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sabato 16 aprile 2011

Diocesi Piacenza-Bobbio - Ufficio Documentazione - Cattedrale - Quaresimale


INCONTRI QUARESIMALI

“…Padre liberaci dal male”

Giovedì, 7 aprile 2011

Documento elaborato da Ciani Vittorio x l’Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.
Lettura brano evangelico: Matteo 6, 7-15
Attenzione, la punteggiatura segnata corrisponde ai momenti di pausa del Relatore.
Enzo Bianchi

Premessa introduttiva

Carissimo padre e vescovo, carissimi fratelli e sorelle,
siamo tutti impegnati nel cammino quaresimale, il cammino di conversione, di ritorno al Signore. E per questo, in questa assemblea di credenti cerchiamo di ascoltare il Signore in modo più intenso e più attento.
Ascoltare il Signore, e dunque ascoltare la sua Parola contenuta nelle sante Scritture è non solo ciò che ci compete ma ciò che è decisivo nella nostra vita. Dall’ascolto della parola di Dio, infatti, dipende la qualità della nostra fede, la qualità della nostra conoscenza del Signore Gesù Cristo. Dipende la nostra capacità di amore per il Signore, e quindi anche la nostra capacità di amore verso gli uomini, in mezzo ai quali noi viviamo.
Questo ascolto della parola del Signore si concretizza questa sera in un cercare di comprendere maggiormente la preghiera che Gesù stesso ci ha consegnato, il “Padre nostro”. E comprendere maggiormente una domanda di questa preghiera, la settima e ultima del ‘Padre nostro’ secondo Matteo che abbiamo ascoltato: “liberaci dal male”.
Quando il vostro Vescovo, che nella sua amicizia nei miei confronti, mi ha invitato, io ho gioito di questo invito per tornare di nuovo in mezzo a voi. Ma mi sono anche ricordato di aver già meditato qui a Piacenza su questa domanda contenuta nel ‘Padre nostro’. Ma ho pensato di acconsentire ugualmente tornando però sul tema rinnovando la mia meditazione e ricerca in modo da non ripetere quello che già avevo detto in quell’occasione del 2008 [1].
Vi propongo dunque stasera un nuovo itinerario che comprenderà la meditazione di tre anni fa. D'altronde il tema, anche se racchiuso in tre parole, “liberaci dal male”, è un tema inesauribile.
Perché proprio in questa domanda del “Padre nostro” è contenuto il dramma di tutta l’umanità e dell’umanità di tutti i tempi e di tutte le culture. Ma vi è anche contenuta la volontà di Dio, che è liberazione del mondo, liberazione dal male.
E per facilitare il vostro ascolto vi traccio l’itinerario:
1.    Vorrei riflettere sul modo innanzitutto sull’esperienza del male.
2.     Quindi sul grido: il grido che sale dalla sofferenza, il grido che è una preghiera: “Liberaci dal          male”!
3.   Infine, sulla risposta di Dio alla nostra preghiera: la vittoria sul male.

1.      L’esperienza del male.

L’esperienza del male, innanzitutto. Al male! alla presenza del male, non è possibile non credere. Perché del male ogni uomo, ogni donna, fa l’esperienza. È verissimo che noi lottiamo contro il male. È anche vero che noi vorremmo rimuoverlo, e che forse la cultura dominante oggi riesce in parte a rimuovere il male, tenta di non tenerlo presente all’orizzonte della vita, tende a negarlo, cerca di coprirsi gli occhi. Ma il male prima o poi ci appare, e ci appare con tutta la sua forza, che è sempre una forza mortifera, sempre una forza che è una presenza della morte.
Il sogno dell’uomo non è soltanto quello di non conoscere il male, ma il sogno dell’uomo è anche quello di non vedere il male, di non considerarlo. Perché il male è sempre sofferenza, dolore, morte.
Noi non vorremmo fare la domanda, che però siamo obbligati a farla, quando prima o poi la sofferenza, il male, ci coglie. Perché? Perché? Che senso ha? Come è possibile di questa rimozione del male? Rimozione molto umana. Tutte le culture ne danno testimonianza.
Mi permetto solo di ricordarvi molto istruttiva per noi: la storia del Buddha. Okkava Buddha. Sta scritto nella storia di questo grande paziente che suo padre, che era un principe, quando nacque il figlio si preoccupò che potesse crescere veramente felice. Fece costruire una cinta al palazzo in modo che Okkava potesse vedere soltanto la bellezza, conoscere soltanto la gioia, godere in quel giardino e in quel palazzo. E Okkava, ci dice la storia di Buddha, fece la sua crescita in quel recinto felice. Ma un giorno sentì che quel luogo era una prigione, e che anche in quel luogo in cui non si presentava il dolore, lui soffriva. E allora uscì fuori da quel giardino, da quel palazzo. E incontrò subito dopo un malato lebbroso. Poi incontrò un vecchio decrepito. Poi incontrò un morto, un cadavere. E così vide il dolore, vide la realtà, conobbe davvero l’umanità.
La storia di Buddha prosegue dicendo che subito dopo incontrò un monaco, un monaco indù. Ed ecco allora nacque la domanda, una domanda che nasceva dalla adesione alla realtà umana, non dalla falsa situazione di un recinto felice.
Ecco, la nostra società, sembra avere il pensiero del padre di Buddha: impedire di vedere il male! Non chiamare neanche più male ciò che è male.
E così noi tutti siamo indotti a rimuovere il male in mille maniere.
Pensateci bene, ormai siamo sempre più lontani dai morti, il più possibile. Vogliamo stare lontano da quelli che soffrano. Aiutiamo, certo, perché siamo buoni; aiutiamo anche gli altri, ma abbiamo la tendenza ad aiutarli sempre più da lontano, senza avvicinarci troppo alla loro sofferenza. Addirittura noi oggi siamo tentati di vivere la ‘carità’ mandando magari un’offerta attraverso il ‘telefonino’ pur di non incontrare chi soffre.
Si dice che “è morto dio nella nostra società”; è vero! Ma è morto soprattutto il prossimo, e tra il prossimo appaiono perciò i lontani, quelli che del prossimo sono bisognosi. Li teniamo lontani il più possibile. E anche quando vogliamo aiutare gli altri, siamo tentati di aiutarli con la carità presbite, che funziona solo con chi è lontano. E tiene lontano da noi soprattutto la realtà della sofferenza del male.
Non è forse così?
Ma voi sapete che resta la realtà. E per chi aderisce alla realtà, per chi aderisce al presente e al quotidiano, prima o poi noi incontriamo il male operante nella nostra vita. Ci vuol poco per riconoscerlo. La malattia che ci coglie nella mente, e che è sempre più presente nella nostra società. La malattia che ci coglie nel corpo, la malattia che ci porta alla morte.
Ma conosciamo anche la sofferenza causata dagli altri, quando ci abbandonano, quando smentiscono il loro amore, quando ci calunniano; quando magari arrivano alla violenza nei nostri confronti.
Ma conosciamo anche il male attraverso la sofferenza causata dalla natura stessa, la natura che porta la morte, la fame. Come non possiamo pensare in questi giorni al male portato dalla natura attraverso il terremoto in Giappone, con una devastazione di morte che certo ci impressiona.
Questo è il male che noi, ciascuno di noi, soffriamo.
Ma non basta questa ricognizione, perché c’è una dimensione del male che non può essere tralasciata: il male di cui noi siamo protagonisti, il male che noi facciamo con azioni, con parole, con monizioni. Quel male che la nostra tradizione cristiana chiama peccato. Una parola che noi cerchiamo di evitare il più possibile, perché non vogliamo riconoscere il male di cui noi siamo responsabili.
Ma c’è un male, di cui siamo responsabili, che non è mai soltanto rivolta contro la volontà di Dio, ma che conosciamo come contraddizione all’amore, contraddizione alla comunione, caduta e sempre disumana e disumanizzante.
Ecco, questo è il male di cui facciamo esperienza nella nostra vita, per cui soffriamo. E così fatichiamo a vivere. A volte addirittura fatichiamo a causa del male a trovare senso alla nostra vita.
E qui va detto, solo l’uomo ha coscienza del male in tutte le sue dimensioni. Solo l’uomo può dire dove c’è il male e dove c’è il bene. Quell’uomo, che il Salmo 8°, alla domanda: “Che cosa è l’uomo, Signore?” – Risponde: “È poco meno di un Dio”; è la grandezza dell’uomo: poco meno di Dio. Ma è anche l’uomo che nel Salmo 44°, sempre alla domanda: “Che cosa è l’uomo, Signore?” – Risponde: “È un mortale”; è una creatura che va verso la morte, la cui vita è come il fiore, è come l’erba, è come l’ombra che declina. Secondo la Bibbia: l’uomo sta proprio in questa sua dignità, “poco meno di un Dio”; e in questa sua fragilità, è una creatura votata che va verso la morte.
L’uomo, proprio perché ‘poco meno di Dio’, ha una consapevolezza, ha una coscienza del male come nessun altra creatura del mondo. Gli animali soffrono anche loro, ma non hanno consapevolezza di che cosa sia il male; ma gli uomini sì. E gli uomini sanno che il male può venire dalla natura, dalla vita, ma può venire anche dagli altri, può venire dalla storia, e che il male può venire da noi stessi, perché ciascuno di noi può essere soggetto di male. Siamo peccatori, cioè gente che sa che sono sedotti dal male. Non dimenticate mai quella espressione di Paolo, di cui dovremmo avere coscienza quotidiana noi: “Non c’è bene che voglio fare che ho fatto; ma il male che detesto, il male che non voglio fare, in realtà poi io lo faccio” (cf Rm 7, 15 – N.d.R.).
È indubbio che nella fede ebraica, e quindi nella fede cristiana, anche se non si arriva a dare una risposta alla domanda “Un de mago?” – “Da dove viene il male?”, si afferma però anche un’altra qualità del male, che noi oggi proprio dimentichiamo, tralasciamo, anche nello spazio cristiano. Cioè, sia l’Antico che il Nuovo Testamento affermano che il male è anche un’azione di una potenza, di una forza, che viene chiamato ‘demonio’, che il male è anche l’azione di qualcuno che viene chiamato ‘avversario’, ‘satanico’, ‘satana’; che il male è anche qualcosa che è causato da un ‘divisore’ – ‘di-a-volo’ (divisore – diavolo). Ci viene anche detto che il male regna perché c’è “un principe di questo mondo”, dice il quarto Vangelo (Gv 16, 11); e questo principe di questo mondo vuole il male. Paolo addirittura chiama questa presenza il “dio di questo mondo” (cf Ef 6,12). Gesù lo ha chiamato qualche volta il “nemico per eccellenza”, il nemico di Dio, il nemico della Sua opera, il nemico del bene, il nemico anche della Creazione come opera che Dio ha vinto bella e buona. È un nemico dell’uomo. Ed è talmente capace di male che viene anche chiamato “maligno”.
È così che la domanda del “Padre nostro”, “Liberaci dal male”, può essere tradotta in due maniere; e noi non possiamo preferire una maniera all’altra.
Possiamo tradurre dal greco, che è la lingua in cui è scritto il vangelo di Matteo, con “liberaci dal male”, cioè liberaci da tutte le espressioni del male.
Ma possiamo anche tradurre “liberaci dal maligno”. Perché l’espressione greca, poneroù, non ci dice se qui c’è solo l’espressione del male, o “mistificatore” ‑ il responsabile supremo del male. Tanto è vero che all’interno della traduzione della Bibbia, che è stata assunta dalla Conferenza Episcopale italiana, proprio nell’indecisione di tradurre il “Padre nostro” – “liberaci dal male” o “liberaci dal maligno” ‑ , ma scegliendo una espressione o l’altra si sarebbe operato una scelta che tralasciava una comprensione, giustamente i vescovi hanno preferito “liberaci dal Male”, ma mettendo la ”M” maiuscola. Per cui con la “M” maiuscola al “Male” si lascia la possibilità di chiedere a Dio: “liberaci dalle espressioni del male”. Ma il male con “M” maiuscola ci rinvia al maligno, al maligno quello che Gesù chiama il “principe di questo mondo”, il nemico, il diavolo, il divisore, satana.
Notate che tutti questi nomi sono stati dati da Gesù al male operante e che Gesù incontrava in mille situazioni. Di fatto il male appare con una forza che noi subiamo, che poche volte noi riusciamo a vincere, a contenere. Una forza che appare come seduzione alla quale è difficile resistere
Davvero credo che il termine migliore per definire il male è ancora quello di “demonio”, dove questa espressione greca demòn indica una dominanza, qualcosa che si impone. Appunto, come diceva Paolo, “non il bene che voglio fare faccio, ma proprio il male che non voglio fare alla fine io faccio”. E qui credo che ciascuno di voi, come me, constata che questo è la nostra situazione.
E così nel “Padre nostro” noi diciamo, denunciamo, il male e il “maligno” come realtà che conosciamo. In questo senso, permettetemi di dire: è molto sciocco dire se si crede al demonio sì o no. Perché del demonio, di questa sua forza, noi facciamo l’esperienza. Non è proprio il caso di crederci. E questa esperienza la facciamo in modo banale, quotidiano, semplice, sovente senza essere all’altezza del discernimento di chi è all’opera, di chi tenta e ci seduce.
Non a caso noi siamo riusciti nel secolo che sta’ alle spalle a parlare della ‘ banalità del male ’.
Attenzione! Nessuna fantasia sul diavolo-demonio. Nessuna fantasia! Tanto meno nessuna curiosità lussuriosa; ma solo la non negazione della sua presenza, perché certamente c’è una forza che è efficace; c’è una forza nel male che è plurale, ha molte facce, è una forza seducente. Ci tenta… Ed è una forza che prima o poi appare sempre come paura della morte

2. Liberaci dal male.

Secondo momento della nostra riflessione.
Da questa consapevolezza, esperienza del male che ci colpisce, noi allora gridiamo: “liberaci dal male”!. Noi gridiamo, noi invochiamo, noi chiediamo aiuto, ci rivolgiamo a Dio, nella coscienza che da soli non sappiamo liberarci dal male, né totalmente, né definitivamente.
Oggi una cultura dominante ci vorrebbe fare intravedere che andiamo verso una vita personale o collettiva… Ieri l’accento cadeva sulla dimensione collettiva. Oggi la dimensione è piuttosto individualista. Ma si vorrebbe far credere che il male in realtà diminuisce fino a scomparire, perché la scienza e la tecnica vincono il male. Ci viene promessa una vita sempre più longeva… Ma in realtà fin che c’è la morte c’è il male.
E l’avevano già capito bene i credenti dell’Antico Testamento, là dove si afferma “liberazione non c’è se non dalla morte”.
Noi a volte riusciamo a liberarci da un male, ma in realtà subito dopo dobbiamo iniziare un’azione di liberazione da un altro male, e così via… E poi comunque incontriamo la morte la quale ci attende inesorabilmente. Lo dobbiamo ammettere. E chi è capiente tra gli uomini, lo sa. L’uomo non è immortale. L’uomo può allungare di qualche anno la sua vita, ma alla fine c’è il traguardo. È stato così dall’inizio dell’umanità, millenni di umanità. E anche gli scienziati più sapienti ci avvertono che è impossibile per noi uomini sconfiggere la morte.
Alla fine, dunque, noi abbiamo la morte. E prima nella vita abbiamo delle anticipazioni che sono sempre segno della morte. Che cos’è la malattia? Ma che cos’è anche la separazione in una storia d’amore? Che cos’è la situazione di bisogno che ci minaccia nel nostro vivere? Che cos’è la cattivazione degli altri che ci provoca sofferenza? Non c’è liberazione se non dalla morte.
E per questo noi invochiamo Dio: “Liberaci tu dal male”. Perché noi la liberazione dal male non ce la possiamo dare.
Vorrei invitarvi qualche volta a pregare i Salmi. Queste centocinquanta preghiere, che cosa sono? Sono grida! pianti! lamenti! urli! da una situazione di male. Perché quell’uomo, quel credente, che prega nel Salmo, vuole il bene, vuole la felicità, vuole la liberazione, vuole la salvezza.
Questa ultima invocazione del ‘Padre Nostro’, “liberaci dal Male”, dice in tre parole tutto quello che è contenuto nei Salmi. Direi che dice tutto il movimento della preghiera cristiana. Ogni preghiera è un’invocazione al Signore, al Dio in cui si crede, per passare dalla malattia alla salute, dalla morte alla vita, dalla disperazione alla felicità, dal peccato all’amore di Dio.
In tutte le preghiere che noi uomini facciamo c’è sempre esplicito, sottointeso, “liberaci dal male”. E i mali dai quali chiediamo la liberazione sono diversi; mutano anche nella nostra preghiera. Ma ciò che chiediamo è indirizzato sempre allo stesso Destinatario, il Dio in cui abbiamo fiducia, il Signore. E noi vogliamo da Lui sempre la sua presenza, la sua consolazione, il suo amore.
La preghiera del “Padre nostro” inizia con l’invocazione a Dio come Padre: “Padre nostro”. Cioè noi abbiamo la fiducia che da Lui viene la vita. Ecco perché lo chiamiamo “Padre”: perché da Lui viene la vita.
E concludiamo il ‘Padre nostro’ con queste invocazioni contro il male, queste invocazioni di liberazione di salvezza.
E vorrei dirvi di più, come notava un padre della chiesa ‑ che ha commentato bene il ‘Padre nostro’ ‑, un padre della Chiesa antica: Giovanni Crisostomo, il quale diceva: “Quando noi diciamo ‘ liberaci dal male ’, di fatto stiamo dicendo tutto il ‘Padre nostro’”. Tutte le invocazioni ‑ perché le invocazioni precedenti: “venga il tuo regno”, “sia fatta la tua volontà”, “dacci oggi il pane quotidiano”, “rimetti a noi i nostri peccati”, “non abbandonarci alla tentazione” ‑ sono tutte richieste di liberazione dal male. È sempre il male che impedisce che siano realtà: vita degli uomini, le cose che chiediamo nel ‘Padre nostro’, il Regno, la realizzazione della volontà di Dio, il perdono.
Potremmo dire che queste parole sulla bocca del cristiano sono alla fin fine sempre ‘liberaci dalla morte’: sì, dalla morte! “Dalla morte”, come ultima parola per ciascuno di noi. Certo la morte eterna, quella morte che significa “esclusione dalla comunione con Dio”. Ma anche dalla morte che ti raggiunge alla fine della nostra vita. E anche dalla morte che è presente magari in uomini e donne che sembrano vivi, ma che sono “morti” perché incapaci di una vita di comunione, incapaci di speranza.
Dobbiamo pregare, e pregare dunque, chiedendo al Signore ciò che noi non possiamo da soli. Dobbiamo pregare il Padre perché ci dia la forza di resistere al male, perché c’è una resistenza al male che ci spezza, senza la quale Dio non può operare. Resistere a satana, al ‘tentatore’. Lottare contro tutte le forze del male che ci assalgono, è il nostro compito.
E per resistere occorre esser pronti ad una dura e incessante lotta spirituale, ma in questa resistenza occorre che sia presente il Signore.
Nel Salmo 119° c’è un’espressione straordinaria: “Signore, nella mia lotta si tu a lottare”. Quando noi lottiamo contro la tentazione, contro il male, il Signore è lui che lotta in noi.
E come dimenticare le parole di Gesù? che, nella lotta contro il male, aboliva “Questa specie di demoni non la si può scacciare, se non con la preghiera” (Mc 9, 29). E come dimenticare le parole dell’apostolo Paolo?: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12, 21).

3. La vittoria sul male.

Infine, ultimo punto della nostra meditazione, “la vittoria sul male”.
Il male che ti colpisce. Questa azione del demonio che si fa sentire nella nostra vita personale e collettiva, è invincibile? È una realtà ultima? È l’ultima parola sulla vita degli uomini?
Ecco, qui c’è la buona notizia: c’è il Vangelo! Che è davvero la risposta, l’unica risposta al dramma del male. Infatti, la “buona notizia”, l’unica vera buona notizia ‑ che i cristiani dovrebbero non solo ritenere loro speranza, ma sentirlo soprattutto come l’unico vero debito che hanno verso l’umanità, verso i fratelli ‑, questa buona notizia è che Gesù con la sua vita, la sua morte e la sua resurrezione ha vinto il male e il maligno per sempre.
Ci bastino due parole del Nuovo Testamento.
Negli Atti degli Apostoli, Pietro riassume così la vicenda di Gesù: “Gesù, un uomo che passò facendo il bene e risanando tutti quelli che stavano sotto il potere del male, perché Dio era con Lui”, sta’ in Atti 10, 38. Ecco la vita di Gesù: una vita in cui ha fatto il bene, sottraendo al potere del male tutti quelli che erano malati e che Lui guarì.
Ma un’altra affermazione importante si ha sulla bocca di Gesù secondo il quarto Vangelo. Quando Gesù, ormai attraverso la sua passione e morte, la vigilia, a Gerusalemme, Gesù grida: “Ora il principe di questo mondo è buttato fuori” (Gv 12, 31). Cioè ora il demonio, con la mia passione morte e resurrezione, è vinto per sempre! È buttato fuori! Non ha più una vittoria definitiva per gli uomini.
Tutta la vita di Gesù è stata una battaglia contro il male, e contro il Male con la “M” maiuscola, perché Gesù è stato tentato e ha resistito alle tentazioni: ha vinto il demonio. Perché Gesù ogni volta che ha incontrato il Male nelle sue varie forme – i malati, i peccatori – ha dato loro la vita, ha rinnovato la loro vita, ha dato loro il perdono e l’amore. Tutto l’operare di Gesù era togliere terreno e potere al male. E questo Gesù non l’ha fatto interessandosi del male in modo astratto. Gesù ha mai speculato sulla realtà del male, come siamo tentati di fare noi; ma ha voluto incontrare uomini e donne segnate dal male, segnate dalla malattia, segnate dal peccato, segnate dalla morte.
E Gesù ha incontrato noi uomini prendendosi cura di noi, curando le nostre malattie – dicono i Vangeli –, liberandoci dal potere del male.
Tutta la sua dizione, come aveva detto nella sinagoga di Nazaret, era annunciare la buona notizia ai poveri, portare la libertà ai prigionieri, portare ai ciechi la vista, portare la liberazione agli oppressi (cf Lc 4, 16-19).
E questa lotta di Gesù contro il male, era una lotta combattuta soltanto con la voce.
E possiamo anche riassumere la vita di Gesù, non solo come facevano gli Atti degli Apostoli, ma sto facendo del bene, ma come fa il quarto Vangelo: adesso ho amato: ‘amò fino all’estremo’, “amò fino alla fine” (Gv 13,1). Questa è la sintesi di tutta la vita di Gesù.
E se i discepoli potranno arrivare a dire che “Dio è amore” – questa è l’affermazione che fa Giovanni nella sua lettera (1 Gv 4, 8.16) ‑ (e lo sapete) è l’affermazione ultima, l’ultima del Nuovo Testamento, dopo la quale non sono possibili altre definizioni ulteriore di Dio. Ma se sono arrivati a dire che “Dio è amore”, ciò cui non era giusto l’Antico Testamento. L’ha fatto perché avevano visto l’amore di Dio presente nella vita umanissima di Gesù, l’autorevolezza di Gesù, la sua forza, quella che permetteva a Gesù di guarire i malati, di risvegliare una donna in una prostituta, di risvegliare un uomo nuovo in uno strozzino, di mettere vita dove c’è la morte. Era la sua capacità di amare concretamente, umanamente e gratuitamente.
Così Gesù dimostrava che il male può soltanto essere vinto soltanto dal bene, dunque dall’amore che è il bene supremo.
E dopo un’esistenza segnata dall’amore, anche nella Passione. Quando si scaricava su di Lui l’odio dei potenti ‑ la violenza dei persecutori, il tradimento degli amici ‑, Gesù ha continuato ad amare mai contraddicendo l’Amore. Mai cedendo al Male, mai cedendo alla tentazione di opporsi al male con il male.
È andato incontro alla morte come ogni altro uomo, ma è entrato nella morte amando. E questo suo Amore non poteva morire per sempre. Sicché Dio ‑ il Padre – ha dovuto confermare il suo Amore risuscitandolo da morte.
Stiamo attenti a noi cristiani! Quando finiamo per dire che Gesù è risorto solo perché era Figlio di Dio – messaggio troppo breve che agli uomini non interessa nulla! Gesù è risorto perché il suo Amore – che era l’amore di Dio operante in Lui – non poteva morire, e non poteva permettere che l’ultima parola fosse la morte. Per cui, il Padre confermandolo come Figlio ‑ come sua Narrazione, come sua Rivelazione ‑ lo ha resuscitato dai morti: ha mostrato che l’Amore vince la morte. E questa è la Pasqua, questa è la buona notizia pasquale. L’Amore è più forte della morte. L’Amore è capace di vincere il male.
Cari fratelli e care sorelle, in questo cammino quaresimale ci siamo impegnati a lottare contro il male, e abbiamo certamente pregato più volte il Signore “liberaci dal male”. E ormai, ecco, la Pasqua ci sta’ davanti. La Pasqua è vittoria sulla morte, sul Male e sul peccato. La vittoria dell’amore di Dio. La Pasqua è l’evento decisivo per l’umanità.
Vogliamo noi partecipare a questo evento? L’evento del Cristo vincitore del Male e della morte? Vogliamo essere con Cristo nella lotta contro il male, vittoriosi! Grazie soltanto a Lui, alla sua azione, alla sua Grazia, non certo fondando sulle nostre forze? E vogliamo con tutti i nostri limiti essere con Cristo nell’Amore fino alla fine, a prezzo anche della croce?
Così saremo liberati dal Male, e saremo esauditi nella nostra preghiera del ‘Padre nostro’: “Liberaci dal Male”. Questa è l’invocazione. Una invocazione che facciamo però nella fede di Cristo, che ci ha liberati dal male con la sua vita, la sua morte, la sua Passione, cioè con il suo Amore fedele fino alla fine.
Apprestiamoci a celebrare la Pasqua, come vittoria dell’amore di Dio sul Male, che purtroppo regna nel Mondo, e che sovente regna anche in noi: il male che conosciamo, che non possiamo rimuovere, ma che Dio in Gesù Cristo ha vinto per sempre.

Documento rilevato da registrazione audio da Vittorio Ciani, nel linguaggio parlato, ma non rivisto dall’Autore.

[1] File OT160508 ‑ Diocesi Piacenza-Bobbio Ufficio Documentazione Basilica di Sant’Antonino ‑ L’Associazione Teologica di Piacenza, promuove: “Festival della Teologia “…ma liberaci dal male” ‑ Prima edizione 16-17-18 Maggio 2008 ‑ – Lectio magistralis di Enzo Bianchi ‑ 16 Maggio 2008. Relazione totale rilevata dalla registrazione audio da Ciani Vittorio. Enzo Bianchi fondatore e priore della comunità monastica di Bose.

giovedì 3 marzo 2011

Il Diavolo Esiste
 

La Sacra scrittura ci mette bene in guardia.

La S. Scrittura non esita a presentare la vita come una lotta,una vera guerra, contro i demoni.


Azione ordinaria e straordinaria del maligno:

Non c'è un netto confine tra l'azione ordinaria (tentazione) e quella straordinaria (mali malefici, possessioni...) del demonio. Dell'azione ordinaria ne siamo vittime tutti! La Bibbia stessa considera una beatitudine la vittoria contro la tentazione (Gc 1,12). Le tentazioni demoniache ci riguardano quotidianamente, tutti ed  indistintamente, anche in considerazione delle occasioni che il mondo stesso in cui viviamo ci presenta. Gesù stesso accettò di essere sottoposto alle tentazioni durante i 40 giorni passati nel deserto. Come resistere? "Vigilate e pregate per non cadere in tentazione" (Mt 26,41). Per quanto attiene all'azione straordinaria di satana, con questa si intende l'opera del diavolo che si manifesta con effetti visibili o percepibili: disturbi esterni, possessione diabolica, vessazioni diaboliche, ossessioni diaboliche e infestazioni diaboliche. Analizziamole brevemente:
1) Disturbi esterni: Sono quelle sofferenze fisiche che ad esempio ritroviamo con una certa frequenza nella vita di determinati Santi come Santa Gemma Galgani ad esempio; parliamo di battiture, percosse, cadute di oggetti... ecc... In questi casi, in pratica, il demonio agisce rimanendo all'esterno della persona.
2) Possessioni diaboliche: Questa è di certo la forma più grave nella quale si possa espletare l'azione straordinaria del demonio. Comporta la permanenza continua del demonio in un corpo umano, pur essendo la manifestazione malefica dello stesso limitata a determinati momenti di "crisi". In questo caso non è detto che i disturbi dovuti alla possessione siano continui: infatti il posseduto perde il controllo di sé solamente durante quelle che potremmo definire delle "crisi" da possessione, nelle quali il Male (il demonio) agisce per mezzo del pieno controllo del corpo, delle capacità intellettive, mentali ed affettive, nonché volitive della persona posseduta. Le manifestazioni di tutto ciò possono essere le più disparate: il posseduto può parlare lingue a lui sconosciute, può parlare al contrario, può rimettere dalla bocca oggetti impensabili all'interno del corpo umano, può manifestare una forza spropositata, un'avversione al sacro... e via dicendo...
3) Vessazioni diaboliche: in questo caso si hanno forme di disturbi saltuari, che possono colpire il singolo o interi gruppi di persone. Le tipologie di disturbi sono le più svariate: si va dai disturbi dell'umore (arrabbiature improvvise ed immotivate..) a quelli degli affetti, nei rapporti con gli altri o, a volte, anche della salute...
4) Ossessioni diaboliche: In questo caso si ha a che fare con pensieri ossessivi. La vittima è perseguitata da pensieri ricorrenti ed anche assurdi dei quali non è capace di liberarsi: tutto ciò determina un continuo stato di avvilimento, che può portare anche alla tentazione del suicidio. A differenza della possessione la volontà resta libera, pur essendo schiava di pensieri ossessivi.
5) Infestazioni diaboliche: qui entriamo nel discorso dei mali malefici sull'uomo, sulle cose o anche sugli animali.
6) Soggezioni diaboliche: facendo riferimento al libro di padre G. Amorth "Nuovi racconti di un esorcista", riportiamo anche la categoria delle soggezioni diaboliche: con questo termine si vuole intendere il caso in cui una persona sia assoggetta al potere del diavolo in maniera volontaria, con un patto esplicito o implicito, sottomettendosi alla signoria dello stesso. Nella possessione straordinaria, dunque, possiamo dire che figurano tutte quelle persone che realmente e fisicamente sono possedute dal demonio: o per loro scelta o a causa di fatture o di consacrazione al diavolo, ad esempio, da parte di genitori appartenenti a sette sataniche...
Per concludere, però, viene da chiedersi come si può restare vittime di mali malefici straordinari?
Le motivazioni posso essere molteplici. Andiamo per ordine. a) Innanzi tutto dobbiamo specificare che nulla può avvenire senza che Dio lo voglia: dunque, affinché il diavolo possa esercitare su di una persona la sua azione straordinaria, Dio deve permetterlo. Il motivo, poi, per il quale Dio possa permettere ciò a noi non è dato di saperlo; ci basti sapere che qualunque cosa Dio faccia o permetta è comunque per la nostra Santificazione, Dio è l'unico capace di ricavare il bene anche partendo dal male.
A volte, tanto per fare un esempio, Dio potrebbe permettere al diavolo di esercitare su di una persona la sua azione straordinaria, al fine di sublimare quell'anima o per temperarla nelle virtù... è il caso di molti Santi che, come ad esempio Padre Pio, furono "tormentati" dal diavolo  in una maniera che di certo era molto più che ordinaria. Dunque in questo caso si parla di un'azione del demonio intenta a tentare una persona Santa al fine di farla rinunciare alle Vie di Dio: naturalmente è un caso rarissimo.
b) Una maniera "classica" e frequente di rimanere vittime dell'azione straordinaria del demonio è a seguito di un maleficio. La vittima naturalmente non ha colpe: qualcuno vuole nuocergli mediante l'intervento del demonio. Può trattarsi di fattura, malocchio, maledizione, legatura....
c) Certamente, poi, persistere in una situazione di peccati gravissimi nei quali una persona può indurirsi in maniera irreversibile è di certo un buon presupposto perché il Male possa prendere piede nella nostra anima e nel nostro corpo in maniera forte, mediante un'azione, appunto, straordinaria. Come fa notare padre Amorth in una sua intervista, questo potrebbe essere il caso di Giuda Iscariota: chissà quanti tentativi deve aver fatto Gesù perché potesse vincere la sua cupidigia del denaro. Anche in questo caso si tratta di una azione straordinaria del diavolo rarissima a trovarsi.
d) Infine, la frequenza di persone e luoghi malefici: partecipando ad esempio a sedute spiritiche o a sedute di magia o consultando maghi e loro simili, o aderendo a sette sataniche.... bhe, è evidente che è una maniera per aprire  volontariamente le porte della propria anima a satana.

giovedì 20 gennaio 2011

 Chiamati alla perseveranza
18 Settembre 2009  di Chiara Lubich
Fonte: Città Nuova
 

«Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime» (Lc 21,19)




“Perseveranza”. È questa la traduzione della parola originale greca, la quale però è ricca di contenuto: include anche pazienza, costanza, resistenza, fiducia.
La perseveranza è necessaria e indispensabile quando si soffre, quando si è tentati, quando si è portati allo scoraggiamento, quando si è allettati dalle seduzioni del mondo, quando si è perseguitati.
Penso che anche tu ti sia trovato in almeno una di queste circostanze ed abbia sperimentato che, senza perseveranza, avresti potuto soccombere. A volte forse hai ceduto. Ora magari, proprio in questo momento, ti trovi immerso in qualcuna di queste dolorose situazioni.
Ebbene, che fare?
Riprenditi, e… persevera.
Altrimenti il nome di “cristiano” non ti si addice.
Lo sai: chi vuol seguire Cristo deve prendere ogni giorno la sua croce, deve amare, almeno con la volontà, il dolore. La vocazione cristiana è una vocazione alla perseveranza.
Paolo, l’Apostolo, mostra alla comunità la sua perseveranza come segno di autenticità cristiana.
E non teme di metterla sul piano dei miracoli.
Se si ama la croce poi e si persevera si potrà seguire Cristo che è in Cielo e quindi salvarsi.
«Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime».
Si possono distinguere due categorie di persone: quelle che sentono l’invito ad essere veri cristiani, ma quest’invito cade nelle loro anime come il seme su una pietraia. Tanto entusiasmo, simile a fuoco di paglia, e poi non rimane nulla.
Le seconde invece accolgono l’invito, come un buon terreno accoglie il seme. E la vita cristiana germoglia, cresce, supera difficoltà, resiste alle bufere.
Queste hanno la perseveranza e…
«Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime».
Naturalmente, se vuoi perseverare non ti basterà appoggiarti solo sulle tue forze.
Ti occorrerà l’aiuto di Dio.
Paolo chiama Dio: «Il Dio della perseveranza».
È a lui dunque che devi chiederla ed egli te la darà.
Perché se sei cristiano non ti può bastare l’essere stato battezzato o qualche sporadica pratica di culto e di carità. Ti occorrerà crescere come cristiano. E ogni crescita, in campo spirituale, non può avvenire se non in mezzo alle prove, ai dolori, agli ostacoli, alle battaglie.
C’è chi sa perseverare per davvero: è colui che ama. L’amore non vede ostacoli, non vede difficoltà, non vede sacrifici. E la perseveranza è l’amore provato. (…)
Maria è la donna della perseveranza.
Chiedi a Dio che ti accenda nel cuore l’amore per lui; e la perseveranza, in tutte le difficoltà della vita, ti verrà di conseguenza, e con essa avrai salvato l’anima tua.
       
«Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime».
Ma c’è di più. La perseveranza è contagiosa. Chi è perseverante incoraggia anche gli altri ad andare fino in fondo. (…)
Puntiamo in alto. Abbiamo una sola vita e breve anche questa. Stringiamo i denti giorno dopo giorno, affrontiamo una difficoltà dietro l’altra per seguire Cristo… e salveremo le nostre anime.
Pubblicata per intero su Città nuova n. 10/1979.

sabato 1 gennaio 2011


La lotta di Satana alla Chiesa e all'umanità
 
(di Don Marcello Stanzione)

Ancora oggi, nel ventunesimo secolo, quando si parla di Satana e di demonio, molti tornano con la mente alle truculenti descrizioni che Dante Alighieri fa dei diavoli nell’Inferno della sua Divina Commedia, oppure lo immaginano con tanto di corna, coda e forchettone in mezzo alle fiamme, come è rappresentato dall’iconografia medievale. Ora, per avere delle idee chiare sul demonio, bisogna liberarsi da queste immagini alquanto infantili.
La fede della Chiesa, riguardo all’esistenza ed all’azione malefica del demonio, si basa sulla testimonianza della Bibbia, che è parola di Dio sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Gesù si è presentato costantemente come il Vincitore di Satana e dei demoni: Egli infatti, nel Vangelo, affronta personalmente Satana e riporta su di lui la vittoria (Mt 4, 11; Gv 12, 31). Cristo affronta anche gli spiriti maligni che hanno potere sull’umanità peccatrice e li vince nel loro dominio. Affrontando la malattia, Gesù affronta Satana, e quindi anche dando la guarigione trionfa su di lui. I demoni si ritenevano insediati quaggiù da padroni: Gesù è venuto a sconfiggerli (Mc 1, 24).
Dinanzi all’autorità che Egli manifesta nei loro confronti, i suoi nemici l’accusano: “Egli scaccia i demoni in virtù di Beelzebul, principe dei demoni” (Mc 3, 22); “Non sarebbe per caso anch’egli posseduto dal demonio?” (Mc 3, 30; Gv 7, 20; 10, 20s), si chiedono i suoi calunniatori. Ma Gesù dà la vera spiegazione: Egli scaccia i demoni in virtù dello Spirito di Dio e ciò prova che il Regno di Dio è giunto fino agli uomini. Ormai gli esorcismi si faranno nel Nome di Gesù (Mt 7, 22; Mc 9, 38). Cristo, mandando in missione suoi discepoli, comunica loro il potere di sconfiggere i demoni (Mc 6, 7-13).
Questo sarà per tutti i secoli. E anche oggi, infatti, uno dei segni che accompagna la predicazione del Vangelo è la presenza degli esorcisti in seno alla Chiesa. Comunque, anche il concetto di diavolo, come tutte le verità della fede cristiana, è stato progressivamente rivelato e compreso. Nel Nuovo Testamento il diavolo è il più diretto avversario di Dio, il tentatore e seduttore degli uomini. E’ pure chiamato Beelzebul o Satana. Nell’Antico Testamento, Satana è un nome comune che significa accusatore in un processo, avversario. Nel Libro di Giobbe (2,1), si parla di Satana come di un essere che mette alla prova gli uomini.
Nel primo libro delle Cronache 21,1, Satana sembra già il nome proprio di un essere personale. A poco a poco si sviluppò tra gli Israeliti la concezione di Satana, avversario di Dio, che rende gli uomini schiavi del peccato. Il diavolo, quindi, non è un concetto astratto, non è una personificazione fantastica del male, ma è una realtà concreta, una persona, o meglio un insieme di persone ben definite. E’ una creatura di Dio, quindi originariamente buona. E’ un puro spirito, dotato di capacità molto superiori alle nostre; ma si è irrimediabilmente pervertito in conseguenza del suo essersi ribellato a Dio.
Satana è diventato così l’antagonista di Dio che si oppone in tutti i modi al suo Regno, tentando gli uomini al male. La tentazione è una suggestione che egli esercita sulle facoltà superiori dell’uomo (soprattutto la fantasia): di fronte alla tentazione, l’uomo conserva intatta la propria libertà e responsabilità. In certi rari casi, che devono essere scientificamente accertati, il diavolo, permettendolo Dio, può disturbare anche il corpo dell’uomo con malattie e danni di vario genere. Uno degli aspetti essenziali della vita del cristiano, sia singolarmente che come membro della Chiesa, è la lotta contro il demonio. Nel passato, forse, si è insistito troppo su tale aspetto, e con accenti eccessivamente terroristici, per cui in alcuni si era creata una fissazione demonopatica; oggi, viceversa, questa lotta contro il potere delle tenebre è piuttosto trascurata. Come sappiamo dalla Rivelazione e dal Magistero della Chiesa, i demoni sono creature che tentano l’uomo al male.
Di qui la necessità, da parte dell’uomo, di difendersi e di lottare contro di essi per ottenere la salvezza. La vittoria contro il demonio si raggiunge soltanto in Cristo che è il vincitore di Satana, capo dei demoni. L’azione del demonio, sebbene tutta protesa ad offendere Dio e a danneggiare l’uomo, è controllata dal potere divino, che utilizza il Maligno per esercitare l’uomo nella virtù ed aumentare così lo splendore della gloria divina. Il demonio non danneggia l’uomo tanto quanto vorrebbe, ma solo fin dove la Provvidenza divina glielo consente, al fine di provare l’uomo nella virtù e condurlo proprio a quella salvezza che il demonio non vorrebbe. Il demonio invece gode di una maggiore libertà di nuocere se è l’uomo stesso che, con il suo peccato, gli lascia lo spazio per agire. Il demonio intende danneggiare l’uomo sia nel corpo che nello spirito.
Egli arreca il danno fisico o di propria iniziativa, e allora si ha il fenomeno della cosiddetta possessione o ossessione diabolica, o perché sollecitato da qualche creatura umana male intenzionata, e abbiamo allora la stregoneria o magia nera, che - da parte dell’uomo che commette tale azione - costituisce un grave peccato di superstizione. Nella sua azione contro la dimensione psicofisica della persona, il demonio provoca delle grandi sofferenze psicologiche. Ma l’azione che è da considerarsi come la più dannosa è quella tesa ad istigare al peccato ed è quella che occorre maggiormente temere. Le tre sorgenti della tentazione al peccato sono, secondo la Tradizione spirituale cristiana, la carne, il mondo ed il Demonio.
La tentazione cosiddetta della carne è quella che viene da noi stessi, dai nostri vizi, dalle nostre debolezze. Alcuni peccati sono più legati al corpo, come ad esempio la gola o la lussuria…; altri sono maggiormente connessi alla vita psico-spirituale, come ad esempio la superbia, l’invidia, la menzogna, l’ipocrisia.
La tentazione del mondo è quella che viene dagli altri uomini, dall’ambiente umano nel quale viviamo, dai nostri nemici dichiarati o dai falsi amici, cioè dagli ipocriti che ci spingono a peccare mediante l’attrattiva dei piaceri, degli onori, delle ricchezze e della gloria umana. Vi sono poi, anche coloro che ci opprimono, ci provocano, ci tormentano in vario modo, rendendoci difficile la pratica della virtù.
La tentazione del demonio non è facile da riconoscere, ma la Sacra Scrittura ci comanda espressamente di guardarci dalle tentazioni diaboliche e di vigilare (1 Pt 5,8-9). Il regno delle tenebre del demonio è l’instaurazione nel nostro mondo di una Anti-Chiesa, cioè di un regno della menzogna (darwinismo, marxismo, scientismo), dell’immoralità (libera droga, matrimoni omosessuali, pornografia, aborto ed eutanasia di stato) e dell’ateismo e dell’incredulità (il relativismo che Papa Benedetto XVI continuamente denuncia), quindi di un potere organizzato ed efficiente del male che, servendosi di strumenti e strutture politiche, economiche, sociali e culturali tiene l’umanità in sua balìa, impedendo a grandi masse umane, specie giovanili, di conoscere la verità, di vivere secondo la retta legge morale e di conoscere e di adorare Dio ed il suo Figlio Gesù Cristo crocifisso e risorto per la nostra salvezza. 
Non dimentichiamo mai di invocare nella lotta contro lo spirito delle tenebre il potentissimo arcangelo San Michele ed i Santi angeli di Dio. Benedetto XVI, riguardo a San Michele, nell’omelia per l’ordinazione di sei nuovi Vescovi il 29 settembre 2007, ha affermato: “Di questo Arcangelo si rendono evidenti due funzioni. Egli difende la causa dell’unicità di Dio contro la presunzione del drago, del “serpente antico”, come dice Giovanni.
E’ il continuo tentativo del serpente di far credere agli uomini che Dio deve scomparire, affinché essi possano diventare grandi; che Dio ci ostacola nella nostra libertà e che perciò noi dobbiamo sbarazzarci di Lui. […]Chi accusa Dio, accusa anche l’uomo. La fede in Dio difende l’uomo in tutte le sue debolezze ed insufficienze: il fulgore di Dio risplende su ogni singolo. […] L’altra funzione di Michele, secondo la Scrittura, è quella di protettore del popolo di Dio”. E’ importante invocare il Principe delle schiere angeliche in particolar modo con la preghiera composta da Leone XIII e raccomandata anche dal Servo di Dio il Papa Giovanni Paolo II: “San Michele arcangelo, difendici nella battaglia; contro le malvagità e le insidie del diavolo sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che viene da Dio, ricaccia nell’inferno satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime”.

martedì 7 dicembre 2010

L’azione degli angeli sulla natura e sul cosmo

di don Marcello Stanzione*

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org)

Già presso gli ebrei si era giunti alla persuasione che non esiste alcuna cosa in questo mondo, neppure un filo d’erba su cui non è posto un angelo. Così anche le singole nazioni per l’ebraismo sono soggette alla custodia di un angelo e tale idea fu conservata anche nell’antichità cristiana. I Padri, senza alcuna difficoltà, pongono sotto la vigilanza e la guida degli angeli tutto il mondo della materia inorganica e animata, le stelle, gli astri, la terra, gli elementi, le piante, gli animali, le nazioni, i popoli, l’uomo. Per esempio Origene, sant’Ambrogio, sant’Agostino ammettono che ciascun oggetto, gli elementi, gli astri fino agli insetti sono affidati alla custodia di un angelo particolare. A tale proposito sant’Agostino scrive: “Riteniamo per certo che in questo mondo ogni creatura visibile è affidata ad una potenza invisibile secondo testimonianza più volte ripetuta nella stessa scrittura” (De diversis questionibus octoginta tribus liber, Pl, 40,11-40,q.83 e seg.).
In questa direzione la teologia cattolica va quindi d’accordo con la migliore filosofia ed infatti san Tommaso d’Aquino asserisce: “Tutti gli esseri corporei sono governati e mantenuti nell’ordine da esseri spirituali, tutte le creature visibili da creature invisibili” ( summa Theol., p.I, q. XLV,a.3.). L’azione degli spiriti angelici nella creazione dipende dall’azione di Dio e gli è subordinata. Conviene dunque prima di tutto stabilire e riservare la parte essenziale dell’azione divina nell’ordine generale del mondo. Come pure che l’essere di tutte le cose viene da Dio, il movimento iniziale impresso a tutte le cose proviene unicamente da Dio. Egli non si è accontentato di creare; conserva la creazione con un’azione continua che è un prolungamento dell’influsso creatore. Egli è intimamente presente a tutti gli esseri che, senza di lui, ricadrebbero nel nulla. Similmente, egli comunica a tutti loro una virtù che li fa muovere ed agire, ognuno secondo la sua attitudine; virtù segreta, sovranamente efficace, effusa ovunque e senza la quale l’universo rientrerebbe nell’immobilità.
Dall’altro lato, ogni essere possiede in se stesso il suo principio di movimento, od almeno un’attitudine ad essere mosso. Così l’animale è dotato di forza motrice; la pianta ha la facoltà di svilupparsi; la pietra è sollecitata dalla pesantezza. Questa attitudine ad essere mossa, questa potenza più o meno rudimentale di muoversi, si traducono con dei movimenti variegati, con delle trasformazioni successive, grazie a quella virtù divina di cui abbiamo parlato che pone ovunque l’attività e la vita.
Allora, direte voi, tutto si spiega molto bene senza l’intervento degli angeli. Dio mette in movimento le forze naturali e queste percorrono la loro traiettoria sotto l’impulso ricevuto; gli angeli non hanno nulla a che fare laddove Dio agisce direttamente. Disingannatevi: Dio agisce come primo ed universale motore; gli angeli agiscono come motori secondari e particolari; la loro azione si subordina all’azione divina, essa l’applica in qualche modo e la specifica. Spieghiamo questo con un esempio familiare. Io lancio una palla: è per virtù di Dio che il mio braccio agisce, è da questa stessa virtù chela palla segue l’impulso dato: nondimeno, è evidente che il mio braccio è il motore della palla. E’ così, se è permesso di paragonare le grandi cose alle piccole, è così che gli angeli mettono in movimento, grazie alla virtù divina, e le sfere celesti e tutte le forze vive della natura. Essi sono dei motori secondi subordinati al primo motore che è Dio.
La loro natura spirituale sempre in movimento li rende talmente propri a questa funzione, e gli oggetti corporali hanno talmente bisogno di essere sollecitati e messi in movimento da un’attività esteriore, che San Tommaso pone chiaramente questo assioma: “Occorre che la creatura corporale sia mossa dalla spirituale”, “Oportet quod creatura corporalis a spirituali moveatur” (Sum. Prim. Pars q. CX, a. 1, ad prim).
Gli angeli non sono solamente i motori degli esseri corporali; essi sono anche incaricati di dirigere e di coordinare i loro movimenti rispettivi, in maniera tale che non ne risulti nessuna confusione e che tutto resti nell’equilibrio che è la pace della natura inanimata. Diamo alcuni esempi. I fisici hanno scoperto quella legge che ogni movimento può trasformarsi in calorico e, reciprocamente, che ogni calorico può trasformarsi in movimento. Lo stato del globo poggerebbe dunque sulla giusta ripartizione del movimento e del calorico in tutte le sue parti. Ma qual è la forza intelligente che presiederà a questa ripartizione, se non qualche spirito angelico?
Portate la vostra attenzione sull’innumerevole quantità di semi che si disputano il suolo della terra. Non occorre che la loro distribuzione e la loro germinazione siano soggette ad alcune leggi, perché le specie utili non scompaiano davanti alla moltiplicazione illimitata dei parassiti? Ora, qual è, noi lo ripetiamo, la forza intelligente che veglia all’esecuzione di queste leggi preservatrici, se non è l’energia degli esseri spirituali preposti da Dio all’amministrazione di questo mondo?
Potremmo moltiplicare questi esempi; sarebbe inutile. Basta un momento di riflessione per comprendere che l’universo non possa essere consegnato alle forze cieche che sorgono dalla materia e che queste forze, per l’armonia del tutto, debbano essere contenute e dirette da delle forze intelligenti. Ponete come legge, se vi sembra bene, la lotta per l’esistenza; ma ammettete l’intervento in questa lotta di una potenza moderatrice che emana da Dio e che si esercita tramite il ministero dei santi angeli. Grazie ad essa, la lotta è circoscritta in saggi limiti, essa ritaglia alcune superfluità, non giunge allo stermino delle specie.
Queste verità hanno per esse la testimonianza di tutta l’Antichità. I filosofi Aristotele e Platone hanno costruito diversi sistemi sull’intervento degli spiriti come moderatori delle cose terrestri. Istruiti dalla Bibbia, i Padri della Chiesa, senza perdersi in vani sistemi, sono stati ancor più affermativi e più precisi. Origene, in un curioso passo relativo all’asina di Balaam, dice che il mondo ha bisogno di essere amministrato dagli angeli e che essi hanno l’intendenza sugli animali stessi, provvedendo alla loro moltiplicazione così come alla vegetazione delle piante e degli alberi. Sant’Agostino dice, da parte sua, che ogni specie distinta d’uno dei regni della natura è governata da una potenza angelica.
Sant’Agostino non ha lanciato questa affermazione per caso. L’Apocalisse menziona “l’angelo che ha potenza sul fuoco” (14, 18), e “l’angelo delle acque” (16, 5). Questo ci fa capire che vi è un angelo incaricato di regolare la distribuzione delle acque sia nelle nubi, sia nelle vene delle montagne, sia nei fiumi, sia nei mari.
Rimane una questione da chiarire: fin dove si estende il potere degli spiriti angelici? Essi mettono tutto in movimento, questo è ammesso. Possono essi produrre degli esseri corporali, e produrli senza impiegare nessun germe? San Tommaso risponde negativamente. Secondo lui, gli angeli e, generalmente, gli esseri spirituali mischiati nel movimento di questo mondo, non possono creare germi, né produrre di colpo un animale od una pianta. Il loro potere si ferma all’utilizzo dei germi preesistenti, per trarne gli esseri che vi sono contenuti. In una parola, essi non prendono il posto degli agenti naturali e non suppliscono alla loro azione che rimane necessaria; essi non fanno che mettere questi agenti in movimento in una maniera molto occulta e molto sottile, e sviluppare la loro azione con una rapidità che dona l’illusione di una creazione o di una produzione istantanea.
E’ così, per dare un esempio, che occorre spiegare i prodigi operati da Mosé e dai maghi del Faraone, tali come l’Esodo ce li racconta (7, 8). Mosé ed i maghi fanno uscire dal fiume legioni innumerevoli di rane. Mosé cambia la polvere in insetti, cosa che i maghi non possono imitare. Mosé agiva con la virtù degli angeli buoni, i maghi operavano con la potenza dei demoni. Né il primo, né i secondi hanno agito per via di creazione o di generazione spontanea. I buoni angeli, come i cattivi, si sono limitati in quella circostanza a vivificare dei germi ch’essi avevano sottilmente raccolti ed ammassati; solamente Dio volle che il potere dei buoni angeli avesse il sopravvento visibilmente sulla potenza dei demoni.
Insomma, l’azione degli spiriti rassomiglia a quella degli uomini, ma con incomparabilmente più sottilità. Gli uomini utilizzano le forze della natura e ne traggono degli effetti meravigliosi. Essi non si accontentano di prendere dei semi e di farli crescere al centuplo in dei terreni ben preparati a riceverli, di far rendere agli alberi dei buoni frutti con l’innesto e il taglio; essi si impadroniscono ancora di queste forze imprendibili che si chiamano il radio e l’elettricità, le padroneggiano, le fanno servire a tutti i loro bisogni, per non dire a tutti i loro capricci.
Questo ci fa intravedere fin dove può penetrare l’influenza dirigente degli angeli. Aventi per forza motrice un’energia spirituale che tocca nell’intimo della materia ed alle sue qualità più segrete, essi potrebbero trarre dalla creazione gli effetti più straordinari e sconvolgere tutto e trasformare in un colpo d’occhio, se il loro ruolo non consistesse precisamente nel mantener l’ordine provvidenziale nel mondo col funzionamento regolare delle forze di ogni specie che vi sono in gioco.
E che non si dica che l’angelo, dal fatto stesso che è uno spirito, non può entrare in contatto con la materia. Questa obiezione è di nessun valore agli occhi della fede e della ragione che riconoscono Dio come il motore necessario del mondo e l’anima come il motore del suo proprio corpo. Precisamente perché l’angelo è uno spirito, egli è adatto ad impadronirsi di questi imponderabili, di quell’etere luminoso, di quel calorico latente che la scienza moderna ci presenta come i grandi agenti fisici del globo. Noi ne siamo convinti, è per mezzo di queste forze sottili che gli angeli guidano le macchina mondiale; e queste forze, essendo da se stesse ceche, reclamano la loro direzione intelligente.

* don Marcello Stanzione è il Presidente dell'Associazione Milizia di San Michele Arcangelo.

domenica 8 agosto 2010


IL SENSO DELLA CROCE NEL MONDO CRISTIANO

(citazioni: 1Cor; Fil; A.T)

(San Paolo e San Francesco)

di Padre Fiorenzo Locatelli ofm

Che cosa c'è di più familiare, di più scontato, per un cristiano, del simbolo della Croce? Eppure, a noi, cristiani del terzo Millennio, farebbe bene talvolta mettere tra parentesi secoli e secoli di assuefazione all'immagine del Crocifisso per tornare a scoprire il significato profondo della Croce con il commosso stupore con cui ad essa volgevano lo sguardo i credenti dei primi secoli. La Croce, che per noi è un oggetto consueto, che infonde abitudinariamente un senso di consolazione e di pace, per i primi discepoli fu un terribile strumento di morte, riservato dal potere romano agli schiavi ribelli ed ai terroristi; da qui la drammatica domanda: come predicare il vangelo del Figlio di Dio crocifisso, cioè sottoposto al più infame dei supplizi? Follia e scandalo era ritenuta a quell'epoca la croce per coloro che si accostavano alla fede cristiana.

Eppure san Paolo, lungi dal rimuovere diplomaticamente e pietosamente l'immagine della Croce per evitare difficoltà agli evangelizzati, ne fa il centro della sua teologia (Teologia Crucis appunto), il cuore della salvezza. Scrive Paolo ai Corinzi:

“E mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma… potenza di Dio e sapienza di Dio”

(I Cor. 1,23-24).

”lo ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso”

(1 Cor. 2,2).

Non per la fiducia nei miracoli e per l'efficacia delle opere della sapienza umana, ma per la fede in Cristo crocifisso e Risorto l'uomo trova salvezza:

”…sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal. 2,20).

Però, attenzione: la Croce, paradossalmente, non è più, per il cristiano, simbolo di sofferenza cieca, ma di donazione; non di morte subita, ma di vita donata. Il cristiano non è né un sadico né un masochista, e non ha alcun compiacimento della sofferenza presa a sé. La Croce di Cristo è il cuore del mondo, ma quello che noi adoriamo, il Venerdì santo, non è un oggetto di legno o un corpo morto, ma il Figlio di Dio, il Vivente, il Risorto. La Croce è il segno del suo servizio al Padre e all'uomo, nella potenza dello Spirito, in una donazione totale `fino alla morte, e alla morte di croce ” (Fil. 2,8).

La Croce è il segno forte, brutale (anche se noi ne abbiamo forse un'immagine edulcorata, annacquata) di un Amore che si è fatto carne e che vince la morte, di una Vita che trionfa. Per questo san Francesco trova nel crocifisso di S. Damiano il senso della sua vocazione al servizio della Chiesa “Corpo di Cristo; per questo san Francesco alla Verna implora il dono di provare il dolore e l'amore del Cristo nella sua passione redentrice, e riceve come risposta - per primo nella storia” il sigillo delle Stimmate, cioè il segno della conformità, visibile anche nel suo corpo, alla passione di Gesù: diviene, così, il “crocifisso della Verna”, uomo fatto Croce lui stesso tanto il suo amore a Dio e all'uomo lo ha conformato all'immagine del suo Signore.

La vita intera di S. Francesco è segnata dal segno della Croce. Nel suo testamento Francesco ricorda la preghiera da lui e dai suoi compagni recitata quando incontravano lungo la via una chiesa o una croce:

“Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, in tutte le chiese che sono nel mondo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo”.

In particolare gode di speciale venerazione, da parte di Francesco, il Tau, la croce dalla tipica forma a T che prende il nome dall'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, e che era tanto amata da San Francesco che egli la scriveva ovunque e la usava come firma. Il Tau diviene segno di salvezza in riferimento alle parole di Ezechiele 9,4-6:

“Va' attraverso la città… e traccia il segno del Tau sulla fronte di quegli uomini che sospirano e gemono a causa delle abominazioni che vi si commettono “.

Così pure, nel cap. 7 dell'Apocalisse di Giovanni i salvati attraverso la grande tribolazione sono quelli che portano sulla fronte il segno della salvezza.

L'abito francescano, pure, è una croce che avvolge la persona, nella stessa forma del Tau:

“Proprio perché si era racchiuso nella stessa croce, indossò anche un abito di penitenza fatto a forma di croce. In esso il santo testimoniò il mistero della croce, in quanto che, come la sua mente si era rivestita del Signore crocifisso, così tutto il suo corpo si rivestiva esteriormente della croce di Cristo ” (II Cel. 106: 969).

Ma la Croce non è per S. Francesco un semplice simbolo, quasi un'astrazione geometrica. Francesco è l'uomo innamorato dell'umanità di Cristo. E' suo il primo Presepe (Natale del 1223, a Greccio), dove egli poté contemplare con i suoi occhi il mistero dell'Incarnazione nella reale, carnale povertà e umiltà dell'umana nascita del Cristo; così è sua un'immedesimazione così profonda con l'umana passione del Cristo crocifisso da contemplarla e riprodurla nella sua persona.

La Verna è particolarmente segnata dal mistero della Croce, perché lì S. Francesco,

”nel crudo sasso intra Tevero e Arno

da Cristo prese l'ultimo sigillo,

che le sue membra due anni portarno “

(DANTE ALIGHIERI, Paradiso, XI,106-108).

Lì Francesco, ritirato in preghiera e penitenza, nel settembre 1224 compie la sua Pasqua, assimilandosi al Crocifisso fin nelle piaghe delle mani, dei piedi, del costato.

Dopo di lui, gli stigmatizzati di tutti i secoli portano il segno vivo dell'Amore donato nel servizio. E il Crocifisso che viene collocato a Castiglion Fiorentino è questo: il Cristo fatto lui stesso Croce, l'Uomo della Croce in cui cade e scompare il legno con la sua fredda oggettività e rimane solo la pura e perfetta Umanità nell'atto di suprema donazione, il corpo slanciato verso il Padre e le braccia allargate verso tutti gli uomini.

La Verna, 1 settembre 2001

P. Fiorenzo Locatelli ofm