mongoli di Gengis Khan, dall'altro per la politica di Federico II, volta a trovare un'intesa diplomatica che consentisse il controllo cristiano dei Luoghi Santi, ma sulla base di fragili promesse, ben presto violate. I Templari si opposero decisamente alla politica di compromessi dell'imperatore che, del resto, venne scomunicato dalla Chiesa.
Un poco più tardi lo stesso maestro dell'ordine, Armand de Perigord, rimase ucciso, presso Gaza, combattendo contro i Turchi; i Templari persero ben trecentododici cavalieri su trecentoquarantotto. Solo l'intervento del re di Francia san Luigi IX, che capeggiò una crociata contro l'Egitto, salvò ciò che restava delle posizioni cristiane; i Templari dettero ancora una volta un importante contributo, anche se non furono ascoltati nei loro consigli di prudenza, sì che la giornata si concluse con una nuova sconfitta. Soltanto il valore personale del re evitò un disastro completo, però egli stesso fu catturato presso Damietta in circostanze non chiarite, ma nelle quali ebbe forse peso anche un tradimento. Anche il nuovo maestro del Tempio, Guillaume de Sonnac, perse la vita in questo oscuro episodio.
L'ultimo episodio di combattimento eroico e ad oltranza che vorremmo ricordare è la partecipazione dei Templari alla difesa di San Giovanni d'Acri. Per rompere l'assedio il maestro del Tempio, Guillaume de Beaujeu, tentò invano una sortita. Qualche giorno dopo, avendo i Turchi scatenato l'attacco decisivo, egli fu ferito a morte e trasportato nella magione del Tempio, ove spirò dopo poco. Proprio la casa del Tempio fu l'ultimo baluardo di Acri a cedere alla marea islamica; il sultano tentò di ricorrere ad astuzie sleali, attirando il maresciallo Pierre de Sevry con false promesse di una resa onorabile nella sua tenda e facendolo poi decapitare. Ma per un mese e mezzo i Templari opposero ancora una disperata resistenza. Il 28 maggio 1291 nel crollo della torre rimasero sepolti, con gli ultimi combattenti templari, anche gli assalitori. Grousset ricorda che il Tempio di Gerusalemme ebbe per i suoi funerali "duemila cadaveri turchi".

6. I Templari in Occidente

I pur rapidi accenni fatti dimostrano che, fino a quando una presenza cristiana in Oriente si mantenne, i cavalieri templari continuarono a mantener fede al loro scopo originario, battendosi - salvo qualche rara eccezione - con coraggio, spesso con eroismo. Non si può dunque parlare di un abbandono della loro missione nel corso del XIII secolo.
È vero, però, che il successo del nuovo ordine in Occidente con le numerose e spesso ingenti donazioni di sovrani, nobili, grandi e piccoli proprietari, nonché la necessità di mantenere i collegamenti e di disporre di basi logistiche, lo spinsero ad organizzare la propria presenza europea e ad assumere, collateralmente, anche altre funzioni. Ma questo processo si era delineato sin dai primi decenni della storia dell'ordine. Insomma: è arbitrario distinguere una prima fase, buona e orientale, da una successiva fase, cattiva e occidentale.
Le donazioni avevano creato un vasto patrimonio che, a causa della sua stessa origine, era naturalmente incoerente e geograficamente disperso. Di qui la necessità di una gestione razionale, anche attraverso acquisti, vendite, permute. Uno studio attento di questa linea si trova nel citato volume di Demurger: se ne ricava il quadro di una conduzione agricola molto saggia, volta a ottenere in ciascuna regione i prodotti di miglior resa. "Essi - afferma lo storico francese - hanno favorito l'estendersi delle terre coltivate e sviluppato procedure e tecniche di sfruttamento e di gestione veramente innovatrici".
Si può ben dire, in questo senso, che l'ordine dei Templari era ricco, anche se nei cronisti contemporanei ostili tale ricchezza era volutamente esagerata. D'altra parte dovevano inviare rifornimenti in Terrasanta: grano, cavalli, carne, pellami. E vendere una parte dei prodotti per acquistare ferro, legno, armi. Si può comprendere che la difesa accanita del proprio patrimonio e la ricerca della più razionale gestione di esso abbiano favorito l'accusa di avarizia che sarà, tra le molte rivolte dagli ambienti ostili, la più diffusa. Numerose erano anche le conseguenti vertenze giudiziarie.
Le commende occidentali non furono, però, soltanto aziende, ma anche delle case di preghiera, secondo la Regola. E in terra iberica, dove i cavalieri erano impegnati nelle guerre di Reconquista (il primo fatto d'arme che li riguarda a noi noto è la partecipazione nel 1131 a un combattimento in Portogallo), anche delle fortezze. I Templari si trovarono a svolgere altresì, in Occidente, attività finanziarie, non diversamente, pur se in dimensioni maggiori, dagli altri ordini monastico-militari e dagli stessi ordini religiosi tradizionali. Le loro caserme - monasteri offrivano un riparo sicuro non soltanto alle persone ma anche ai beni mobili, al denaro e agli oggetti preziosi. Essi prestavano anche, a interessi leciti, sia grosse somme (per esempio nel 1216 mille marchi d'argento all'abbazia di Cluny), sia piccole somme ai contadini in difficoltà svolgendo l'attività di piccole casse rurali. D'altra parte è certo che sarebbe difficile spiegare l'economia dell'Oriente latino, specie per il XIII secolo, senza dare l'adeguata importanza al trasferimento di grosse somme di denaro da parte dei Templari.
Naturalmente è anche comprensibile che questa ricchezza destasse in qualcuno particolari desideri di impadronirsene; nella seconda metà del XIII secolo un re d'Inghilterra, a mano armata, si impadronì dei tesori privati depositati presso il Tempio di Londra. Al tempo stesso risultava difficile essere estranei non solo agli intrighi della politica orientale, ma anche ai grandi scontri che si delineavano in Occidente. Alcuni Templari, come molti religiosi del tempo, furono anche impiegati dai sovrani come funzionari regi; questi stessi sovrani, del resto, esercitarono grosse pressioni sui Templari d'Occidente per costringerli a battersi in difesa dei loro regni. Accanto all'avarizia non mancavano accuse di superbia, fierezza eccessiva, arroganza. Queste accuse erano d'altra parte rivolte anche agli altri ordini monastico-militari. Nelle discussioni, spesso inconcludenti, che si svolgevano in Occidente per progettare nuove crociate e nuovi interventi in difesa della Terrasanta vennero avanzate più volte (per esempio dal re Carlo d'Angiò o da Ramon Lull) progetti di una fusione di tutti questi ordini. Ma una tale fusione era di fatto temuta dai sovrani delle "monarchie nazionali" allora in piena fase di formazione e affermazione.
Espressioni come "non fidatevi del bacio di un templare" o "bere come un templare", diffusesi allora in Occidente, testimoniano la diffusione delle critiche ai cavalieri dell'ordine, accusati anche di essere avari nelle elemosine. Ma queste critiche, spesso provenienti da cronisti o poeti legati ad ambienti ostili come quello di Federico II, continuavano a essere controbilanciate da posizioni favorevoli.

7. La caduta del Tempio

Persa San Giovanni d'Acri, l'ordine del Tempio trasferì la propria sede a Cipro, dove fu eletto maestro, nel 1295, Jacques de Molay, un cavaliere della contea di Borgogna. Nel 1300 furono anche compiuti tentativi di controffensiva contro l'Egitto, condotti insieme agli Ospedalieri; ma il tentativo fallì per l'insufficienza delle forze navali a disposizione. Fu questa l'ultima azione militare dei Templari, mentre gli Ospedalieri mantennero alto il loro prestigio con la riconquista di Rodi.
De Molay cercava invece, allora, di spingere il Papa Clemente V e il re di Francia Filippo il Bello, suo grande elettore, ad organizzare una crociata generale. Ma proprio in quegli anni una diffusa campagna di accuse all'Ordine stava mettendosi in moto in Francia, tanto che lo stesso maestro chiese a Clemente V di aprire un'inchiesta. La proposta fu accolta dal Pontefice, che pure si era in precedenza rifiutato di prestar fede alle accuse.
Ma proprio questa decisione papale dette il pretesto al re di Francia per far scattare una generale improvvisa retata con l'arresto, in tutto il regno, dei Templari (ottobre 1307) accusati di essere "lupi nascosti da agnelli", di "rinnegare Cristo, di sputare sulla croce", di legare l'investitura ad atti omosessuali. L'operazione, ben organizzata, grazie all'effetto-sorpresa, riuscì quasi perfettamente: solo una dozzina riuscì a fuggire, mentre circa 550 furono gli arrestati (13).
Filippo il Bello tentò di spingere gli altri sovrani a iniziative analoghe, ma tanto il re d'Inghilterra Edoardo II quanto il re d'Aragona Giacomo II risposero rifiutando di credere alle accuse e addirittura, il secondo, difendendo decisamente l'Ordine. Violenta fu anche la reazione del Papa che affermò, in concistoro, che la decisione del sovrano era "un insulto contro di noi e contro la Chiesa romana".
Ma il re procedette a procurarsi le prove mediante confessioni - poche - estorte con la tortura, qualche isolato cedimento o tradimento di templari opportunisti, come Esquieu de Floryan ("una canaglia", secondo Demurger), o usciti in precedenza dall'ordine anche per reazione ad abusi e corruzione che si erano manifestati in alcune case, nonché su testimonianze basate sul "sentito dire": le accuse erano generalmente di islamizzazione e idolatria.
Clemente V, un Papa debole e malato, tentando di riprendere l'iniziativa nella questione, ordinò l'arresto dei Templari in tutta la Cristianità: i re si adeguarono, anche se quelli di Castiglia e di Portogallo si piegarono solo dopo una seconda bolla pontificia. Anche in Italia l'esecuzione fu tanto lenta che la maggior parte dei cavalieri riuscì a fuggire. L'arcivescovo di Ravenna, ad esempio, emanò una sentenza del tutto assolutoria.
Gli atti dei vari processi, compresi quelli francesi, ormai ampiamente studiati e pubblicati, dimostrano che la stessa accusa trovava molta difficoltà nel portare avanti, per la scarsità di prove, il processo inquisitorio. Questo spinse Filippo il Bello a superare ogni procedura giuridica, a portare a termine un autentico "processo politico" e a far ardere i roghi in tutto il suo regno. Un cronista del tempo, raccontando le prime esecuzioni, quelle di Parigi, scrisse: "Nessuno di loro - senza eccezioni - riconobbe i crimini che venivano loro imputati, anzi rimasero irremovibili nel loro diniego, ripetendo continuamente che erano condannati a morte senza motivo e ingiustamente, fatto che molti poterono constatare con grande ammirazione ed immensa sorpresa".
______________

(1) Régine Pernoud, I Templari, tr.it. di Ugo Cantoni, Effedieffe, Milano 1993; l'originale, col titolo Les Templiers, era uscito a Parigi in prima edizione, per le Presses Universitaires de France, nel 1974, ma la traduzione è stata condotta sulla quinta edizione del 1992.
(2) Alain Demurger, Vita e morte dell'ordine dei Templari, tr.it., Garzanti, Milano 1988: il volume è raccomandabile anche per la bibliografia ragionata che contiene.
(3) R. Pernoud, I Templari, cit., p. 11.
(4) A. Demurger, op.cit., p. 8.
(5) Sui due volti della modernità cfr. Massimo Introvigne, Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo, SugarCo, Milano 1990.
(6) Si veda, per un primo approccio, la seconda parte del libro di Peter Partner, The Murdered Magicians. The Templars and Their Myth, Oxford University Press, Oxford 1982.
(7) Cfr. Aldo A. Mola, "Il templarismo nella massoneria tra Otto e Novecento", in I Templari: mito e storia, Riccucci, Sinalunga 1989, pp. 259-278.
(8) Per non moltiplicare le note, ci limitiamo ad indicare che, salvo indicazione contraria, questo panorama sintetico è basato sulle opere, eccellenti, della Pernoud e di Demurger, citate alle note 2 e 3.
(9) La bibliografia sulle crociate è sterminata. Il lettore può ora giovarsi, per un orientamento, dei saggi raccolti in Franco Cardini, Studi sulla storia e sull'idea di crociata, Jouvence, Roma, 1993.
(10) Tra le varie traduzioni del Liber ad milites Templi de laude novae militiae consigliamo quella di Franco Cardini, con ampia introduzione, Volpe, Roma 1977.
(11) Anche su san Bernardo la bibliografia è immensa. Il lettore desideroso di approfondimenti potrebbe partire da Georges Duby, San Bernardo e l'arte cistercense, tr.it., Einaudi, Torino 1982. Sul punto specifico, cfr. Jean Leclercq, "Saint Bernard's Attitude toward War", in Studies in Medieval Cistercian History, Cistercian Studies 24 (1976).
(12) Per questo paragrafo cfr. anche Georges Bordonove, La vita quotidiana dei Templari nel XIII secolo, tr.it., Rizzoli, Milano 1989.
(13) Sul processo ai templari lo studio migliore è quello di Michael Barber, The Trial of the Templars, Cambridge University Press, Cambridge 1978.

domenica 6 luglio 2008

XIV Domenica del Tempo Ordinario A 0226

LA VITTORIA DEL MITE


Imparate da me che sono
mite e umile di cuore

(Mt 11,29)

Alla scuola del Signore si impara
la mansuetudine e la dolcezza;
io invece, conosco solo arroganza e ira,
voglia di dominio, per non essere soprafatto.

Bisogna incontrare il Signore,
fare esperienza della sua umile presenza,
per rinascere mite, semplice, piccolo
e gustare interiormente la sua vita.

Così Abramo diventa mansueto
dopo il travagliato percorso della fede.
Mosè, alla fine, è definito il più umile
di tutti gli uomini della terra,

dopo aver visto e rivisto Dio agire
in favore di quel popolo di schiavi:
i suoi portenti lo hanno soprafatto
fino a sentirsi un nulla davanti a lui.

E che dire di Davide: ha sempre
avuto cuore per il suo Signore;
il peccato non ha potuto distruggere
la bellezza dell’amore penitente.

Maria, umile serva dell’Umile,
del Figlio di Dio e servo di tutti.
Nell’Incarnazione si sente piccola,
disarmata davanti a Giuseppe suo sposo.

Invasa da strabiliante stupore
davanti all’umiltà della nascita di Gesù,
cresce un figlio che ha per missione
di redimere il mondo attraverso l’umiltà.

Umiltà, la porta che mi apre a Dio
e ai fratelli che si aspettano amore.
Per essa passa la carità che considera Dio
e gli altri superiori a se stessi.

L’umile si sottomette sempre a Dio
e volentieri ubbidisce ai comandamenti;
il piccolo ama essere povero e casto
perché si lascia condurre da Dio.

Il mite è sempre vittorioso, perché
lascia agire Dio che sempre trionfa;
l’umile è già nell’eternità: infatti,
egli vive sulla terra divinamente.


Pben 6.VII.2008
La novità di Gesù
tanto nelle sue parole che nei suoi gesti, non si trova nell'Antico Testamento

Quando appare Cristo, appaiono la Verità, la Saggezza, la Vita. È lo sposo che Israele aspetta. È il Messia.
La venuta di Cristo è paragonata al vino, simbolo dell'esultanza messianica. Gesù a Cana offre il vino migliore, la cui origine è sconosciuta, perché Dio solo lo offre, alla sua ora, al suo momento. Gesù è questo vino che rallegra il cuore della Chiesa; è colui che offre ilvino della salvezza; è il dono di Dio per gli uomini.
Per capire Gesù, o piuttosto, per riceverlo, quello che è vecchio non basta. Bisogna nascere di nuovo, dall'acqua e dallo Spirito. La legge di Mosè non basta; bisogna ricevere le beatitudini. Il digiuno non basta; è necessaria la povertà del cuore, cioè l'atteggiamento spirituale che ci dispone a ricevere qualsiasi cosa da Dio. Cristo non è il risultato della nostra opera, ma il dono del Padre; non è il frutto della nostra ricerca, ma lo splendore di Dio che brilla gratuitamente sulla scena umana. Ciò che è vecchio è passato. La nuova creazione è cominciata.

La Parola


Fuori dalle chiese la bandiera della pace! ERA ORA!!!

L'Arcobaleno: sincretismo o pace ?

Città del Vaticano (Agenzia Fides)

Che il cuore dell’uomo aspiri alla pace è una delle constatazione che chiunque osservi la propria esperienza elementare può fare. Tuttavia lo spettacolo tragico a cui assistiamo giornalmente sembra smentire categoricamente tale assunto. È altrettanto evidente infatti che il conflitto è sempre in agguato per i più svariati motivi: un pezzo di terra da condividere, degli affetti comuni, risorse primarie da utilizzare. Le cause seconde dei conflitti sono molteplici e talvolta non individuabili. Alla base di tali cause tuttavia, ve n’è una: l’autosufficienza. La Chiesa cattolica per descrivere tale situazione ha formulato il dogma del peccato originale. La pace o la guerra dipendono dal cuore dell’uomo. Sin dall’Antico Testamento, gli ebrei avevano individuato una serie di norme, sintetizzate in modo grandioso nel decalogo, che tenessero conto della complessità della natura umana: sia nella sua dimensione verticale, nel rapporto con il Trascendente, che in quella orizzontale, nel rapporto con il prossimo. Una serie di pesi e contrappesi garantivano un certo equilibrio. Tuttavia, la sostanziale novità fu apportata da Gesù Cristo, il quale pur attingendo a pieno dalla tradizione antico-testamentaria, rinnovò nella sostanza il decalogo, spostando l’attenzione sull’aspetto centrale della vita dell’uomo: il bisogno di sentirsi amato e di amare. Gesù arrivò a concepire addirittura, cosa assolutamente assente nelle altre tradizioni religiose, l’amore per i nemici. Infatti questa affermazione rivoluzionaria viene considerata l’anima “della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del "porgere l’altra guancia" (cfr Lc 6,29) – ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità” (Benedetto XVI, Angelus del 18 febbraio 2007).
Tutto ciò comporta il pagamento di un prezzo: il sacrificio di sé. È la dinamica che ha portato il Signore Gesù alla morte in croce; il suo sacrificio, offerto una volta per tutte, riassume in sé i sacrifici, piccoli o grandi che siano, degli uomini di ogni tempo. Simbolo evocativo di una umanità pacificata è quindi la croce, non qualsiasi croce, ma quella di Cristo.
La teosofia
Quanto premesso ci serve per postulare una domanda: come mai uomini di Chiesa, laici o chierici che siano, hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la croce, come simbolo di pace? Sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che, forse anche inconsapevolmente, hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno. Tuttavia qualche risposta, per loro conto, potremmo ipotizzarla, richiamando alla memoria la lunga litania degli eventi in cui la chiesa avrebbe brandito la croce come simbolo di sopraffazione, e chiesto successivamente in modo inequivocabile perdono per le manchevolezze dei suoi figli: crociate, caccia alle streghe, roghi di eretici, la lista si potrebbe allungare all’inverosimile. Qui però, taluni dimenticano che la storiografia più aggiornata ha ridimensionato quanto la propaganda anticlericale, soprattutto ottocentesca aveva orchestrato ad arte. Tuttavia per non sottrarsi ad eventuali obiezioni, resta il fatto incontrovertibile che non è il simbolo della croce in sé stesso ad aver bisogno di essere emendato quanto piuttosto gli atteggiamenti degli uomini che, guardando a tale segno possono ritrovare motivo di conversione.
A questo punto diventa necessaria un'altra domanda: questi uomini e donne di chiesa sanno qual è l’origine della bandiera della pace? Molti probabilmente no. Altri, pur sapendo non se ne preoccupano più di tanto. Altri ancora hanno trovato in questo simbolo la rievocazione dell’episodio biblico del diluvio universale.
In realtà, le origini della bandiera della pace vanno ricercate, nelle teorie teosofiche nate alla fine dell’800. La teosofia (letteralmente “Conoscenza di Dio”) è quel sistema di pensiero che tende alla conoscenza intuitiva del divino. Essa è sempre stata presente nella cultura indiana, mentre nell'Occidente è rintracciabile negli scritti di Platone (427-347 a.C.), dei neo-platonici, come Plotino (204-270). La moderna versione ha preso forma dalla Società Teosofica, un movimento mistico, esoterico, spirituale e gnostico fondato nel 1875 da Helena Petrovna Blavatsky, più nota come Madame Blavatsky.
La dottrina
Il programma della Società, ispirato alle dottrine orientali dell'induismo e del buddismo, era riassunto nei seguenti tre scopi: Formare un nucleo di fratellanza universale dell'Umanità, senza distinzione di razza, credo, sesso, casta o colore;
Incoraggiare lo studio comparato di religioni, filosofie e scienze;Investigare le leggi inesplicabili della natura e dei poteri latenti nell'uomo.
La teosofia ha rappresentato un vero momento di rottura con le tradizioni religiose che dominavano precedentemente in Occidente, e ha permesso a molte filosofie e religioni indiane di divenire negli anni popolari in Europa e Stati Uniti.
Tali principi di fondo si sono combinate con alcune pratiche come il vegetarianismo e lo sviluppo delle facoltà paranormali. la dottrina della Società Teosofica è contenuta nei due principali libri della Blavatsky, Iside svelata e La dottrina segreta.
Il suo pensiero potrebbe essere riassunto nei seguenti punti: Coscienza universale ed individuale: gli eventi accadono per leggi che soggiacciono ad un Paradigma Universale (paragonabile al concetto di Dio, o di Logos, detto del Sole o cosmico), che impregna tutto di coscienza.
Gnosticismo dualista (coscienza e materia): gli esseri umani hanno un proprio “se stesso più elevato” divino ed immortale, cui possono rivolgersi con la preghiera, ma essi devono operare per collegare la propria natura con quella divina, altrimenti periranno (principio della negazione dell'immortalità personale).
Reincarnazione e trasmigrazione dell'anima: concetto preso dall'esoterismo buddista con la variante che i teosofici non credono nella regressione: l'uomo non può reincarnarsi in un animale o in una pianta. Egli dovrà invece reincarnarsi almeno ottocento volte, secondo un disegno determinato dal Karma, il ciclo del destino.
Concezione settenaria dell'universo, dell'uomo e della civiltà umana: gli elementi essenziali sono monadi che discendono attraverso sette piani di progressiva materializzazione, durante i quali si è formata l'umanità, ritornando poi, in ascesa attraverso sette fasi di evoluzione: sthula-sarira (il corpo fisico), linga-sarira (il corpo astrale), prana (il respiro della vita o corpo mentale), kama (il desiderio o corpo intuitivo), manas (la reincarnazione), buddhi (lo spirito universale), e atman (il sé cosmico e divino)
Esistenza dei Maestri segreti (mahatma), esseri perfetti dotati di grande saggezza e di potere mistici, che hanno completato il ciclo delle reincarnazioni, e che possono aiutare a raggiungere il massimo livello di evoluzione.
Il New Age
Le analisi culturalmente più sofisticate riconducono il New Age alla categoria del revival, "movimento di risveglio", ben nota agli storici delle religioni soprattutto in ambito anglo-americano. Benché, fra i gruppi cristiani, siano spesso proprio i pentecostali ad attaccare nel modo più virulento il New Age, considerandolo un fenomeno diabolico, non mancano studiosi che propongono un’analogia fra il New Age e il pentecostalismo. A partire dai primi anni del secolo XX il pentecostalismo si presenta come movimento di risveglio di un mondo protestante ampiamente inaridito e sclerotizzato, così il New Age si pone come movimento di risveglio, nell’area culturale di lingua inglese, non più del mondo cristiano ma del mondo laico se non laicista. Anche questo ambiente - la cui organizzazione culturale era largamente affidata alle logge massoniche e alla più discreta, ma non meno importante, influenza della Società Teosofica - si trovava, a partire dagli anni intorno alla Seconda guerra mondiale, in uno di quegli stati di freddezza e di aridità che producono così spesso nella storia i fenomeni di revival. Gli ambienti massonici e teosofici, in particolare, denunciavano una preoccupante incapacità di interpretare i tempi e di svolgere il consueto ruolo di organizzazione culturale, pur non avendo, naturalmente, perduto le loro diverse capacità di influenza sociale e politica. Nel mondo teosofico il disagio si era tradotto in una serie di scismi, il più rilevante dei quali - almeno nel mondo di lingua inglese - era stato promosso da Alice Bailey, nata nel 1880 e scomparsa nel 1949. Proprio Alice Bailey - che aveva soggiornato ad Ascona, presso quel luogo di incubazione di molte idee del New Age contemporaneo che era stato il Monte Verità - aveva cominciato negli anni’20 a utilizzare l’espressione "New Age" nel senso attuale; quest’uso era diventato corrente fra i suoi discepoli negli anni’40. Alice Bailey morì nel 1949 senza vedere l’"evo nuovo" che aveva enigmaticamente annunciato.
Visione della realtà Specifico della mentalità New Age consiste nel non avere nessuna visione del mondo e nessuna dottrina, ma nel predicare la libertà più assoluta In realtà, ciò è vero solo teoricamente, perché il New Age non potrebbe avere nessuna unità se le opinioni diverse che vi si manifestano non coesistessero su una trama di fondo che presenta una serie di elementi comuni.
La questione della verità
Potremmo riassumere tale questione con un slogan: non esistono verità assolute. Espressa in questi termini, la premessa sarebbe tutt’altro che nuova: il relativismo è antico come la filosofia, se non come l’umanità decaduta. Tuttavia esistono diverse forme di relativismo, e il relativismo del New Age si specifica per il suo carattere volontarista. Ciascuno può, letteralmente, creare il proprio mondo, e ciascun mondo soggettivamente creato avrà la sua verità, non meno "vera" - e non meno "falsa" - rispetto a quella del mondo creato da un altro.
L’uomo
La visione dell’uomo del New Age si riassume nello slogan dell’attrice Shirley MacLaine - che da anni svolge il ruolo di missionaria internazionale del New Age attraverso libri, film e programmi televisivi - : "Noi siamo Dio". Più esattamente al fondo di ognuno di noi si trova una scintilla divina, che è la stessa energia cosmica universale in una delle sue molteplici manifestazioni, fra cui - peraltro - non possono essere istituite gerarchie. L’uomo-Dio del New Age è da una parte onnipotente; tale onnipotenza si rivela, da un altro punto di vista, come onnidipendenza, se si considera il ruolo preminente che hanno nel New Age la reincarnazione e l’astrologia.
Il Cristo
Il New Age parla anche volentieri di una realtà che chiama "il Cristo" ma - seguendo tutta una tradizione esoterica e gnostica - ha cura di distinguere "il Cristo" da Gesù di Nazareth come personaggio storico. Gesù non era "il Cristo", o almeno non lo era in modo diverso da Buddha o da chiunque sia in grado di entrare in contatto con la scintilla divina che porta dentro di sé. È questa scintilla, propriamente, che costituisce "il Cristo" come principio divino all’interno dell’uomo.
La morale
Altro tema del New Age è il rifiuto della nozione di peccato - considerata insuperabilmente dogmatica e in ogni caso tipica della superata Età dei Pesci, visto che la nuova era è quella dell’Acquario - e la sua sostituzione con la nozione di malattia. Il New Age non nega che esistano nel mondo comportamenti inadeguati - è sufficiente considerare l’orrore che gli ispirano i comportamenti anti-ecologici -, ma li ascrive a limitazioni fisiche o psichiche che possono essere assimilate alla malattia o a forme di "dipendenza" possibili da superare tramite le numerose forme di terapie e di recovery così largamente disponibili nell’ambiente del New Age.
Conclusione
Questa breve panoramica di due delle più insidiose visioni della realtà che stanno condizionando la cultura dominante occidentale ci è stata utile per inquadrare in una adeguato contesto di pensiero il successo che ha avuto il simbolo per eccellenza del pacifismo mondiale, non escluso buona parte del mondo cattolico: la bandiera della pace.
Diverse sono le versioni sull’origine di questa bandiera Una di queste è riconosciuta ad Aldo Capitini (fondatore del Movimento Nonviolento) che nel 1961 la usò per "aprire" la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi. Un’altra segnala che la sua origine risale al racconto biblico dell'Arca di Noè e che quindi è un simbolo cristiano a tutti gli effetti. Un’altra ancora spiega che la bandiera arcobaleno è il simbolo della città di Cuzco, capitale dell'impero Incas. Fu scelta, dall'imperatore del tempo, perché in quella vallata ogni volta che pioveva si formavano degli arcobaleni brillantissimi. Dalla Francia arriva la spiegazione che quel vessillo è il simbolo del movimento delle cooperative francesi creato intorno al 1920. Un'altra viene fatta risalire al 1950, la bandiera fu utilizzata in America come simbolo della pace dalle associazioni pacifiste e nonviolente. Altri dicono che sia stata “inventata” dal filosofo Bernard Russel nel 1956 in Inghilterra. Tra tutte queste ipotesi spicca la tesi secondo la quale la bandiera arcobaleno è il simbolo dei movimenti di liberazione omosessuali. Sono diversi i siti web gay che rivendicano la proprietà della rainbow flag. Questa si differenzia dalla cosiddetta bandiera della pace principalmente per l'assenza della scritta PACE, ma anche perché la disposizione dei colori è speculare (il rosso è in basso nella bandiera della pace, in alto in quella dei gay), e infine perché la bandiera della pace prevede sette strisce di colore al posto di sei. La bandiera arcobaleno fu disegnata da un artista di San Francisco, Gilbert Baker, nel 1978, su richiesta della comunità gay locale in ricerca di un simbolo (a quei tempi il triangolo rosa non era ancora diffuso). Baker disegnò una bandiera con 8 strisce (successivamente sei) colorate: rosa (per il sesso), rosso (per la vita), arancio (per la guarigione), giallo (per il sole), verde (per la natura), turchese (per l'arte), indaco (per l'armonia) e viola (per lo spirito). Infatti questa bandiera sventolò per la prima volta a San Francisco nella marcia del Gay pride del 25 giugno 1978.
Comunque al di là di chi sia stato il primo ad ostentare tale simbolo resta il fatto incontestabile che si presenta come il più adatto a rappresentare un idea, oggi molto in voga, secondo la quale non ci sarebbe alcuna verità assoluta: tutte le opinioni hanno la medesima dignità e quindi meritevoli di spazio. Secondo questo tipo di idea per esempio è possibile mettere sullo stesso piano partiti politici o gruppi culturali che rivendicano, legittimamente, la difesa della dignità della donna, e gruppi, come è accaduto recentemente in Europa, che rivendicano la depenalizzazione dei reati di pedofilia. Si tratta ovviamente di aberrazioni possibili, solo all’interno di una mentalità relativistica come quella che caratterizza le nostre società occidentali. La bandiera arcobaleno è una valida sintesi per rappresentare questo sincretismo; infatti l’arcobaleno nel New Age rappresenta il passaggio dall’umano verso il super-uomo divino. Sul ponte dell’arcobaleno (nel senso induista: Antahkarana) avviene l’unione di Atman e Brahman, dell’uomo singolo e dell’Energia cosmica (Dio). L’unità quindi è raggiungibile attraverso una sintesi, un’armonia e una tolleranza globale fra le diverse filosofie, ideologie e religioni. Così la pace sarà possibile. Pertanto "va considerato nel modo più severo l'abuso di introdurre nella celebrazione della Santa Messa elementi contrastanti con le prescrizioni dei libri liturgici, desumendoli dai riti di altre religioni" (Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, Istruzione Redemptionis Sacramentum, n 79).
Il ricorso a quelle filosofie orientali, che estrapolate dal loro contesto storico- sociale- economico-religioso e ben sintetizzate dalla New Age, si inserisce perfettamente nel contesto occidentale, preoccupato di marginalizzare il discorso sulle sue autentiche radici, finisce per assumere come categoria fondamentale il relativismo etico imponendo al mondo culturale politico sociale e religioso una nuova forma di “dittatura”.

(Agenzia Fides 20/6/2008)

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«La bandiera arcobaleno è New Age non va più esposta nelle chiese»

L’agenzia vaticana «Fides» spiega le origini del vessillo del movimento pacifista: «È legato alla teosofia e al relativismo. Tornate alla croce»...

di Andrea Tornielli

Perché preti e laici cattolici usano la bandiera arcobaleno come simbolo di pace invece della croce? Non sanno che quella bandiera è collegata alla teosofia e al New Age? È netto e documentato il giudizio contenuto in un articolo pubblicato da «Fides», l’agenzia della Congregazione vaticana per l’evangelizzazione dei popoli diretta da Luca De Mata, nei confronti del vessillo, simbolo del movimento pacifista, appeso anche nelle chiese e da qualche prete pure sull’altare. «Come mai uomini di Chiesa, laici o chierici che siano - si chiede “Fides” - hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la croce, come simbolo di pace? Sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno». L’agenzia vaticana ipotizza qualche risposta in proposito, vale a dire «la lunga litania degli eventi in cui la Chiesa avrebbe brandito la croce come simbolo di sopraffazione», dalle Crociate alla caccia alle streghe ai roghi di eretici. «Fides» a questo proposito ricorda però che non è il simbolo della croce in quanto tale «ad aver bisogno di essere emendato», quanto piuttosto «gli atteggiamenti degli uomini che, guardando a tale segno, possono ritrovare motivo di conversione». Poi rilancia: «Questi uomini e donne di chiesa sanno qual è l’origine della bandiera della pace? Molti probabilmente no. Altri, pur sapendo, non se ne preoccupano più di tanto».Le origini della bandiera della pace vanno ricercate, spiega l’agenzia, «nelle teorie teosofiche nate alla fine dell’800. La teosofia (letteralmente “Conoscenza di Dio”) è quel sistema di pensiero che tende alla conoscenza intuitiva del divino». Da sempre presente nella cultura indiana, ha preso la sua moderna versione dalla Società Teosofica, «un movimento mistico, esoterico, spirituale e gnostico fondato nel 1875 da Helena Petrovna Blavatsky, più nota come Madame Blavatsky». Il pensiero della corrente rappresentata dalla bandiera arcobaleno si basa sullo «gnosticismo», sulla «reincarnazione e trasmigrazione dell’anima», sull’esistenza di «maestri segreti» e riconduce al New Age, mentalità che predica la libertà più assoluta e il relativismo, l’idea dell’«uomo divino», il rifiuto della nozione di peccato. «Fides» spiega che esistono diverse versioni di questa bandiera, una delle quali è riconosciuta ad Aldo Capitini, fondatore del Movimento nonviolento, «che nel 1961 la usò per aprire la prima marcia per la pace Perugia-Assisi», mentre un’altra «segnala che la sua origine risale al racconto biblico dell’Arca di Noè» e dunque sarebbe un simbolo cristiano a tutti gli effetti. In realtà - scrive l’agenzia dopo aver ricordato che è anche il simbolo dei movimenti di liberazione omosessuali - la bandiera rappresenta un’idea secondo la quale «per esempio è possibile mettere sullo stesso piano partiti politici o gruppi culturali che rivendicano, legittimamente, la difesa della dignità della donna, e gruppi, come è accaduto recentemente in Europa, che rivendicano la depenalizzazione dei reati di pedofilia. Si tratta ovviamente di aberrazioni possibili, solo all’interno di una mentalità relativistica come quella che caratterizza le nostre società occidentali».La bandiera, conclude «Fides», è un simbolo sincretistico, che propone l’unità New Age nella sintesi delle religioni. Introdurla nelle chiese e nelle celebrazioni è da considerarsi «un abuso».

Il Giornale n. 147 del 2008-06-21