mercoledì 15 aprile 2009

FATTI PER PENSARE
SULLA ALIMENTAZIONE E IDRATAZIONE ARTIFICIALE

(documento della Sezione di Milano dei Medici Cattolici Italiani)

Parlare di «alimentazione e idratazione artificiali» nel nostro Paese oggi evoca, senza ombra di dubbio, precomprensioni legate alle vicende dalle quali siamo usciti recentemente, con la conseguente assunzione dello «stato vegetativo permanente» a paradigma interpretativo della questione, con lo stile della contrapposizione ideologica a cui assistiamo a livello politico e con uno sfondo culturale che oppone fautori della vita a chi sembrerebbe ad essa contrario. Tutto ciò non permette un confronto sereno, animato da una reale necessità di dialogo per il bene comune, ma soprattutto astrae la questione, facendola uscire dai normali contesti di assistenza dove comunemente viene vissuta e dove il linguaggio ha una sua valenza tecnica, e questo crea non pochi equivoci. Occorre, pertanto, assumere questa situazione e cercare di impostare la questione in modo più ampio evitando semplificazioni.

Per far questo ci sembrano adeguate due considerazioni preliminari:

1) Occorre riconoscere l’alleanza terapeutica tra paziente e personale sanitario come l’alveo naturale di riferimento per una comprensione adeguata della questione, oltre che elemento fondante la relazione di cura. Infatti, come reazione al «paternalismo medico» un tempo diffuso, nel pendolarismo che spesso caratterizza la storia, oggi frange della società civile spingono per un’autonomia assoluta del paziente, che quasi prescinda dal medico o ne faccia un semplice esecutore testamentario. Entrambe le visioni — quella del «paternalismo medico» e quella dell’autonomia assoluta — rischiano di dimenticare l’imprescindibile relazionalità nel processo del prendersi cura, dove la fiducia è un elemento irrinunciabile.

2) Nella dialettica tra curare (to cure) e prendersi cura (to care) occorre non sottovalutare come i progressi della medicina hanno fatto in modo che, tecnologie sempre nuove e che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano, riguardino sempre più esplicitamente l’ambito del prendersi cura. Questo porta con sé da una parte il problema di un’eccessiva medicalizzazione della vita e del processo del morire e dall’altra la difficoltà di distinguere, relativamente alle tecniche a disposizione, l’ambito del curare e del prendersi cura.

«Alimentazione e idratazione artificiali» ci offrirebbero l’occasione per ribadire la necessità di una relazionalità dialogante nel rapporto paziente-medico e la necessaria continuità tra il processo della cura e del prendersi cura.

L’alleanza terapeutica è altro rispetto a un contratto tra due parti che devono tutelarsi l’una dall’altra: chiama in causa la responsabilità dialogica di entrambi i soggetti coinvolti, delle loro coscienze, nel rispetto delle competenze del medico (e dell’équipe sanitaria) e dell’autonomia non assoluta (ab-soluta) del paziente, frutto di una relazione che da sempre lo costituisce.
Questo è l'appropriato contesto anche per una corretta valutazione delle pratiche di alimentazione e idratazione artificiale. Fatta salva la dignità della persona del malato, di cui sempre occorre prendersi cura qualunque sia la sua condizione clinica, non si può tuttavia ignorare la diversità delle situazioni con le loro molteplici variabili e con la necessità caso per caso di compiere un discernimento prudente della proporzionalità (da parte del medico e in generale del personale sanitario, tenendo in debita considerazione la volontà del malato) circa i modi e i tempi del procedere, perché il paziente possa continuare a vivere con dignità o con dignità sia accompagnato nel processo del morire. Occorre, infatti, prendere atto e riconoscere con onestà (pur fuggendo, nel complesso, ogni idea latente o manifesta di eutanasia) che questi interventi a volte non ottengono il fine per cui sono istaurati o sono troppo gravosi per il paziente. Tale gravosità è necessario che tenga conto delle condizioni peculiari di ogni ammalato, delle sue forze fisiche e morali perché non si rischi, in alcune situazioni, in modo poco prudente, di richiedere comportamenti che risultino eroici. In queste circostanze, tali interventi, ci sembra, non sarebbero più forma concreta del prendersi cura dell’altro.

Ribadiamo pertanto l’importanza, per una comprensione adeguata della questione, di intendere «alimentazione e idratazione artificiali» nell’ambito della relazione terapeutica, che si configuri quale alleanza terapeutica tra paziente e personale sanitario e dove l’agire con prudenza potrebbe essere garantito dalla pluralità delle voci in una decisione partecipata.

NB: Il documento è stato presentato nella conferenza stampa di Mercoledì 15 Aprile presso la Fondazione Ospedale Maggiore di Milano (aula Pad Marcora) dal Presidente Prof. Giorgio Lambertenghi Deliliers a nome di tutto il Consiglio direttivo dell’AMCI milanese

Da venti secoli la Chiesa è in cammino per proclamare a tutti questa sconvolgente notizia

Carissimi!

1. Da venti secoli la Chiesa è in cammino per proclamare a tutti questa sconvolgente notizia. Da venti secoli non teme persecuzioni, difficoltà, fatiche per comunicare il segreto della vita, la perla preziosa, la ragione della sua incontenibile gioia: Gesù, il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa!La pesante pietra ribaltata non ha aperto solo il sepolcro di Cristo, ma ha spalancato anche le porte della vita eterna. Il varco del Cielo è Cristo che si è fatto porta delle pecore, e quel varco nessuno potrà più chiuderlo, neppure la morte.

Forse nasce spontanea una domanda: ma sarà proprio così? Gesù è veramente risorto? La nostra fede si fonda sull'esperienza degli Apostoli: essi hanno vissuto con Lui, ne hanno amato la voce, ascoltato le parole, diviso il pane e la fatica, gioie e dolori, fino al dramma della croce e poi – totalmente inattesa – la tomba vuota e le apparizioni che hanno sfidato la loro stessa incredulità.

Ma la fede ha anche un'altra prova: è la personale esperienza del Vangelo, l'intima corrispondenza tra il messaggio di Gesù e le aspettative più profonde del nostro cuore di uomini, degli uomini di tutti i tempi e di ogni cultura. Sì, Lui, Lui solo conosce ciò che è nel cuore umano e sa dire le parole della vita. Non è dunque una favola che illude mentre consola, ma semplicemente risponde a ciò che siamo. Oh se l'uomo ascoltasse di più se stesso, ciò che è in profondità! Tutto gli sarebbe così chiaro e bello!

2. Quanto vuoto dilaga oggi! Quanta banalità umilia la ragione! Quanti falsi miti illudono la libertà! Quale vortice di emozioni domina: tanto più imperiose quanto più sono forti e create ad arte. Cosa possiamo fare noi? Come gli Apostoli anche noi diciamo: "Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato" (Atti4,20). Anche noi vediamo il Signore Risorto, anche noi ascoltiamo la sua parola. Per questo al mondo intero, attento o sordo che sia, gridiamo oggi il nostro gaudio vivissimo: Gesù, nostra Pasqua, è risorto! Sì, egli vive. Noi, alunni della fede, siamo alla scuola della vera felicità. Alleluia!

Cari Amici, al mondo, che sembra sempre più tormentato dal desiderio della gioia e sempre più è inseguito dai morsi della disperazione, dell'ansia e dell'angoscia, perché non annunciare la gioia, la pace dell'anima che il mondo non può dare e che nessuno può togliere? Spesso l'uomo s'illude: cerca la gioia e insegue il piacere. Non di rado le cose non coincidono. Perché non offrire ai fratelli la testimonianza che noi, figli della Chiesa, siamo felici quando siamo umili e fedeli, affidati e benevoli? E' questo stile di vita, questo volto riconciliato e sereno che può interrogare e contagiare il mondo.

Sia Cristo risorto la vera nostra gioia. Tutto il resto è così fragile, non ha consistenza rocciosa per l'edificio esigente della gioia. Assomiglia piuttosto alla sabbia. Solo Colui che è risorto e vivo può essere fonte perenne di quella pace che diventa letizia e responsabilità nella storia. Diventa cultura, cioè un modo nuovo di pensare, di giudicare, di essere nel nostro tempo e di costruire una società veramente umana.

Carissimi, da queste mie parole avete compreso l'affetto e il senso del mio augurio pasquale. Augurando a voi e alla Diocesi la buona Pasqua, auguro la gioia del Risorto, una gioia personale e fraterna insieme, intima e partecipata, profonda e solidale con chi si trova nel bisogno e nella sofferenza. Come non pensare a tanti fratelli e sorelle colpiti dal terremoto in Abruzzo? Per questo vi invito a far vedere a tutti l'invisibile sole di Cristo.Facciamo nostre le parole di Paolo VI: "Debole è la nostra voce, ma fa eco a quella dei secoli. O voi tutti che ci ascoltate: la nostra gioia è la più grande di tutte!" (1968).

Angelo Card. Bagnasco

martedì 14 aprile 2009

SULLA DELUSIONE

L'amore è il mezzo per non restar delusi

Non disperate fratelli e sorelle. La disperazione non è da cavaliere o Dama. L'uomo è una delusione, in quanto fallibile ed imperfetto. Per non avere delusioni occorre fare, senza avere aspettative. Dice un caro fratello e compagno di cammino che se non si sopporta l'ingratitudine non si deve fare del bene.
C'è un nemico astuto, ma falso, che vuole toglierci la fede, la speranza e l’amore, ma c'è anche un Dio che si è fatto uomo, che è stato ucciso dai suoi figli, ma li ha perdonati e, risorgendo, ha sconfitto la morte e ci ha spalancato la porta sulla vita eterna.
L’amore è la misura con cui saremo misurati. Il Signore (nostro unico maestro), ha detto che tanto si perdona a chi tanto ama. Questa è la verità. Il resto non è verità!
DIO (che è amore) NON DELUDE!

Fra' Gianni Battini

domenica 12 aprile 2009

Domenica di Risurrezione


LA TOMBA DEL VIVENTE

Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino,
quand’era ancora buio, e vide che la pietra
era stata ribaltata dal sepolcro
(Gv 20,1)

Pietra tombale davanti al cuore
masso informe che oscura la fede
e non permette di cantare vittoria
per la sconfitta della morte.

Eppure il sepolcro è vuoto e io
continuo a piangere senza speranza;
talmente la morte è conficcata
nella mia natura, che la porto nel cuore.

Non spero la vita, conosco solo il dolore;
fuggo lontano dai sepolcri sigillati
e mi trovo a vagare in mezzo ad essi.
Tutti sono morti, ben dentro la tomba.

Sepolcri imbiancati, giardino dei morti,
tombe monumentali che contengono
i cadaveri di quelli che non sono più amati
oltre la barriera della morte.

Eppure la tomba di Cristo è vuota,
spalancata dalla forza dirompente
della vita che nessuna fossa
può trattenere nella fredda terra.

E Gesù risorge dalla morte per me,
abbatte i muri della mia disperazione,
infrange il cuore sigillao, apre all’uomo
un nuovo orizzonte di eternità.

Ora mi sento amato da Dio
di un amore che attraversa il sepolcro
per entrare dentro di me, facendomi
rialzare dalla prostrazione mortale.

È l’amore che rimuove la pietra,
l’amore che trasforma il cuore;
è l’amore che vince la morte,
l’amore che mi fa finalmente amare.

Da questo saprò che sono vivo per sempre:
se porto in me la radice dell’amore;
Cristo risorto abbatte i muri,
rotola via con forza l’inutile masso

perché ormai la tomba è vuota
ed ha riempito il mio cuore
della luce sfolgorante dell’amore
che risuscita i morti Alleluia!


padrebenedetto 12, iv, 2009