venerdì 11 gennaio 2008

Il cardinale Martini *
La tentazione dell'ateismo

C'è una voce in ognuno di noi che ci spinge
a dubitare di Dio.
«Ecco il senso della fede e la difficoltà
di seguirlo sino in fondo»

Chi è per me Dio? Fin da ragazzo mi è sempre piaciuta l'invocazione, che mi pare sia di San Francesco d'Assisi, «mio Dio è mio tutto». Mi piaceva perché con Dio intendevo in qualche modo una totalità, una realtà in cui tutto si riassume e tutto trova ragione di essere. Cercavo così di esprimere il mistero ineffabile, a cui nulla si sottrae. Ma vedevo anche Dio più concretamente come il padre di Gesù Cristo, quel Dio che si rende vicino a noi in Gesù nell'eucarestia. Dunque c'era una serie di immagini che in qualche maniera si accavallavano o si sostituivano l'una con l'altra: l'una più misteriosa, attinente a colui che è l'inconoscibile, l'altra più precisa e concreta, che passava per la figura di Gesù. Mi sono reso conto ben presto che parlare di Dio voleva dire affrontare una duplicità, come una contraddizione quasi insuperabile. Quella cioè di pensare a una Realtà sacra inaccessibile, a un Essere profondamente distante, di cui non si può dire il nome, di cui non si sa quasi nulla: e tutto ciò nella certezza che questo Essere è vicino a noi, ci ama, ci cerca, ci vuole, si rivolge a noi con amore compassionevole e perdonante. Tenere insieme queste due cose sembra un po' impossibile, come del resto tenere insieme la giustizia rigorosa e la misericordia infinita di Dio. Noi non scegliamo tra l'una e l'altra, viviamo in bilico (...). Come dice il catechismo della Chiesa cattolica, la dichiarazione «io credo in Dio» è la più importante, la fonte di tutte le altre verità sull'uomo, sul mondo e di tutta la vita di ogni credente in lui. D'altra parte il fatto stesso che si parli di «credere » e non di riconoscere semplicemente la sua esistenza, significa che si tratta concretamente di un atto che non è di semplice conoscenza deduttiva, ma che coinvolge tutto l'uomo in una dedizione personale. Su questo punto, come su tanti altri relativi alla conoscenza di Dio, c'è stata, c'è e ci sarà sempre grande discussione. Per alcuni la realtà di Dio si conosce mediante un semplice ragionamento, per altri sono necessarie anche molte disposizioni del cuore e della persona (...).

È dunque possibile conoscere Dio con le sole forze della ragione naturale? Il Concilio Vaticano I lo afferma, e anch'io l'ho sempre ritenuto in obbedienza al Concilio. Ma forse si tratta della ragione naturale concepita in astratto, prima del peccato. Concretamente la nostra natura umana storica, intrisa di deviazioni, ha bisogno di aiuti concreti, che le vengono dati in abbondanza dalla misericordia di Dio. Dunque non è tanto importante la distinzione tra la possibilità di conoscenza naturale e soprannaturale, perché noi conosciamo Dio con una conoscenza che viene e dalla natura, dalla grazia e dallo spirito Santo, che è riversata in noi da Dio stesso. Bisogna dunque accettare di dire a riguardo di Dio alcune cose che possono apparire contraddittorie. Dio è Colui che ci cerca e insieme Colui che si fa cercare. È colui che si rivela e insieme colui che si nasconde. È colui per il quale valgono le parole del salmo «il tuo volto, Signore, io cerco», e tante altre parole della Bibbia, come quelle della sposa del Cantico di Cantici: «Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l'amato del mio cuore; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze voglio cercare l'amato del mio cuore. L'ho cercato ma non l'ho trovato. Da poco avevo oltrepassato le guardie che fanno la ronda quando trovai l'amato del mio cuore...» (3,1-4). Ma per lui vale anche la parola che lo presenta come il pastore che cerca la pecora smarrita nel deserto, come la donna che spazza la casa per trovare la moneta perduta, come il padre che attende il figlio prodigo e che vorrebbe che tornasse presto. Quindi cerchiamo Dio e siamo cercati da lui. Ma è certamente lui che per primo ci ama, ci cerca, ci rilancia, ci perdona. A questo punto, sollecitati anche dalle parole del Cantico «ho cercato e non l'ho trovato», ci poniamo il problema dell'ateismo o meglio dell'ignoranza su Dio.

Nessuno di noi è lontano da tale esperienza: c'è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere. Su questo principio si fondava l'iniziativa della «Cattedra dei non credenti» che voleva di per sé «porre i non credenti in cattedra» e «ascoltare quanto essi hanno da dirci della loro non conoscenza di Dio». Quando si parla di «credere in Dio» come fa il catechismo della Chiesa cattolica, si ammette espressamente che c'è nella conoscenza di Dio un qualche atto di fiducia e di abbandono. Noi sappiamo bene che non si può costringere nessuno ad avere fiducia. Io posso donare la mia fiducia a un altro ma soltanto se questi mi sa infondere fiducia. E senza fiducia non si vive (...). L'adesione a Dio comporta un'atmosfera generale di fiducia nella giustezza e nella verità della vita, e quindi nella giustezza e nella verità del suo fondamento.

Come dice Hans Küng «che Dio esista, può essere ammesso, in definitiva, solo in base a una fiducia che affonda le sue radici nella realtà stessa». Molti e diversi sono i modi con cui ci si avvicina al mistero di Dio. La nostra tradizione occidentale ha cercato di comprendere Dio possibilmente anche con una definizione. Lo si è chiamato ad esempio Sommo Bene, Essere Sussistente, Essere Perfettissimo... Non troviamo nessuna di queste denominazioni nella tradizione ebraica. La Bibbia non conosce nomi astratti di Dio, mai ne enumera le opere. Si può affermare che ciò che la Bibbia dice su Dio viene detto anzitutto con dei verbi, non con dei sostantivi. Questi verbi riguardano le grandi opere con cui Dio ha visitato il suo popolo. Sono verbi come creare, promettere, scegliere, eleggere, comandare, guidare, nutrire ecc. Si riferiscono a ciò che Dio ha fatto per il suo popolo. C'è quindi un'esperienza concreta, quella di essere stati aiutati in circostanze difficili, dove l'opera umana sarebbe venuta meno. Questa esperienza cerca la sua ragione ultima e la trova in questo essere misterioso che chiamiamo Dio. D'altra parte ha qualche ragione anche la tradizione occidentale. Infatti tutte le creature hanno ricevuto da Dio tutto ciò che sono e che hanno. Dio solo è in se stesso la pienezza dell'essere e di ogni perfezione, e colui che è senza origine e senza fine. Tuttavia nel mistero cristiano la natura di Dio ci appare gradualmente come avvolta da una luce ancora più misteriosa. Non è una natura semplicemente capace di tenere salda se stessa, di essere indipendente, di non aver bisogno di nessuno. È una realtà che si protende verso l'altro, in cui è più forte la relazione e il dono di sé che non il possedere se stesso. Per questo Gesù sulla croce ci rivela in maniera decisiva l'essere di Dio come essere per altri: è l'essere di Colui che si dona e perdona.

Carlo Maria Martini
dal sito corriere.it - 16 novembre 2007
* Il cardinale Carlo Maria Martini. Già arcivescovo di Milano, ora vive a Gerusalemme

giovedì 10 gennaio 2008

La Benedizione di Melchisedek

La Benedizione di Melchisedek - Genesi 14, 17-23

Interessante e misterioso il sacerdote e re Melchisedek, di cui non si conosce né il padre, né la madre né la stirpe. Interessante anche se di non facile interpretazione il brano in cui questo personaggio è collocato.
Sia per il contenuto che per il genere letterario questo capitolo 14 differisce dal resto della Genesi. È stato definito “un mondo a sé” (L. Köhler) e ha dato molto filo da torcere agli esegeti. Il racconto riguarda un fatto che sarebbe da situare nel XVII secolo a.C. ma che, per la forza esistenziale e di fede, parla anche oggi al nostro cuore. Non a caso il salmo davidico 109 profetizza il venturo Messia come un sacerdote secondo l'ordine di Melchisedek, e la lettera agli Ebrei ancora più fortemente connette la figura e la benedizione di Melchisedek a Cristo.
Il capitolo 14 è una specie di nuda cronaca ricca di tanti elementi storici e geografici. Ed è come uno “spaccato” di realtà mondiale di quegli antichissimi tempi. C'è un cozzo di popoli in cui i Cananei vengono sconfitti. Quando i re vincitori sono già sulla via del ritorno, compare il personaggio principale: il patriarca Abramo. Egli viene avvisato che suo nipote Lot è stato preso: lui e tutti i suoi beni. Con trecentodiciotto uomini insegue i vincitori, .libera il nipote e ricupera tutto il ricco bottino. Conclusione e vertice della narrazione è ciò che subito dopo avviene: l'incontro con Melchisedek, re di Salem che significa Gerusalemme. Questo luogo, a quell'epoca, era ancora ben lontano dall'essere il centro religioso e politico di Israele, ma verso di esso già si orientano le profezie e la storia della salvezza. Solo davanti a Melchisedek che riassume in sé l'onore del sacerdote e del re, Abramo è pronto a inchinarsi e a pagare la decima della sua strepitosa vittoria. Subito dopo questo avvenimento, il testo sacro dice che “la Parola di Dio fu rivolta ad Abramo in visione”: Non temere Abram, io sono per te uno scudo. La tua ricompensa è molto grande” (Gen 15,1).

- v. 17-18 Quando Abramo ritornò dall'aver vinto i re, gli si fece incontro Melchisedek, re di Salem, che portò pane e vino, egli era sacerdote dell'Altissimo.

Pregnante è il commento di S. Ambrogio, padre e dottore della Chiesa d'Occidente: Melchisedek vuol dire “re di giustizia” […]. Ora chi è il re di giustizia e il sacerdote di Dio se non Colui di cui fu detto: Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedek (Sl 109,4), cioè il Figlio di Dio, il sacerdote del Padre che con il sacrificio del suo corpo ottenne dal Padre il perdono dei nostri peccati?”.Anche in quell'allestire un pranzo al visitatore a base di “pane e vino”, i Padri sono d'accordo nel leggere una prefigurazione del sacrificio eucaristico, memoriale del sacrificio di Gesù sul Golgota.Melchisedek è re di Salem. Va notato che Salem, nome di Gerusalemme, significa “città della pace”. Melchisedek, dunque, prefigurazione del Cristo, ha un nesso profondo con la pace. E di Gesù dirà S. Paolo, che è la nostra Pace (cf Ef 2,14).

- v.19 E benedisse Abraham con queste parole: Sia benedetto Abraham dal Dio Altissimo creatore del cielo e della terra.

È il momento vertice dell'incontro. Qui la benedizione di Abramo, l'uomo che ha risposto alla chiamata di Dio abbandonando tutto per lasciarsi condurre sulle vie della grande promessa, si ricollega con la prima benedizione: quella ai nostri progenitori nell'Eden, una benedizione che era destinata a raggiungere ogni uomo, ogni donna. È proprio ciò che conta: anche dopo il peccato, la benedizione continua, attraverso Abramo, a raggiungere l'uomo.Interessante a questo proposito ciò che notano i commentatori odierni. Il Dio Altissimo non era il Dio dell'ebreo Abramo ma il “Dio del cielo e della terra”, dell'antichissima alleanza cosmica stretta dal Creatore con Noè dopo il diluvio. Perché tutti i popoli, nessuno escluso, sono oggetto dell'amore e della benedizione di Dio. E, in qualche modo, a tutti si rivela perché li vuole tutti salvi. Come allarga il cuore questa certezza!

- v. 20a e benedetto sia il Dio Altissimo che ti ha messo in mano i tuoi nemici.

Beda, un altro antico autore spirituale, commenta: “Melchisedek non solo esalta con degna lode Abramo come uomo vittorioso, ma il Signore che gli ha dato di splendere nella vittoria. Infatti nel vangelo leggiamo: Vedano le vostre opere buone e glorifichino (benedicano) il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,16)”.Il Dio Altissimo, creatore del cielo e della terra, viene benedetto e glorificato dalla bocca del misterioso sacerdote in nome di tutta l'umanità. Non è chiamato Jaweh perché non è solo il Dio dell'ebreo Abramo, ma è il Dio di tutti.

- v. 20b Poi Abramo gli diede la decima di tutto.

Certo Melchisedek ha la convinzione che l'”Altissimo Iddio” è colui che ha reso vittorioso Abramo, anche se non sa nulla dei misteriosi disegni di Dio su questo ebreo. Abramo a sua volta s'inchina a Melchisedek che lo ha benedetto. Dandogli la decima dei suoi averi, gli riconosce i diritti sui beni e l'esercizio di una grande autorità.

- v. 21-22 E il re di Sodoma disse ad Abramo: Dammi le persone, tu prenditi la roba. E disse Abramo: Alzo le mani a Jaweh, Dio altissimo, che ha creato il cielo e la terra; non prenderò nulla di ciò che ti appartiene, neanche un filo né un legaccio dei calzari, perché tu non abbia a dire di aver arricchito Abramo. Non voglio niente!

Chi è questo re di Sodoma? Forse un alleato di Abramo, a cui il patriarca cede tutto. I commentatori spirituali notano che proprio perché benedetto da Dio e quindi certo della sua benevolenza, il grande patriarca “appende il suo cuore alla divina misericordia e alla promessa del SEME futuro”. Tutta la sua ricchezza sarà sempre “sperare in Dio contro ogni speranza” (cf Rm 4,18). Non altro!
La lettera agli Ebrei al capitolo 7 ci aiuta ad approfondire il significato e l'importanza del re-sacerdote Melchisedek, l'uomo della benedizione, come prefigurazione di Gesù in cui ognuno di noi è benedetto dal Padre. Superiore ai sacerdoti della tribù sacerdotale per eccellenza (quella di Levi), Melchisedek anticipa non solo il sacerdozio regale di Davide ma il sacerdozio perfetto del Messia, Cristo Signore, prefigurando in sé il mistero dell'essere “senza principio né senza fine” (cf Eb 7,3).
Che cosa dice a noi oggi la sua persona e la sua potente benedizione su Abramo? Due cose soprattutto: entrambe importanti: 1. La misteriosa figura di Melchisedek allude in qualche modo al mistero del sacerdote: figura importante e irrinunciabile per il popolo di Dio, anche oggi. È urgente pensare al mistero-dono della chiamata sacerdotale, al mistero-dono della persona del sacerdote che ha un ministero strettamente associato a quello di Cristo-Salvezza. Che cosa faremmo senza il sacerdote che celebra l'Eucarestia, prega per e con il popolo di Dio, amministra il sacramento del perdono e gli altri sacramenti, chiamando su di noi ogni benedizione?
2. La seconda cosa riguarda l'atteggiamento di Abramo. Raggiunto dalla benedizione, egli rivela una grande disponibilità a tenersi libero dai troppi “averi”. Subito si preoccupa di consegnare le decime e risponde al re di Sodoma che non vuole assolutamente nulla del bottino di guerra. C'è dunque uno stretto rapporto tra il vivere da benedetti (se non lo siamo noi, chi lo è?) e l'opporsi a questo avido bramare i beni di questo mondo, che tanto connota la società materialista e consumista in cui viviamo.
- Che idea mi son fatto del sacerdote? Ne ho grande rispetto sempre, in ordine a Cristo di cui egli è in qualche modo il prolungamento, oppure, deluso/a dal comportamento “sbagliato” di alcuni di loro, giudico il sacerdozio in se stesso negativo, prendo le distanze, trincio giudizi? - Prego perchéla Chiesa abbia anche oggi sacerdoti santi? Prego per le vocazioni sacerdotali e le assecondo apprezzandole? Collaboro col sacerdote oppure banalizzo la sua figura con un rapporto “sbagliato” con lui? - Per lasciare che la benedizione si attivi in me e attorno a me, tengo libero il cuore e le mani da troppa roba, dal desiderio di avere e dall'attaccamento a quello che ho?
Passo del tempo a percepire Gesù nella mia vita come il Sacerdote perfetto, il Sovrano di ogni benedizione nei miei riguardi. Invoco d'essere da lui benedetto/a. Chiedo anche un lucido sguardo sul mio modo di gestire roba denaro rapporti interpersonali. E invoco un cuore libero da attaccamenti, un cuore semplice, perciò capace di benedizione. Passo del tempo a pregare per i sacerdoti che conosco. Invoco benedizioni su di loro e sulle persone che amo.

FEDE, SPERANZA, AMORE

Chi ama Dio, ami anche il suo fratello

Carissimi, noi amiamo Dio, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello. Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede.

(1Gv 4,19- 5,4)

La voce di un Padre della Chiesa

Dimmi ora, o dottore della Legge, senza guardarmi con i tuoi occhi cattivi e indagatori, chi è per te il prossimo? Non deve essere forse chi è diventato tale per il semplice fatto che era nel bisogno? Tu credi spesso nella tua ignoranza che tuo prossimo sia semplicemente chi professa la tua religione o un tuo connazionale. Ma io dico e sostengo che prossimo è ogni uomo, ogni essere che partecipa della natura umana.

Severo di Antiochia

______________________________________________________

"«Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Rispose: «Chi ha avuto compassione di lui»". Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso»"

Lc 10,25-37

mercoledì 9 gennaio 2008

L’AMEN di DIO scaccia il timore

Signore, fa' che l'amore che hai manifestato ai pastori e ai Magi, ai poveri d'Israele e alle nazioni pagane, raggiunga in noi la perfezione, trasparenza perfetta alla perfetta innocenza di Dio, al più puro dei suoi irraggiamenti, adesione totale, aderenza completa, che in ebraico si esprime con la parola "Amen". Come il Figlio è l'Amen del Padre, fa' che noi diveniamo l'Amen del Figlio. Allora, in questa intimità assoluta con l'intimo del Padre e dello Spirito, nella familiarità che ci viene offerta nella Trinità, sapremo che l'amore perfetto scaccia il timore.
Ricordando anche le parole di Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura di aprire le porte a Cristo", possiamo dire con il Vangelo: apriamo le porte a Cristo e non avremo più paura, perché in lui saremo vincitori. AMEN
PENA DI MORTE

"Mi rallegro che l'Assemblea generale dell'ONU abbia adottato una risoluzione chiamando gli Stati ad istituire una moratoria sull'applicazione della pena di morte, e io faccio voti che tali iniziativa stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana".
(Benedetto XVI, Discorso al Corpo Diplomatico, 7 gennaio 2008)

Tratto dal sito amarelachiesa.blog che invita a leggere con il cuore e con la mente queste parole illuminanti, di Antonio Socci su Libero del 14 dicembre 2007, che i mass-media hanno ignorato completamente. C'è di che riflettere...

UN MISTERO CHE ALLARMA
IL PAPA…
Uno squarcio sul nostro futuro prossimo?

E’ sorprendente ricevere una conferma tanto clamorosa e tempestiva da un’alta autorità come il cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e stretto collaboratore del Papa. Sabato scorso, su queste colonne, avevo segnalato un “dettaglio” allarmante contenuto nella recentissima enciclica pontificia “Spe salvi”: la menzione dell’Anticristo, tramite una citazione di Immanuel Kant.

E’ assai raro oggi, nel mondo cattolico, sentir parlare di questo terribile personaggio profetizzato nel Nuovo Testamento. Colpisce ancor più vederlo evocare, in relazione ai tempi presenti, in un documento solenne come un’enciclica e da un papa così rigoroso, pacato e colto come Benedetto XVI.Nell’articolo di sabato avevo ricordato che già il 27 febbraio scorso, nel più stretto entourage papale, si era riflettuto con il Pontefice su quell’inquietante profezia, durante gli esercizi spirituali predicati dal cardinal Biffi che citò “Il racconto dell’Anticristo” di Vladimir Solovev. Infine avevo rammentato che lo stesso Ratzinger, da cardinale, in un memorabile discorso tenuto a New York e a Roma, aveva citato quelle pagine. Ma le parole pronunciate dal cardinal Dias sempre sabato scorso, poi pubblicate dall’Osservatore romano (fatto significativo), sono le più clamorose.
Il prelato stava facendo la sua omelia nel santuario di Lourdes “per inaugurare, come inviato del Papa, l’Anno celebrativo del 150° anniversario delle apparizioni”. Si tratta delle apparizioni della Madonna a Bernadette Soubirous che iniziarono l’11 febbraio 1858. Nella solenne circostanza l’inviato del Papa ha portato “il saluto molto cordiale di Sua Santità” e poi ha detto: “La Madonna è scesa dal Cielo come una madre molto preoccupata per i suoi figli... È apparsa alla Grotta di Massabielle che all’epoca era una palude dove pascolavano i maiali ed è precisamente là che ha voluto far sorgere un santuario, per indicare che la grazia e la misericordia di Dio superano la miserabile palude dei peccati umani.

Nel luogo vicino alle apparizioni, la Vergine ha fatto sgorgare una sorgente di acqua abbondante e pura, che i pellegrini bevono e portano nel mondo intero significando il desiderio della nostra tenera Madre di far arrivare il suo amore e la salvezza di suo Figlio fino all'estremità della terra. Infine, da questa Grotta benedetta la Vergine Maria ha lanciato una chiamata pressante a tutti per pregare e fare penitenza e così ottenere la conversione dei poveri peccatori”. Il cardinale ha inquadrato queste apparizioni nel “contesto della lotta permanente, e senza esclusione di colpi, tra le forze del bene e le forze del male”.

Una lotta che sembra arrivata, nella nostra generazione, all’epilogo finale, preparato dalla “lunga catena di apparizioni della Madonna” nella modernità, iniziate “nel 1830, a Rue du Bac, a Parigi, dove è stata annunciata l’entrata decisiva della Vergine Maria nel cuore delle ostilità tra lei ed il demonio, come è descritto nei libri della Genesi e dell’ Apocalisse”. E’ un vero affresco di teologia della storia quello tracciato dal cardinale che richiama anche Fatima e – ritengo - Medjugorje: “Dopo le apparizioni di Lourdes, la Madonna non ha smesso di manifestare nel mondo intero le sue vive preoccupazioni materne per la sorte dell’umanità nelle sue diverse apparizioni. Dovunque, ha chiesto preghiere e penitenza per la conversione dei peccatori, perché prevedeva la rovina spirituale di certi paesi, le sofferenze che il Santo Padre avrebbe subito, l'indebolimento generale della fede cristiana, le difficoltà della chiesa, la venuta dell’Anticristo ed i suoi tentativi per sostituire Dio nella vita degli uomini: tentativi che, malgrado i loro successi splendenti, sono destinati tuttavia all'insuccesso”.

E’ una frase breve, ma folgorante questa del prelato: la Madonna è apparsa così frequentemente in questo tempo “perché prevedeva” una grande apostasia dalla fede, le persecuzioni alla Chiesa, la sofferenza del Papa e – testualmente – “la venuta dell’Anticristo”. E’ una frase dirompente che si rifà, evidentemente, alle parole pronunciate dalla Vergine in qualcuna delle apparizioni citate. Così l’inviato del Papa, parlando del nostro tempo, evoca di nuovo e pubblicamente l’ Anticristo a pochi giorni dall’uscita dell’enciclica. Nel Nuovo Testamento questa figura non si colloca necessariamente alla fine dei tempi.

Gesù stesso preannuncia l’arrivo di “falsi cristi e falsi profeti” capaci di “indurre in errore, se possibile, anche gli eletti” e profetizza “una grande tribolazione”, mai vista così terribile nella storia umana (Mt 24,24). San Paolo spiega che si verificherà l’ “apostasia” (2 Tes 2,3), ovvero l’abbandono di Dio e della Chiesa, quindi esploderà “la manifestazione dell’uomo iniquo”, “il figlio della perdizione”, colui che “nella potenza di Satana… si contrappone a Dio” fino a sedersi “nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio” (2 Tes 2, 3-4). E’ un dominio quasi totale del Male sulla terra che viene qui preconizzato. Non si sa come, quando e per quanto. Uno scenario di orrore e di malvagità agghiacciante.

I teologi discutono se sia un preciso individuo che viene preannunciato o un sistema di potenze. Ma colpisce in queste settimane sentirlo evocare con tanta insistenza accorata dalla Santa Sede, evidentemente anche in forza di “informazioni” (che Oltretevere si conoscono e si valutano) provenienti da “fonti” speciali, quali appunto i messaggi delle apparizioni mariane, di mistici e di rivelazioni private. Questi pronunciamenti pubblici mostrano con quanto allarme in Vaticano si guardi agli eventi mondiali. Del resto drammatico è anche il messaggio pontificio per la Giornata della pace del 1° gennaio prossimo, dove si mette in guardia dalle devastazioni morali (delle famiglie e della vita) e materiali (per esempio con gli immensi rischi della corsa alle armi nucleari).

Il quadro è cupissimo. Ma la Santa Sede non è un’entità politica e non valuta la situazione con uno sguardo solo terreno. Infatti vi è la certezza di poter contare su un aiuto “superiore”. Il cardinale Dias nella clamorosa omelia di sabato spiegava: “Qui, a Lourdes, come dovunque nel mondo, la Vergine Maria sta tessendo un’immensa rete nei suoi figli e figlie spirituali per lanciare una forte offensiva contro le forze del Maligno nel mondo intero, per chiuderlo e preparare così la vittoria finale del suo divin Figlio, Gesù Cristo.
La Vergine Maria oggi ci invita ancora una volta a fare parte della sua legione di combattimento contro le forze del male”. Il prelato ripete – se non fosse chiaro – che “la lotta tra Dio ed il suo nemico è sempre rabbiosa, ancora più oggi che al tempo di Bernadette, 150 anni fa” e “questa battaglia fa delle innumerevoli vittime”. Quindi rivela delle parole – forse inedite – pronunciate dal cardinale Karol Wojtyla il 9 novembre 1976, pochi mesi prima di essere eletto Papa: “Ci troviamo oggi di fronte al più grande combattimento che l’umanità abbia mai visto. Non penso che la comunità cristiana l'abbia compreso totalmente. Siamo oggi davanti alla lotta finale tra la Chiesa e le Anti-Chiesa, tra il Vangelo e gli Anti-Vangelo”.

Parole clamorose. Una ulteriore conferma. Sembra evidente che il Vicario di Cristo e i suoi più stretti collaboratori conoscano qualcosa di più e desiderino preparare i cristiani a quella “lotta finale”. I loro ripetuti appelli a rispondere alla chiamata della Madonna sono già sufficienti per riflettere seriamente su ciò che sta accadendo e che accadrà alla Chiesa e al mondo. Un futuro prossimo che noi non conosciamo, ma che, spiega Dias, sarà vittorioso grazie a Maria. Come lei stessa annunciò a Rue du Bac: “Il momento verrà, il pericolo sarà grande, tutto sembrerà perduto. Allora io sarò con voi”.


martedì 8 gennaio 2008

Ricordiamoci che
siamo chiamati alla Fede, alla Speranza
ed all'AMORE

- Il pane che accaparri appartiene all’affamato.
- Il vestito che hai nel guardaroba appartiene al nudo.
- Le scarpe che ammuffiscono nella tua scarpiera sono dello scalzo.
- Il denaro che conservi di nascosto è del povero.

(S. Basilio)

lunedì 7 gennaio 2008

AGOSTINO LÉMANN
CAN. ONOR. DELLA PRIMAZIALE DI LIONE,
PROF. DI S. SCRITTURA E DI
LINGUA EBRAICA
PRESSO LA FACOLTÀ CATTOLICA

L’ANTICRISTO

Leone XIII alzò la voce nella grave allocuzione da lui pronunziata nel Concistoro del 15 aprile 1901: "Venerabili Fratelli, ci turba profondamente il pensiero che le contrarietà e gli ostacoli, onde si circonda il cattolicismo, non solo non si attenuano, anzi d'una in altra parte d'Europa come per contagio si estendono... Domina in questo momento il disegno manifesto dei nemici della Chiesa di muovere la più fiera guerra alle cattoliche istituzioni; e a tal fine si direbbe che abbiano stretto fra loro una lega intestina. Ne son prova i fatti molteplici che si van ripetendo da più parti, la concitazione cioè delle plebi, le violente chiassate e le minacce che si lanciano pubblicamente, gli scritti eccitatori delle passioni popolari, e le ingiurie scagliate senza ritegno contro le cose e le persone più venerande. Tutti questi sono foschi indizi del futuro, nè è lungi dal vero il timore che alle presenti calamità altre anche più calamitose abbiano da seguire. Tuttavia quali si sieno gli affanni e la battaglie che il domani arrecherà, la Chiesa, fidata in Dio, non incontrerà nè subirà cosa alcuna per cui abbia a temere per sè. Hanno da temere i Governi, che non vedono dove s'incamminano, ha da tremare la società civile, che a tanto maggiori pericoli va incontro, quanto più si distacca da Cristo liberatore".
Nello stesso anno 1901 in una lettera in data del 29 giugno e indirizzata ai Superiori generali degli ordini e istituti religiosi, Leone XIII insisteva ancora sul pericolo dell'apostasia: "Non è a meravigliarsi, scriveva il chiaroveggente Pontefice, che contro gli ordini ed istituti religiosi, come in altri tempi, imperversi la Città del mondo, massime quella setta che, con sacrileghi patti, è più strettamente avvinta al principe stesso di questo mondo, e più servilmente gli ubbidisce. Pur troppo nei loro disegni lo sbandeggiamento e l'estinzione degli Ordini religiosi è un' abile mossa a condurre innanzi il meditato proposito dell'apostasia delle nazioni cattoliche da Gesù Cristo".
L'Anticristo! ecco dove finirà l'apostasia, allorchè avrà raggiunto in estensione e perversità il grado assegnatole dalla pazienza divina.
Ma le parole di Pio X lascerebbero forse intendere che l’Anticristo sarebbe già nel mondo? Non si potrebbe affermarlo con certezza. Esso devonsi veramente interpretare secondo i testi seguenti di san Giovanni: "Siccome udiste che l'Anticristo viene, anche adesso molti sono diventati anticristi". - "Qualunque spirito che divida Gesù, non è da Dio: e questi è un Anticristo, il quale avete udito che viene, e già fin d'adesso è nel mondo". - "Molti impostori sono usciti pel mondo, i quali non confessano che Gesù Cristo sia venuto nella carne: questi tali sono impostori ed Anticristi".
leggi l'intero testo su Totustuus.net
SETTE
Un Convegno all’Università Europea di Roma

Sono circa 600 nel nostro Paese le aggregazioni che per modalità di approccio e proposta si definiscono con genericamente di “sette religiose”.
Il dato emerge da una ricerca del Gris (Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-Religiosa), osservatorio cattolico sui nuovi fenomeni religiosi.Tali gruppi «coinvolgono» il 2-3% della popolazione, «in genere adolescenti e persone che attraversano particolari momenti di fragilità» che «hanno pochi punti di riferimento a cui rivolgersi in caso di necessità e una scarso orientamento valoriale», spiega la psicologa Anna Maria Giannini, direttore dell’Osservatorio di psicologia della legalità, intervenuta il 12 dicembre scorso al Convegno Il fenomeno delle sette in Italia presso l’Università Europea di Roma. I manipolatori, continua la psicologa, «sono abili, conoscono molto bene questi processi psicologici ed attuano procedure sofisticate fondate sulla convinzione ed una argomentazione arricchita e convincente». Inoltre fanno di tutto per «isolare dall’esterno» mettendo «in cattiva luce chi è vicino alla vittima come i genitori o gli amici più stretti». Sintomi della manipolazione sono la chiusura improvvisa, «cambiamento psicologico molto forte con una modalità di pensiero e di vita rigida, non disponibile alla discussione, perdita di autonomia e senso critico». «Il vero satanismo si può riassumere nel trionfo del calpestamento degli altri», aggiunge lo scrittore Carlo Climati, che punta il dito contro la «voglia di arrivismo che certi “cattivi maestri” continuano a proporre ai ragazzi». Per Climati, bisogna «attivare una forte prevenzione nei confronti di questo fenomeno, con la stessa intensità con cui si fa prevenzione contro la droga, la violenza, il bullismo (…). La prevenzione anti-satanismo si potrebbe fare anche nelle scuole, soprattutto nella fascia d’età dell'adolescenza, che è quella maggiormente a rischio. Si potrebbero organizzare dei corsi specifici, dedicati a questo argomento». Al Convegno è stata anche presentata l’esperienza del telefono anti-sette voluto da don Oreste Benzi. In cinque anni di attività gli operatori dell’Associazione Papa Giovanni XXIII hanno ricevuto 8.423 chiamate dalle quali sono scaturiti 1.823 casi trattati dalle Forze dell’Ordine.La maggior parte delle segnalazioni (600) sono arrivate dalle regioni del Nord, segue il Centro (383 segnalazioni) e il Sud (307) mentre Roma, Milano e Torino sono le città con il maggior numero di casi, che appaiono in crescita: dai 43 del 2002 si è passati infatti agli 851 nel 2007. A chiamare il numero verde (800 228 866) sono soprattutto donne (64%) e adulti dai 31 ai 60 anni d’età. Il 56% delle vittime sono donne.Quanto all’età: il 52% sono adulti, il 42% giovani e solo il 6% anziani. Il 49% ha denunciato casi di psicosette, il 15% sette di tipo pseudo-religioso, il 12% ha denunciato fenomeni di satanismo, mentre il 10% delle segnalazioni ha riguardato casi di magia.Giuseppe Ferrari, Segretario nazionale del Gris, infine, rileva che le nuove aggregazioni religiose in Italia presentano «aspetti sincretistici» con «accostamenti e fusioni di forme religiose tra loro diverse e non convergenti», e aspetti di relativismo per cui «non sono ammesse verità ultime né in campo religioso ne tanto meno etico».Si assiste così alla «nascita continua di nuove denominazioni» che danno vita ad un vero e proprio «discount della fede con proposte di sempre più bassa qualità». Ciò che più preoccupa gli addetti ai lavori sono le forme di «schiavitù» attuate con «tecniche di reclutamento e procedure di indottrinamento» da cui è difficile liberarsi.

Dal sito corrispondenzaromana.it