venerdì 30 maggio 2008

Sabato 31 maggio 2008 - ore 21
Chiusura del Mese Mariano
con fiaccolata e Santo Rosario
presso l'Abbazia-Santuario di
Santa Maria di Campagna e
l'Ospedale di Piacenza

«E Maria disse: 'L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore…'»
Luca 1. 46-47


«Vieni, Gesù! Vieni e trasforma il mondo!
Vieni già oggi e vinca la pace!».
Amen!

Mons. Andrea Gemma:
(Vescovo emerito di Isernia - Venafro)

“Satana teme Benedetto XVI perchè sa che
è il Papa giusto per la lotta agli inferi”

CITTA’ DEL VATICANO - “E’ una tragedia: Benedetto XVI è ancora più forte, è ancora peggio di Giovanni Paolo II”. E’ stata questa l’accoglienza riservata da Satana al Cardinale Joseph Ratzinger poche ore dopo la sua elevazione alla Cattedra di Pietro, nell’aprile del 2005. Il Diavolo, per l’esattezza, parlò per bocca di una donna - posseduta - sottoposta ad esorcismo da Monsignor Andrea Gemma, Arcivescovo Emerito di Isernia-Venafro, uno dei pochi prelati, se non il solo, ad esercitare il ministero della liberazione dal Maligno, che ha raccontato l’aneddoto in questa intervista esclusiva concessa a ‘Petrus’ di ritorno da un pellegrinaggio a Lourdes.

Monsignor Gemma, il Diavolo non sembra proprio aver gradito l’elezione di Benedetto XVI…
“Esatto. Me lo confermò lui stesso, il ‘signor malefico’. E questa sua espressione non mi meravigliò. Non bisogna dimenticare, infatti, che il Cardinale Ratzinger ha sempre combattuto il Maligno e messo in guardia l’umanità dai pericoli del Demonio”.

Eccellenza, a conferma di quanto Lei dice, si parla con insistenza di una possibile istruzione del Santo Padre per obbligare i Vescovi a nominare un numero stabile di esorcisti diocesani.
“Volesse il cielo che il Papa preparasse questo documento, ce n’è davvero bisogno! Quando ho appreso la notizia, ho gioito. Ed ho avuto la conferma che Benedetto XVI è il Papa giusto per affrontare in questa epoca la battaglia contro Satana. Che Dio lo conservi a lungo sul trono di Pietro! Avevamo proprio bisogno di Lui. Basti pensare già al fatto che è stato l’unico Papa in tutta la storia a lodare e ad incoraggiare pubblicamente gli esorcisti per il ministero loro affidato”.

Qualcuno ha però manifestato scetticismo verso l’istruzione…
“Si tratta di ignoranti! Chiederò personalmente un’udienza privata al Santo Padre per sollecitare la pubblicazione di questa nota e per chiedergli di continuare ad essere al nostro fianco. Sì, c’è bisogno che i Vescovi nominino almeno un esorcista fisso per ogni Diocesi! Sono certo che il Santo Padre non deluderà le attese di chi si attende questa forte iniziativa”.

Il fatto che si parli di un richiamo all’obbedienza da parte di Benedetto XVI ai Vescovi perché deleghino stabilmente degli esorcisti, denota una grande carenza in materia.
“Purtroppo è così. Devo dire che ha ragione il mio amico Padre Gabriele Amorth quando sostiene che molti Vescovi sono i primi a non credere all’esistenza del Demonio. Lo posso testimoniare anch’io: da 16 anni, da quando mi è stata conferita la dignità episcopale, mi avvalgo della facoltà di esorcizzare in prima persona, ed ho ricevuto poveretti provenienti da ogni parte d’Italia per essere liberati dal Maligno perché nelle loro Diocesi il Vescovo è scettico o eccessivamente prudente e non nomina nessun esorcista. E il Diavolo se la ride. Pensi, quasi sempre mi dice: ‘Sei solo, sei l’unico, gli altri Vescovi non credono neanche all’inferno, se tutti facessero come te, se tutti esorcizzassero, noi spiriti maligni saremmo spacciati. E anche il Papa è isolato in questa lotta’. Credo non ci sia nulla da aggiungere…”.

Monsignor Gemma, una bella soddisfazione personale per Lei, ma per la Chiesa è allarmante: Satana è soddisfatto dell’assenza di esorcisti e dell’incredulità del Clero.
“Già. Veda, io non voglio giudicare i miei confratelli Vescovi, ma mi chiedo: dove è andato a finire il Catechismo della Chiesa Cattolica (la cui ultima versione è stata peraltro curata proprio da Benedetto XVI quando era ancora Cardinale)? In esso è scritto chiaramente che Satana esiste in tutta la sua pericolosità e chi non crede nella sua esistenza è fuori dalla Chiesa. Mi domando: questi Vescovi, e i sacerdoti che come loro non credono nel Demonio, hanno letto il Catechismo? Possibile che non ricordino neanche il capitolo 12 dell’Apocalisse, quello in cui San Giovanni parla del dragone rosso? Sarà ignoranza, sarà distrazione, ma certe omissioni contribuiscono a disorientare e a far essere la Chiesa sempre più esposta agli attacchi delle potenze infernali. E poi, come è attuale quel grido d’allarme lanciato negli anni ’70 da Paolo VI: il fumo di Satana è entrato anche nella Chiesa, la Casa di Dio”.

Intanto la gente corre dai maghi…
“Ed è proprio così, lo scriva a chiare lettere, che si diffondono principalmente le possessioni diaboliche. I maghi - io non faccio distinzione tra magia bianca o nera - invocano Satana per esaudire le richieste dei loro clienti. Ma, sempre, prima o poi, il Diavolo presenta il conto. Cosicché chi è andato da un mago, inizia ad essere vessato, ossessionato o addirittura posseduto dal Maligno. E nel frattempo i maghi, quelli veri, quelli dediti all’occultismo, incuranti del fatto che si dannano l’anima, si riempiono i portafogli con la complicità del Maligno e le sofferenze di poveri sventurati”.

Eccellenza, anche le sette sataniche sono in netto aumento e coinvolgono particolarmente i giovani.
“Tutta colpa della perdita dei valori alti. Ormai la gente, e in particolar modo i giovani, non crede più all’esistenza del giudizio finale, del Paradiso, del Purgatorio e dell’Inferno. Si vive come non si dovesse mai morire o come se tutto dovesse finire con la morte. La Fede si è raffreddata, non ci sono più valori: anziché andare dai sacerdoti si va dai maghi, si predilige il profano al sacro, l’occultismo alla preghiera. E’ bene che si sappia che anche con l’adesione alle sette sataniche si rischia di essere posseduti dal Demonio, con tutto ciò che ne deriva in termini di patimenti fisici e spirituali. Non bisogna dimenticare, infatti, che chi è posseduto o vessato dal Diavolo va incontro ad atroci sofferenze”.

Monsignor Gemma, cosa stiamo vivendo? Quest’epoca sembra degenerata. Genitori che uccidono i figli e viceversa, violenze di ogni tipo, guerre…
“Siamo tutti in lotta contro Satana. Questo perfido essere sta tentando in maniera disperata e spregiudicata di conquistare il mondo e chi lo abita; nulla di nuovo, Gesù stesso ci dice che la battaglia durerà sino alla fine dei tempi. Ma noi non dobbiamo scoraggiarci o demordere, ma reagire pregando, affidandoci al Signore e proclamando la Verità”.

Proprio come ci esorta a fare il Santo Padre Benedetto XVI…
“Il fatto che Satana abbia paura del Papa, vuol dire che è sulla strada giusta. Che Dio guardi e protegga il Santo Padre Benedetto XVI! Non tutti sanno che Giovanni Paolo II è molto invocato negli esorcismi, e il Diavolo soffre molto all’udire il suo nome. E’ dunque confortante che Benedetto XVI venga considerato dagli spiriti maligni un avversario addirittura più pericoloso, letale e potente del suo venerato predecessore”.

di Gianluca Barile

giovedì 29 maggio 2008

Statua di Maria con il Bambino Gesù venerteta presso
la Basilica-Santuario di Santa Maria di Campagna a Piacenza

MAGGIO: MESE DI MARIA

San Pio X

(…) Ma se il cinquantesimo anniversario dell’atto Pontificio per il quale fu dichiarata senza macchia la Concezione di Maria, deve provocare nel seno del popolo cristiano ardente entusiasmo, la ragione è soprattutto nella necessità che abbiamo esposta nella Nostra precedente Enciclica. Noi vogliamo dire di "tutto restaurare in Gesù Cristo". Poiché chi non accetta che non vi è strada più sicura né più facile se non quella di Maria, per la quale gli uomini possono arrivare fino a Cristo e ottenere mediante Gesù Cristo questa perfetta adozione filiale che rende santi e senza macchia allo sguardo di Dio?
(Lettera Enciclica Ad diem laetissimum)

Giovanni Paolo II

(…) Nel disegno salvifico della Santissima Trinità il mistero dell’incarnazione costituisce il compimento sovrabbondante della promessa fatta da Dio agli uomini, dopo il peccato originale, dopo quel primo peccato i cui effetti gravano su tutta la storia dell’uomo sulla terra (cf. Gen 3,15). Ecco, viene al mondo un Figlio, la "stirpe della donna", che sconfiggerà il male del peccato alle sue stesse radici: "Schiaccerà la testa del serpente". Come risulta dalle parole del protoevangelo, la vittoria del Figlio della donna non avverrà senza una dura lotta, che deve attraversare tutta la storia umana. "L’inimicizia", annunciata all’inizio, viene confermata nell’Apocalisse, il libro delle realtà ultime della Chiesa e del mondo, dove torna di nuovo il segno della "donna", questa volta "vestita di sole" (Ap 12,1).Maria, Madre del Verbo incarnato, viene collocata al centro stesso di quella inimicizia, di quella lotta che accompagna la storia dell’umanità sulla terra e la storia stessa della salvezza. In questo posto ella, che appartiene agli "umili e poveri del Signore", porta in sé, come nessun altro tra gli esseri umani, quella "gloria della grazia" che il Padre "ci ha dato nel suo Figlio diletto", e questa grazia determina la straordinaria grandezza e bellezza di tutto il suo essere. Maria rimane così davanti a Dio, e anche davanti a tutta l’umanità, come il segno immutabile ed inviolabile dell’elezione da parte di Dio, di cui parla la Lettera paolina: "In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo... predestinandoci a essere suoi figli adottivi" (Ef 1,4.5). Questa elezione è più potente di ogni esperienza del male e del peccato, di tutta quella "inimicizia", da cui è segnata la storia dell’uomo. In questa storia Maria rimane un segno di sicura speranza.
(Lettera Enciclica Redemptoris Mater)

Benedetto XVI

(…) Per giungere a Gesù, luce vera, sole che ha dissipato tutte le tenebre della storia, abbiamo bisogno di luci vicine a noi, persone umane che riflettono la luce di Cristo e illuminano così la strada da percorrere. E quale persona è più luminosa di Maria? Chi può essere per noi stella di speranza meglio di lei, aurora che ha annunciato il giorno della salvezza? (cfr Enc. Spe salvi, 49). Per questo la liturgia ci fa celebrare oggi, in prossimità del Natale, la festa solenne dell’Immacolata Concezione di Maria: il mistero della grazia di Dio che ha avvolto fin dal primo istante della sua esistenza la creatura destinata a diventare la Madre del Redentore, preservandola dal contagio del peccato originale. Guardando Lei, noi riconosciamo l’altezza e la bellezza del progetto di Dio per ogni uomo: diventare santi e immacolati nell’amore (cfr Ef 1,4), ad immagine del nostro Creatore.
(Angelus, 8 Dicembre 2007)

http://www.pliniocorreadeoliveira.it

mercoledì 28 maggio 2008


Un avvertimentimento importante

I pellegrini crescono, ma attenzione:
sono sempre di più
quelli che seguono
le orme di Coelho
anziché cercare l’Apostolo...

Il j’accuse di Cardini
Zaino e New Age sulla Via di Santiago

DI FRANCO CARDINI

Nell’autunno del 1960 i pelle­grinaggi, a parte quelli di Lourdes e di Fatima, non e­rano di moda, e nemmeno troppo studiati. Avevo vent’anni, stavo per entrare nell’Università e mi trovavo in quell’età nella quale càpita di mu­tar ambienti e amicizie. Ero inquie­to e disorientato. Non ricordo più troppo bene neppure chi mi dette l’idea: mi accodai così, per caso, a un gruppo di giovani camminatori de­gli scout, poi procedetti da solo sal­vo brevi tratti di strada con accom­pagnatori casuali. Feci il mio «Ca­mino de Santiago», da Roncisvalle fino al capoluogo della Galizia, da solo. Circa 400 km, più d’un mese di cammino. Era una Spagna arcaica, severa, ari­da fino al León e piovosa come sem­pre nel Cantabrico. Le strade princi­pali erano strette e tortuose, mala­mente asfaltate; i villaggi erano po­veri e cupi; le città odoravano di fio­ri di gelsomino e d’olio di frittura. L’unica segnaletica stradale era co­stituita dal simbolo del partito uni­co franchista, la «Falange»: cinque frecce e un giogo di legno verniciati di rosso, l’antica insegna dei Re Cat­tolici. Si viaggiava isolati o in piccoli grup­pi formati casualmente. C’era già qualche «ospizio» per pellegrini in funzione: luoghi modesti, con ca­mere in comune e talvolta una doc­cia spartana. Ma nei paesi la gente e­ra cordiale, il parroco o l’alcalde ci trovavano sempre da mangiare e da dormire; altrimenti, ci aiutavano i militi della Guardia Civil. Forse fu quel viaggio alla radice della mia passione per il medioevo e per lo stu­dio dei pellegrinaggi. Il seguito ho più volte fatto di nuovo il cammino, mai più però a piedi: sempre in auto o in pullman, con a­mici, colleghi o studenti. Santiago di Compostela è tra l’altro sede frequente di convegni. I miei passi di pellegrino e di stu­dioso si sono tuttavia rivolti più spesso all’altro capoli­nea della grande via peregri­norum medievale, Gerusa­lemme. Eppure, se non altro come membro della Confraternita Compostellana fondata an­ni fa a Perugia da un caro e vecchio amico, l’illustre ispanista Paolo Caucci von Saucken, da tempo mi riproponevo di ripetere il «Camino»: ciò rientra nei miei doveri di confra­tello. Non ce l’ho ancora fatta a ripercor­rerlo del tutto. Ai primi di maggio mi è stata però offerta dal direttore di RadioRai, Sergio Valzania, l’occasio­ne di farne almeno un buon tratto, i circa 250 km tra Burgos e León, at­traverso la mia amata Castiglia. Si trattava di un’avventura che per cer­ti tratti mi ha ricordato La Via Lattea, il film girato quarant’anni or sono dal grande Luís Buñuel: due «viag­giatori » dialoganti sulla strada dei pellegrini e i loro dialoghi trasmessi in diretta dalla Rai. I due protagonisti del dialogo erano il cattolico Valzania e un laico, scien­tista e ateo doc, Piergiorgio Odifred­di: ma per una settimana, appunto tra Burgos e León, io ho sostituito Valzania nell’opporre le ragioni cat­toliche della fede all’odifreddiana fe­de nella ragione. Stabilire come sia andato il confronto non sta a me: gli ascoltatori hanno dimostrato, con molte e-mail, di apprezzarlo. Certo, nessuno aveva l’intenzione di bat­tere l’antagonista, e tanto meno di convertirlo. Debbo comunque di­chiarare per onestà, e lo faccio vo- lentieri, che Odifreddi mi ha sorpre­so: mi aspettavo un talebano dell’a­teismo razionalista e invece mi sono trovato dinanzi un interlocutore in­transigente ma anche aperto. Dal canto mio, ho fatto sul serio il pellegrino: ho camminato spesso in silenzio, ho pregato e – giunto alla casa per pellegrini gestita dalla no­stra confraternita, a Puente Fitero – ho indossato l’abito di essa con tan­to di conchiglie e ho partecipato an­ch’io con i miei confratelli alla ceri­monia della lavanda dei piedi degli altri pellegrini. Eppure, questa bella avventura a pie­di per la Castiglia, durata una deci­na di giorni, se per un verso mi ha commosso e arricchito, per un altro mi ha lasciato addosso apprensione e inquietudine. E la ragione me l’ha in parte spiegata Lino, il valoroso ho­spitalero volontario della nostra ca­sa, raccontandomi che di là è pas­sato Paulo Coelho, che peraltro non ha compiuto del tutto il pellegri­naggio in quanto si è arrestato sul monte Cebreiro, prima di Santiago. È noto che l’ormai celebre scrittore ha dedicato alla sua esperienza un libro, Il Camino de Santiago, dove l’esperienza del pellegrinaggio cri­stiano è rivissuta in termini d’inizia­zione new age, con tanto di ricerca dei «campi magnetici» di forza. Le parole di Lino e il ricordo di quel libro ambiguo, che anche a me è ca­pitato di sfogliare, mi hanno aiutato a veder chiaro su un fenomeno che sta mutando di significato.
Lungo la strada si fanno molti incontri. Mi so­no imbattuto in induisti, in bahai, in intere comitive di giapponesi buddhisti o scintoisti, in una bella signora ebrea e in tre studenti mu­sulmani di Algeri; e tanti agnostici in cerca di paesaggi e di emozioni. C’erano, certo, anche i cristiani e i cattolici, uomini e donne, giovani e vecchi, a piedi e in bici. Tra i vian­danti il senso di amicizia e di frater­nità era comune, non ostentato, na­turale, commovente. Ma, rispetto al­la mia giovanile esperienza di quasi mezzo secolo fa, qualcosa mancava. Mancava, o era molto carente, il sen­so cristiano del viaggio come pre­ghiera e come immagine dell’itine­rario della vita. La meditazione zen per i più giovani, la memoria del flower power per i più anziani, uno spirito sincretistico eco-pacifista co­mune un po’ a tutti stanno preva­lendo e invadendo le vie che porta­no a Santiago e che d’altronde, dal canto loro, sono ormai stipate da o­gni sorta di frutti del mercato turi­stico. Ristoranti, alberghi, souvenir. Il santo apostolo di Galizia resiste, ma attorno a lui i «pellegrini della Modernità» si sono impadroniti del­la strada e di una parte della sua a­nima per gestirla in modo molto lon­tano dal suo originario senso. Dispiacersi? Allarmarsi? Certo che no. Le antiche chiese e i gloriosi san­tuari sono ancora là e continuano a parlarci. Attenzione però a non la­sciarsi ingannare dalla straordinaria affluenza di pellegrini; attenti a non definirla con troppa leggerezza un revival della fede. Qui c’è troppo Coelho, un bel po’ di Dan Brown, pa­recchio Noam Chomsky, alquanto di Gandhi e di Amartya Sen, una spruzzatina di Arundhati Roy, qual­che sparso residuo del vecchio Gué­non. Sulla via di Frómista – dove ho avu­to la gioia d’incontrare per purissi­mo caso e di riabbracciare dopo tan­to tempo un mio vecchio amico d’a­dolescenza, l’oggi illustre matema­tico Umberto Tiberio – mi è capita­to di fare un tratto di strada con un’assortita compagnia d’una ven­tina di pellegrini messi insieme dal caso. A un certo punto, ho tirato fuo­ri di tasca il mio vecchio rosario: mi hanno guardato con stupore, con simpatia, ma come una bestia rara. Solo un paio di loro avevano pensa­to a portarsene uno in viaggio. Santiago postmoderno. È una sfida da raccogliere. Forse, anche questa è Provvidenza. Ma che sia un segno di rinascita della fede, non sempre è vero. Eppure, noialtri della Confra­ternita continueremo a pattugliare l’antico «Camino», nel nome di Dio e dell’Apostolo. Al puesto que Dios me dié, come diceva il vecchio can­to di guerra di chi combatteva per la Spagna cristiana. «Manca il senso cristiano del viaggio come preghiera. Uno spirito eco-pacifista, sincretismi e meditazione zen stanno ormai invadendo il Camino post-moderno».
da Avvenire del 27 maggio 2008


martedì 27 maggio 2008

le diocesi
In quel pane spezzato il
«grembo vivo» della Chiesa

DI PAOLO PITTALUGA
Nelle diocesi italiane il Corpus Domini è stata occasione per riflettere sul signifi­cato dell’Eucaristia nella vita dei singo­li e delle comunità. Durante l’omelia di dome­nica, il patriarca di Venezia, Angelo Scola, ha ri­cordato che «la mancanza di ciò di cui abbiamo bisogno per vivere (non solo beni materiali, ma soprattutto spirituali) mette alla prova la nostra fede. O recriminiamo o ci affidiamo. La memo­ria del Corpus Domini – ha ag­giunto il patriarca – la cele­brazione eucaristica, l’adora­zione e la solenne processio­ne sono la via maestra per questo affidamento lungo il viaggio della nostra vita». Il cardinale ha ricordato che «l’uomo che, per grazia, acco­glie il dono dell’Eucaristia fa ogni volta una singolare espe­rienza. La misericordia amo­revole della Trinità irrompe nel susseguirsi mec­canico degli instanti del suo tempo, vi opera u­na benefica discontinuità che provoca la sua li­bertà ». L’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Paolo Rabitti, ha ricordato che «poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un cor­po solo; tutti infatti partecipiamo dell’unico pa­ne ». Di qui l’invito ad essere «una cosa sola», «u­niti nella frazione del pane», «un cuor solo e un’a­nima sola», nel mettere «in comune ciò che sei e che fai», nel far circolare «la gioia e la sempli­cità del cuore». «La santissima Eucaristia è il grembo vivo della Chiesa e il suo tesoro più prezioso» ha afferma­to l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco sabato sera nell’omelia pro­nunciata al termine della processione eucari­stica. A pochi giorni dalla visita del Papa, ha af­fermato Bagnasco, «è ancora grande la gioia per un momento in cui la naturale riservatezza di Genova non le ha impedito di trasformarsi in un popolo in festa». Il cardinale si è rivolto ai più piccoli affermando: «Grazie bambini per la vo­stra innocenza. Il Santo Padre ha sentito il vo­stro calore. Il Papa vi ha invitato a diventare mis­sionari e ricordatevi che quanto più l’uomo si al­lontana da Dio tanto più smarrisce se stesso. State uniti tra voi, siate semplici ma non inge­nui, entrate in dialogo con tutti ma restate sem­pre voi stessi». «L’Eucaristia è il primo segno del­la presenza reale di Gesù tra di noi – ha osser­vato Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Peru­gia- Città della Pieve – che, portandola in pro­cessione tra le case, ci parla di speranza e ci in­coraggia a proseguire nella vita in famiglia e sul lavoro». Il presule ha sottoli­neato come «si rende pre­sente nella nostra vita il Cri­sto vivente, che è tornato ora nel mistero di Dio ma non ci ha lasciato orfani, avendo mandato tra noi il suo Santo Spirito, l’amore che dà vita e rinnova la presenza di Lui nei nostri giorni precari» e che ci dà quell’attitudine ad agire, ad operare il bene che non è frutto dei nostri desideri o dei nostri sforzi, ma del suo amore operoso, che rende virtuosa e non virtuale la nostra vita». Delio Lucarelli, vescovo di Rieti, soffermandosi sull’attualità del Corpus Domini, ha ricordato come «è la grande festa del pane e della vita, di quel nutrimento che ci sostiene nella vita di fe­de e che alimenta il nostro desiderio della pa­tria, della città eterna in cui sarà imbandito il grande banchetto della nostra Pasqua». Perché, ha spiegato, «Gesù ha scelto un cibo comune, il più diffuso, il pane e una bevanda, il vino, per­ché divenissero i segni sacramentali della sua presenza; ci ha lasciato un pegno, un anticipo di tutto se stesso così come lo sperimenteremo nella Gerusalemme celeste». Ha scelto la Napoli del futuro e il Centro dire­zionale, il cardinale Crescenzio Sepe per cele­brare il Corpus Domini, davanti al tribunale, vi­cino alla chiesa di San Carlo Borromeo che «è simbolo del cuore della spiritualità che deve a­nimare ogni sforzo di crescita economica, di progresso e di sviluppo industriale». In una città, ha aggiunto il porporato, dove «la speranza non può essere lasciata morire». «Porre il Signore Ge­sù al centro della nostra vita personale, per met­tere ordine nella nostra condotta morale e rea­lizzare in pienezza la nostra vocazione cristia­na »: è questo l’invito lanciato dall’arcivescovo di Taranto, Benigno Luigi Papa, che ha proiet­tato il suo sguardo all’attualità e alla dignità del­la vita. Lo ha fatto sottolineando la sua «soffe­renza per il triste primato degli infortuni sul la­voro che abbiamo in Provincia» e invitando a «migliorare le condizioni di sicurezza» ricor­dando che «occorre anche promuovere una cul­tura del lavoro». La prevenzione degli infortuni – ha aggiunto – passa dalle normative ma, pri­ma ancora, «dalla riappropriazione della pro­pria dignità umana e da un corretto e vero a­more che si deve avere verso la propria vita». Di qui l’appello a Gesù perché «ispiri una efficace normativa giuridica per prevenire gli infortuni ed illumini i lavoratori, soprattutto i più giova­ni, perché la grazia del lavoro sia compresa co­me fondamento di una responsabilità etica nei confronti della propria vita». L’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, ha sottolineato «la necessità di vivere il Miste­ro di Cristo» in una città segnata dai contra­sti, dalle emergenze, dalla violenza, dall’o­dio. Ha parlato delle famiglie, degli sposi, «che nel corpo di Cristo devono trovare l’u­nità, che spesso è in pericolo e il sostegno per affrontare le difficoltà». Infine, ha richiama­to al compito di dare testimonianza dell’u­nità dei cristiani «che si nutrono dello stes­so corpo di Cristo». Ha invitato a cogliere il rapporto tra eucaristia e ascolto il vescovo di Noto, Mariano Crociata, che ne ha mes­so in risalto l’appartenenza «l’un l’altro». L’Eucaristia – ha detto il presule – è il com­pito dell’ascolto, perché realizza ciò che vie­ne annunciato. L’ascolto è necessario al­l’Eucaristia perché ne richiama l’origine e il senso». «Non si può – ha precisato – man­giare la carne del Signore senza prestare a lui l’adesione del cuore e l’attenzione della mente». ( Hanno collaborato: A.Torti; F.Dal Mas; V.Chianese; A.Turrisi) Nelle riflessioni dei pastori italiani una lettura dell’oggi alla luce del mistero centrale per la fede e l’agire dei cristiani.
da Avvenire del 27 maggio 2008
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Sollenità del “Corpus Domini”
25 maggio 2008

Padre Cantalamessa

Nella seconda lettura san Paolo ci presenta l'Eucaristia come mistero di comunione: “Il calice che benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?” Comunione significa scambio, condivisione. Ora la regola fondamentale della condivisione è questa: quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio. Proviamo ad applicare questa regola alla comunione eucaristica e ci renderemo conto della “enormità” della cosa.
Che cosa ho io di propriamente “mio”? La miseria, il peccato: questo solo è esclusivamente mio. E che cosa ha di “suo” Gesú se non santità, perfezione di tutte le virtù? Allora la comunione consiste nel fatto che io do a Gesú il mio peccato e la mia povertà, e lui mi da la sua santità. Si realizza il “meraviglioso scambio”, come lo definisce la liturgia.
Conosciamo diversi tipi di comunione. Una comunione assai intima è quella tra noi e il cibo che mangiamo, perché questo diventa carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ho sentito delle mamme dire alla loro creatura, mentre se la stringevano al petto e la baciavano: “Ti voglio così bene che ti mangerei!”.
È vero che il cibo non è una persona vivente e intelligente con la quale possiamo scambiarci pensieri e affetti, ma supponiamo, per un momento, che il cibo sia esso stesso vivente e intelligente, non si avrebbe, in tal caso, la perfetta comunione? Ma questo è precisamente ciò che avviene nella comunione eucaristica. Gesù, nel brano evangelico, dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo…La mia carne è vero cibo…Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna”. Qui il cibo non è una semplice cosa, ma è una persona vivente. Si ha la più intima, anche se la più misteriosa, delle comunioni.



Guardiamo cosa avviene in natura, nell'ambito della nutrizione. È il principio vitale più forte che assimila quello meno forte. È il vegetale che assimila il minerale; è l'animale che assimila il vegetale. Anche nei rapporti tra l'uomo e Cristo si attua questa legge. È Cristo che assimila noi a sé; noi ci trasformiamo in lui, non lui in noi. Un famoso materialista ateo ha detto: “L'uomo è ciò che mangia”. Senza saperlo ha dato un'ottima definizione dell'Eucaristia. Grazie ad essa, l'uomo diventa davvero ciò che mangia, cioè corpo di Cristo!
Ma leggiamo il seguito del testo iniziale di S. Paolo: “Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane”. È chiaro che in questo secondo caso la parola “corpo” non indica più il corpo di Cristo nato da Maria, ma indica “tutti noi”, indica quel corpo di Cristo più grande che è la Chiesa. Questo vuol dire che la comunione eucaristica è sempre anche comunione tra noi. Mangiando tutti dell'unico cibo, noi formiamo un solo corpo.
Quale la conseguenza? Che non possiamo fare vera comunione con Cristo, se siamo divisi tra noi, ci odiamo, non siamo pronti a riconciliarci. Se tu hai offeso un tuo fratello, diceva S. Agostino, se hai commesso un'ingiustizia contro di lui, e poi vai a ricevere la comunione come niente fosse, magari pieno di fervore nei confronti di Cristo, tu somigli a una persona che vede venire verso di sé un amico che non vede da molto tempo. Gli corre incontro, gli getta le braccia al collo e si alza in punta di piedi per baciarlo sulla fronte…Ma, nel fare questo, non si accorge che gli sta calpestando i piedi con scarpe chiodate. I fratelli infatti, specie i più poveri e derelitti, sono le membra di Cristo, sono i suoi piedi posati ancora sulla terra. Nel darci l'ostia il sacerdote dice: “Il corpo di Cristo”, e noi rispondiamo: “Amen!”. Adesso sappiamo a chi diciamo “Amen”, cioè sì, ti accolgo: non solo a Gesù, il Figlio di Dio, ma anche al prossimo.
Nella festa del Corpus Domini non posso nascondere una tristezza. Ci sono delle forme di malattia mentale che impediscono di riconoscere le persone che sono accanto. Continuano a gridare per ore: “Dov'è mio figlio? Dove mia moglie? Perché non si fa vivo?” e, magari, il figlio o la moglie sono lì che gli stringono la mano e gli ripetono: “Sono qui, non mi vedi? Sono con te!”. Succede così anche a Dio. Gli uomini nostri contemporanei cercano Dio nel cosmo o nell'atomo; discutono se ci fu o meno un creatore all'inizio del mondo. Continuiamo a domandare: “Dov'è Dio?” e non ci accorgiamo che è con noi e si è fatto cibo e bevanda per essere ancora più intimamente unito a noi.
Giovanni Battista dovrebbe ripetere mestamente: “In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete”. La festa del Corpus Domini è nata proprio per aiutare i cristiani a prendere coscienza di questa presenza di Cristo in mezzo a noi, per tenere desto quello che Giovanni Paolo II chiamava “lo stupore eucaristico”.


Lo Scapolare della
Beata Vergine Maria
del Monte Carmelo

«Scapolare» viene da «scapola» e indica quell'indumento che presso molti istituti di monaci o frati nel Medio Evo ricopriva sia il petto che le spalle (in latino: scapulæ), dopo averlo infilato per la testa. Serviva generalmente per i tempi di lavoro, così da proteggere l'abito e non insudiciarlo. L'abito aveva però un significato soprattutto simbolico, significava il «giogo dolce» di Cristo (Mt 11, 29), così che abbandonare l'abito voleva dire sconfessare la disciplina monastica abbracciata, abdicare al servizio di Dio, mancare di fedeltà agli impegni assunti. Nell'ordine carmelitano - per le caratteristiche proprie di quest'ordine - lo scapolare assunse ben presto un significato mariano.
L'ordine carmelitano, a differenza di quasi tutti gli altri ordini religiosi, non ha un preciso fondatore: alla sua origine c'è infatti un gruppo anonimo di eremiti, forse ex crociati, che, verso il 1190, si ritirarono sul monte Carmelo, in Palestina, per vivervi in solitudine, ascesi e preghiera contemplativa, a imitazione del profeta biblico Elia. Il loro nome originario è «fratelli della beata vergine Maria», fatto che li caratterizzerà, fin dall'inizio, assieme al legame con Elia, contemplativo e profeta, come «l'ordine della Vergine».

A conferma di questo, si racconta che, nel 1251, la Vergine apparve al generale dell'ordine san Simone Stock. San Simone supplicava spesso la Madonna di proteggere con qualche privilegio i frati che portavano il suo nome. Ogni giorno recitava devotamente questa preghiera: «Fiore del Carmelo, vite feconda, splendore del cielo, Vergine pura, singolare; Madre fiorente, d'intatto onore, sempre clemente, dona un favore, Stella del Mare». Un giorno mentre ripeteva questa preghiera con grande fervore, la beata Vergine gli apparve accompagnata da una moltitudine di angeli, tenendo in mano lo scapolare dell'ordine e gli disse: «Questo è il privilegio che io concedo a te e a tutti i carmelitani: chiunque morirà con questo scapolare non patirà il fuoco eterno».
Fin dal secolo XV la tradizione di questo dono-miracolo si legò al cosiddetto «privilegio sabatino», secondo cui la Madonna avrebbe promesso di preservare i suoi devoti, vestiti dello scapolare, dalle fiamme dell'inferno, e di liberarle da quelle del purgatorio, il primo sabato dopo la morte. Lo scapolare carmelitano, ridotto col tempo alle piccole dimensioni di un «abitino», si diffuse presso ogni genere di fedeli riuniti in confraternite o liberamente e spiritualmente affiliati all'Ordine e influì enormemente sulla spiritualità e sulla devozione popolare.

Il magistero della Chiesa è intervenuto a più riprese per difendere, spiegare e incoraggiare questa devozione, anche in tempi recenti. Il suo valore quindi non dipende tanto dal fatto storico delle apparizioni, quanto dall'intrinseco significato teologico, che il magistero gli ha riconosciuto, attribuendogli il valore di un «sacramentale». Si tratta cioè di un segno sensibile, approvato dalla Chiesa, con il quale evidenziamo la nostra consacrazione o «affidamento» alla Madonna e i vincoli di amore che ci legano a lei. Come l'anello nuziale è una testimonianza della consacrazione matrimoniale di un uomo e di una donna, così lo scapolare dice a tutti che uno è consacrato a Maria.

Significato

Il significato dello scapolare si compendia dunque attorno a questi punti:

1. È segno e pegno. Segno di appartenenza a Maria, pegno della sua materna protezione, non solo in vita, ma anche dopo la morte.
2. Comporta l'aggregazione alla famiglia dei «fratelli della beata vergine Maria».
3. Con lo scapolare Maria stessa consacra il proprio figlio, vestendolo e segnandolo in modo speciale come appartenente a lei. «Donna, ecco il tuo figlio!» (Gv 19,26).
4. Il devoto (dal latino devóvere, offrire, consacrare) con lo scapolare, «consegna sé stesso» a Maria. Come un uomo libero nel Medio Evo si consegnava ad un signore per prestargli servizio e riceverne protezione. «Ecco la tua madre!» (ibid., 27).
5. Il devoto si impegna a vivere il suo servizio al Signore Gesù, attraverso l'intimità familiare con Maria, come «fratello della beata vergine Maria». «Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (ibidem). Per comprendere lo scapolare bisogna porsi in un'ottica «cavalleresca» che era quella del tempo in cui è nato, ma che appartiene anche ai valori intramontabili dell'uomo. Chi porta lo scapolare, ha detto Pio XII, «fa professione di appartenere a nostra Signora, come il cavaliere di quel tredicesimo secolo - a cui risale l'origine dello scapolare - che si sentiva, sotto lo sguardo della sua “dama”, forte e sicuro nel combattimento e che, portando i suoi “colori”, avrebbe preferito mille volte morire che lasciarli macchiare» (Pio XII, discorso nel settimo centenario dello scapolare carmelitano, 6 agosto 1950).

Norme pratiche

Ogni sacerdote può imporre lo scapolare, benedicendolo con un segno di croce.
Il primo abitino deve essere di stoffa, benedetto e imposto da un sacerdote. Quando lo si deve sostituire, non è più necessaria un'altra benedizione: basta procurarsi un altro scapolare e indossarlo. Andando incontro alle esigenze della vita moderna, il papa san Pio X concesse di sostituire lo scapolare con una medaglia che abbia da un lato l'immagine del sacro Cuore e dall'altra quella della Madonna. Per la sua origine e il suo significato è preferibile usare lo scapolare. In concreto è consigliabile di usare la medaglia di giorno e indossare lo scapolare nel tempo di riposo. Ritrovare ogni sera lo scapolare accanto al letto e compiere il gesto di indossarlo richiama alla mente la consacrazione a Maria e rinnova la fiducia in lei.

Ai devoti dello scapolare è raccomandata in modo speciale la recita del rosario, come colloquio giornaliero con la propria Signora e Sorella e come incontro d'amore con lei nella preghiera. A Fatima le apparizioni si conclusero con la visione della Madonna del Carmelo. Lucia, fattasi poi carmelitana scalza, disse che nel messaggio della Madonna «il rosario e lo scapolare sono inseparabili».

Benedizione e imposizione dello scapolare
Il Sacerdote, rivestito di cotta e stola bianca (o almeno stola) dice:
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.

Preghiamo

Signore Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, benedici questo Abito che il tuo figlio (la tua figlia) si appresta a indossare devotamente a prova del suo amore, a te e alla tua madre, la beata Vergine Maria del Monte Carmelo; fa' che per la intercessione della stessa tua Madre, difeso (difesa) dal potere diabolico, perseveri nella tua grazia fino alla morte. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti Amen.
Dóminus vobiscum.
Et cum spiritu tuo.

Orémus.

Dómine Iesu Christe, humani generis Salvátor, hunc habitum, quem propter tuum tuaéque Genitrícis Vírginis Maríæ de Monte Carmelo amórem servus tuus (ancilla tua) devóte est delatúrus (-a) déxtera tua sanctí+fica, ut eádem Genitríce tua intercedénte, ab hoste malígno defénsus (-a) in tua grátia usque ad mortem persevéret: Qui vivis et regnas in saécula sæculórum. Amen.
Per molti:
Orémus. Dómine Iesu Christe, humani generis Salvátor, hunc habitum, quem propter tuum tuaéque Genitrícis Vírginis Maríæ de Monte Carmelo amórem servi tui (ancillæ tuæ) devóte sunt delatúri (-æ) déxtera tua sanctí+fica, ut eádem Genitríce tua intercedénte, ab hoste malígno defénsi (-æ) in tua grátia usque ad mortem persevérent: Qui vivis et regnas in saécula sæculórum. Amen.

Il Sacerdote asperge lo scapolare con l'acqua benedetta e lo impone al fedele dicendo:

Prendi questo abito benedetto e prega la Vergine Santissima perché, per i suoi meriti, ti conceda di portarlo senza macchia, ti difenda da ogni avversità e ti conduca alla vita eterna.
Áccipe (accípite) hunc habitum benedíctum precans (-tes) sanctíssimam Vírginem, ut eius méritis illum pérferas (-átis) sine mácula, et te (vos) ab omni adversitáte deféndat, atque ad vitam perdúcat ætérnam.
Amen.

E prosegue:

Amen.
Per le facoltà che mi sono state concesse, ti rendo partecipe di tutti i beni spirituali, che per la misericordia di Gesù Cristo sono compiuti dai religiosi Carmelitani: nel nome del Padre, + del Figlio e dello Spirito Santo.
Ego, ex potestáte mihi concéssa, recípio te (vos) ad participatiónem ómnium bonórum spirituálium, quæ, cooperánte misericórdia Iesu Christi, a Religiósis de Monte Carmelo peragúntur. In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti.
Amen.
Amen.

Ti benedica Dio Onnipotente + Creatore del cielo e della terra, che si è degnato di ammetterti nella Confraternita della beata Vergine Maria del Monte Carmelo - Preghiamo la Vergine Santa perché nell'ora della tua morte schiacci il capo del Maligno e ti faccia conseguire la palma del trionfo e la corona dell'eterna eredità.
Bene+dícat te (vos) Cónditor cæli et terræ, Deus omnípotens, qui te (vos) cooptáre dignátus est in Confraternitátem beatæ Maríæ Vírginis de Monte Carmélo: quam exorámus, ut in hora óbitus tui (vestri) cónterat caput serpéntis antíqui, atque palmam et corónam sempitérnæ hereditátis tandem consequáris (consequámini). Per Christum Dóminum nostrum
Amen.
Amen.

Infine il Sacerdote asperge il fedele con l'acqua benedetta e intona una preghiera mariana (L'Ave Maria, La Salve Regina, il Sub tuum præsidium, il Memorare).

lunedì 26 maggio 2008


Preziosissimo Sangue di Cristo

Nella Bibbia e nell’Antico Testamento è ribadito l’importanza del Sangue. In Levitico 17,11 è scritto "La vita di una creatura risiede nel sangue" (Levitico 17,11). Il sangue quindi fa parte della vita ed è una componente fondamentale dell’essere vivente. Un altro passo illuminate è Genesi 4:9-8 "Allora il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!". Se quel sangue non fosse vita come poteva gridare a Dio? Tutto l’Antico Testamento è pieno di episodi relativi al tema del sangue. Dio Padre comanda di non versare il sangue, cioè di non spargerlo inutilmente con gli assassini, di non berlo e di non mangiare carni animali che contengano ancora residui di sangue; perché il sangue è vita, il sangue è sacro. (Deuteronomio 12,23).

Preziosissimo Sangue

Nella Sacra Scrittura si parla del Sangue in due modi: Sangue versato e Sangue asperso.
In Esodo 12:22 troviamo che agli israeliti fu comandato di prendere un fascio di issopo e bagnarlo nel sangue dell'Agnello, poi spruzzarlo sugli stipiti e sull'architrave della propria porta. Così, quando quella notte arrivò l'angelo della morte, vedendo il sangue su quelle porte passò oltre le loro case. Perché gli israeliti non misero semplicemente il bacino col sangue sulla
soglia? Perché non lasciarono il contenitore fuori, magari appoggiato su qualche piedistallo. Perché quel sangue è stato prefigurazione del Sangue di Cristo che è stato Sparso durante la Passione. Infatti leggiamo in Ebrei 9:22-23 " Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono. Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con tali mezzi; le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi".

Ancora dalla Sacra Scrittura possiamo attingere che dopo che Mosè ebbe letto i comandamenti, risposero, "Abbiamo capito – e obbediremo." Essi, quindi, accettarono il patto col Signore. Il patto fu sigillato, ratificato, come abbiamo citato in Ebrei cap. 9 attraverso l'aspersione del sangue su di esso. Mosè ci dice: "Preso il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issopo, ne asperse il libro stesso e tutto il popolo..." Il sangue versato dalle offerte bruciate era in un bacino. Mosè prese un po' di questo sangue e lo versò presso l'altare. Poi prese un fascio d'issopo, lo immerse nel bacino e spruzzò di sangue le dodici colonne (rappresentavano le dodici tribù di Israele). Bagnò nuovamente l'issopo e finalmente spruzzò il popolo. Il sangue coprì la gente e sigillò l'accordo! L’atto di aspersione concesse agli israeliti pieno accesso a Dio, con gioia. Oltre al perdono e la remissione dei peccati ha il valore della comunione. E furono santificati, mondati - degni di stare alla presenza di Dio. Poi Mosè, Nabad, Abihu e settanta degli anziani salirono sulla montagna per incontrare Dio. Il Signore apparve loro, ed essi si sedettero in presenza di Dio e con Lui mangiarono e bevvero: "Ma egli non stese la sua mano contro i capi dei figli d'Israele; ed essi videro DIO, e mangiarono e bevvero" (Esodo 24:11).

Poco prima questi uomini avevano temuto per le loro vite e poco dopo, tramite l’aspersione del sangue che li lavò dai loro peccati poterono mangiare e bere alla presenza di Dio. Anche questo è una prefigurazione i quel patto definito che Gesù Cristo ha sigillato con tutti gli uomini per dare la salvezza eterna.

Meditando la Passione di Cristo e partecipando alla Eucaristia, ogni uomo ritrova la strada per tornare all'unico patto d'amore, Eterna Nuova Alleanza siglata mediante l’effusione del Sangue di Gesù Cristo.

"Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo Sangue, uomini di ogni tribù, lingua popolo e nazione "(Ap 5,6-9): ecco la mirabile visione dell'Apocalisse in cui le moltitudini cantano la Gloria di Dio, riconoscendo la potenza del Sangue preziosissimo di Gesù Cristo. In 1Pietro 1,17-19 leggiamo" E se pregando chiamate Padre colui che senza riguardi personali giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio. Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia."
Il Sangue di Cristo è la più grande e perfetta rivelazione dell'Amore Trinitario e la sua effusione vivificante è sorgente della Chiesa, che continuamente rinasce, santa ed immacolata, nutrendosi del Sangue divino e, attraverso di essa, è riscatto per l 'uomo peccatore a cui viene donata ricchezza, libertà, gloria e salvezza.

La vita spirituale trova un insostituibile alimento nel Sangue di Cristo, vero fulcro del cuore, della vita e della missione della Chiesa. Gesù stesso, nell'Ultima Cena, dà importanza rilevante al Sangue, che è simbolo della Redenzione Marco 14,22-24 "Mentre mangiavano, Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Gesù disse: «Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti."

Anche San Paolo e san Pietro, come abbiamo già citato, nelle loro lettere parlano con devozione del Riscatto umano dal peccato, che è avvenuto tramite la morte di Gesù, il quale ha tanto amato gli uomini fino a versare il suo Prezioso Sangue.

Come testimonia la Parola di Dio del Nuovo Testamento, le preghiere e la Liturgia antichissima la devozione al Preziosissimo Sangue risale alle origini stesse del Cristianesimo stesso. Altre testimonianze sono gli scritti dei Padri della Chiesa, tra i quali sant'Agostino (354-430) del quale citiamo queste parole: "Cristo rese prezioso il sangue dei suoi seguaci per i quali aveva pagato col proprio sangue. Considera perciò, o anima redenta dal sangue dellj4gnello senza macchia, quanto grande sia il tuo valore! Allora non reputate voi stessi di poco valore, se il Creatore dell'universo e vostro vi stima tanto da versare ogni giorno per voi (nell'Eucarestia) il sangue preziosissimo del suo Unigenito ".

Nei secoli seguenti e in particolare dal Medioevo la devozione al Sangue di Gesù assunse espressioni più marcate con l'accentuarsi della devozione alla Umanità di Cristo, specialmente ad opera di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) e di san Francesco d'Assisi (1182-1226) e dei loro discepoli. San Bonaventura disse : "Tesoro preziosissimo, incomparabile sono le stille del Sangue di Cristo ". "Una sola goccia di questo Sangue Prezioso sarebbe sufficiente per salvare il mondo", disse Tommaso d'Aquino, in virtù dei meriti infiniti che gli conferirono l'unione con la Persona divina del Verbo. E fu un fiume che si spanse sulla terra dal Golgota e che si riversò dal Cuore aperto dalla lancia del soldato romano per manifestarci l'ardore del suo infinito Amore.
Dopo un breve periodo di decadenza, relativo ai secoli XVII e XVIII, la devozione ritrova il suo antico splendore e la sua feconda vitalità ad opera di S. Gaspare del Bufalo che dal Mistero del Sangue trae la ricchezza di santità per se e per i fedeli, e la forza d'un apostolato diretto al rinnovamento della società del suo tempo, raccogliendo numerosi Sacerdoti e Fratelli nella "Congregazione" da lui chiamata "dei Missionari del Preziosissimo Sangue".

Luce e impulso nuovi verranno alla devozione dal Pontificato di Giovanni XXIII, in particolare dalla sua Lettera Apostolica "Inde a primis", primo documento pontificio avente il solo scopo di promuovere il culto al Preziosissimo Sangue.

Ai nostri giorni, la devozione è stata grandemente arricchita dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Il fervore di studio che lo ha caratterizzato, ha favorito un felice ritorno a quelle sorgenti, Bibbia e Liturgia, dalla quale è scaturita la stessa devozione e alle quali per lungo tempo si è riferita come al suo nutrimento più vitale. l Documenti conciliari, nelle loro affermazioni-chiave, menzionano esplicitamente il Mistero del Sangue: la sola Costituzione sulla Chiesa lo richiama 11 volte!


Un altro interessante documento è "Il Redentore dell'uomo", lettera enciclica di papa Giovanni Paolo II, che ci ricorda il posto essenziale e fondamentale che occupa il mistero della Redenzione nella fede cristiana.