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venerdì 3 luglio 2009


Cristiani nelle terre del Corano

Con Gesù in mezzo all’islam

«Lo dico sempre con tanto amore ai giudei: voi siete come me chiamati alla fede in Gesù. Come anche i musulmani. Gesù veramente chiama tutti. E la sua non è una nuova religione contro quelle di prima o di dopo. È qualcosa d’altro. Un’altra cosa».

Intervista con Grégoire III Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti

di Gianni Valente

Sulla condizione presente e sul destino dei cristiani in Medio Oriente tornano a concentrarsi attenzioni diffuse. C’è chi, seguendo il Papa, esprime in questo modo la sollecitudine per i drammi e le sofferenze vissuti dall’inerme gregge di Cristo nelle terre dove è iniziato il cristianesimo. In altri casi, tanto zelo appare spesso predeterminato da fattori di schieramento cultural-politico. Pochi ascoltano gli argomenti e le ragioni dei cristiani arabi. Pochi prendono come punto di partenza il loro sguardo su quello che sta succedendo nella polveriera mediorientale.

Anche per questo può tornar utile ascoltare sua beatitudine Grégoire III Laham, patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti dal 2000.

Quello che accade in Iraq a molti appare come l’epicentro di un fenomeno più grande: la sparizione dei cristiani da tutto il Medio Oriente.

GRÉGOIRE III LAHAM: Gesù ci ha detto di non avere paura. E noi siamo sempre sul punto di avere paura. Ma un pastore deve incoraggiare il suo popolo. Non possiamo cadere nel panico. In Iraq c’è una situazione terribile di crimine, vendetta e terrore. Ai cristiani capita quello che capita agli altri. Qui in Siria sono arrivati un milione e mezzo di profughi iracheni, e tra loro i cristiani sono una piccola minoranza. Vuol dire che da lì fuggono tutti. So che in Occidente qualcuno sta giocando con queste cose. Ma non mi sembra utile ai cristiani di qui il tentativo di isolare le loro sofferenze da quelle degli altri.

La guerra ha portato anche la persecuzione, ha detto il patriarca caldeo Emmanuel III Delly.
GRÉGOIRE III: Ogni approccio ai problemi di qui che non parte da criteri schiettamente politici si ripercuote su di noi. Questo è accaduto in Iraq. Gli americani sono arrivati quasi con l’intento dichiarato di una crociata nuova, che cambiasse il volto del Medio Oriente. Adesso in Libano sento affibbiare l’etichetta di “crociati” perfino ai soldati dell’Unifil. E i cristiani vengono sempre associati a queste strategie occidentali. Nell’ultima lettera di Natale ho scritto: «Cari musulmani, non possiamo tollerare che tra voi ci sia chi ci definisce come gli alleati dei “crociati”. Viviamo, lavoriamo, lottiamo con voi. Costruiamo con voi il futuro di queste nazioni».

In certe analisi il Medio Oriente viene descritto tout court come un luogo di persecuzione dei cristiani.

GRÉGOIRE III: Qui in Siria il governo tratta le chiese come tratta le moschee. Siamo esentati dal pagamento della luce e degli altri servizi. Lo scorso anno, un decreto presidenziale approvato dal Parlamento ha stabilito che i cattolici, su questioni che toccano i diritti individuali come quelle matrimoniali e di eredità, seguano norme giuridiche proprie. In pratica hanno preso il diritto canonico per le Chiese orientali e lo hanno trasferito nel diritto civile. Una o due volte l’anno vado col mio vicario generale a trovare il presidente Assad e i suoi collaboratori. Lui ha voluto pranzare con tutti i patriarchi e i capi delle Chiese in occasione della Pasqua. Parliamo di politica, comprese le relazioni tra Oriente e Occidente E poi vengono a trovarci ministri, parlamentari, shaykh.

La Siria sarebbe uno Stato canaglia. Ma in Medio Oriente, quando i cristiani fuggono, spesso fuggono a Damasco.

GRÉGOIRE III: Qui per noi c’è la migliore situazione di tutto il Medio Oriente. Preghiamo che rimanga. C’è sempre il pericolo che tutto questo venga destabilizzato, magari da chi vuole forzare le cose per creare una nuova situazione di potere nell’area.

Si registra anche in Siria la crescita dell’integralismo religioso tra il popolo?

GRÉGOIRE III: C’è un contagio integralista che si registra in tutto il mondo, e non solo in Medio Oriente. Qui in Siria il governo è forte e cerca di porre degli argini. Per esempio, coi ragazzi si lavora molto coi libri di formazione civica. E anche i testi di catechismo e di insegnamento religioso, compresi quelli nostri, vengono sottoposti al vaglio del Ministero dell’Educazione e di quello della Cultura. Si vigila per garantire che siano ispirati al rispetto reciproco e alla convivenza, senza istigazioni all’odio e al disprezzo verso le altre religioni. Il nostro testo è in vigore da più di quarant’anni, una commissione mista di sacerdoti e professori delle diverse Chiese lo ha rivisto nel 2002, sotto il controllo del Ministero dell’Educazione. Io ne vado molto fiero.

Quali criteri secondo lei devono ispirare lo sguardo e l’atteggiamento dei cristiani verso i credenti islamici?

GRÉGOIRE III: In Vaticano a volte ci hanno detto che noi cristiani orientali dobbiamo lavorare con l’islam per favorire i diritti umani, l’emancipazione della donna, la difesa della vita, la libertà religiosa. Ma che vuol dire? Noi abbiamo una relazione unica, specifica con l’islam, che non è quella che voi avete in Europa con le minoranze islamiche. Io dico sempre: noi siamo la Chiesa dell’islam.

Quest’espressione le piace. La usa spesso.

GRÉGOIRE III: Anche il giornale egiziano Al-Ahram ha scritto che è la formula più riuscita per descrivere la condizione comune dei cristiani nei Paesi arabi e del Medio Oriente. L’islam è il contesto in cui viviamo e con cui siamo storicamente solidali. Abbiamo vissuto 1.400 anni in mezzo a loro. Capiamo l’islam dall’interno. Quando sento un versetto del Corano, per me è un’espressione della civiltà cui appartengo. E a noi tocca di testimoniare Cristo nel mondo dell’islam. Abbiamo una responsabilità unica. Non potremo rispondere come Caino, quando il Signore gli chiese dove era Abele.
Nelle terre dell’islam non sono possibili strategie missionarie.
GRÉGOIRE III: Ma si può approfittare di ogni contatto umano. Mostrare una Chiesa che li ama. Valorizzare tutte le affinità e le simpatie possibili. I dicasteri vaticani possono fare documenti su documenti. Ma poi tocca a noi testimoniare Cristo davanti ai nostri fratelli islamici nella vita di ogni giorno.
Può fare qualche esempio concreto?
GRÉGOIRE III: Una volta, alla fine del Ramadan, il gran muftì di Damasco Ahmed Kaftaro mi ha invitato a predicare dal pulpito della moschea. Anche quando stavo a Gerusalemme mi è capitato tante volte di essere accolto in moschea, dopo le manifestazioni dei palestinesi. Essere Chiesa dell’islam vuol dire anche questo.
Intanto, in Occidente, aumentano le voci di chi sostiene che la violenza è un elemento radicato nella natura stessa dell’islam.
GRÉGOIRE III: Sono travisamenti che prendono a pretesto una lettura fuorviante del discorso di Ratisbona, che il Papa stesso ha sconfessato. Anche la citazione di Manuele Paleologo, che ha fatto esplodere tante reazioni violente, era un’estrapolazione di una disputa lunghissima tra l’imperatore e il saggio islamico, che durava addirittura giorni. Nel Papa non c’era alcuna intenzione di offendere l’islam. E del resto anche il Vangelo può diventare oggetto di manipolazioni maligne e fuorvianti. Ad esempio quando Gesù dice: «Non sono venuto a portare la pace ma la spada».
Gli intellettuali occidentali più polemici con l’islam si spingono a dire che «il nostro Dio non è il loro Dio…».
GRÉGOIRE III: Coi fratelli islamici eviterei discussioni teologiche inconcludenti per stabilire se adoriamo o no lo stesso Dio. Mi sembrano cose da accademia teologica. Il mistero di Dio è così grande, non possiamo comprenderlo. Davanti a esso noi esclamiamo: che bello! Ma che cosa comprendo di questa bellezza, che cosa comprendo di Dio? Quando confessiamo il mistero della Trinità, magari la bellezza di questo mistero può toccare e sorprendere anche gli altri. Ma poi non tocca a noi “dimostrare” questo mistero. Si rischia di essere temerari. Quindi, meglio attestarsi su quanto ha indicato il Concilio Vaticano II: «La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio», i quali, benché «non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione». Del resto, neanche il giudaismo riconosce la Trinità e la divinità di Gesù, Figlio di Dio.
A volte le Chiese d’Oriente vengono presentate come ricettacoli di antisemitismo.
GRÉGOIRE III: È vero proprio il contrario. Lo dico sempre con tanto amore ai giudei: voi siete come me chiamati alla fede in Gesù. Come anche i musulmani. Gesù veramente chiama tutti. E la sua non è una nuova religione contro quelle di prima o di dopo. È qualcosa d’altro. Un’altra cosa. Something else, come dicono gli inglesi.
Riguardo ai rapporti con i cristiani ortodossi, qualche anno fa si era ipotizzato, come esperimento locale di riconciliazione, il ritorno alla piena comunione tra la vostra Chiesa e il patriarcato ortodosso di Antiochia.
GRÉGOIRE III: Avevamo coltivato quel progetto forse con troppa euforia, come se fosse una cosa realizzabile dall’oggi al domani. Il patriarca Maximos, mio predecessore, era già vecchio. Da Roma c’è arrivato un richiamo: continuate a dialogare, ma non arrivate a risultati definitivi in campo teologico senza accordo con la Santa Sede. Purtroppo la nostra gerarchia l’ha preso come uno stop. E adesso la cosa è stata accantonata. Ma con gli ortodossi abbiamo comunque rapporti di fraternità, compresi i ritiri comuni del clero.
Secondo lei quali sono le prospettive del dialogo cattolico-ortodosso in corso sui temi della collegialità e del primato?
GRÉGOIRE III: La Chiesa ortodossa non può accettare l’ecclesiologia romana come tale. Bisogna capire che l’ecclesiologia sviluppatasi nella Chiesa latina non si può imporre ai cristiani orientali. Loro possono accettare il primato del Papa come titolare della prima sedes e come ultima istanza a cui ricorrere. Ma non la prassi del centralismo senza reale collegialità. Se Roma vuole andare avanti bisogna riprendere le formule che Ratzinger aveva esposto negli anni Settanta sul rapporto con le Chiese d’Oriente.
In campo cattolico, anche rispetto al dialogo con gli ortodossi, si parte spesso dal rapporto tra Chiesa universale e Chiesa locale.
GRÉGOIRE III: La Chiesa universale non è la somma di tante Chiese locali. E non è nemmeno un concetto astratto. La Chiesa di Cristo esiste concretamente in un determinato posto. San Clemente papa scrisse la sua lettera intestandola «Dalla Chiesa di Dio, che alberga a Roma, alla Chiesa di Dio, che alberga a Corinto». Mica scrisse alla Chiesa “locale” di Corinto. Dove ci sono i sacramenti, la fede, il Credo, cosa manca? C’è anche il Papa, perché il vescovo o il parroco che celebrano l’Eucaristia sono in comunione con il Papa. La Chiesa una, santa, cattolica e apostolica è presente anche in una piccola parrocchia dove il sacerdote celebra la messa davanti a uno o due fedeli. Non è che c’è “più” Chiesa se ci sono tutti i vescovi riuniti in Concilio. Una goccia di mare ha tutti gli elementi del resto dell’acqua di mare. Così ogni Chiesa in un determinato luogo ha tutti gli elementi dell’unica Chiesa di Cristo.

Cosa risponde a chi dice che le Chiese cattoliche orientali sono d’ostacolo alla riconciliazione con gli ortodossi?
GRÉGOIRE III: Le Chiese orientali cattoliche diventano un problema soprattutto perché gli ortodossi vedono il trattamento che a volte viene loro riservato. Vengono definite Chiese sui iuris, ma poi non si riconosce che il patriarca è capo e padre della sua Chiesa. Vengono nominati vescovi per le nostre comunità in diaspora, ad esempio nei Paesi americani, e noi non abbiamo voce in capitolo su queste decisioni. Ai nostri vescovi arrivano dei formulari in cui si chiede loro: da che Congregazione dipendete? Chissà cosa ne penserebbero i patriarchi e i metropoliti ortodossi: io, patriarca, io vescovo, “dipendo” da un ufficio vaticano? Cosa vuol dire?
Delle Chiese orientali si dice: troppe curie, gelose delle proprie prerogative, e pochi fedeli, sempre di meno. Si offre spettacolo di divisione proprio dove le minoranze cristiane dovrebbero unirsi. Cosa pensa di questa obiezione?
GRÉGOIRE III: Anche in Italia ci sono alcune diocesi piccolissime. E poi qui c’è un elemento della tradizione che va rispettato. Una comunità di fedeli siro-cattolici o ortodossi, per quanto piccola, non può essere assimilata ai greco-ortodossi, ai latini, ai caldei. Vai a sentire le loro liturgie, ascolta i loro inni… Già al Concilio Vaticano II c’era chi tirava fuori questa idea: uniamo tutti i cristiani di un Paese sotto un solo rito e un solo vescovo o patriarca. In Libano il maronita, in Siria il melkita, in Egitto il copto… Ma solo chi le guarda da lontano, con occhio da contabile più che da pastore, può pensare di omologare tradizioni così varie e così ricche.
E a chi stigmatizza la vostra animosità nei confronti di Roma, cosa risponde?
GRÉGOIRE III: Siamo a Damasco. Qui, da quando nel 1724 abbiamo ritrovato la comunione con il vescovo di Roma, siamo stati fuori legge per 120 anni. I sacerdoti andavano con l’abito per le liturgie nascosto nei cesti, entravano nelle case e celebravano messa sottovoce. Abbiamo sofferto molto, per affermare la nostra comunione con la sede di Roma. È un segno di quanto ci teniamo.

mercoledì 23 aprile 2008

Origine della Custodia
di Terra Santa

Siamo agli inizi del secolo XIII. Il piccolo gruppo dei seguaci di S. Francesco è diventato un grande Ordine religioso animato da grande fervore e da irrefrenabile dinamismo.
Al Capitolo generale del 1217 - i "Capitoli generali" sono i raduni periodici (come gli odierni "congressi") che ne puntualizzano lo stato e ne fissano le linee di sviluppo - i francescani decisero di portare l’annuncio evangelico e la testimonianza della loro vita in tutto il mondo.
Decisione che nasceva dallo spirito profetico ed ecumenico di S. Francesco. "Tutti gli uomini - sintetizzerà il Concilio Vaticano II - sono chiamati a formare il nuovo popolo di Dio". Tutti: cattolici e non cattolici, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti (islamici, buddisti, ecc).
Nel Capitolo generale del 1217 il mondo intero venne diviso in "Province" francescane e i frati sciamarono da Assisi verso i quattro punti cardinali.
L’iniziativa ridette vitalità all’impulso missionario della Chiesa che si servì spesso dei francescani. Nei secoli XIV, XV e XVI alcuni Legati mandati dai Papi nelle nazioni dei greco-ortodossi e in quelle più lontane - geograficamente e ideologicamente - degli "infedeli", furono frati minori. Basti ricordare Giovanni del Pian dei Carpini, Odorico da Pordenone, Giovanni da Montecorvino, Giovanni dei Marignolli, che furono nel secolo XIV messaggeri del vangelo e della Chiesa fino all’interno della Russia, fino al Tibet, fino a Pechino.
Una delle ‘Province’ costituite nel Capitolo del 1217 fu la Provincia di Terra Santa, chiamata anche di Siria, di Romania, o, con termine più generico, Ultramarina. Si estendeva a tutte le regioni gravitanti sul bacino sud-orientale dle Mediterraneo, dall’Egitto fino alla Grecia e oltre.
Comprendendo la patria di Cristo, questa Provincia fu considerata la perla delle missioni francescane. S. Francesco vi soggiornò parecchi mesi, fra il 1219 e il 1220. Esemplare fu il contatto che stabilì con quello che era allora l’antagonista ‘storico’ del cristianesimo: l’Islam. Propose in tono umile il mistero di Cristo, soltanto nel quale c’è salvezza. Nello stesso tempo confortò l’insediamento dei suoi frati, che sarebbe durato ben oltre il tormentato periodo crociato.
La Provincia di Terra Santa continuò nei tempi successivi ad essere trattata dalle Autorità dell’Ordine con le attenzioni dovute alla creatura prediletta di S. Francesco. Nel Capitolo generale di Pisa, tenutosi nel 1263 sotto il generalato di S. Bonaventura, si constatò che la grande estensione ostacolava l’organizzazione di un lavoro apostolico e capillare. Per cui la Provincia di Terra Santa venne ristretta a Cipro, Siria, Libano e Palestina: cioè ai territori corrispondenti al dominio crociato.
Come in altre Province religiose, anche la Provincia di Terra Santa era suddivisa in più sottocircoscrizioni chiamate "Custodie", che comprendevano i conventi di una determinata regione. Durante il secolo XIII era formata dai conventi di Acri, Antiochia, Sidone, Tripoli, Tiro, Gerusalemme e Giaffa. L’apostolato dei frati si svolgeva in gran parte, anche se non esclusivamente, entro l’ambiente crociato.
La caduta di S. Giovanni d’Acri in mano musulmana il 18 maggio 1281 segnò pure la fine della primitiva presenza francescana in Terra Santa.
Instaurato di nuovo e definitivamente il dominio islamico in Palestina, i frati minori si rifugiarono a Cipro, sede del Superiore provinciale della Provincia d’Oriente. Da Cipro venne avviata, diretta e gradualmente potenziata la successiva presenza francescana a Gerusalemme e nelle altre zone dei santuari palestinesi. Una bolla di Papa Giovanni XXII (9 agosto 1328) concedeva al Ministro provinciale residente in Cipro facoltà di inviare ogni anno due suoi frati nei luoghi santi.
Da vari indizi storici si rileva la presenza di alcuni francescani al servizio del S. Sepolcro già entro il periodo 1322-1327.
Attorno al 1333 Fra Ruggero Garini riuscì ad ottenere dal Sultano d’Egitto il S. Cenacolo presso il quale fondò, grazie alla generosità della regina Sancia di Napoli, un convento per i suoi confratelli. Contemporaneamente le autorità musulmane riconoscevano ufficialmente la presenza dei francescani, come officianti abituali, nella basilica del S. Sepolcro.
Il definitivo ritorno dei figli di S. Francesco in Terra Santa, in possesso legale di determinati santuari e con il diritto d’uso per altri, si deve alla munificenza di Roberto d’Angiò re di Napoli e della sua consorte, la già ricordata regina Sancia. Dopo laboriose trattative con il sultano d’Egitto condotte tramite il citato Fra Ruggero Garini, i reali acquistarono con denaro sonante il Cenacolo e il diritto di funzionamento del S. Sepolcro. E ottennero che i francescani godessero di tali diritti "in nome e per conto" della Chiesa cattolica. Papa Clemente VI con le bolle "Gratias agimus" e "Nuper carissimae" del 21 novembre 1342, approva l’operato dei Reali di Napoli ed emana disposizioni per il buon funzionamento del nuovo organismo ecclesiastico-religioso.
Le due bolle sono in pratica l’atto costitutivo della nuova Custodia di Terra Santa di cui enunciano il basilare principio giuridico-ecclesiastico. I frati possono provenire da tutte le Province dell’Ordine (internazionalità della Custodia). E una volta al servizio dei Luoghi Santi, sono sotto la giurisdizione del Padre guardiano (=superiore) del convento del Monte Sion in Gerusalemme , dipendente a sua volta dal Ministro provinciale di Terra Santa con sede a Cipro.
Nel 1347 i francescani si insediano definitivamente anche a Betlemme presso la basilica della Natività di Nostro Signore.
I primi Statuti di Terra Santa, che risalgono al 1377, prevedevano non più di venti religiosi al servizio del S. Cenacolo, del S. Sepolcro e di Betlemme. Dovevano assicurare la vita liturgica nei santuari e l’assistenza religiosa ai pellegrini europei.
In questo primo periodo ufficiale della sua storia la Custodia ebbe il sigillo del martirio. Ricordiamo i quattro canonizzati da Paolo VI il 21 giugno 1970: Nicolò Tavelic’ (croato), Stefano da Cuneo (italiano), Deodato da Rodez e Pietro da Narbona (francesi). Appartenevano al convento del Monte Sion in Gerusalemme. Furono uccisi il 14 novembre del 1391.
Nel Capitolo generale di Losanna del 1414 venne riconosciuta la necessità di aumentare il numero dei frati destinati al servizio dei Luoghi Santi.
Nel 1430 fu stabilito che il Padre guardiano del Monte Sion, vale a dire il ‘Custode di Terra Santa’, venisse eletto dal Capitolo generale: si faceva così notare l’importanza dell’ufficio e l’interesse di tutto l’Ordine alla Custodia. Tre secoli dopo l’elezione del Custode venne attribuita al Definitorio generale (cioè al Ministro generale e al suo Consiglio permanente). Nel 1517 la Custodia, pur mantenendo la sua denominazione, acquistò piena autonomia con configurazione di Provincia, caratterizzata sempre però da prerogative del tutto speciali.
In concomitanza al progressivo definirsi della sua figura giuridica, ebbe dalla S. Sede particolari facoltà e autorizzazioni in vista di una più dinamica presenza in Terra Santa, specialmente nell’assistenza spirituale dei pellegrini, e più ancora nell’attività ecumenica. La riconciliazione fra cristiani separati d’Oriente e Chiesa cattolica raggiunta al Concilio di Firenze (1431-43) doveva ben presto rivelarsi effimera. E così per circa due secoli i francescani rapresentarono pressoché l’unica possibilità ‘in loco’ di relazioni dirette e autorizzate del mondo cattolico con le Chiese separate del Vicino e Medio Oriente.
Altra attività, rimasta piuttosto in ombra, è quella, sviluppatasi soprattutto dal secolo XV in poi, dell’assistenza spirituale ai commercianti europei residenti o di passaggio nelle principali città d’Egitto, di Siria e del Libano. Da attività temporanea, specie in occasione dell’avvento e della quaresima, con la seconda metà del ‘500 essa diventò più o meno continuativa, fino ad assumere nel secolo XVII carattere stabile con residenze fisse. I francescani, entrati dapprima come cappellani di consoli di colonie commerciali europee, vi rimasero come apostoli a servizio di tutti. E irradiarono la luce del vangelo attorno alle loro residenze, che un po’ alla volta finirono per configurarsi come vere e proprie parrocchie.
Ma la presenza dei frati in Terra Santa è soprattutto legata ai santuari e alla loro custodia. Tutte le altre attività trassero origine da questo motivo e furono finalizzate a questo servizio di importanza primaria per tutta la Chiesa. Una presenza, che si affermò gradualmente, grazie a successive acquisizioni.
Insieme alle acquisizioni e agli ampliamenti di possesso, però, non mancarono perdite e limitazioni, imposte dai governanti turchi il più delle volte dietro istigazione delle comunità cristiane dissidenti. Basterà ricordare l’espulsione dal S. Sepolcro nel 1551; e le alterne vicende di perdite e di parziali recuperi di diritti nelle basiliche del S. Sepolcro e di Betlemme, vicende che si protrassero per tre secoli, in forma drammatica per tutto il ‘600 e con acute recrudescenze nel ‘700 e nell’ ‘800.
Lungo i secoli i francescani chiesero, direttamente o tramite la S. Sede, protezione alle potenze cattoliche che avevano rapporti diplomatici con i sultani musulmani (nei primi secoli il sultano d’Egitto, poi dal 1517 il sultano di Costantinopoli). Con una bolla del 1623, papa Urbano VIII ribadisce che è dovere di tutti i principi cattolici oltre che dei Sommi Pontefici, proteggere i francescani di Terra Santa perché i giusti titoli del possesso antichissimo dei Luoghi Santi da parte dei frati minori sono titoli di possesso per tutta la Chiesa cattolica e per questo devono interessare tutti i figli della stessa Chiesa.
Naturalmente il rapporto fra la Custodia e l’Occidente cattolico ebbe anche carattere economico. A motivo della sua organizzazione francescana priva di capitali e senza possibilità di proventi nella zona di attività, la Custodia ha sempre avuto necessità di finanziamenti dall’esterno. Lungo i secoli, i papi non cessarono di ricordare a tutta la Chiesa "il dovere di Terra Santa" prescrivendo periodiche raccolte di offerte in tutte le diocesi. Anche l’aiuto economico di alcuni governi europei fu provvidenziale, benché non sempre adeguato alle reali necessità.
Va ricordato comunque che proprio nei secoli difficili che vanno dalla fine del ‘500 a tutto l’ ‘800 i francescani crearono svariate opere religiose, culturali, sociali e assistenziali. Alcune di esse, dati i tempi i luoghi e le circostanze, potrebbero considerarsi opera di pionieri.
Non poche, dal ‘500 all’ ‘800, le variazioni che la figura giuridica della Custodia ebbe nel campo ecclesiastico; variazioni in pratica corrispondenti all’evoluzione della figura giuridica del Padre Custode. Il domenicano P. Felice Fabri, che fu in Terra Santa due volte (1480 e 1483) presenta il P. Custode di Terra Santa con titolo e qualifica di "Provisor" per la Chiesa latina in Oriente, incarico che, come egli dice, il Papa frequentemente gli conferiva.
"Responsabile" della S. Congregazione di Propaganda Fide in quasi tutto il Medio Oriente. È uno dei titoli - che compare la prima volta nel 1628 - dati al Custode di Terra Santa. Altri titoli: "Prefetto delle Missioni" di Egitto, Cipro ecc.; "Commissario Apostolico della Terra Santa e dell’Oriente". Tutti questi titoli e incarichi cessarono con la ricostituzione del Patriarcato Latino di Gerusalemme nel 1847.
I francescani continuano, ancora oggi, la loro missione di "custodia" dei santuari e più genericamente di testimonianza cattolica nei paesi del Medio Oriente. Si tratta di attività potenziate o ristrette, ristrutturate o variate, secondo le esigenze dei tormentati ultimi secoli. Nei decenni anteriori alla prima guerra mondiale, per esempio, sono state sviluppate in maniera cospicua le attività sociali. Negli ultimi cento anni è stato dato notevole impulso all’attività scientifico-culturale nel campo della ricerca biblica e archeologica.

Fonte: sito ufficiale della Custodia di Terra Santa
http://198.62.75.1/www1/ofm/pope/40GPit/46/46GPcu01.html

giovedì 17 gennaio 2008

TERRASANTA
COSA SI PUÒ FARE PER I CRISTIANI
DELLA TERRA SANTA?

Ve lo riassumo nella "dottrina delle quattro P".
- La prima è Prayer: pregare per i cristiani di qui e per le loro necessità;
- la seconda è Pilgrimage: recarsi in pellegrinaggio nei Luoghi Santi è il modo principale per sostenere l'economia in settori come il turismo, i trasposrti, l'artigianato, ecc., perchè quando non ci sono pellegrini in molte famiglie non entra neanche un soldo;
- la terza è Projects: appoggiare sistematicamente opere di aiuto caritativo, educativo e assistenziale;
- e la quarta è Pressing: influire, nella misura delle vostre possibilità, sull'opinione pubblica, compresi gli ambiti più vicini a voi come la stampa locale, i bollettini culturali, i fogli parrocchiali... Tutti potete contribuire a queste quattro P.
Non ditemi che non potete, almeno, pregare per noi.

Monsignor Twal, arcivesco coadiutore di Gerusalemme - Tracce lug/ago 2007 p.104