Luca 1. 46-47
venerdì 30 maggio 2008
CITTA’ DEL VATICANO - “E’ una tragedia: Benedetto XVI è ancora più forte, è ancora peggio di Giovanni Paolo II”. E’ stata questa l’accoglienza riservata da Satana al Cardinale Joseph Ratzinger poche ore dopo la sua elevazione alla Cattedra di Pietro, nell’aprile del 2005. Il Diavolo, per l’esattezza, parlò per bocca di una donna - posseduta - sottoposta ad esorcismo da Monsignor Andrea Gemma, Arcivescovo Emerito di Isernia-Venafro, uno dei pochi prelati, se non il solo, ad esercitare il ministero della liberazione dal Maligno, che ha raccontato l’aneddoto in questa intervista esclusiva concessa a ‘Petrus’ di ritorno da un pellegrinaggio a Lourdes.
Monsignor Gemma, il Diavolo non sembra proprio aver gradito l’elezione di Benedetto XVI…
“Esatto. Me lo confermò lui stesso, il ‘signor malefico’. E questa sua espressione non mi meravigliò. Non bisogna dimenticare, infatti, che il Cardinale Ratzinger ha sempre combattuto il Maligno e messo in guardia l’umanità dai pericoli del Demonio”.
Eccellenza, a conferma di quanto Lei dice, si parla con insistenza di una possibile istruzione del Santo Padre per obbligare i Vescovi a nominare un numero stabile di esorcisti diocesani.
“Volesse il cielo che il Papa preparasse questo documento, ce n’è davvero bisogno! Quando ho appreso la notizia, ho gioito. Ed ho avuto la conferma che Benedetto XVI è il Papa giusto per affrontare in questa epoca la battaglia contro Satana. Che Dio lo conservi a lungo sul trono di Pietro! Avevamo proprio bisogno di Lui. Basti pensare già al fatto che è stato l’unico Papa in tutta la storia a lodare e ad incoraggiare pubblicamente gli esorcisti per il ministero loro affidato”.
Qualcuno ha però manifestato scetticismo verso l’istruzione…
“Si tratta di ignoranti! Chiederò personalmente un’udienza privata al Santo Padre per sollecitare la pubblicazione di questa nota e per chiedergli di continuare ad essere al nostro fianco. Sì, c’è bisogno che i Vescovi nominino almeno un esorcista fisso per ogni Diocesi! Sono certo che il Santo Padre non deluderà le attese di chi si attende questa forte iniziativa”.
Il fatto che si parli di un richiamo all’obbedienza da parte di Benedetto XVI ai Vescovi perché deleghino stabilmente degli esorcisti, denota una grande carenza in materia.
“Purtroppo è così. Devo dire che ha ragione il mio amico Padre Gabriele Amorth quando sostiene che molti Vescovi sono i primi a non credere all’esistenza del Demonio. Lo posso testimoniare anch’io: da 16 anni, da quando mi è stata conferita la dignità episcopale, mi avvalgo della facoltà di esorcizzare in prima persona, ed ho ricevuto poveretti provenienti da ogni parte d’Italia per essere liberati dal Maligno perché nelle loro Diocesi il Vescovo è scettico o eccessivamente prudente e non nomina nessun esorcista. E il Diavolo se la ride. Pensi, quasi sempre mi dice: ‘Sei solo, sei l’unico, gli altri Vescovi non credono neanche all’inferno, se tutti facessero come te, se tutti esorcizzassero, noi spiriti maligni saremmo spacciati. E anche il Papa è isolato in questa lotta’. Credo non ci sia nulla da aggiungere…”.
Monsignor Gemma, una bella soddisfazione personale per Lei, ma per la Chiesa è allarmante: Satana è soddisfatto dell’assenza di esorcisti e dell’incredulità del Clero.
“Già. Veda, io non voglio giudicare i miei confratelli Vescovi, ma mi chiedo: dove è andato a finire il Catechismo della Chiesa Cattolica (la cui ultima versione è stata peraltro curata proprio da Benedetto XVI quando era ancora Cardinale)? In esso è scritto chiaramente che Satana esiste in tutta la sua pericolosità e chi non crede nella sua esistenza è fuori dalla Chiesa. Mi domando: questi Vescovi, e i sacerdoti che come loro non credono nel Demonio, hanno letto il Catechismo? Possibile che non ricordino neanche il capitolo 12 dell’Apocalisse, quello in cui San Giovanni parla del dragone rosso? Sarà ignoranza, sarà distrazione, ma certe omissioni contribuiscono a disorientare e a far essere la Chiesa sempre più esposta agli attacchi delle potenze infernali. E poi, come è attuale quel grido d’allarme lanciato negli anni ’70 da Paolo VI: il fumo di Satana è entrato anche nella Chiesa, la Casa di Dio”.
Intanto la gente corre dai maghi…
“Ed è proprio così, lo scriva a chiare lettere, che si diffondono principalmente le possessioni diaboliche. I maghi - io non faccio distinzione tra magia bianca o nera - invocano Satana per esaudire le richieste dei loro clienti. Ma, sempre, prima o poi, il Diavolo presenta il conto. Cosicché chi è andato da un mago, inizia ad essere vessato, ossessionato o addirittura posseduto dal Maligno. E nel frattempo i maghi, quelli veri, quelli dediti all’occultismo, incuranti del fatto che si dannano l’anima, si riempiono i portafogli con la complicità del Maligno e le sofferenze di poveri sventurati”.
Eccellenza, anche le sette sataniche sono in netto aumento e coinvolgono particolarmente i giovani.
“Tutta colpa della perdita dei valori alti. Ormai la gente, e in particolar modo i giovani, non crede più all’esistenza del giudizio finale, del Paradiso, del Purgatorio e dell’Inferno. Si vive come non si dovesse mai morire o come se tutto dovesse finire con la morte. La Fede si è raffreddata, non ci sono più valori: anziché andare dai sacerdoti si va dai maghi, si predilige il profano al sacro, l’occultismo alla preghiera. E’ bene che si sappia che anche con l’adesione alle sette sataniche si rischia di essere posseduti dal Demonio, con tutto ciò che ne deriva in termini di patimenti fisici e spirituali. Non bisogna dimenticare, infatti, che chi è posseduto o vessato dal Diavolo va incontro ad atroci sofferenze”.
Monsignor Gemma, cosa stiamo vivendo? Quest’epoca sembra degenerata. Genitori che uccidono i figli e viceversa, violenze di ogni tipo, guerre…
“Siamo tutti in lotta contro Satana. Questo perfido essere sta tentando in maniera disperata e spregiudicata di conquistare il mondo e chi lo abita; nulla di nuovo, Gesù stesso ci dice che la battaglia durerà sino alla fine dei tempi. Ma noi non dobbiamo scoraggiarci o demordere, ma reagire pregando, affidandoci al Signore e proclamando la Verità”.
Proprio come ci esorta a fare il Santo Padre Benedetto XVI…
“Il fatto che Satana abbia paura del Papa, vuol dire che è sulla strada giusta. Che Dio guardi e protegga il Santo Padre Benedetto XVI! Non tutti sanno che Giovanni Paolo II è molto invocato negli esorcismi, e il Diavolo soffre molto all’udire il suo nome. E’ dunque confortante che Benedetto XVI venga considerato dagli spiriti maligni un avversario addirittura più pericoloso, letale e potente del suo venerato predecessore”.
di Gianluca Barile
giovedì 29 maggio 2008
San Pio X
(…) Ma se il cinquantesimo anniversario dell’atto Pontificio per il quale fu dichiarata senza macchia la Concezione di Maria, deve provocare nel seno del popolo cristiano ardente entusiasmo, la ragione è soprattutto nella necessità che abbiamo esposta nella Nostra precedente Enciclica. Noi vogliamo dire di "tutto restaurare in Gesù Cristo". Poiché chi non accetta che non vi è strada più sicura né più facile se non quella di Maria, per la quale gli uomini possono arrivare fino a Cristo e ottenere mediante Gesù Cristo questa perfetta adozione filiale che rende santi e senza macchia allo sguardo di Dio?
(Lettera Enciclica Ad diem laetissimum)
Giovanni Paolo II
(…) Nel disegno salvifico della Santissima Trinità il mistero dell’incarnazione costituisce il compimento sovrabbondante della promessa fatta da Dio agli uomini, dopo il peccato originale, dopo quel primo peccato i cui effetti gravano su tutta la storia dell’uomo sulla terra (cf. Gen 3,15). Ecco, viene al mondo un Figlio, la "stirpe della donna", che sconfiggerà il male del peccato alle sue stesse radici: "Schiaccerà la testa del serpente". Come risulta dalle parole del protoevangelo, la vittoria del Figlio della donna non avverrà senza una dura lotta, che deve attraversare tutta la storia umana. "L’inimicizia", annunciata all’inizio, viene confermata nell’Apocalisse, il libro delle realtà ultime della Chiesa e del mondo, dove torna di nuovo il segno della "donna", questa volta "vestita di sole" (Ap 12,1).Maria, Madre del Verbo incarnato, viene collocata al centro stesso di quella inimicizia, di quella lotta che accompagna la storia dell’umanità sulla terra e la storia stessa della salvezza. In questo posto ella, che appartiene agli "umili e poveri del Signore", porta in sé, come nessun altro tra gli esseri umani, quella "gloria della grazia" che il Padre "ci ha dato nel suo Figlio diletto", e questa grazia determina la straordinaria grandezza e bellezza di tutto il suo essere. Maria rimane così davanti a Dio, e anche davanti a tutta l’umanità, come il segno immutabile ed inviolabile dell’elezione da parte di Dio, di cui parla la Lettera paolina: "In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo... predestinandoci a essere suoi figli adottivi" (Ef 1,4.5). Questa elezione è più potente di ogni esperienza del male e del peccato, di tutta quella "inimicizia", da cui è segnata la storia dell’uomo. In questa storia Maria rimane un segno di sicura speranza.
(Lettera Enciclica Redemptoris Mater)
Benedetto XVI
(…) Per giungere a Gesù, luce vera, sole che ha dissipato tutte le tenebre della storia, abbiamo bisogno di luci vicine a noi, persone umane che riflettono la luce di Cristo e illuminano così la strada da percorrere. E quale persona è più luminosa di Maria? Chi può essere per noi stella di speranza meglio di lei, aurora che ha annunciato il giorno della salvezza? (cfr Enc. Spe salvi, 49). Per questo la liturgia ci fa celebrare oggi, in prossimità del Natale, la festa solenne dell’Immacolata Concezione di Maria: il mistero della grazia di Dio che ha avvolto fin dal primo istante della sua esistenza la creatura destinata a diventare la Madre del Redentore, preservandola dal contagio del peccato originale. Guardando Lei, noi riconosciamo l’altezza e la bellezza del progetto di Dio per ogni uomo: diventare santi e immacolati nell’amore (cfr Ef 1,4), ad immagine del nostro Creatore.
(Angelus, 8 Dicembre 2007)
http://www.pliniocorreadeoliveira.it
mercoledì 28 maggio 2008
Zaino e New Age sulla Via di Santiago
DI FRANCO CARDINI
Nell’autunno del 1960 i pellegrinaggi, a parte quelli di Lourdes e di Fatima, non erano di moda, e nemmeno troppo studiati. Avevo vent’anni, stavo per entrare nell’Università e mi trovavo in quell’età nella quale càpita di mutar ambienti e amicizie. Ero inquieto e disorientato. Non ricordo più troppo bene neppure chi mi dette l’idea: mi accodai così, per caso, a un gruppo di giovani camminatori degli scout, poi procedetti da solo salvo brevi tratti di strada con accompagnatori casuali. Feci il mio «Camino de Santiago», da Roncisvalle fino al capoluogo della Galizia, da solo. Circa 400 km, più d’un mese di cammino. Era una Spagna arcaica, severa, arida fino al León e piovosa come sempre nel Cantabrico. Le strade principali erano strette e tortuose, malamente asfaltate; i villaggi erano poveri e cupi; le città odoravano di fiori di gelsomino e d’olio di frittura. L’unica segnaletica stradale era costituita dal simbolo del partito unico franchista, la «Falange»: cinque frecce e un giogo di legno verniciati di rosso, l’antica insegna dei Re Cattolici. Si viaggiava isolati o in piccoli gruppi formati casualmente. C’era già qualche «ospizio» per pellegrini in funzione: luoghi modesti, con camere in comune e talvolta una doccia spartana. Ma nei paesi la gente era cordiale, il parroco o l’alcalde ci trovavano sempre da mangiare e da dormire; altrimenti, ci aiutavano i militi della Guardia Civil. Forse fu quel viaggio alla radice della mia passione per il medioevo e per lo studio dei pellegrinaggi. Il seguito ho più volte fatto di nuovo il cammino, mai più però a piedi: sempre in auto o in pullman, con amici, colleghi o studenti. Santiago di Compostela è tra l’altro sede frequente di convegni. I miei passi di pellegrino e di studioso si sono tuttavia rivolti più spesso all’altro capolinea della grande via peregrinorum medievale, Gerusalemme. Eppure, se non altro come membro della Confraternita Compostellana fondata anni fa a Perugia da un caro e vecchio amico, l’illustre ispanista Paolo Caucci von Saucken, da tempo mi riproponevo di ripetere il «Camino»: ciò rientra nei miei doveri di confratello. Non ce l’ho ancora fatta a ripercorrerlo del tutto. Ai primi di maggio mi è stata però offerta dal direttore di RadioRai, Sergio Valzania, l’occasione di farne almeno un buon tratto, i circa 250 km tra Burgos e León, attraverso la mia amata Castiglia. Si trattava di un’avventura che per certi tratti mi ha ricordato La Via Lattea, il film girato quarant’anni or sono dal grande Luís Buñuel: due «viaggiatori » dialoganti sulla strada dei pellegrini e i loro dialoghi trasmessi in diretta dalla Rai. I due protagonisti del dialogo erano il cattolico Valzania e un laico, scientista e ateo doc, Piergiorgio Odifreddi: ma per una settimana, appunto tra Burgos e León, io ho sostituito Valzania nell’opporre le ragioni cattoliche della fede all’odifreddiana fede nella ragione. Stabilire come sia andato il confronto non sta a me: gli ascoltatori hanno dimostrato, con molte e-mail, di apprezzarlo. Certo, nessuno aveva l’intenzione di battere l’antagonista, e tanto meno di convertirlo. Debbo comunque dichiarare per onestà, e lo faccio vo- lentieri, che Odifreddi mi ha sorpreso: mi aspettavo un talebano dell’ateismo razionalista e invece mi sono trovato dinanzi un interlocutore intransigente ma anche aperto. Dal canto mio, ho fatto sul serio il pellegrino: ho camminato spesso in silenzio, ho pregato e – giunto alla casa per pellegrini gestita dalla nostra confraternita, a Puente Fitero – ho indossato l’abito di essa con tanto di conchiglie e ho partecipato anch’io con i miei confratelli alla cerimonia della lavanda dei piedi degli altri pellegrini. Eppure, questa bella avventura a piedi per la Castiglia, durata una decina di giorni, se per un verso mi ha commosso e arricchito, per un altro mi ha lasciato addosso apprensione e inquietudine. E la ragione me l’ha in parte spiegata Lino, il valoroso hospitalero volontario della nostra casa, raccontandomi che di là è passato Paulo Coelho, che peraltro non ha compiuto del tutto il pellegrinaggio in quanto si è arrestato sul monte Cebreiro, prima di Santiago. È noto che l’ormai celebre scrittore ha dedicato alla sua esperienza un libro, Il Camino de Santiago, dove l’esperienza del pellegrinaggio cristiano è rivissuta in termini d’iniziazione new age, con tanto di ricerca dei «campi magnetici» di forza. Le parole di Lino e il ricordo di quel libro ambiguo, che anche a me è capitato di sfogliare, mi hanno aiutato a veder chiaro su un fenomeno che sta mutando di significato.
martedì 27 maggio 2008
Padre Cantalamessa
Nella seconda lettura san Paolo ci presenta l'Eucaristia come mistero di comunione: “Il calice che benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?” Comunione significa scambio, condivisione. Ora la regola fondamentale della condivisione è questa: quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio. Proviamo ad applicare questa regola alla comunione eucaristica e ci renderemo conto della “enormità” della cosa.
Conosciamo diversi tipi di comunione. Una comunione assai intima è quella tra noi e il cibo che mangiamo, perché questo diventa carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ho sentito delle mamme dire alla loro creatura, mentre se la stringevano al petto e la baciavano: “Ti voglio così bene che ti mangerei!”.
È vero che il cibo non è una persona vivente e intelligente con la quale possiamo scambiarci pensieri e affetti, ma supponiamo, per un momento, che il cibo sia esso stesso vivente e intelligente, non si avrebbe, in tal caso, la perfetta comunione? Ma questo è precisamente ciò che avviene nella comunione eucaristica. Gesù, nel brano evangelico, dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo…La mia carne è vero cibo…Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna”. Qui il cibo non è una semplice cosa, ma è una persona vivente. Si ha la più intima, anche se la più misteriosa, delle comunioni.
Guardiamo cosa avviene in natura, nell'ambito della nutrizione. È il principio vitale più forte che assimila quello meno forte. È il vegetale che assimila il minerale; è l'animale che assimila il vegetale. Anche nei rapporti tra l'uomo e Cristo si attua questa legge. È Cristo che assimila noi a sé; noi ci trasformiamo in lui, non lui in noi. Un famoso materialista ateo ha detto: “L'uomo è ciò che mangia”. Senza saperlo ha dato un'ottima definizione dell'Eucaristia. Grazie ad essa, l'uomo diventa davvero ciò che mangia, cioè corpo di Cristo!
Ma leggiamo il seguito del testo iniziale di S. Paolo: “Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane”. È chiaro che in questo secondo caso la parola “corpo” non indica più il corpo di Cristo nato da Maria, ma indica “tutti noi”, indica quel corpo di Cristo più grande che è la Chiesa. Questo vuol dire che la comunione eucaristica è sempre anche comunione tra noi. Mangiando tutti dell'unico cibo, noi formiamo un solo corpo.
Nella festa del Corpus Domini non posso nascondere una tristezza. Ci sono delle forme di malattia mentale che impediscono di riconoscere le persone che sono accanto. Continuano a gridare per ore: “Dov'è mio figlio? Dove mia moglie? Perché non si fa vivo?” e, magari, il figlio o la moglie sono lì che gli stringono la mano e gli ripetono: “Sono qui, non mi vedi? Sono con te!”. Succede così anche a Dio. Gli uomini nostri contemporanei cercano Dio nel cosmo o nell'atomo; discutono se ci fu o meno un creatore all'inizio del mondo. Continuiamo a domandare: “Dov'è Dio?” e non ci accorgiamo che è con noi e si è fatto cibo e bevanda per essere ancora più intimamente unito a noi.
Giovanni Battista dovrebbe ripetere mestamente: “In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete”. La festa del Corpus Domini è nata proprio per aiutare i cristiani a prendere coscienza di questa presenza di Cristo in mezzo a noi, per tenere desto quello che Giovanni Paolo II chiamava “lo stupore eucaristico”.
«Scapolare» viene da «scapola» e indica quell'indumento che presso molti istituti di monaci o frati nel Medio Evo ricopriva sia il petto che le spalle (in latino: scapulæ), dopo averlo infilato per la testa. Serviva generalmente per i tempi di lavoro, così da proteggere l'abito e non insudiciarlo. L'abito aveva però un significato soprattutto simbolico, significava il «giogo dolce» di Cristo (Mt 11, 29), così che abbandonare l'abito voleva dire sconfessare la disciplina monastica abbracciata, abdicare al servizio di Dio, mancare di fedeltà agli impegni assunti. Nell'ordine carmelitano - per le caratteristiche proprie di quest'ordine - lo scapolare assunse ben presto un significato mariano.
L'ordine carmelitano, a differenza di quasi tutti gli altri ordini religiosi, non ha un preciso fondatore: alla sua origine c'è infatti un gruppo anonimo di eremiti, forse ex crociati, che, verso il 1190, si ritirarono sul monte Carmelo, in Palestina, per vivervi in solitudine, ascesi e preghiera contemplativa, a imitazione del profeta biblico Elia. Il loro nome originario è «fratelli della beata vergine Maria», fatto che li caratterizzerà, fin dall'inizio, assieme al legame con Elia, contemplativo e profeta, come «l'ordine della Vergine».
A conferma di questo, si racconta che, nel 1251, la Vergine apparve al generale dell'ordine san Simone Stock. San Simone supplicava spesso la Madonna di proteggere con qualche privilegio i frati che portavano il suo nome. Ogni giorno recitava devotamente questa preghiera: «Fiore del Carmelo, vite feconda, splendore del cielo, Vergine pura, singolare; Madre fiorente, d'intatto onore, sempre clemente, dona un favore, Stella del Mare». Un giorno mentre ripeteva questa preghiera con grande fervore, la beata Vergine gli apparve accompagnata da una moltitudine di angeli, tenendo in mano lo scapolare dell'ordine e gli disse: «Questo è il privilegio che io concedo a te e a tutti i carmelitani: chiunque morirà con questo scapolare non patirà il fuoco eterno».
Fin dal secolo XV la tradizione di questo dono-miracolo si legò al cosiddetto «privilegio sabatino», secondo cui la Madonna avrebbe promesso di preservare i suoi devoti, vestiti dello scapolare, dalle fiamme dell'inferno, e di liberarle da quelle del purgatorio, il primo sabato dopo la morte. Lo scapolare carmelitano, ridotto col tempo alle piccole dimensioni di un «abitino», si diffuse presso ogni genere di fedeli riuniti in confraternite o liberamente e spiritualmente affiliati all'Ordine e influì enormemente sulla spiritualità e sulla devozione popolare.
Il magistero della Chiesa è intervenuto a più riprese per difendere, spiegare e incoraggiare questa devozione, anche in tempi recenti. Il suo valore quindi non dipende tanto dal fatto storico delle apparizioni, quanto dall'intrinseco significato teologico, che il magistero gli ha riconosciuto, attribuendogli il valore di un «sacramentale». Si tratta cioè di un segno sensibile, approvato dalla Chiesa, con il quale evidenziamo la nostra consacrazione o «affidamento» alla Madonna e i vincoli di amore che ci legano a lei. Come l'anello nuziale è una testimonianza della consacrazione matrimoniale di un uomo e di una donna, così lo scapolare dice a tutti che uno è consacrato a Maria.
Significato
Il significato dello scapolare si compendia dunque attorno a questi punti:
1. È segno e pegno. Segno di appartenenza a Maria, pegno della sua materna protezione, non solo in vita, ma anche dopo la morte.
2. Comporta l'aggregazione alla famiglia dei «fratelli della beata vergine Maria».
3. Con lo scapolare Maria stessa consacra il proprio figlio, vestendolo e segnandolo in modo speciale come appartenente a lei. «Donna, ecco il tuo figlio!» (Gv 19,26).
4. Il devoto (dal latino devóvere, offrire, consacrare) con lo scapolare, «consegna sé stesso» a Maria. Come un uomo libero nel Medio Evo si consegnava ad un signore per prestargli servizio e riceverne protezione. «Ecco la tua madre!» (ibid., 27).
5. Il devoto si impegna a vivere il suo servizio al Signore Gesù, attraverso l'intimità familiare con Maria, come «fratello della beata vergine Maria». «Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (ibidem). Per comprendere lo scapolare bisogna porsi in un'ottica «cavalleresca» che era quella del tempo in cui è nato, ma che appartiene anche ai valori intramontabili dell'uomo. Chi porta lo scapolare, ha detto Pio XII, «fa professione di appartenere a nostra Signora, come il cavaliere di quel tredicesimo secolo - a cui risale l'origine dello scapolare - che si sentiva, sotto lo sguardo della sua “dama”, forte e sicuro nel combattimento e che, portando i suoi “colori”, avrebbe preferito mille volte morire che lasciarli macchiare» (Pio XII, discorso nel settimo centenario dello scapolare carmelitano, 6 agosto 1950).
Norme pratiche
Ogni sacerdote può imporre lo scapolare, benedicendolo con un segno di croce.
Il primo abitino deve essere di stoffa, benedetto e imposto da un sacerdote. Quando lo si deve sostituire, non è più necessaria un'altra benedizione: basta procurarsi un altro scapolare e indossarlo. Andando incontro alle esigenze della vita moderna, il papa san Pio X concesse di sostituire lo scapolare con una medaglia che abbia da un lato l'immagine del sacro Cuore e dall'altra quella della Madonna. Per la sua origine e il suo significato è preferibile usare lo scapolare. In concreto è consigliabile di usare la medaglia di giorno e indossare lo scapolare nel tempo di riposo. Ritrovare ogni sera lo scapolare accanto al letto e compiere il gesto di indossarlo richiama alla mente la consacrazione a Maria e rinnova la fiducia in lei.
Ai devoti dello scapolare è raccomandata in modo speciale la recita del rosario, come colloquio giornaliero con la propria Signora e Sorella e come incontro d'amore con lei nella preghiera. A Fatima le apparizioni si conclusero con la visione della Madonna del Carmelo. Lucia, fattasi poi carmelitana scalza, disse che nel messaggio della Madonna «il rosario e lo scapolare sono inseparabili».
Benedizione e imposizione dello scapolare
Il Sacerdote, rivestito di cotta e stola bianca (o almeno stola) dice:
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.
Preghiamo
Signore Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, benedici questo Abito che il tuo figlio (la tua figlia) si appresta a indossare devotamente a prova del suo amore, a te e alla tua madre, la beata Vergine Maria del Monte Carmelo; fa' che per la intercessione della stessa tua Madre, difeso (difesa) dal potere diabolico, perseveri nella tua grazia fino alla morte. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti Amen.
Dóminus vobiscum.
Et cum spiritu tuo.
Orémus.
Dómine Iesu Christe, humani generis Salvátor, hunc habitum, quem propter tuum tuaéque Genitrícis Vírginis Maríæ de Monte Carmelo amórem servus tuus (ancilla tua) devóte est delatúrus (-a) déxtera tua sanctí+fica, ut eádem Genitríce tua intercedénte, ab hoste malígno defénsus (-a) in tua grátia usque ad mortem persevéret: Qui vivis et regnas in saécula sæculórum. Amen.
Per molti:
Orémus. Dómine Iesu Christe, humani generis Salvátor, hunc habitum, quem propter tuum tuaéque Genitrícis Vírginis Maríæ de Monte Carmelo amórem servi tui (ancillæ tuæ) devóte sunt delatúri (-æ) déxtera tua sanctí+fica, ut eádem Genitríce tua intercedénte, ab hoste malígno defénsi (-æ) in tua grátia usque ad mortem persevérent: Qui vivis et regnas in saécula sæculórum. Amen.
Il Sacerdote asperge lo scapolare con l'acqua benedetta e lo impone al fedele dicendo:
Prendi questo abito benedetto e prega la Vergine Santissima perché, per i suoi meriti, ti conceda di portarlo senza macchia, ti difenda da ogni avversità e ti conduca alla vita eterna.
Áccipe (accípite) hunc habitum benedíctum precans (-tes) sanctíssimam Vírginem, ut eius méritis illum pérferas (-átis) sine mácula, et te (vos) ab omni adversitáte deféndat, atque ad vitam perdúcat ætérnam.
Amen.
Amen.
Per le facoltà che mi sono state concesse, ti rendo partecipe di tutti i beni spirituali, che per la misericordia di Gesù Cristo sono compiuti dai religiosi Carmelitani: nel nome del Padre, + del Figlio e dello Spirito Santo.
Ego, ex potestáte mihi concéssa, recípio te (vos) ad participatiónem ómnium bonórum spirituálium, quæ, cooperánte misericórdia Iesu Christi, a Religiósis de Monte Carmelo peragúntur. In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti.
Amen.
Amen.
Bene+dícat te (vos) Cónditor cæli et terræ, Deus omnípotens, qui te (vos) cooptáre dignátus est in Confraternitátem beatæ Maríæ Vírginis de Monte Carmélo: quam exorámus, ut in hora óbitus tui (vestri) cónterat caput serpéntis antíqui, atque palmam et corónam sempitérnæ hereditátis tandem consequáris (consequámini). Per Christum Dóminum nostrum
Amen.
Amen.
Infine il Sacerdote asperge il fedele con l'acqua benedetta e intona una preghiera mariana (L'Ave Maria, La Salve Regina, il Sub tuum præsidium, il Memorare).
lunedì 26 maggio 2008
Preziosissimo Sangue
Nella Sacra Scrittura si parla del Sangue in due modi: Sangue versato e Sangue asperso.
In Esodo 12:22 troviamo che agli israeliti fu comandato di prendere un fascio di issopo e bagnarlo nel sangue dell'Agnello, poi spruzzarlo sugli stipiti e sull'architrave della propria porta. Così, quando quella notte arrivò l'angelo della morte, vedendo il sangue su quelle porte passò oltre le loro case. Perché gli israeliti non misero semplicemente il bacino col sangue sulla
soglia? Perché non lasciarono il contenitore fuori, magari appoggiato su qualche piedistallo. Perché quel sangue è stato prefigurazione del Sangue di Cristo che è stato Sparso durante la Passione. Infatti leggiamo in Ebrei 9:22-23 " Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono. Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con tali mezzi; le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi".
Ancora dalla Sacra Scrittura possiamo attingere che dopo che Mosè ebbe letto i comandamenti, risposero, "Abbiamo capito – e obbediremo." Essi, quindi, accettarono il patto col Signore. Il patto fu sigillato, ratificato, come abbiamo citato in Ebrei cap. 9 attraverso l'aspersione del sangue su di esso. Mosè ci dice: "Preso il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issopo, ne asperse il libro stesso e tutto il popolo..." Il sangue versato dalle offerte bruciate era in un bacino. Mosè prese un po' di questo sangue e lo versò presso l'altare. Poi prese un fascio d'issopo, lo immerse nel bacino e spruzzò di sangue le dodici colonne (rappresentavano le dodici tribù di Israele). Bagnò nuovamente l'issopo e finalmente spruzzò il popolo. Il sangue coprì la gente e sigillò l'accordo! L’atto di aspersione concesse agli israeliti pieno accesso a Dio, con gioia. Oltre al perdono e la remissione dei peccati ha il valore della comunione. E furono santificati, mondati - degni di stare alla presenza di Dio. Poi Mosè, Nabad, Abihu e settanta degli anziani salirono sulla montagna per incontrare Dio. Il Signore apparve loro, ed essi si sedettero in presenza di Dio e con Lui mangiarono e bevvero: "Ma egli non stese la sua mano contro i capi dei figli d'Israele; ed essi videro DIO, e mangiarono e bevvero" (Esodo 24:11).
Poco prima questi uomini avevano temuto per le loro vite e poco dopo, tramite l’aspersione del sangue che li lavò dai loro peccati poterono mangiare e bere alla presenza di Dio. Anche questo è una prefigurazione i quel patto definito che Gesù Cristo ha sigillato con tutti gli uomini per dare la salvezza eterna.
Meditando la Passione di Cristo e partecipando alla Eucaristia, ogni uomo ritrova la strada per tornare all'unico patto d'amore, Eterna Nuova Alleanza siglata mediante l’effusione del Sangue di Gesù Cristo.
"Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo Sangue, uomini di ogni tribù, lingua popolo e nazione "(Ap 5,6-9): ecco la mirabile visione dell'Apocalisse in cui le moltitudini cantano la Gloria di Dio, riconoscendo la potenza del Sangue preziosissimo di Gesù Cristo. In 1Pietro 1,17-19 leggiamo" E se pregando chiamate Padre colui che senza riguardi personali giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio. Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia."
Il Sangue di Cristo è la più grande e perfetta rivelazione dell'Amore Trinitario e la sua effusione vivificante è sorgente della Chiesa, che continuamente rinasce, santa ed immacolata, nutrendosi del Sangue divino e, attraverso di essa, è riscatto per l 'uomo peccatore a cui viene donata ricchezza, libertà, gloria e salvezza.
La vita spirituale trova un insostituibile alimento nel Sangue di Cristo, vero fulcro del cuore, della vita e della missione della Chiesa. Gesù stesso, nell'Ultima Cena, dà importanza rilevante al Sangue, che è simbolo della Redenzione Marco 14,22-24 "Mentre mangiavano, Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Gesù disse: «Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti."
Anche San Paolo e san Pietro, come abbiamo già citato, nelle loro lettere parlano con devozione del Riscatto umano dal peccato, che è avvenuto tramite la morte di Gesù, il quale ha tanto amato gli uomini fino a versare il suo Prezioso Sangue.
Come testimonia la Parola di Dio del Nuovo Testamento, le preghiere e la Liturgia antichissima la devozione al Preziosissimo Sangue risale alle origini stesse del Cristianesimo stesso. Altre testimonianze sono gli scritti dei Padri della Chiesa, tra i quali sant'Agostino (354-430) del quale citiamo queste parole: "Cristo rese prezioso il sangue dei suoi seguaci per i quali aveva pagato col proprio sangue. Considera perciò, o anima redenta dal sangue dellj4gnello senza macchia, quanto grande sia il tuo valore! Allora non reputate voi stessi di poco valore, se il Creatore dell'universo e vostro vi stima tanto da versare ogni giorno per voi (nell'Eucarestia) il sangue preziosissimo del suo Unigenito ".
Nei secoli seguenti e in particolare dal Medioevo la devozione al Sangue di Gesù assunse espressioni più marcate con l'accentuarsi della devozione alla Umanità di Cristo, specialmente ad opera di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) e di san Francesco d'Assisi (1182-1226) e dei loro discepoli. San Bonaventura disse : "Tesoro preziosissimo, incomparabile sono le stille del Sangue di Cristo ". "Una sola goccia di questo Sangue Prezioso sarebbe sufficiente per salvare il mondo", disse Tommaso d'Aquino, in virtù dei meriti infiniti che gli conferirono l'unione con la Persona divina del Verbo. E fu un fiume che si spanse sulla terra dal Golgota e che si riversò dal Cuore aperto dalla lancia del soldato romano per manifestarci l'ardore del suo infinito Amore.
Dopo un breve periodo di decadenza, relativo ai secoli XVII e XVIII, la devozione ritrova il suo antico splendore e la sua feconda vitalità ad opera di S. Gaspare del Bufalo che dal Mistero del Sangue trae la ricchezza di santità per se e per i fedeli, e la forza d'un apostolato diretto al rinnovamento della società del suo tempo, raccogliendo numerosi Sacerdoti e Fratelli nella "Congregazione" da lui chiamata "dei Missionari del Preziosissimo Sangue".
Luce e impulso nuovi verranno alla devozione dal Pontificato di Giovanni XXIII, in particolare dalla sua Lettera Apostolica "Inde a primis", primo documento pontificio avente il solo scopo di promuovere il culto al Preziosissimo Sangue.
Ai nostri giorni, la devozione è stata grandemente arricchita dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Il fervore di studio che lo ha caratterizzato, ha favorito un felice ritorno a quelle sorgenti, Bibbia e Liturgia, dalla quale è scaturita la stessa devozione e alle quali per lungo tempo si è riferita come al suo nutrimento più vitale. l Documenti conciliari, nelle loro affermazioni-chiave, menzionano esplicitamente il Mistero del Sangue: la sola Costituzione sulla Chiesa lo richiama 11 volte!
Un altro interessante documento è "Il Redentore dell'uomo", lettera enciclica di papa Giovanni Paolo II, che ci ricorda il posto essenziale e fondamentale che occupa il mistero della Redenzione nella fede cristiana.