sabato 11 ottobre 2008

STORIA
I Templari nel Regno Latino di Gerusalemme

Introduzione
La tormentata storia dei cavalieri templari è stata, nel corso dei secoli, oggetto di profondo interesse da parte di storici e studiosi per l’importanza che assunsero nel contesto delle crociate, per l’orgogliosa potenza a cui assursero e per la drammatica fine che subirono. I fattori che determinarono la formazione dell’Ordine sono stati la religione, la difesa del Tempio di Salomone, la cristianità, la cultura, la dignità, la carità, la solidarietà, la fratellanza. La Spiritualità dei Templari, pervasa da valori morali, civili e religiosi costituisce il loro patrimonio più importante. Essi parteciparono a numerose battaglie come difensori della fede e combattenti. Una commistione di elogi e di accuse ha caratterizzato costantemente la vita di quest’Ordine, ed il processo finale che subirono ha esasperato questa realtà.
Nulla di più appropriato dà l’idea della loro esistenza: dagli allori alla polvere, dallo splendore al rogo. La storia li ha seppelliti nella polvere ma, secolo dopo secolo, sono stati ripresi da storici che hanno visto nei Templari i più vari aspetti:
• i difensori dei luoghi santi e dei pellegrini;
• i nobili, gli uomini d’armi e di fede a cui erano attribuiti privilegi, riconoscimenti e donazioni;
• i ricchi proprietari di terre e di danaro;• gli abili finanzieri e gestori di patrimoni, gli efficienti creatori del sistema bancario;
• gli esperti armatori di una flotta navale per il trasporto di passeggeri e merci tra oriente e occidente, i validi assistenti e costruttori di fari collocati agli imbocchi dei porti;
• i costruttori e gestori di complessi edilizi anche religiosi, depositari di pesi e misure e di conoscenze matematiche, algebriche, geometriche acquisite nel mondo arabo, conoscitori di tecniche costruttive di impiego dell’arco “acuto” che caratterizzerà l’architettura gotica; finanziatori delle grandi cattedrali, committenti e mecenati di opere espressione di religiosità vissuta, sentita e difesa;
• i conoscitori di cultura, antiche dottrine, movimenti religiosi e diverse filosofie che facevano capo all’oriente, al mondo ebraico e islamico; i conoscitori di cognizioni esoteriche, gnostiche, cabalistiche e pitagoriche del pensiero cristiano primitivo che si agganciavano a filoni che si rifacevano alle antiche compagini degli Esseni e apprese vivendo a contatto del mondo islamico e del Sufismo (monachesimo musulmano);
• i simoniaci, eretici, omosessuali, ubriachi, colpevoli di ogni sorta di iniquità, oscenità e amoralità;
• i monaci innocenti mandati a morire per la cupidigia di Filippo il Bello;
• i membri esaltati di una setta che ambiva addirittura a mettere un proprio prelato sul trono di S. Pietro.
Oggi l’Ordine del Tempio è un oggetto storico ben definito, anche se non proprio ben conosciuto. Tuttavia nonostante le numerose fonti e i molteplici scritti resta in parte un enigma. Esso è il primo ordine religioso militare creato dalla cristianità occidentale medievale. Ciò fu sicuramente una grossa novità, risultato delle esigenze della crociata e degli sconvolgimenti della società occidentale intorno all’anno mille, sotto il duplice effetto dello sviluppo del feudalesimo e della riforma religiosa gregoriana.
Il 27 Novembre 1095, papa Urbano II durante il Concilio di Clermont, pronuncerà lo “storico” discorso sulla necessità di assicurare la presenza cristiana in Terra Santa: il papa si farà interprete della crescente disperazione di una popolazione oppressa dalla fame e dai soprusi, che costringevano i contadini a cercare un lavoro qualsiasi, di città in città. Il popolo si aspettava dall’impresa giustizia e pace: i primi profeti della crociata trovarono una massiccia adesione da parte di un esercito di “pauperes”, che vivevano quest’avventura come imitazione del Cristo. La Chiesa non aveva alcun interesse a che la lotta contro gli infedeli si trasformasse in uno scontro sociale tra popolo oppresso e autorità feudale. Gli stessi rappresentanti del feudalesimo si metteranno a capo di queste orde in preda al desiderio di possesso, che confortati dal “consenso religioso” che li autorizzava a rubare e uccidere, incominceranno una vera e propria avventura. Molti morirono prima di raggiungere la meta, tra inaudite sofferenze.
Quando fu conquistata Gerusalemme nell’estate del 1099, le popolazioni saracene ed ebree furono massacrate. Inizia nel sangue, l’installazione in Palestina e Siria di un nucleo di conquistatori cristiani che portarono usi Occidentali. Qui nasce una nuova struttura feudale che riproduce strutture ormai sorpassate in Occidente, arretrate e mantenute da una nobiltà che in patria era emarginata. Essi dovettero subito farsi carico di risolvere il problema della sicurezza militare delle installazioni del nuovo regno. Da una parte infatti le forze dell’Islam andavano riorganizzandosi e, premevano alle frontiere in attesa della rivincita, dall’altra gli occidentali concepivano, come unico modo per dissuaderli, il saccheggio dei loro villaggi. La nobiltà franco – siriaca doveva svolgere opera di mediazione che assicurasse le posizioni acquisite e le consentisse di vivere in modo pacifico. Per vivere pacificamente era necessaria una forza militare efficace: una forza che fosse al contempo militare e religiosa, quella degli Ordini, appariva la più adatta. Tutti gli Ordini furono per questo riconosciuti e finanziati dai re di Gerusalemme che assicurarono loro beni, terre e denaro. Inizia così la grande avventura dell’Ordine del Tempio. Tralascerò volutamente tutto ciò che concerne l’aspetto storico – militare dei Templari, su cui molto si è discusso, per cercare di mettere in evidenza gli aspetti più sociologici e culturali, che appaiono invece poco studiate e in parte ancora sconosciute.Il mito dell’infedele e dei popoli occidentali oppressi, verrà sfatato da Foucher de Chartres . Dalla descrizione che ne viene fatta dall’autore, la Terra Santa appare così accogliente che i popoli occidentali li insediati in realtà non pensavano a doversene andare. In realtà gli Occidentali di Oriente sono essi stessi Orientali: avevano sposato donne siriane, armene e saracene che si erano convertite al cristianesimo, coltivavano prosperi campi e vigne, parlano lingue diverse eppure riuscivano a comprendersi. I rapporti erano approntati sul rispetto, sulla libertà di culto, sulla fiducia: lo straniero era diventato indigeno, il pellegrino era diventato residente, e chi era arrivato povero ora si ritrovava ricco. Il quadro che ne risulta è ben diverso da quello prospettato essere in Terra Santa dai fautori della crociata. Le famiglie insediatesi in Palestina convivevano pacificamente con le popolazioni locali, gli scambi non erano solo di natura commerciale ma anche culturali: gli spiriti erano sicuramente divenuti molto elastici e estremamente tolleranti ed era proprio questa tolleranza che aveva portato pace e prosperità. Questo atteggiamento non era compreso da questi pellegrini crociati, che affluivano sistematicamente in Terra Santa, e ciò rendeva gli attriti diplomatici tra regno di Gerusalemme e Stati Europei molto frequenti: incomprensioni e sospetti di tradimento e connivenza con l’infedele renderanno la vita alla feudalità franco – siriaca molto complessa. I nuovi venuti, troppo desiderosi di sterminare i”crudeli“, non solo complicheranno loro la vita ma inaspriranno i rapporti con l’Islam con la conseguenza di ottenere quella coesione tra gli stati islamici, che porterà alla perdita della Terra Santa. Chi rimase in Terra Santa dopo la prima crociata adottarono il dinaro arabo, la dracma d’argento e l’hyperpera Bizantina, divennero esperti nell’economia dei metalli preziosi.
I Templari si adeguarono presto a questi nuovi stili di vita, adottarono le usanze e impararono le lingue locali, prepararono all’interno dell’Ordine, degli specialisti in affari musulmani. Nonostante le disfatte militari, entro la metà del secolo i residenti franchi avevano mutato i loro costumi nativi per adattarli agli usi orientali. In tal modo, ben inseriti nell’economia urbana e monetaria della Terra Santa, i Templari erano perfettamente in condizione di anticipare quel tipo di economia che si sarebbe sviluppata poi in Europa occidentale, e con le loro tecniche erano pronti a soddisfare le domande di clienti che esigevano sofisticati sistemi bancari. Anche nel campo dell’agricoltura i Templari, con il loro incremento della produzione a scopo di vendita, stavano precorrendo le tendenze generali che saranno proprie del XIII secolo.
Quest’attitudine riflette il concetto monetario della vita templare e il loro costante impegno a creare capitali da usare per le battaglie contro i Musulmani. L’amministrazione templare fu preparata ad occuparsi in genere di grandi afflussi di donazioni e trasferimenti di capitali in Terra Santa. È difficile stabilire in che modo si combinassero le attività di finanziatori, mercanti e spedizionieri nella storia templare del XII secolo. Essendo divenuto il Tempio un Ordine molto potente e innovatore e potendo usufruire di una rete di rapporti capillari con tutta l’Europa, esso fu capace di sfruttare le nuove tecniche e le ricchezze a sua disposizione .
Origini dell’Ordine Templare
Fu la lotta per il possesso della Terra Santa che fece apprezzare i Templari ai contemporanei: oggi qualsiasi violenza giustificata da motivazioni di tipo religioso ferisce la sensibilità, ma, a quell’epoca il cavaliere dell’Ordine era il “guerriero di Dio”, e, il suo compito era di servire Dio liberando la Terra Santa dai Musulmani. La pietà religiosa e la missione di liberazione dei Luoghi Santi erano anche nelle stesse crociate frammisti a motivazioni d’ordine politico ed economico. Era logico che l’attenzione si rivolgesse maggiormente a cavalieri appartenenti ad Ordini religiosi presso cui si riteneva di poter ancora trovare l’autentica concezione di una vera cavalleria di Dio. I Templari, come gli altri Ordini cavallereschi apparivano la personificazione della “militia Christi” per antonomasia.
In tutti i recenti studi sui Templari il “De laude novae militiae” è giudicato fondamentale per quello che sarà l’evoluzione successiva dell’Ordine templare. Vi fanno cenno in particolare: Jean Leclerq, Maria Melville, Gilette Ziegler. Secondo la maggioranza degli autori recenti quali Finke, Pernaude e Picar gli inizi dell’Ordine furono poco appariscenti: un cavaliere di nome Ugo di Payns nell’anno 1118 0 1120 si incaricò di proteggere, con un gruppo di compagni che condividevano le sue aspirazioni, i pellegrini che da Gaza andavano a Gerusalemme. La comunità, all’epoca molto piccola, trovò alloggio in un’ala del palazzo di re Baldovino II, che sorgeva nel luogo dove si riteneva fosse stato il tempio di Salomone. Il nome di “militia templi” gli deriva da quello: in origine il gruppo era denominato “pauperi milites Christi”. Secondo il Dailliez i Templari pronunciarono i loro voti di castità, ubbidienza e povertà dinanzi al patriarca di Gerusalemme. La loro vita si modellò sulle norme dei “canonici regolari” di Gerusalemme, ai quali all’epoca erano legati. I cavalieri, all’epoca erano dei “ laici” non ancora un “Ordine“ e quindi non portavano l’abito.
Nel 1126 due membri della nuova comunità intrapresero un viaggio in Francia per pregare Bernardo di Clairvaux di redigere per loro una regola: erano Andrea di Montbard, zio di Bernardo, e Gundemaro. Da recenti ricerche risulta che nel 1128 Ugo di Payns stesso si recò al sinodo provinciale di Troyes, per consigliarsi in merito al futuro della comunità . A Troyes Ugo di Payns presentò un progetto di regola che doveva essere sottoposta al Papa e al patriarca di Gerusalemme. La nuova regola, per influsso di Bernardo, risultò modellata su quella benedettina e, in ultima analisi risulta permeata più da principi di tipo monastico che cavalleresco.
Per Demurger i Templari sono innanzitutto dei religiosi che hanno pronunciato i tre voti di obbedienza, povertà e castità: come i monaci essi vivono secondo una regola, ma a differenza di questi essi non pregano e meditano al riparo del chiostro, ma combattono sul campo di battaglia per difendere Dio e la sua Chiesa. Non sono dello stesso avviso altri autori: per essi i Templari non erano un Ordine monastico votatosi all’ideale della cavalleria crociata, erano un Ordine cavalleresco che aveva tratto le sue norme di vita dalla regola di un Ordine monastico. La forza che li animava era l’ideale devoto ai crociati: la consapevolezza di essere guerrieri di Dio, non la pietà monastica. questo tratto accomunava i Templari a gli altri Ordini cavallereschi: per tutti era elemento essenziale.
Decisiva per la successiva evoluzione dell’Ordine fu l’esenzione dalla giurisdizione del patriarca di Gerusalemme sancita dalla regola. L’evoluzione si fece però problematica col crescere della potenza dell’Ordine e col suo progressivo svincolarsi dai legami di Gerusalemme e con la Terra Santa. Essi, divenuti i crociati per eccellenza, se paragonati ai Gerosolimitani e ai Teutonici presentano un fatto caratterizzante: all’Ordine templare mancava l’elemento caritativo. La protezione dei pellegrini e il presidio delle strade da questi percorse era, infatti, un compito prettamente militare e non caritativo od organizzativo come quello svolto dagli altri due Ordini, almeno da principio. Malgrado ciò i Templari avevano saputo creare l’integrazione organizzata dalla generica devozione dei crociati e dei tipici valori monastici: povertà, castità, ubbidienza.
Le opinioni a questo proposito divergono: alcuni autori quali Bordonove, Kempel e Charpentier fanno risaltare nei Templari i motivi più squisitamente politici, Finke, Guggenberg e Howard connettono le intenzioni politiche a quelle religiose: l’anelito alla sequela assoluta del Cristo, che secondo l’interpretazione dell’epoca trova piena realizzazione solo nel monachesimo, fa sì che la nuova confraternita, che era quella che si avvicinava di più alla cavalleria di Dio nel senso puro del termine, dovesse essere necessariamente subordinata ad una regola monastica che la legasse all’ideale religioso.
La successiva evoluzione dei Templari, quella più squisitamente politica ed economica, la possiamo conoscere consultando i documenti relativi ai privilegi concessi all’Ordine dai papi fin da Innocenzo II che fu il riorganizzatore dei Templari. La bolla “Omne datum optimum” del 1139, secondo la storiografia più recente , sancì un ulteriore passo in direzione della piena indipendenza del Tempio dai poteri sia temporali che spirituali, condizione mai consentita ad altre comunità ed organizzazioni religiose. Ne fu conseguenza quasi necessaria l’invidia e la gelosia nei confronti dei Templari da parte delle altre congregazioni religiose e non. Questa nascente ostilità, la popolarizzazione dei Templari da una parte e di coloro che li invidiavano dall’altra era destinata ad essere una delle cause della futura rovina dell’Ordine che, nel momento del bisogno, non trovò amici .Gli ordini militari e la vita di “outremer”Non appena iniziò a scemare l’impatto iniziale che aveva condotto la I Crociata entro Gerusalemme e insediato il regno franco in Palestina, sorsero i problemi di uno stato cristiano che, situato in terre così remote, dipendeva di fatto dall’occidente. Ai cavalieri franchi occorrevano coloni e rinforzi, essi dovevano fare i conti con l’indifferenza se non con l’ostilità della popolazione locale, da cui dipendeva di fatto per le proprie necessità quotidiane. La crociata, indetta per restituire alla Cristianità, i luoghi santi, trovò impreparati ad affrontare i problemi che insorgevano per mantenerli, chi si era stabilito in quei territori. L’impero d’Oriente, da parte sua, non era disposto ad appoggiare questi “intrusi” per mantenere i territori conquistati.Il regno di Gerusalemme era sorto senza che fosse stata trovata una qualsiasi alternativa, nei primi decenni più che della funzione di “guardiano” dei Luoghi Santi, di cui era stato investito, esso si trovò a doversi occupare della propria sopravvivenza.
Dopo l’insediamento degli ordini militari, che assicuravano una difesa ai pellegrini, che si recavano ai luoghi santi nonché un rifugio sicuro durante tutto il pellegrinaggio, i gravi problemi di difesa dei territori fecero si che il loro compito si estendesse da difensori dei pellegrini a quello di combattenti in una guerra più generale per tenere a bada gli infedeli e proteggere l’intero regno franco. Nei primi anni (1130-1147), la penuria di uomini impedì ai franchi di progettare offensive e finché i cristiani si mantennero sulla difensiva, le forze musulmane restarono disunite, coinvolte nelle loro dispute interne. Una campagna offensiva avrebbe dovuto infatti fare i conti con la possibilità di una resistenza congiunta. Fu un periodo di consolidamento con l’acquisizione di nuove terre e il graduale riconoscimento dell’Ordine dei Templari quale una delle forze stabili in quel regno estremamente instabile.

Origini e sviluppo del Regno Latino di Gerusalemme
Aspetti politici –religiosi e culturali.L’esperienza di “Outremer” (così l’Occidente aveva denominato le terre del Regno Latino), evidenzia come civiltà diverse abbiano potuto vivere all’interno di un territorio, relativamente ristretto: essi erano Italiani di Venezia, Genova e Pisa, e Francesi che convivevano con la popolazione indigena e, in molti casi, si amalgamarono ad essi tramite matrimoni. Matrimoni misti si ebbero anche nell’aristocrazia Greca ed Armena: è noto che sia il Re Baldovino I che Baldovino II abbiano sposato donne armene di fede ortodossa, Jocelin I aveva sposato una donna armena della Chiesa dissidente. Donne cristiane indigene avevano sposato membri della classe dei sergenti di ceppo franco. Coloni francesi abitavano le principali città, italiani, soprattutto veneziani e genovesi si erano stabiliti a Gerusalemme, poi a Giaffa, Acri, Tripoli, Tiro e Antiochia; i pisani si erano stabiliti a Tiro, Acri, Tripoli e Antiochia; gli amalfitani ad Acri . La popolazione era formata da Cristiani indigeni a Gerusalemme, di origine mista e di lingua araba, tutti membri della chiesa ortodossa. Nella Contea di Tripoli alcuni abitanti appartenevano alla setta monotelita detta dei Maroniti, a Nord, gli abitanti indigeni erano monofisiti della chiesa Giacobita, ma vi erano anche Armeni appartenenti alla Chiesa Armena dissidente. Ad Antiochia e Lattakien e nella Cilicia, vi erano gruppi ortodossi di lingua greca. Colonie religiose di ogni denominazione cristiana erano in tutta la Terra Santa. I monasteri erano soprattutto ortodossi di lingua greca, ma vi erano pure delle istituzioni ortodosse georgiane e, a Gerusalemme colonie di monofisiti, sia copti egiziani ed etiopi che giacobiti siriani, nonché alcuni pochi gruppi latini che vi si erano stabiliti prima delle crociate. Villaggi maomettani erano intorno a Nablus e anche la popolazione di parecchi distretti conquistati dai franchi in epoca posteriore era rimasta musulmana. Lungo la frontiera meridionale e nell’Oltre Giordano c’erano tribù di beduini nomadi, una comunità samaritana sopravviveva a Nablus. Queste diverse comunità costituivano la base degli stati franchi. Molti franchi, nobili e mercanti, conoscevano l’arabo.L’intolleranza religiosa, tanto evidente nei tempi di guerra era tutt’altro che assoluta nei tempi di pace.
Di fatto l’immaturità degli “immigrati” venuti a combattere per la croce era l’elemento che rovinava la politica di “Outremer". Costoro avevano una forte posizione all’interno della Chiesa. Nessuno dei patriarchi latini di Gerusalemme del XII secolo era nato in Palestina. L’Arcivescovo di Tiro ricopriva la più alta carica tra i dignitari ecclesiastici indigeni. L’influenza della Chiesa di rado si esercitava in favore di un’intesa con i mussulmani ed era ancora più disastrosa verso i cristiani indigeni. Costoro avevano grande influenza nelle corti mussulmane: molti dei più famosi scrittori e filosofi arabi e quasi tutti i medici erano cristiani. Essi avrebbero potuto costruire un ponte tra il mondo orientale e occidentale. Le comunità ortodosse della Palestina avevano accettato la gerarchia latina: al tempo della conquista il loro proprio clero superiore era in esilio. La corona aveva sentimenti amichevoli verso gli ortodossi, tuttavia i rapporti tra clero latino e ortodosso non furono mai troppo cordiali.
Ad Antiochia la presenza di una forte comunità greca e gli sviluppi della situazione politica avevano prodotto aperta ostilità fra greci e latini, dalla quale derivò un grande indebolimento del principato. Sette eretiche avevano fondazioni presso il santo sepolcro a Gerusalemme, ma erano poco numerose negli altri territori del Regno.
Nella contea di Tripoli la principale Chiesa eretica era quella dei Maroniti, i superstiti seguaci della dottrina monotelitica. La Chiesa occidentale si comportò raramente con tatto e tolleranza ed essi accettarono nel 1180 la supremazia della sede romana a condizione di poter conservare la liturgia siriaca e le proprie tradizioni.
Nel Principato di Antiochia la Chiesa dissidente armena era potente e veniva incoraggiata dai principi che la ritenevano utile per contrapporla agli ortodossi. Molti vescovi armeni giunsero a riconoscere la supremazia papale ed alcuni parteciparono ai sinodi della Chiesa Latina; i Giacobiti siriani furono dapprima ostili ai crociati e preferivano il governo musulmano, solo dopo la caduta di Edessa, si riconciliarono con il principe di Antiochia. I sudditi musulmani dei Franchi accettavano tranquillamente i loro padroni di cui riconoscevano l’equità dell’amministrazione, ma erano inaffidabili in tempo di guerra. Gli Ebrei avevano buone ragioni per preferire il governo degli Arabi che li trattavano con onestà e cortesia, se pure con un certo disprezzo .
Il commercio fiorì ad “Outremer” nel decennio che precedette la conquista di Gerusalemme da parte del Saladino e durante i primi decenni del secolo XIII. Il mondo musulmano era unito e prospero, gli italiani avevano scoperto i vantaggi del commercio che passava per i porti cristiani e i coloni franchi avevano appreso a stringere amicizia con i loro vicini mussulmani. Le merci venivano portate alla costa da mercanti dell’interno, musulmani o cristiani indigeni, e nella Siria Settentrionale, anche da Greci e Armeni di Antiochia. Ai mussulmani era concesso di compiere i loro atti di culto nelle città cristiane e non poche famiglie cristiane accettavano inquilini mussulmani. I mercanti italiani compravano direttamente dagli importatori maomettani. Ad Acri, un certo numero di mussulmani provenienti dall’Africa nord – occidentale, venivano a comprare merci provenienti dall’interno viaggiando fino a Damasco.
È in questa realtà che Templari e Ospitalieri vissero e si affermarono.

I Templari in Terra Santa
Prima della Seconda Crociata i Templari non hanno fatto parlare di sé. Gli Stati Latini negli anni dal 1135 al 1140 sono al loro apogeo e non hanno carenza di combattenti. I Templari all’epoca non sono numerosi e spesso sono confusi nella massa di pellegrini e soldati che continuavano ad affluire. Essi, depositari dell’idea di Crociata e di guerra permanente contro l’infedele sono disponibili sempre a guidare incursioni o a partecipare a campagne di guerra ma la conoscenza del nemico e le loro esperienza in Terra Santa fa assumere loro atteggiamenti prudenti: le conquiste non hanno valore se non è possibile conservarle . Per il conseguimento di obiettivi militari basta, infatti, saper guidare le truppe del Regno di Gerusalemme e degli Ordini militari, ma se si cercano anche risultati politici ci si scontra contro il problema della scarsità della popolazione franca. Gli stati latini devono costantemente accordare gli obiettivi ai mezzi umani a disposizione in permanenza e non ai mezzi militari che si possono avere occasionalmente all’arrivo di una crociata.
Gli Ordini Militari sono consapevoli di questo come lo sono gli stessi latini di Terra Santa “i poulains”. Ma il Crociato che sbarca da l’occidente è venuto per combattere il nemico mussulmano, non certo per trattare tregue con lui e tratta il “poulain” di Palestina da patteggiatore con l’infedele. La prudenza di cui danno prova gli Ordini, procura loro le medesime accuse (come all’epoca dell’assedio di Damasco).
Non è possibile accettare lo schema tradizionale che fa degli Ordini militari gli alleati naturali dei crociati occidentali contro i Latini d’Oriente . Innanzitutto gli ordini militari non sono omogenei, al loro interno si trovano dei “poulains” e dei crociati. Le perdite umane, soprattutto quelle dei Templari, notevoli, costringono a colmare i vuoti con frati cavalieri e sergenti provenienti dalle sedi Occidentali. Costoro arrivano con la mentalità del crociato medio e ciò fa scoppiare contrasti anche se la disciplina e la fedeltà all’Ordine li terrà a freno. In secondo luogo esistono conflitti tra i due Ordini militari: essi erano rivali, anche se non nemici. In terzo luogo, dopo la morte di Almarico, nel 1174 i problemi dinastici, i re in tenera età e le numerose reggenze incrinarono l’autorità regale e crearono divisioni all’interno delle classi dirigenti dello Stato.
Caratteristica peculiare della seconda metà del XII secolo fu un sempre più deciso impegno militare degli ordini superiore a quello che forse essi desiderassero e superiore anche a quello che la loro vocazione richiedesse. Era inevitabile che in paesi nei quali il numero di abitanti mobilitabili per la guerra era stazionario o in diminuizione e, in un mondo cristiano la cui tendenza era di parlare della crociata piuttosto che farla, gli ordini militari venissero chiamati a fornire uomini, mezzi e denaro. Essi finirono per avere una sempre parte maggiore nelle campagne militari, ciò accrescerà da una parte la loro popolarità nelle cronache, dall’altra determinerà un crescente bisogno di uomini e mezzi finanziari. L’insediamento franco era esiguo a confronto delle grandi potenze d’Oriente: esso poteva sperare di sopravvivere solo offrendo un fronte unito e sfruttando al massimo i dissidi tra musulmani. Ogni frazione dell’intero regno tendeva a perseguire i propri fini e persino a ricorrere all’aiuto degli stessi arabi per ottenerlo. “Oltre al re, ai Baroni, e, alla Chiesa all’interno dello Stato, gli Ordini dovettero vedersela con le frequenti crociate e interferenze papali.
La debolezza del potere reale in Outremer era in parte dovuta alla costituzione, che non offriva sufficiente autorità sui baroni indisciplinati; ma fu soprattutto il carattere degli stessi re a distruggere ogni speranza di comando in quella regione”. Il più audace e abile dei sovrani, Baldovino IV era un giovane affetto dalla lebbra. Nessuno dei successori di Baldovino I, fondatore del regno, ebbe sufficienti capacità. Non è difficile vedere nella storia di Outremer un costante declino del regno. Il problema era aggravato, poi, dalla mancanza di discendenti diretti, con tutta una serie di pretendenti e complotti per il trono con tutto ciò che comporteranno. “Gli Ordini, non svolsero, tuttavia un ruolo molto dignitoso in questi affari. Erano troppo indipendenti per accogliere un governo forte, e, in ogni caso, gli Ospitalieri furono sostenitori dell’autorità reale, mentre i Templari perorarono la causa di una forte baronia anche quando non tentarono di assicurare l’ascesa di un rispettivo favorito.
Col crescere della potenza degli Ordini, per i re divenne sempre più difficile opporsi alla loro autorità quando ne veniva fatto abuso”. Allo stesso modo, collaborare coi crociati che venivano dall’Occidente non fu facile per nessuno dei due Ordini. Vi erano dei motivi validi per questo. “Gli Ordini erano profondamente coinvolti negli affari di Outremer, che era la loro patria e non accoglievano volentieri i consigli inesperti dei crociati impazienti che speravano di risolvere in un solo anno problemi con cui gli ordini si erano cimentati per decenni”. I crociati spesso costruivano fortezze indifendibili e mandavano in fumo le buone relazioni intessute pazientemente dagli Ordini, poi se ne tornavano al sicuro in patria, lasciando agli Ordini in eredità tali pesanti fardelli. Queste prospettive furono alla base del loro atteggiamento scoraggiante: pur sempre pronti a offrire generosi contingenti gli Ordini furono riluttanti ad obbedire ai comandanti arrivati dall’occidente. Anche ciò ha una logica spiegazione: gli uomini che erano giunti a combattere i Mussulmani non erano mai disposti alla tolleranza e ad ascoltare argomentazioni diplomatiche. Essi erano giunti in Islam per annientarlo con le armi ad ogni costo.
Tuttavia Outremer era uno stato piccolo, relativamente debole, che tentava di sopravvivere in mezzo a vicini possenti, e spesso, la diplomazia e la tolleranza erano le uniche armi praticabili, la guerra avrebbe significato, soccombere. I Franchi dovevano impedire ad ogni costo che i principi musulmani si unissero, ma le loro operazioni militari tendevano a spingere gli avversari ad allearsi. Fin dal 1140 gli Ordini avevano iniziato ad intessere buone relazioni coi musulmani, nonostante l’apparente insensibilità della loro politica a quei tempi, rispettavano i Musulmani a livello individuale. Nelle sue memorie Usama ibn Munqidh, emiro di Shaizar, riferisce che quando era a Gerusalemme egli poteva pregare non solo nella moschea di al – Aqsa, situata nell’area meridionale dell’Haram esh – Sharif, ma anche nella moschea che i cristiani chiamavano Templum Salomonis, dove i cavalieri templari (che egli chiama i miei amici Templari) avevano la loro casa madre e in cui avevano ricavato un piccolo oratorio adibito a chiesa. Là, un giorno mentre pregava rivolto verso la Mecca, un cavaliere franco, pretendeva di obbligarlo a pregare rivolto verso Occidente secondo l’uso cristiano. I Templari accorsi subito cacciarono il franco e si scusarono con l’emiro per il comportamento incivile tenuto nei suoi confronti da quel pellegrino venuto da poco dall’occidente.
Ciò confermerebbe che tra la seconda e la terza crociata i rapporti tra Islamici e Templari erano approntati sulla massima tolleranza. Questa testimonianza sembra in contrasto con quanto si afferma nel Liber De Laude di Bernardo di Clairvaux secondo il quale i Templari “ Leoni contro i nemici” dovevano combattere contro gli infedeli senza mai concedere né chiedere quartiere, e, in contrasto patente con affermazioni di altri cronisti mussulmani quali Ibn al – Athir e Imàd ad – Din. Secondo Cardini occorre fare una distinzione tra il comportamento dei Templari in battaglia e la loro attitudine abituale nei confronti dell’Islam. Anche se certe teorie sulla somiglianza tra ordini monastici cristiani e confraternite mistico – guerriere islamiche hanno fatto il loro tempo, bisogna pur riconoscere che sul piano dei rapporti inter – confessionali e sotto il profilo della creazione della “società coloniale” crociata di Terra Santa, la testimonianza di Usama ha un valore più probante di quella degli altri cronisti citati.
Una voce sui rapporti tra Templari e Musulmani circolava nel corso del Duecento: i Templari erano antipatici, per la loro ricchezza, superbia, arroganza: era facile rivolgere contro di loro un’accusa peraltro comune in tutto l’Occidente per i latini che si erano trasferiti in Terra Santa, quella di essere diventati “cristiani a metà” inquinati dai costumi orientali, corrotti, sospettabili di simpatie per tutti gli orientali, Musulmani compresi . Il fatto che i Templari avessero milizie mercenarie musulmane, che conoscessero l’arabo, che avessero nei confronti di alcuni maggiorenti islamici atteggiamenti amichevoli, non faceva che radicare queste voci dar loro un apparente, inconsistente ma tenace credito . I Templari, inoltre, usavano mano d’opera musulmana nelle loro proprietà di Siria e Palestina. Negoziavano tregue separate e dovettero quindi sviluppare sicuramente una diplomazia adeguata alle usanze del mondo musulmano. Ma anche in questo caso si può dire lo stesso per gli Ospitalieri o per i baroni locali.
Gli Occidentali manifestavano incomprensione nei confronti della politica orientale: per loro i latini di Terra Santa sono amici dei Saraceni. Similmente, gli scambi amichevoli tra Riccardo I Cuor di Leone e il Saladino, incoraggeranno un atteggiamento improntato a una grande tolleranza, seppure non incondizionata: la violazione delle tregue spingeranno il Saladino dopo la battaglia di Hattin a far giustiziare i prigionieri dei due Ordini Templari e Ospitalieri e dei loro equivalenti musulmani, i Sufi.
Accuse strumentali furono mosse più tardi da Ospitalieri e Genovesi ai Templari negli anni intorno al 1260, quando il mondo islamico siro – giordano si trovò minacciato dall’ondata mongola, e nell’ambito del regno crociato si polemizzò su chi fosse meglio aiutare se i Mamelucchi che si opponevano ai Mongoli o i Mongoli stessi. I Templari e i Veneziani erano propensi ad appoggiare i Mamelucchi, mentre gli Ospitalieri e i Genovesi, i Mongoli. Ciò bastò a sollevare accuse di filo – islamismo che, seppure capziosi erano gli antecedenti dell’accusa che esplose poi drammaticamente durante il processo. È facile capire come l’accusa abbia potuto servirsi del fastidio che suscitavano queste relazioni per far pensare a un legame ancor più saldo con l’islam o addirittura a una conversione segreta.
Per Demurger la pretesa “osmosi dogmatica” tra Templari e Musulmani è priva di fondamento: il ricambio degli uomini all’interno del Tempio é troppo rapido per permettere una benché minima osmosi. Se vi fossero stati legami privilegiati come potremmo spiegarci i massacri avvenuti sistematicamente dei prigionieri Templari ed Ospitalieri?. “I Templari sono il nucleo più saldo dell’offensiva cristiana contro l’Islam, non il cavallo di Troia dell’Islam nel mondo cristiano”. Il miglioramento dei rapporti tra cristiani e musulmani, agli inizi del Duecento era dovuto all’assenza di guerra aperta in Palestina, infatti le crociate si concentrarono in Egitto mentre gli Ordini stavano operando nella pacifica ricostruzione della loro forza nel territorio palestinese. Fino alla quarta crociata Templari e Ospitalieri ebbero la quasi totale responsabilità della difesa degli Stati Latini d’Oriente. Nel periodo corrispondente alla VI crociata (1248-54) Outremer era una terra in cui scarseggiavano gli aspetti di vita dello stato secolare. I continui successi degli Arabi avevano danneggiato i signori feudali, che difficilmente potevano permettersi di tenere castelli in costante assetto di guerra e per questo li cedevano agli Ordini. Il regno non godeva di buona forma. La sua struttura feudale ed economica, dominata dagli Ordini e dai loro castelli, non era in grado di sostenere i costi smisurati della guerra. In Occidente lo spirito delle crociate andava diminuendo e negli Ordini prendeva piede un declino. Gli appelli che aumentavano di anno in anno col diminuire delle risorse di Outremer, erano visti dai Templari e Ospitalieri in Europa con crescente ostilità.
Ricchezza e potenza avevano trasformato gli Ordini in Organizzazioni con interessi ben diversi da quelli originari. Vi era il rischio infatti di poter attirare nell’ordine “amministratori la cui abilità nelle questioni finanziarie era bilanciata dalla mancanza di zelo rispetto agli scopi religiosi e militari dell’istituzione”. Tuttavia non era possibile neanche con le immense ricchezze degli ordini, fornire uomini e approvvigionamenti, per il Regno intero trasferendoli dall’Europa attraverso il Mediterraneo. Il compito che gli Ordini dovettero affrontare nel terzo venticinquennio del Duecento fu questo.
La mancanza di un re forte, la morte del Lusignano nel 1284 fecero poi il resto. In breve il “rispetto dei musulmani per il valore dei Franchi era stato mitigato dal disprezzo per la loro guida militare e dallo stupore di fronte alle loro ostinazione nelle contese interne”. Con la caduta di Tripoli nel 1289, Acri rimase l’unica città in mano ai Franchi, e, due anni dopo anch’essa verrà espugnata dagli Egiziani, nonostante un’eroica resistenza. Da allora in poi gli Ordini videro sbiadire il lustro di cui avevano goduto e i crociati videro la fiamma dello zelo affievolirsi. La chiesa che riusciva a stento a condurre i propri affari in Europa, offriva poche speranze di poter ricostruire quel regno d’Oriente creato un tempo dal suo fervore. L’ideale della Gerusalemme cristiana conquistata con la spada rimase una visione nello spirito degli uomini zelanti, e gli Ordini scoprirono un mondo molto meno spirituale concernente l’amministrazione delle loro ricchezze.Templari e mussulmaniSono state già analizzate le cause della fine dei regni latini di Oriente, tuttavia appare importante analizzare e comprendere perché accuse di tradimento colpiranno molte volte i Templari. “Da alcune deliberazioni in contrasto con i piani militari dei Crociati, da alcuni rifiuti di scendere con le loro forze in soccorso di questo o quell’esercito, dalle tragiche conseguenze che in più di un caso derivarono dal loro ostinato atteggiamento, dalla loro mancanza di duttilità infine nacque il sospetto che essi tradissero i loro commilitoni”. E' certo che la loro insubordinazione unita ai loro modi rudi e sprezzanti, fu causa di non poche difficoltà e anche di danni alla guerra Santa, per cui l’imputazione di tradimento venne a trovare in ciò una giustificazione. Finché furono potenti accuse di tradimento non furono mai apertamente formulate, solo dopo che furono colpiti da sventura le accuse tornarono insistenti ad essere pronunciate.
Templari tutt’oggi colpiscono per la loro grande spiritualità: essi incarnavano lo spirito cavalleresco nell’essenza più pura che si può dare al termine. Occorre comprendere bene valori quali il culto della verità, la devozione, il disinteresse, il disprezzo della morte e il senso dell’onore, per poter valutare i rapporti che intercorsero tra Musulmani e Templari e, che valsero a questi ultimi le accuse di tradimento. Mussulmani e Cristiani ubbidivano entrambi alle leggi dell’onore che erano alla base dei rapporti tra uomo e uomo: tale condizione era indispensabile per condurre la guerra e provvedere alle proprie necessità. I patti firmati, le tregue stipulate dovevano essere rispettate con estremo scrupolo, proprio per conferire un carattere di umanità, a quel conflitto che era invece una vera e propria guerra all’ultimo sangue, se si volevano evitare inutili eccidi e decimazione degli eserciti per fame e per epidemie.
L’onestà dei Templari, in questo, fu intransigente: per essere temuti ed apprezzati al tempo stesso, la parola data andava mantenuta ad ogni costo, anche contro la volontà ed il giudizio degli altri cristiani impegnati nel conflitto. Essi, soggiornavano stabilmente in Oriente, dove si verificavano periodi di calma, che non possono considerarsi veri e propri periodi di pace, (si potrebbero definire di pace “ armata”), in cui vi era la necessità per ambo i contendenti di riordinare le proprie file, approvvigionare i propri uomini, e pertanto venivano stipulate tregue e accordi che convenissero a ambo le parti. Per questo l’Ordine si trovò talvolta impegnato in patti che gli altri Cristiani non vollero riconoscere e che avrebbero voluto violare. Tuttavia simili comportamenti avrebbero significato perdere per sempre quella fiducia che i Mussulmani riponevano in loro, al punto da esigere la loro presenza, come garanti, ogni volta che giunsero ad un intesa con i Cristiani, che cambiavano frequentemente i propri referenti.
I Templari condividevano con gli altri crociati rischi brevi e sporadiche azioni guerresche, mentre coi mussulmani essi erano a stretto contatto tutti i giorni in guerra o in calma. Viltà e tradimento sono pertanto da escludersi, perché queste infamie avrebbero distrutto la loro reputazione anche presso gli stessi nemici. Ciò trova conferma nel fatto che essi si rifiutarono di fiancheggiare i Francesi in un attacco contro il Califfo di Damasco proprio in virtù del trattato di tregua che avevano stipulato con esso. È ovvio, che in tali casi, la linea di demarcazione tra fedeltà alla parola data e tradimento e viltà, non è così precisa: per gli storici favorevoli ai Templari questa fu fedeltà alla parola data e di adesione alla linea più saggia, per quelli ostili ai Templari fu viltà e tradimento.
Tuttavia alcuni episodi incresciosi accaddero per dissensi, aggravati non di rado da rivalità di carattere personale tra Ordine e Crociati, e che, spesso portarono a sconfitte e massacri delle truppe. Ma da episodi simili non è possibile far risalire la responsabilità a tutto l’Ordine, molti di essi possono solo trovare la loro origine nel temperamento e nella intemperanza di quanti avevano visto nel Tempio la possibilità di crearsi una propria fortuna o che vi si erano affiliati per la conquista di un posto onorevole. Col passare del tempo i dissensi con i principi cristiani si acuirono: ma, non si può addossare tutta la responsabilità ai Templari o giudicarli indegni per questi motivi e tacciarli di arroganza e superbia: essi avevano dato indiscusse prove di valore, erano meglio organizzati e più preparati delle milizie cristiane che affluivano sui campi di battaglia ad ondate, le une distaccate dalle altre, da paesi lontani, sotto il comando di signorotti dispotici e come tali decisi a far prevalere le proprie opinioni anche se, poi, a causa della loro inesperienza, erano i Templari e gli Ospitalieri a doversi sobbarcare i compiti più gravosi e pericolosi di avanguardia e retroguardia. “Essi, disciplinati e consci della loro superiorità militare, dovettero essere portati poco per volta a disprezzare e a non tenere che in conto relativo delle decisioni dei principi cattolici, considerandole spesso avventate e dannose e, non riuscendo ad imporsi col ragionamento e la persuasione, lo fecero di fatto tenendo in non cale sia le direttive del patriarca, sia dei comandanti estranei all’ordine, facendoli trovare spesso di fronte al fatto compiuto, come una tregua o una sortita”.
Conclusioni
Attraverso gli scambi commerciali con l’Oriente si importarono in Europa una promiscuità di credenze cristiane, giudaiche e maomettane che si fondevano in un sincretismo suscettibile di ulteriori e complessi sviluppi. Le manifestazioni dello spirito nonostante le barriere religiose si compenetravano e si influenzavano a vicenda senza possibilità di limitazione: la cultura medievale europea venne permeata, attraverso quelle crociate che dovevano schiacciare i Musulmani, di tutte le influenze del sapere orientale, della civiltà egiziana, caldea, assira, babilonese, greca e ebraica: la stessa patrologia cristiana del basso medioevo presenta influenze filosofiche o mistiche orientali.
Le crociate avevano messo l’Europa in stretto contatto con la Grecia sofista, con l’Islamismo, con il Panteismo dell’Averroismo, con le sottigliezze della cabala, con la metafisica di Aristotele con il Neoplatonismo pitagorico e con i numerosi focolai delle sette gnostiche e mussulmane. Considerando che l’Ordine templare soggiornò a lungo in Oltremare e non sempre per combattervi, è sorta la teoria che quei monaci guerrieri, influenzati dal mondo orientale, si lasciassero allettare dall’idea di un Cristianesimo affine alla morale e al simbolismo di alcune sette orientali (Gnosi, Manicheismo, Manicheismo gnostico – musulmano, dottrine pitagoriche).
C’è chi considera i Templari eredi e continuatori della sapienza coltivata e accumulata dagli antichi e, l’Ordine un’organizzazione segreta dove si trasmettevano gli insegnamenti ereditati dai predecessori e che essi erano riusciti a scorgere a contatto con i centri orientali, l’identità del principio universale ed è per questa loro scoperta che avrebbero rifiutato l’ignoranza e il relativismo della chiesa cattolica.
uali prove esistono che essi fossero eredi degli ierofanti egizi, dei misteri orfici, del neoplatonismo del giudaismo e del platonismo? Quali prove che essi dopo aver attuato l’unione di queste organizzazioni spirituali ne abbiano poi tramandato gli insegnamenti segreti alle congregazioni iniziatiche occidentali? Nessuna, se non la convinzione stessa dei posteri che riconobbero una paternità templare ai loro atteggiamenti filosofici, religiosi e morali.
Per alcuni i Templari furono seguaci del culto johannita e per questo avrebbero ripudiato le dottrine della Chiesa di Roma per quella del Cristianesimo primitivo, volendo ristabilire il tempio ideale di Gerusalemme simbolo del principio comune e dell’unificazione delle genti sotto un’unica autorità divina. La denominazione scelta da Ugo de Payns “poveri soldati di Cristo e del Tempio di Salomone” potrebbe nascondere questo? Il tempio è un vetusto concetto universale che corrisponde alla localizzazione di un sentimento per il quale gli uomini sentono e rendono omaggio alla divinità: è la dimora dello spirito. In opposizione al cristianesimo il tempio passò dal suo significato reale di luogo di raduno ad uno ideale: divenne simbolo dell’unione di una umanità rinnovata e progressivamente perfezionatasi mediante la Gnosi e la meditazione; divenne un tempio mistico la cui edificazione significò lavoro per il miglioramento individuale e collettivo, spirituale e sociale dell’uomo. Il tempio di Gerusalemme, centro del mondo giudaico è preesistito alla Chiesa di Cristo e poiché questa è considerata una derivazione del Giudaismo Esseno, i Templari starebbero tra la tradizione antica e quella del cristianesimo, avendo preferito diventare paladini di una religione unificata anziché difensori della tomba del capo, sia pur divino di una sola religione. Riportare alle sue fonti primitive il cristianesimo iniziatico, liberarlo dai deterioramenti di costruzioni posteriori e del dispotismo delle gerarchie ecclesiastiche: questa potrebbe essere stata l’eresia dei Templari, eresia che prima ancora di essere dogmatica doveva essere politico – sociale. Le frequenti insubordinazioni, l’istituzione di un proprio clero che escludeva sacerdoti che dipendevano dagli episcopati, quel complesso di inosservanze ostentate in ogni paese d’Europa possono essere stati gli inizi di una ribellione contro l’ordinamento instaurato dalla chiesa che lentamente veniva preparando nelle intenzioni dei dirigenti; poteva racchiudere una volontà di svincolamento dalla chiesa di Roma per un sincretismo religioso epurato nei costumi giusto e tollerante verso tutte le genti, sollecito tutore della libertà di pensiero .
Non si può escludere che nelle loro case popolate da uomini di ogni classe e diversa intensità di fede, abitate da Musulmani di recente convertiti e in genere da persone che avevano vissuto e visto tutto ciò che si poteva vedere e vivere, si possano essere infiltrate licenziosità, superstizioni, abitudini ed anche cerimonie ed esperienze condannate dalla chiesa, vi possono aver prosperato l’incredulità il desiderio di indipendenza dalla Chiesa, la preferenza di culti e dottrine orientali, la predilezione per la loro spiritualità per i loro costumi e per il loro sapere. Tuttavia è da tenere presente che nel XII secolo lo spirito d’indagine aveva ricevuto un forte influsso dalla scuola di Toledo, nella quale alcuni studiosi andavano a ricercare la scienza araba greca ed ebraica. Più tardi furono introdotte in latino le opere di Aristotele, Tolomeo, Avicenna e più tardi ancora anche quelle di Averroè. Le crociate avevano portato dall’oriente avanzi del pensiero antico, che vennero accolti con entusiasmo: tuttavia si comprese che in tali studi risiedevano pericoli per l’ortodossia, tanto che la lettura di Aristotele venne proibita all’università di Parigi. Ancor più pericolosa per la chiesa fu la rinascita del diritto civile romano, perseguito nei grandi centri culturali che metteva in luce l’esistenza di un sistema di giurisprudenza superiore e più retto della confusione delle leggi canoniche e superiore sulla barbarie dei costumi feudali e che basava la sua autorità sull’idea di giustizia immutabile che era rappresentata dal sovrano e non sopra un canone o una decretale. Che i Templari fossero una setta eretica oppure no, se alcuni di essi scamparono alla distruzione e formarono sette più o meno segrete non è storicamente comprovante.
uttavia esiste una letteratura che vuole l’esistenza di un pensiero templare che si perpetua in epoche diverse, e ciò è un fatto culturale importante che va al di là della verità accertabile e che è estremamente affascinante. Sono passati quasi 900 anni da quando Ugo de Payns raccolse il suo gruppo di compagni e si mise al servizio di pellegrini e pauperes, quasi 600 dalla distruzione dell’ordine, tuttavia si continua a parlare di questi monaci guerrieri, del loro pensiero e della loro spiritualità. I cavalieri del Tempio non hanno lasciato scritti da cui si possa evincere il loro pensiero, ma è indubbio che essi hanno lasciato una eredità importante: la loro stessa spiritualità.
Ma oggi ha senso parlare di spirito templare? Lo spirito cavalleresco di devozione, disinteresse, disprezzo della morte, vive ancora e non si è mai spento nel cuore umano: si trova infatti sempre qualcuno pronto ad affrontare e sfidare il pericolo per pura umanità e per ubbidire ai perentori dettami del proprio dovere di uomo, cercando la propria ricompensa solo nell’approvazione della propria coscienza. Esistono tutt’oggi cavalieri, protettori della verità, lealtà, purezza e dell’innocenza che disprezzano ciò che è indegno o sintomo di egoismo e che costruiscono la propria vita sull’impegno, sulla generosità, sulla carità, sull’amore della verità e sull’onore, che rifuggono l’egoismo e il materialismo: uomini che come cavalieri lavorano per il bene dei propri fratelli, senza distinzione di cultura, razza o religione, per aiutarli a progredire moralmente, insegnando loro la pratica della carità, della perseveranza, dell’abnegazione e a liberarsi dall’ignoranza e dalla schiavitù spirituale. L’ignoranza, la mancanza di saggezza e di senso dell’onore, l’egoismo e la mancanza di fede sono all’origine dell’intolleranza verso culture diverse e diversi credi religiosi.
Oggi la presenza in Europa e nella stessa Italia di popolazioni di diverse razze, di diverse religioni fa si che si ripresenti un quadro di multi – culturalità molto simile a quella che si era presentata ai Templari in Outremer. Ma l’epoca in cui viviamo pecca di forti passioni tanto che il mondo perduto appare più corretto di quello presente. L’antagonismo fra le religioni e le diverse fedi ha infiammato troppo spesso l’animo umano senza però inculcargli il sentimento della dignità, dell’eguaglianza, della pietà e della clemenza, facendo predominare la natura materiale a quella spirituale. I Templari hanno cercato invece di conciliare la natura del monaco e quella del guerriero, il pregare e il pugnare: ciò non deve essere stato uno sforzo da poco.

Saggio tratto dalla Conferenza "I Templari nel Regno Latino di Gerusalemme: Organizzazione e rapporti con l'Islam " di Raffaella Risuleo - Certosa di Firenze 1998

venerdì 10 ottobre 2008

“Ama Cristo nel Fratello, perché Cristo è vivo, è presente e ha bisogno di te!
Ad Majorem Dei Gloriam.”

(Sant’Ignazio da Loyola)

giovedì 9 ottobre 2008


il tema

«Indispensabile l’unità visibile dei cristiani»

DA ROMA

Ricercare «l’unicità visibile» tra i di­scepoli di Cristo «è una dimensio­ne indispensabile della vita e della missione della Chiesa». E tanto più lo è «in un mondo lacerato da conflitti e guer­re, diviso tra ricchi e poveri, afflitto da o­dio sociale e violenza». Per questo è ne­cessario affidarsi alla Parola di Dio, e per questo le Chiese cristiane pregano «per questo Sinodo dei vescovi». È quanto ha scritto il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, Samuel Kobia – che si firma: «Il vostro umile fratello nel nome di Cristo» –, nel messaggio inviato alla XII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi. Il testo è stato letto in aula dal metropolita Mihail Nifon di Târgovite, del Patriarcato ortodosso di Romania, durante i lavori della quarta Congrega­zione generale, al termine degli interven­ti preordinati e prima del dibattito libero. Un messaggio aperto al dialogo e im­prontato all’ottimismo, che l’Assemblea, come ha detto al termine della lettura il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e presidente delegato del Sinodo, ringraziando il metropolita rumeno, «ha accolto in spirito di fraternità». «È la Pa­rola viva di Dio – è scritto nel messaggio del Consiglio ecumenico delle Chiese – a edificare la Chiesa e a trasformare la vita delle persone affinché diventino discepo­li credibili e visibili di Cristo attraverso la santa Eucaristia, la meditazione dei testi biblici e la testimonianza quotidiana dei fedeli nelle loro case, per strada e nel po­sto di lavoro». Infatti il modo in cui «la Parola di Dio risuona nella nostra vita sollecita atti di amore tra di noi ed è il fat­to centrale della missione olistica della Chiesa», ed è per questo motivo che al­lora «è tanto necessario il discepolato in un mondo lacerato da conflitti e guerre, diviso tra ricchi e poveri, afflitto da odio so­ciale e violenza». Attraver­so la Croce di Gesù «vediamo la sofferen­za e la disperazione del mondo. Nel Cri­sto risorto – si legge ancora nel docu­mento – la nostra speranza è reale. Le conseguenze del peccato possono essere vinte». La ricerca dell’unità visibile della Chiesa, afferma ancora il messaggio nella sua conclusione, è «una dimensione in­dispensabile della vita e della missione della Chiesa. Nello spirito di questa affermazione – è l’augurio finale che Kobia rivolge all’Assemblea a nome della Kek – posso assicurarvi le nostre pre­ghiere per questo Sinodo dei vescovi. Possa Dio, Pa­dre, Figlio e Spirito Santo, essere con voi e benedire le vostre delibe­razioni».

Salvatore Mazza richiama la centralità del dialogo, il messaggio inviato dal Consiglio ecumenico delle Chiese.

da Avvenire del 9 ottobre 2008

IL MONDO IN VATICANO

«Dalla Parola di Dio la risposta alle sette»

Al Sinodo dei vescovi l’invito ad approfondire la conoscenza e rilanciare l’annuncio della Bibbia di fronte al proliferare dei nuovi movimenti religiosi

DA ROMA SALVATORE MAZZA

Il ritorno all’annuncio della Parola di Dio, anche come mezzo per contra­stare l’aggressività delle sette, favo­rita proprio dall’«inaridimento» di mol­te comunità ecclesiali. È su questo a­spetto, introdotto in Assemblea dal vi­cario apostolico di Bengasi, monsignor Sylvester Carmel Magro, che s’è soprat­tutto concentrato il dibattito libero che ha concluso la giornata sinodale di mar­tedì, alla vigilia della prima riunione dei Circuli minores, i gruppi linguistici nei quali, da ieri mattina, è iniziata la di­scussione sulla relazione generale. Dopo le indicazioni di arrivare, anche attraverso l’elaborazione di un testo di base, a omelie più preparate per meglio attualizzare la Parola di Dio, il problema delle sette sembra essere il secondo dei temi 'emergenti' in questo Sinodo. As­sieme a questi, non tanto come tema specifico ma piuttosto come tensione che attraversa tutta l’Assemblea, c’è poi l’impegno ecumenico, che nelle Scrit­ture può, secondo i Padri sinodali, tro­vare lo stimolo per poter giungere al tra­guardo della piena unità.

Nel suo intervento monsignor Carmel Magro ha denunciato con forza la vio- lenza usata nei confronti di diverse Chie­se africane da parte di chi aveva tutto l’interesse a disperdere i fedeli cristiani, le sette in primo luogo. Per il presule il risultato più doloroso di questa aggres­sione è che tra queste persone ci sono molti cristiani che, abbandonata la fede, ora si rivoltano quasi con odio contro la Chiesa. La causa di questa situazione, ha affermato l’arcivescovo, va ricercata proprio nella poca coscienza del ruolo della Chiesa nel mondo, all’assoluta mancanza di conoscenza della Parola di Dio nel suo più profondo significato. Anche per questo – e qui è ritornata la questione delle omelie – è necessario se­condo il vescovo della Tanzania Deside­rius Rwoma, ritrovare la capacità di tra­smettere efficacemente la Parola di Dio con la predicazione. Di qui la proposta di istituire dei corsi specifici per i predi- catori, che sia accompagna a quella di proporre, soprattutto per la prima let­tura della Messa, dei testi più semplici per quei sacerdoti che non abbiano profonde conoscenze bibliche.

Per monsignor José Miguel Gómez Ro­dríguez, vescovo di Líbano-Honda, in Colombia, «l’essere umano è reso tale dalla sua capacità di ascoltare Dio». An­cor più, la persona raggiunge «la sua i­dentità » e «la sua dignità fondamenta­li » nell’ascolto della Parola di Dio». Per questo «è necessario che la Chiesa ri­cordi all’umanità queste verità in modo da trovare le soluzioni che ancora non trova»; e per questo è urgente «stabilire i criteri più adeguati per l’interpretazio­ne autentica della Parola rivelata», in quanto «l’interpretazione della Bibbia sfugge al capriccio dei relativismi mo­derni, perciò è scomoda per molti». Un’esigenza tanto più avvertita in Asia, dove, ha osservato l’arcivescovo di Co­tabato (Filippine) Orlando Quevedo, «in­credibilmente ricchi di uno splendido mosaico di antiche culture e religioni, noi siamo però comunque un conti­nente di poveri, di squilibri economici e politici, di divisione etnica e di conflit­to. Il nostro profondo senso di trascen­denza e di armonia viene eroso da una cultura secolare e materialista globaliz­zante ». Tuttavia, ha aggiunto, «la Parola di Dio in Asia chiama... migliaia di pic­cole comunità di poveri. Così facendo, stanno costruendo un 'modo nuovo di essere Chiesa' che in realtà è un modo antico, cioè il modo della prima comu­nità di Gerusalemme... Costituiscono comunità ecclesiali di base... testimo­niando la Parola di Dio in un ambiente multireligioso molto spesso ostile. Sono comunità di solidarietà e fraternità che, nel loro piccolo, sfidano in modo effica­ce la cultura moderna del secolarismo e del materialismo».

Durante la IV Congregazione generale si è svolta la seconda votazione per l’e­lezione della Commissione per il Mes­saggio finale, mentre ieri mattina i lavo­ri sono proseguiti con la prima sessione dei Circoli minori. Tra i quali, quest’an­no, non c’è quello in lingua latina. Che – per la cronaca – era quello al quale par­tecipava regolarmente in passato il car­dinale Joseph Ratzinger.

Da Avvenire del 9 ottobre 2008

martedì 7 ottobre 2008


Benedetto XVI inaugura il Sinodo dei Vescovi:
“Il male non avrà mai l’ultima parola, la vittoria finale sarà di Cristo anche se il mondo ha messo da parte Dio preferendo ingiustizia e violenza”
di Gianluca Barile

CITTA’ DEL VATICANO - Con una solenne concelebrazione nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI ha aperto la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che affrontera' in Vaticano il tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Con il Papa, 326 concelebranti: 52 Cardinali, 14 Patriarchi delle Chiese Orientali, 45 Arcivescovi, 130 Vescovi e 85 Presbiteri (di cui 12 Padri Sinodali, 5 Officiali della Segreteria Generale, 30 Uditori, 5 Esperti, 4 Addetti stampa, 24 Assistenti e 5 traduttori). I lavori termineranno fino al 26 ottobre. "Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una societa' dove regnino la liberta’, la giustizia e la pace?", e’ stato l’interrogativo posto dal Pontefice all’inizio dell’omelia. Benedetto XVI e’ partito dall’amara constatazione che "la cronaca quotidiana dimostra ampiamente che si estendono l'arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l'ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione". "Il punto d'arrivo - ha affermato il Santo Padre - e' che l'uomo si ritrova piu' solo e la societa' piu' divisa e confusa". Per il Papa, dunque, occorre chiedersi se "quando l'uomo elimina Dio dal proprio orizzonte e' veramente piu' felice? Diventa veramente piu' libero?". Nella societa' odierna, ha denunciato Benedetto XVI, "vi e' chi, avendo deciso che 'Dio e' morto', dichiara dio se stesso, ritenendosi l'unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo: sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l'uomo crede di poter fare cio' che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire". "Quando Dio parla - ha scandito il Papa - sollecita sempre una risposta; la sua azione di salvezza richiede l'umana cooperazione; il suo amore attende corrispondenza. Che non debba mai accadere, cari fratelli e sorelle, quanto narra il testo biblico a proposito della vigna!". Ma l'umanita' non deve perdere la speranza: il Vangelo, ha detto il Santo Padre, ci da' un "consolante messaggio: la certezza che il male e la morte non hanno l'ultima parola, ma a vincere alla fine e' Cristo. Sempre". Purtroppo, pero’, "Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identita', sotto l'influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna". "Se guardiamo la storia - ha osservato Benedetto XVI -, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di cio', Dio, pur non venendo mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E' spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunita' cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia". "Non potrebbe avvenire la stessa cosa - si e' domandato il Pontefice - in questa nostra epoca?". In proposito, il Papa ha evocato la parabola della vigna i cui operai "vengono maltrattati e persino uccisi" dai nemici del padrone. La stessa sorte, ha detto, riservata nella storia "al popolo eletto e ai profeti inviati da Dio". Ma non solo: ancora oggi, "il disprezzo per l'ordine impartito dal Padrone si trasforma in disprezzo verso di lui: non e' la semplice disubbidienza ad un precetto divino, e' il vero e proprio rigetto di Dio". Secondo Benedetto XVI, "quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo di pensare e di agire; interpella, in modo speciale, i popoli che hanno ricevuto l'annuncio del Vangelo" e che oggi sono messi a dura prova dal processo di secolarizzazione, fino a rischiare di perdere la propria identita' cristiana. Ma "nelle parole di Gesu' vi e' una promessa: la vigna non sara' distrutta". Infatti, "mentre abbandona al loro destino i vignaioli infedeli, il Padrone non si distacca dalla sua vigna e l'affida ad altri suoi servi fedeli. Questo indica che se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi, vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla: la vigna continuera' allora a produrre uva e sara' data in affitto dal padrone ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo". Intanto, in questo Anno Paolino "sentiremo risuonare con particolare urgenza il grido dell'Apostolo delle genti: 'Guai a me se non predicassi il Vangelo'; grido che per ogni cristiano diventa invito insistente a porsi al servizio di Cristo", ha quindi esortato il Papa citando l'invocazione "rogate" pronunciata da Gesu' nel Vangelo: "La messe e' molta - ha evidenziato Benedetto XVI - ripete anche oggi il Divin Maestro: tanti non lo hanno ancora incontrato e sono in attesa del primo annuncio del suo Vangelo; altri, pur avendo ricevuto una formazione cristiana, si sono affievoliti nell'entusiasmo e conservano con la Parola di Dio un contatto superficiale; altri ancora si sono allontanati dalla pratica della fede e necessitano di una nuova evangelizzazione. Non mancano poi - ha elencato il Pontefice - persone di retto sentire che si pongono domande essenziali sul senso della vita e della morte, domande alle quali solo Cristo puo' fornire risposte appaganti. Diviene allora indispensabile per i cristiani di ogni continente essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che e' in loro, annunciando con gioia la Parola di Dio e vivendo senza compromessi il Vangelo". Da parte sua, ha assicurato il Santo Padre, "la Chiesa non si stanca di proclamare questa Buona Novella, come avviene anche quest'oggi, in questa Basilica dedicata all'Apostolo delle genti, che per primo diffuse il Vangelo in vaste regioni dell'Asia minore e dell'Europa". "Rinnoveremo in modo significativo questo annuncio - ha promesso il Papa - durante tutta la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha come tema 'La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa'. L'Assemblea sinodale volgera' la sua attenzione a questa verita' fondamentale per la vita e la missione della Chiesa: nutrirsi della Parola di Dio e' per essa il compito primo e fondamentale". Infatti, "se l'annuncio del Vangelo costituisce la sua ragione d'essere e la sua missione, e' indispensabile che la Chiesa conosca e viva cio' che annuncia, perche' la sua predicazione sia credibile, nonostante le debolezze e le poverta' degli uomini che la compongono". Conclusa la concelebrazione dell'Eucaristia con tutti i membri del Sinodo nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Benedetto XVI e' rientrato in Vaticano per recitare l'Angelus con gli oltre 50.000 fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. Nel breve discorso pronunciato dalla finestra dello studio privato, ha richiamato l’attenzione "sul valore e la funzione di questa particolare assemblea di Vescovi, scelti in modo da rappresentare tutto l'episcopato e convocati per apportare al Successore di Pietro un aiuto piu' efficace, manifestando e consolidando al tempo stesso la comunione ecclesiale. Si tratta - ha continuato il Papa - di un organismo importante, istituito nel settembre del 1965 dal mio venerato predecessore il servo di Dio Paolo VI, durante l'ultima fase del Concilio Vaticano II, per attuarne una consegna contenuta nel Decreto sul ministero dei Vescovi". "Per l'Assemblea sinodale ordinaria - ha sottolineato ancora il Pontefice -, accogliendo autorevoli pareri in tal senso, ho scelto il tema della Parola di Dio da approfondire, in prospettiva pastorale, nella vita e nella missione della Chiesa. Ampia e' stata la partecipazione alla fase preparatoria da parte delle Chiese particolari di tutto il mondo, che hanno inviato i loro contributi alla Segreteria del Sinodo, la quale a sua volta ha elaborato l''Instrumentum laboris', documento su cui si confronteranno i 253 Padri sinodali: 51 dell'Africa, 62 dell'America, 41 dell'Asia, 90 dell'Europa e 9 dell'Oceania. Ad essi si aggiungono numerosi esperti e uditori, uomini e donne, come pure i 'delegati fraterni' delle altre Chiese e Comunita' ecclesiali e alcuni invitati speciali". "Cari fratelli e sorelle - e’ stato il suo appello -, vi invito tutti a sostenere i lavori del Sinodo con la vostra preghiera, invocando specialmente la materna intercessione della Vergine Maria, perfetta Discepola della divina Parola". Ma quali sono le finalita’ del Sinodo? E’ stato il Papa stesso a rispondere: "Favorire una stretta unione e collaborazione tra il Papa e i Vescovi di tutto il mondo; fornire informazioni dirette ed esatte circa la situazione e i problemi della Chiesa; favorire l'accordo sulla dottrina e sull'azione pastorale; affrontare tematiche di grande importanza ed attualità". "Tali diversi compiti - ha rimarcato Benedetto XVI - vengono coordinati da una Segreteria permanente, che opera in diretta e immediata dipendenza dall'autorita' del Vescovo di Roma". "La dimensione sinodale e' costitutiva della Chiesa - ha proseguito il Santo Padre -: essa consiste nel convenire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: Io sono la Via, la Verita' e la Vita". L'etimologia della parola Sinodo, ha infine rammentato il Pontefice, "suggerisce l'idea del 'fare strada insieme', ed e' proprio questa l'esperienza del Popolo di Dio nella storia della salvezza". Il Papa, sempre all’Angelus, ha tenuto a sottolineare che la lettura integrale della Bibbia promossa dalla Rai rappresenta per lui un "evento che ben si affianca al Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio". "Io stesso - ha annunciato dopo la tradizionale preghiera mariana - daro' avvio alla lettura del primo capitolo del Libro della Genesi. La Parola di Dio potra' cosi' entrare nelle case per accompagnarsi alla vita delle famiglie e delle singole persone: un seme che, se bene accolto, non manchera' di portare frutti abbondanti". Benedetto XVI ha inoltre ricordato che questa "singolare iniziativa" dal titolo "Bibbia giorno e notte" consiste "nella lettura continua di tutta la Bibbia, per sette giorni e sei notti, fino a sabato prossimo, 11 ottobre, in diretta televisiva. La sede sara' la Basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme, e i lettori che si susseguiranno saranno quasi 1.200, di 50 Paesi diversi, in parte scelti con criterio ecumenico e molti che si sono liberamente iscritti". Al termine dell'Angelus, Benedetto XVI ha inoltre voluto ringraziare gli animatori della missione "Gesu' al Centro", un'iniziativa ideata da Monsignor Mauro Parmeggiani, il responsabile della pastorale giovanile del Vicariato di Roma che proprio in queste ore entra nella diocesi di Tivoli come nuovo Vescovo. "Cari amici - ha detto il Papa ai volontari della pastorale giovanile -, vi ringrazio e vi incoraggio perseverare nella vostra testimonianza al Vangelo". "Con affetto" il Pontefice ha poi salutato anche "i giovani che partecipano al Meeting Vincenziano organizzato dalle Figlie della Carita' di San Vincenzo de' Paoli della Provincia Romana: cari ragazzi e ragazze - li ha esortati -, imparate dai Santi ad amare la Chiesa e i poveri". Il Santo Padre ha infine manifestato la propria vicinanza ai promotori della Giornata per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
"DEVOZIONE MARIANA"

lunedì 6 ottobre 2008

Templari Oggi a Piacenza
Capitolo Generale
di San Michele Arcangelo
27 e 28 settembre
Chiesa di San Pietro in Tranquiano
Agazzano PC


Al Capitolo di San Michele Arcangelo di Piacenza ha partecipato anche una delegazione della Congregazione dei Templari di San Bernardo del Priorato di Firenze, guidata dal Priore soror Raffaella Risuleo. Le due Congregazioni autonome, hanno sottoscritto un patto di reciprocità spirituale già nel corso del precedente Capitolo di Pentecoste.


Ottobre: il mese degli Angeli Custodi

Ottobre è il mese dei Santi Angeli Custodi, quegli spiriti beati che Dio ha creati per la sua gloria ed il suo servizio prima di tutto, ma anche per proteggerci contro i demoni, sia allontanando i loro attacchi in virtù della potenza che essi hanno su di loro, sia effondendo nel nostro spirito una viva luce e nel nostro cuore l’energia necessaria per scoprire e respingere le astuzie infernali dei nemici della nostra salvezza. Noi dobbiamo dunque onorare e teneramente amare i santi Angeli, soprattutto quello che Dio ha affidato alla nostra particolare custodia. Non sarebbe questo mostrarci veramente ingrati quanto il non amare il nostro Angelo Custode, che ci testimonia tanto affetto e ci porta un così vivo interesse, che vigila continuamente su di noi e ci preserva da tanti pericoli? Commentando questo versetto del salmo: “Dio ha comandato ai suoi Angeli di prendersi cura di te, affinché ti custodisca in tutte le tue vie …
Ed essi ti porteranno nelle loro mani” San Bernardo di Chiaravale, il fondatore dell’Ordine Cistercense, rivolgeva ai suoi religiosi questo discorso, riguardo all’importanza della devozione agli angeli, semplice ma toccante e ben istruttivo: “Dio ha comandato ai suoi Angeli di prendersi cura di te: O condiscendenza ammirabile, il grande onore che ci fa il suo amore! Qual è, in effetti, Colui che comanda? A chi, in favore di chi, e che comanda? Consideriamo con cura e confidiamo religiosamente alla nostra memoria questo sacro mandato.
Chi l’ha dunque dato, a chi appartengono gli Angeli? Agli ordini di chi dipendono? A quale volontà sono obbedienti e fedeli? E’ ai suoi Angeli che Dio ha ordinato di custodirvi, e di custodirvi in tutte le vostre vie; ed essi non esitano a prendervi nelle loro mani, affinché il vostro piede non traballi nella strada. Questa è dunque la sovrana maestà che ha comandato agli Angeli, ed ai suoi Angeli, essi che sono così elevati, così sovrani, così vicini a Lui, che sono gli abitanti della sua casa e come i veri membri della sua famiglia. E li ha incaricati di voi. Ma chi siete voi dunque? O Signore, chi è l’uomo perché ti ricordi di lui? Ed il figlio dell’uomo perché lo valuti per qualcosa? Come se l’uomo non fosse corruzione, ed il figlio dell’uomo un verme della terra.
Il salmista aggiunge: Affinché ti custodiscano in tutte le tue vie. Quanto questa parola deve produrre in voi del rispetto, ispirarvi devozione, darvi fiducia!, rispetto a causa della loro presenza, devozione a causa della loro benevolenza, fiducia a causa della loro fedeltà. Camminate con precauzione come un uomo a cui gli Angeli sono presenti in tutte le sue vie. In qualsiasi luogo appartato o segreto che voi vi troviate, abbiate sempre per il vostro Angelo un religioso rispetto. Osereste ben fare in sua presenza quello che non osereste fare davanti a me? O dubitereste che egli sia presente perché non lo vedete affatto? Ma essi sono là; sono presenti; lo sono per voi; per proteggervi e per servirvi.
Ed essi ti porteranno nelle loro mani. Essi vi custodiranno nelle vostre vie; bambini, vi condurranno là dove il bambino può camminare. Del resto, essi non permetteranno che siate tentati al di sopra delle vostre forze; ma essi vi prenderanno nelle loro mani per farvi passare gli ostacoli che si incontrano davanti a voi. Quello che passa facilmente gli ostacoli, come è portato in tali mani! Quando dunque una grave tentazione si avvicina, che un’afflizione vi minaccia, invocate il vostro Custode, la vostra guida, il vostro aiuto nei vostri bisogni e nella prova. Invocatelo e dite: “Signore, salvatemi, noi periamo!”. Egli non dorme, né sonnecchia, benché in alcuni momenti pare non ascoltarci. Egli è sempre vigilante, sempre soccorrevole. E non vi è pericolo perché cadiate dalle sue mani e di precipitarvi, sia che voi ignoriate, sia che dimentichiate che vi sostenga”. Potremo noi rendere amore per amore al nostro santo Angelo, e non esprimergli spesso la nostra riconoscenza per le tenere cure che egli si degna di prodigarci?
Noi ameremo ed onoreremo il nostro Santo Angelo Custode, se rispettiamo la sua presenza, se imploreremo la sua assistenza e se seguiremo le sue ispirazioni.
Rispettare la presenza del nostro Angelo Custode. Ora, il nostro Angelo Custode è ben più nobile del più grande potente della mondo, poiché è l’ambasciatore celeste del Re dei re, del Signore dei signori. Con quale rispetto dobbiamo dunque vigilare sulla nostra condotta, per evitare tutto quello che potrebbe ferire i suoi sguardi!
Implorare l’assistenza del nostro Angelo Custode. Noi dobbiamo raccomandarci spesso al nostro santo Angelo ed implorare la sua assistenza, soprattutto nelle tentazioni e nelle occasioni pericolose. Egli sarà nostro sostegno e nostro appoggio; combatterà con noi e per noi: ci farà riportare la vittoria sul demonio e le nostre passioni.
Seguire le ispirazioni del nostro Angelo Custode. Ascoltiamo sempre i suoi avvertimenti, meditiamo sulle aspirazioni che avrà fatto nascere nel nostro cuore: lasciamoci guidare e dirigere da lui, in tutto e dappertutto. Non avremo così mai la disgrazia di lasciarci sviare dagli spiriti delle tenebre e di errore che cercano incessantemente di farci abbandonare i sentieri della vera fede e della morale cristiana.

Don Marcello Stanzione (Ri-Fondatore della M.S.M.A.)

domenica 5 ottobre 2008

Lavorare non per noi stessi, ma per la gloria di Dio
e tutti i nostri problemi acquistano perfino un sapore di grazia: è questa la nostra eredità..

Una Santa Domenica in Gesù Risorto - pben

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 21,33-43
Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò.
Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono.
Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio!
Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità.
E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero.
Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?».
Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.

XXVII Domenica del Tempo Ordinario A

L’EREDITA’

Costui è l’erede, venite uccidiamolo
e avremo noi l’eredità

(Mt 21,38)

Resistenza tenace all’opera di salvezza:
si ripete nella storia il peccato di Adam;
conflitto ostinato e permanente contro Dio,
per vincere la partita della storia.

Alla vigna rigogliosa dell’Eden
si contrappone la perfida astuzia
del serpente antico che spinge la creatura
ad autoproclamarsi dio, soprattutto!

L’ipocrisia dell’uomo vuole coprire nell’oblio
il Signore del cielo e della terra,
il Padre amoroso che pianta la vigna
per il suo Diletto e la nostra felicità.

Un progetto meraviglioso sta alla base
della creazione, dove ogni cosa
è buona perché fatta bene, con amore
e l’uomo è l’opera più bella di tutte!

Il vignaiolo affida l’intero mondo
alle mani operose degli uomini perché,
nel loro operato, esaltino visibilmente
la bellezza invisibile del Creatore.

Nasce l’invidia, assurda mozione
dell’anima, che vuole appropriarsi
della gloria di Colui che è bello,
santo, immutabile ed eterno.

Ma non c’è il contenitore per tanta grazia:
l’uomo non è che un soffio e
i suoi giorni sono ombra che passa,
fatto di terra e tanto, tanto insolente.

E così cammina nella storia della vita
senza considerare la Sua presenza,
attribuendo a sé il bene e a Lui il male
sempre puntando il dito di impietosa accusa:

Dio non centra con l’uomo, Dio è lontano
e nessuno l’ha visto. Egli vuole invece vedere
il proprio idolo, toccarlo e rassicurarsi
che lo porti verso le sue conquiste fallaci.

Allora impone alla storia il suo corso
per conquistare l’eredità mai posseduta;
si oppone a Lui, ma senza speranza
perché è un mercenario, non un pastore.

Finalmente spunta l’erede, quello vero:
il Figlio eterno del Padre, capace di gioire
per le opere di Dio e di benedirlo.
A Lui la lode nei secoli in eterno!

Pben 5, x, 2008