sabato 25 ottobre 2008

"DEVOZIONE MARIANA"


"Salve, Regina, madre di misericordia;
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A Te ricorriamo, esuli figli di Eva.
A Te sospiriamo, gementi e piangenti
in questa valle di lacrime.
Orsù dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi gli occhi
tuoi misericordiosi.
E mostraci, dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del tuo Seno.
O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!"

In latino

Salve, Regina, Mater misericordiae,
vita, dulcedo, et spes nostra, salve.
Ad te clamamus, exsules filii Hevae,
ad te suspiramus, gementes et flentes
in hac lacrimarum valle.
Eia, ergo, advocata nostra, illos tuos
misericordes oculos ad nos converte;
et Jesum, benedictum fructum ventris tui,
nobis post hoc exilium ostende.
O clemens, O pia, O dulcis Virgo Maria.

mercoledì 22 ottobre 2008


Dal Rito degli Esorcismi


PROEMIO


Nella storia della salvezza sono presenti creature angeliche, alcune delle quali servono il progetto divino e offrono un misterioso e potente aiuto alla Chiesa; altre, invece, decadute dalla loro originaria dignità e chiamate diaboliche, si oppongono alla volontà e all'azione salvifica di Dio, realizzata in Cristo, e cercano di associare l'uomo alla loro ribellione a Dio1.

Nelle Sacre Scritture il Diavolo e i demoni sono indicati con nomi diversi, dei quali alcuni indicano in certo modo la loro natura e il loro operato2. Il Diavolo, detto anche Satana, è chiamato serpente antico e drago. È lui che seduce il mondo intero e combatte contro coloro che osservano i comandamenti di Dio e possiedono la testimonianza di Gesù (Ap 12, 9. 17). È detto nemico degli uomini (1 Pt 5, 8) e omicida fin dal principio (cf Gv 8, 44) per aver reso l'uomo, con il peccato, soggetto alla morte. Per il fatto che con le sue insidie induce l'uomo a disobbedire a Dio, è detto Maligno e Tentatore (cf Mt 4, 3 e 26, 36-44), menzognero e padre della menzogna (cf Gv 8, 44), colui che agisce con astuzia e falsità, come attestano la seduzione dei progenitori (cf Gen 3, 4. 13), il tentativo di distogliere Gesù dalla missione ricevuta dal Padre (cf Mt 4, 1-11; Mc 1, 13; Lc 4, 1-13) e il suo mascherarsi da angelo di luce (cf 2 Cor 11, 14). È detto anche principe di questo mondo (cf Gv 12, 31; 14, 30), cioè signore di quel mondo che è in potere del Maligno (cf 1 Gv 5, 19) e non ha conosciuto la luce vera (cf Gv 1, 9-10). Il suo potere è indicato come potere delle tenebre (cf Lc 22, 53; Col 1, 13) per l'odio che egli porta alla Luce, che è Cristo, e per lo sforzo di attrarre gli uomini alle proprie tenebre. Ma il Diavolo e i demoni, coalizzatisi insieme per opporsi alla sovranità di Dio (cf Gd 6), hanno ricevuto una condanna (cf 2 Pt 2, 4) e costituiscono l'esercito degli spiriti del Male (cf Ef 6, 12). Benché creati come esseri spirituali, essi hanno peccato e sono anche definiti angeli di Satana (cf Mt 25, 41; 2 Cor 12, 7; Ap 12, 7. 9). Ciò può insinuare che dal loro maligno signore sia stata ad essi affidata una qualche particolare missione3.

L'intero operato di questi spiriti immondi, malvagi, seduttori (cf Mt l0, 1; Mc 5, 8; Lc 6, 18. 11, 26; At 8, 7; 1 Tm 4, 1; Ap 18, 2) è stato distrutto dalla vittoria del Figlio di Dio (cf 1 Gv 3, 8). Anche se «tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre che durerà fino all'ultimo giorno»4, Cristo, grazie al suo mistero pasquale di morte e risurrezione, «ci ha strappati dalla schiavitù di Satana e del peccato»5 annientando il loro dominio e liberando tutte le cose dal contagio del male. E siccome l'azione devastante e ostile del Diavolo e dei demoni coinvolge persone, cose, luoghi, manifestandosi in modi diversi, la Chiesa, sempre cosciente che «i giorni sono cattivi» (Ef 5, 16), ha pregato e prega perché gli uomini siano liberati dalle insidie del Maligno.

1
Cf. Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 332,391,414, 2851.
2 lbidem, nn. 391-395, 397.
3 lbidem, n. 394.
4 CONC. VATICANO II, Cost. pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes, n. 37.
5 Ibidem, n. 22.

"DEVOZIONE MARIANA"


Donna tutta santa

O Maria, Madre del Signore, veramente tu sei più preziosa di tutta la creazione: da te il Figlio di Dio, nel quale tutto fu creato, ha ricevuto le primizie del suo corpo umano. La sua carne fu fatta della tua carne, il suo sangue del tuo sangue. Dio si è nutrito del tuo latte. Le tue labbra lo hanno baciato, le tue braccia lo hanno stretto a sé. O Donna tutta amabile, tre volte beata! Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno. O Donna tutta santa, vivente capolavoro di Dio che in te si compiace. O Donna tutta grazia, Dio ti ha scelta per dare compimento al suo progetto di amore e di salvezza, per assumere la nostra umanità e renderci partecipi della sua divinità! Amen.

martedì 21 ottobre 2008

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Evento

Sabato18 ottobre 2008, il Sinodo ha vissuto un momento straordinario che ha rafforzato lo spirito ecumenico dell’assise

Il Papa e Bartolomeo: storico gesto di unità
Per la prima volta un patriarca di Costantinopoli parla nella Cappella Sistina davanti ai padri sinodali


● Sotto le volte affrescate da Michelangelo l’assemblea sinodale ha chiuso la sua seconda settimana di lavori vivendo un momento di grande significato

● La «gioia» di Benedetto XVI per la presenza di Bartolomeo. La Parola, ha ricordato il Santo Padre, «è luce e guida ai nostri passi»

● Nel suo intervento il Patriarca ha indicato l’impegno comune che deve unire i cristiani per il bene dell’umanità e per una vera tolleranza religiosa

IL CAMMINO DEL DIALOGO

il fatto

Sabato 18 ottobre 2008, per la prima volta un leader ortodosso è stato invitato a parlare al Sinodo dei vescovi cattolici. Nel suo intervento il patriarca ecumenico di Costantinopoli ha indicato l’impegno comune che deve unire i cristiani per sradicare la povertà, combattere fondamentalismo e razzismo, sviluppare una vera tolleranza religiosa

Bartolomeo I: insieme per il bene dell’umanità

Pubblichiamo un’ampia sintesi della medita­zione offerta dal patriarca ecumenico di Co­stantinopoli Bartolomeo I ieri durante i Primi Ve­spri presieduti da papa Benedetto XVI. La tra­duzione è dall’originale inglese. S antità, Padri Sinodali. È allo stesso tempo nell’umiltà e ispirazione che sono stato a­mabilmente invitato da vostra santità a ri­volgermi alla XII Assemblea generale di questo promettente Sinodo dei vescovi (...).

Questo amabile invito di vostra santità alla no­stra modesta persona è un gesto pieno di si­gnificato e di importanza, osiamo dire, un e­vento storico in sé. Infatti, è la prima volta nel­la storia che ad un patriarca ecumenico è of­ferta l’opportunità di rivolgersi ad un Sinodo dei vescovi della Chiesa Cattolica Romana e quindi di partecipare alla vita di questa Chiesa sorella ad un così alto livello. Consideriamo que­sto come una manifestazione dell’opera dello Spirito Santo che guida le nostre Chiese a più strette e profonde relazioni reciproche, un pas­so importante verso il ripristino della nostra pie­na comunione. È ben noto che la Chiesa ortodossa attribuisce al sistema sinodale un’importanza ecclesiolo­gica fondamentale. Assieme al primato, la si­nodalità costituisce la struttura portante del go­verno e dell’organizzazione della Chiesa. Come ha affermato la nostra Commissione mista in­ternazionale per il dialogo teologico fra le no­stre Chiese nel documento di Ravenna, questa interdipendenza fra sinodalità e primato attra­versa tutti i livelli della vita della Chiesa: locale, regionale e universale. Pertanto, avendo oggi il privilegio di rivolgermi al vostro Sinodo, au­mentano le nostre speranze che giunga il gior­no in cui le nostre due Chiese convergeranno pienamente sul ruolo del primato e della sino­dalità nella vita della Chiesa, ai quali la nostra comune Commissione teologica sta dedican­do attualmente i suoi studi.

Il tema al quale questo Sinodo dei vescovi sta dedicando i suoi lavori ha un’importanza fon­damentale non solo per la Chiesa cattolica Ro­mana ma anche per tutti coloro che sono chia­mati a testimoniare Cristo nel nostro tempo. Missione ed evangelizzazione rimangono un dovere permanente della Chiesa in ogni tempo e luogo; essi infatti fanno parte della natura del­la Chiesa, poiché essa è definita «apostolica» sia nel senso della sua fedeltà all’insegnamento o­riginale degli apostoli sia in quello della pro­clamazione della Parola di Dio in ogni contesto culturale, in ogni tempo. La Chiesa, dunque, ha bisogno di riscoprire la Pa­rola di Dio in ogni genera­zione e farla emergere con rinnovato vigore e persua­sione anche nel nostro mondo contemporaneo, che nel profondo del suo cuore ha sete del messag­gio di Dio di pace, speran­za e carità. Questo dovere di evange­­lizzare, naturalmente, sa­rebbe molto intensificato e rafforzato se tutti i cristiani potessero portarlo avanti con una sola voce e come Chiesa pienamente unita. Nella Sua preghiera al Padre poco prima della Sua passione, nostro Signore ha evidenziato chiaramente che l’unità della Chiesa è indissolubilmente legata alla sua missione: «perché il mondo creda» ( Gv 17, 21). (...) È pertanto molto appropriato che questo Sinodo abbia aperto le sue porte ai delegati fra­terni ecumenici di modo che possiamo diven­tare tutti consapevoli del nostro comune com­pito di evangelizzazione come pure delle diffi­coltà e dei problemi legati alla sua realizzazio­ne nel mondo attuale. (...) In questo nostro umile indirizzo d’omaggio (...) concretamente, vorremmo concentrarci su tre aspetti, ossia: « ascoltare e proclamare la Pa­rola di Dio attraverso le Sacre Scritture, vedere la Parola di Dio nella natura e soprattutto nella bellezza delle icone; e infine toccare e condividere la Parola di Dio nella comunione dei santi e nel­la vita sacramentale della Chiesa ». (...) Nel fare questo, cerchiamo di attingere ad una ricca tradizione patristica, che risale all’inizio del terzo secolo e presenta una dottrina dei cin­que sensi spirituali. Per cui ascoltare la Parola di Dio, contemplare la Parola di Dio e toccare la Parola di Dio sono tutti modi spirituali di per­cepire l’unico mistero divino. (...)

1. Ascoltare e proclamare la Parola attraverso la Scrittura Ad ogni celebrazione della Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo, il celebrante che pre­siede l’Eucaristia prega: «perché siamo fatti de­gni di ascoltare il Santo Vangelo». Perciò «a­scoltare, contemplare e toccare la Parola di vi­ta » (cf 1 Gv 1, 1) non è anzitutto e prima di tut­to una nostra facoltà o un nostro diritto di na­scita come esseri umani; è il nostro privilegio e dono come figli del Dio vivente. La Chiesa cri­stiana è, soprattutto, una Chiesa scritturale. (...) Nel contesto di una fede viva, poi, la Scrittura è la testimonianza vivente di una storia vissuta sul rapporto fra un Dio vivente con il suo popolo vivente. (...) Essa è prima di tutto una comunicazione orale e diretta, pensata per destinatari umani. (...) Non è stata trasmessa meccanicamente, ma co­municata di generazione in generazione come una parola viva. Attraverso il Profeta Isaia, il Si­gnore promette: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo irrigando la terra... co­sì la mia parola andrà di bocca in bocca com­piendo ciò per cui l’ho mandata». (cf Is 55, 10­11). (...) L’adattamento della Parola divina alla specifica disposizione personale e al particola­re contesto culturale definisce la dimensione missionaria della Chiesa che è chiamata a tra­sformare il mondo attraverso la Parola. Nel si­lenzio come nelle affermazioni, nella preghie­ra come nell’azione, la Parola divina si rivolge al mondo intero «ammaestrando tutte le na­zioni » ( Mt 28, 19) senza nessun privilegio o pregiu­dizio di razza, cultura, ses­so e classe.(...) Inoltre, come discepoli del­la Parola di Dio, è oggi più che mai necessario che forniamo una prospettiva unica – al di là di quella so­ciale, politica ed economi­ca – sulla necessità di sra­dicare la povertà, di offrire un equilibrio in un mondo globale, di combattere fon­damentalismo e razzismo e di sviluppare una tolle­ranza religiosa in un mondo di conflitti. Nel ri­spondere alle necessità dei poveri, degli indi­fesi e degli emarginati del mondo, la Chiesa può dimostrare di essere un segno distintivo dello spazio e della natura della comunità glo­bale. Mentre il linguaggio teologico della reli­gione e della spiritualità è diverso dal vocabo­lario tecnico dell’economia e della politica, le barriere che apparentemente sembrano divi­dere le sollecitudini religiose (come peccato, salvezza e spiritualità) dagli interessi pragma­tici (come affari, commercio e politica) non so­no impenetrabili e si sgretolano davanti alle molteplici sfide della giustizia sociale e della globalizzazione. Sia che abbiamo a che fare con l’ambiente o con la pace, con la povertà o con la fame, con l’educazione o con l’assistenza sanitaria, vi è oggi un accresciuto senso di comune sollecitu­dine e comune responsabilità, che è sentito con particolare intensità dalle persone di fede come anche da coloro la cui mentalità è prettamente secolare. Il nostro impegno riguardo a questi a­spetti, naturalmente non mina in alcun modo né abolisce le differenze fra le diverse discipli­ne o i disaccordi con quanti hanno una visione del mondo diversa. I crescenti segnali di un co­mune impegno per il benessere dell’umanità e la vita del mondo sono incoraggianti. È un in­contro di individui e istituzioni che promette bene per il nostro mondo. Ed è un coinvolgi­mento che sottolinea la vocazione suprema e la missione dei discepoli e di quanti aderiscono al­la Parola di Dio di superare le differenze politi­che o religiose al fine di trasformare tutto il mon­do visibile per la gloria del Dio invisibile.

2. Vedere la Parola di Dio. La bellezza delle icone e della natura In nessun altro luogo l’invisibile è reso più visi­bile che nella bellezza dell’iconografia e nel mi­racolo della creazione. (...) Le icone sono un ri­chiamo visibile alla nostra vocazione celeste; sono inviti ad andare oltre le nostre preoccu­pazioni futili e alle misere riduzioni del mondo. Ci incoraggiano a cercare lo straordinario nel­l’ordinario, a essere pieni della stessa meraviglia che ha caratterizzato la meraviglia divina nella Genesi: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» ( Gn 1, 30). (...) Le icone sottolineano la missione fondamentale della Chiesa di riconoscere che tutte le persone e tut­te le cose sono create e chiamate a essere «buo­ne » e «belle». In effetti, le icone ci ricordano un altro modo di vedere le cose, un altro modo di sperimentare le realtà, un altro modo di risolvere i conflitti. Ci viene chiesto di assumere quello che l’innolo­gia della Domenica di Pasqua definisce «un al­tro modo di vivere». Infatti, ci siamo compor­tati con arroganza e indifferenza verso il crea­to. Abbiamo rifiutato di contemplare la Parola di Dio negli oceani del nostro pianeta, negli al­beri dei nostri continenti e negli animali della nostra terra. Abbiamo negato la nostra stessa natura, che ci chiama ad essere umili per a­scoltare la Parola di Dio se vogliamo diventare «partecipi della natura divina» ( 2 Pt 1, 4). I teologi cristiani orientali hanno sempre sot­tolineato le proporzioni cosmiche dell’Incar­nazione divina. La Parola incarnata è intrinse­ca alla creazione, che è venuta in essere attra­verso un pronunciamento divino. (...) Questo mistero viene descritto da sant’Attanasio di A­lessandria: «Come Logos - così scrive - non è compreso da nulla e tuttavia comprende ogni cosa; Egli è in tutte le cose e tuttavia al di fuori di tutte le cose... il primogenito del mondo in­tero sotto ogni aspetto». Il mondo intero è un prologo al Vangelo di Gio­vanni. E quando la Chiesa non riesce a ricono­scere le dimensioni più ampie, cosmiche, del­la Parola di Dio, limitando le sue preoccupa­zioni alle questioni meramente spirituali, allo­ra trascura la sua missione di implorare Dio per la trasformazione – sempre e ovunque, «in ogni posto del Suo dominio» – di tutto l’universo in­quinato. Ogni autentica «ecologia profonda», pertanto, è indissolubilmente legata alla teolo­gia profonda: «Perfino una pietra – scrive san Ba­silio Magno – porta il segno della Parola di Dio. Questo vale per una formica, un’ape e una zan­zara, le più piccole tra le creature. Poiché lui ha disteso i vasti cieli e ha disposto i mari immen­si; e Lui ha creato la minuscola cavità all’inter­no del pungiglione dell’ape». Ricordare la no­stra piccolezza nel vasto e meraviglioso creato di Dio non fa altro che sottolineare il nostro ruo­lo centrale nel disegno di Dio per la salvezza di tutto il mondo.

3. Toccare e condividere la Parola di Dio. Comunione dei santi e sacramenti della vita La Parola di Dio «sgorga da Lui in estasi» (Dio­nigi l’Aeropagita), cercando con forza di «abi­tare in noi» ( Gv 1, 14), affinché il mondo possa avere la vita in abbondanza ( Gv 10, 10). La mi­sericordia compassionevole di Dio viene effu­sa e condivisa «così da moltiplicare gli oggetti della Sua benevolenza» (Gregorio il Teologo). Dio assume in sé tutto ciò che ci appartiene, «essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» ( Eb 4, 15), al fine di offrirci tutto ciò che è di Dio e ren­derci divini per grazia. «Da ricco che era, si è fat­to povero per voi, perché voi diventaste ricchi», scrive il grande apostolo Paolo ( 2 Cor 8, 9), al quale è così opportunamente dedicato que­st’anno. È questa la Parola di Dio; gratitudine e gloria gli sono dovuti. La Parola di Dio trova la sua piena incarnazio­ne nel creato, soprattutto nel Sacramento del­la Santa Eucaristia. È lì che la Parola si fa carne e ci per­mette non solo di vederlo, ma anche di «toccarlo» con le nostre mani, come di­chiara san Giovanni ( 1 Gv 1, 1) e di renderlo parte del no­stro corpo e sangue, secon­do le parole di san Giovan­ni Crisostomo. Nella Santa Eucaristia la Parola «ascoltata» viene al­lo stesso tempo « vista » e « condivisa » . (...) L’Eucari­stia già da san Paolo ( 1 Cor 11) veniva descritta come «proclamazione» della morte e della seconda venuta di Cristo. Poiché il fine della Scrittura fondamentalmente è la proclamazione del Re­gno e l’annuncio delle realtà escatologiche, l’Eucaristia è un’anticipazione del Regno, e in tal senso è la proclamazione della Parola per eccellenza. Nell’Eucaristia, la Parola e il Sa­cramento diventano un’unica realtà. La paro­la cessa di essere «parole» e diventa una «per­sona », incarnando in sé tutti gli esseri umani e tutto il creato. Nella vita della Chiesa, l’insondabile svuotarsi di sé e la generosa condivisione del Logos divi­no sono rispecchiati nella vita dei santi come e­sperienza tangibile ed espressione umana del­la Parola di Dio nella nostra comunità. (...) Di conseguenza, il santo ha un rapporto organico con il cielo e la terra, con Dio e tutto il creato. Nella lotta ascetica, il santo riconcilia la Parola e il mondo. Attraverso il pentimento e la puri­ficazione, il santo è pieno – come insiste Abba Isacco il Siro – di compassione per tutte le crea­ture, che è l’umiltà e la perfezione ultima. È per questo che il santo ama con un’intensità e una grandezza che sono incondizionati e ir­resistibili. Nei santi conosciamo la Parola stes­sa di Dio poiché - come afferma san Gregorio Palama - «Dio e i Suoi santi condividono la stes­sa gloria e lo stesso splendore». (...) E nella comunione dei santi, ognuno di noi è chiamato a «diventare come fuoco» ( Massime dei Padri del deserto), per toccare il mondo con la forza mistica della Parola di Dio, di modo che – come Corpo esteso di Cristo – anche il mon­do possa dire: «qualcuno mi ha toccato!» (cf Mt 9, 20). Il male viene sradicato solo dalla santità, non dalla severità. E la santità introduce nella società un seme che guarisce e trasforma. (...) Tuttavia, affinché questa rivoluzione spirituale avvenga, dobbiamo sperimentare una «meta­noia » radicale - una conversione degli atteg­giamenti, delle abitudini e delle pratiche - del modo in cui abbiamo usato male o abbiamo a­busato della Parola di Dio, dei doni di Dio e del creato di Dio. Questa conversione naturalmen­te non è possibile senza la grazia divina; non si compie semplicemente attraverso un maggio­re sforzo o attraverso la forza di volontà uma­na. (...) Il cambiamento spirituale avviene quan­do il corpo e l’anima vengono innestati nella Parola viva di Dio, quando le nostre cellule con­tengono il flusso sanguigno donatore di vita dei sacramenti, quando siamo aperti alla condivi­sione di tutte le cose con tutte le persone. Co­me ci ricorda san Giovanni Crisostomo, il sa­cramento del «nostro prossimo» non può esse­re isolato dal sacramento «dell’altare». Pur­troppo abbiamo ignorato la vocazione e l’ob­bligo di condividere. L’ingiustizia sociale e la di­suguaglianza, la povertà globale e la guerra, l’in­quinamento e il degrado ambientale sono il ri­sultato della nostra incapacità o indisponibilità a condividere. Se pretendiamo di conservare il sacramento dell’altare, non possiamo evitare o dimenticare il sacramento del prossimo. È que­sta una condizione fondamentale per compie­re la Parola di Dio nel mondo, nella vita e nella missione della Chiesa. Cari fratelli in Cristo, (...) al fine di rimanere fe­deli alla vita e alla missione della Chiesa, noi stessi dobbiamo essere cambiati da questa Pa­rola. La Chiesa deve assomigliare alla madre, che viene sostenuta dal cibo che assume e che con esso nutre. Qualsiasi cosa che non alimen­ti e nutra tutti non può sostenere nemmeno noi. Quando il mondo non condivide la gioia della Risurrezione di Cristo, ciò è un atto d’accusa nei con­fronti della nostra onestà e del nostro impegno verso la Parola viva di Dio. Prima della celebrazione di ogni Divina Liturgia, i cristiani ortodossi pregano affinché la Parola venga «spezzata e consumata, distribuita e condivisa» nella comunio­ne. E 'sappiamo che siamo passati dalla morte alla vi­ta, perché amiamo i fratel­li' e le sorelle ( 1 Gv 3, 14). La sfida che ci si presenta è il discernimento della Parola di Dio di fronte al male, la trasfigurazione di ogni minimo detta­glio e granello di questo mondo alla luce della Risurrezione. La vittoria è già presente nel profondo della Chiesa ogni volta che speri­mentiamo la grazia della riconciliazione e del­la comunione. Mentre lottiamo – dentro noi stessi e nel nostro mondo – per riconoscere la potenza della Croce, incominciamo ad ap­prezzare come ogni atto di giustizia, ogni scin­tilla di bellezza, ogni parola di verità può gra­dualmente erodere la crosta del male. Tuttavia, al di là dei nostri deboli sforzi, possiamo avere la certezza dello Spirito che «viene in aiuto al­la nostra debolezza» ( Rm 8, 26) ed è al nostro fianco come avvocato e «Consolatore» ( Gv 14, 16), che pervade tutte le cose e «ci trasforma – come dice san Simeone il Nuovo Teologo – in ogni cosa che la Parola di Dio dice del regno ce­leste: perla, granello di senape, lievito, acqua, fuoco, pane, vita e stanza nuziale mistica». È questa la potenza e la grazia dello Spirito San­to, che invochiamo mentre concludiamo il no­stro discorso, esprimendo a vostra santità la nostra gratitudine e a ciascuno di voi le nostre benedizioni: Re del cielo, Consolatore, Spirito di Verità che sei presente ovunque e riempi ogni cosa; scrigno di bontà e donatore di vita: Vieni e dimora in noi. Purificaci da ogni impurità e salva le nostre a­nime. Perché sei buono e ami gli uomini. Amen! Bartolomeo I «Aumentano le nostre speranze che giunga il giorno in cui le nostre due Chiese convergeranno pienamente sul ruolo del primato e della sinodalità nella vita della Chiesa» «Ricordare la nostra piccolezza nel vasto e meraviglioso creato di Dio non fa altro che sottolineare il nostro ruolo centrale nel disegno di Dio per la salvezza di tutto il mondo»
Tratto da Avvenire del 19 ottobre 2008

domenica 19 ottobre 2008

XXIX Domenica del Tempo Ordinario A


Vangelo Mt 22,15-21


Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.


Dal vangelo secondo MatteoIn quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».


IMMAGINI

Di chi è questa immagine e l’iscrizione?
Di Cesare.
(Mt 22,20)

Immagine di Dio è l’uomo primigenio
e l’iscrizione: Questi è il mio figlio,
generato oggi dall’amore del Padre,
per fare dell’uomo la perla dell’universo.

Immagine deturpata dall’irriverente orgoglio,
dalla brama di forgiarsi un volto proprio,
povera immagine di se stesso, dio minore,
come stampigliato su scadenti etichette.

E ora non so più a chi pagare il tributo
d'amore richiesto, quale dio servire;
poiché non mi riconosco come sua creatura,
non mi rimane che celebrare me stesso!

Non sono l’immagine dell’amore
che si dona senza riserve, che fa fiorire
l’universo, respirare gli esseri;
non provvedo che a stento alla mia vita.

Mi manca lo specchio in cui riflettere
il mio volto, ormai diventato anonimo
e senza contorni, nome comune di uomo,
perché senza Dio identificatore degli esseri.

Sono solo, senza l’altro: senza il Padre
che mi genera e senza il fratello che incarna
per me l’immagine eterna del Creatore
del mondo che mi sta dinnanzi.

Il difficile cammino della vita consiste
nel dare a Dio quello che gli è dovuto:
onore, gloria e benedizione perenni;
ai fratelli che lo incarnano, l’umile servizio.

Nella lode e nella carità fraterna si ricompone
sul mio volto l’immagine di Dio;
divento finalmente me stesso, immagine
di Cristo, irradiazione della gloria del Padre.

Il credente porta in sé l’immagine
e l’iscrizione che lo dichiarano figlio di Dio;
è chiamato così a mostrare il volto
del Vivente, iscritto nella sua esistenza.

Non semplice effige o somiglianza,
ma volto vivo, immagine dinamica,
sguardo penetrante e lingua eloquente
che celebrano il Signore risorto.

L’uomo vivente è la gloria di Dio,
moneta d’oro del tributo, uomo riscattato
nel quale appare luminoso il volto
del Figlio Unigenito, Gesù.

Rendo così a Dio quello che è di Dio
offrendo me stesso in oblazione d’amore,
il mio corpo, moneta incorruttibile,
in sacrificio spirituale e perfetto.

A Cesare rimane ben poco…

Pben 19, x, 2008