Devozione Mariana
Madonna delle
Lacrime di Sangue
Civitavecchia
TEMPLARI CATTOLICI ITALIANI Priorato Cattolico d'Italia Milites Christi - Precettoria e Commanderia Lombardo-Piacentina - Santa Maria del Tempio - Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare, che non rivendica alcuna successione con l'Ordine del Tempio soppresso dalla Chiesa nel 1312
Se c’è una cosa che nessuno può tollerare, in questi anni, è il
razzismo. Pazienza se droga e alcool spopolano, se il gioco d’azzardo ci rovina
e la pornografia ci imbarbarisce, ma guai – guai! – a chi assume qualsivoglia
atteggiamento giudicato sospetto, a chi tentenna sull’uguaglianza, a chi osa
dissociarsi dalla sinfonia mediatica sui diritti umani e sulla beneficienza.
Son moniti, questi, che valgono per tutti,
quadrupedi inclusi: qualche anno fa, in America, Dolpho, un pastore tedesco
specializzato nell’individuazione di trafficanti di droga, è stato sospeso dal
servizio perché – udite, udite – se la prendeva principalmente con spacciatori
di colore mentre ai bianchi, a quanto pare, strizzava l’occhio. No
comment. Eppure, nonostante questa lotta ferrea e planetaria alla discriminazione, si registra quotidianamente la massima indifferenza verso quella che, piaccia o meno, è la più diffusa pratica razzista contemporanea: l’aborto. E a farne le spese, ancora una volta, sono anzitutto le categorie sociali storicamente più penalizzate: le persone di colore, i disabili e le donne. I primi – avete capito bene – sono i negri, esattamente come ai tempi della tratta degli schiavi. A dirlo non è la teoria di qualche pro-life, bensì una ricerca – ripresa anche dal New York Times, testata certo non tacciabile di sudditanza cattolica, e condotta dal National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion tra il 1996 ed il 2006 – che ha messo in luce come in America il 40% degli aborti procurati sia a carico di donne di colore. Piccolo particolare: negli Stati Uniti le persone di colore non sono nemmeno il 15% della popolazione. Non serve quindi essere giganti della matematica per capire quanto l’aborto stia decimando la popolazione di colore americana. Ma i vari enti internazionali preposti alla difesa delle minoranze – e potremmo, spazio permettendo, citarne a centinaia -, stranamente, non aprono bocca. Neanche – che ne so – una conferenza, due righe di comunicato stampa, un sms: niente. Silenzio di tomba. Stesso discorso per i bambini Down – altra categoria protetta, a dar retta ai guardiani dei diritti umani: non nascono più, stanno statisticamente scomparendo. E non per l’inverno demografico – che pure rappresenta un problema enorme – ma perché vengono eliminati serialmente con l’aborto. E quando nascono, quasi sempre, è per errore, perché la sindrome non era stata diagnosticata. Il caso più lampante, in Europa, è forse quello britannico: nel 1990 in Inghilterra e Galles le diagnosi prenatali di sindrome di Down erano state 1.075, nel 2008 avevano toccato quota 1.843 (+70%). Una bella impennata. Nonostante ciò le nascite di bambini Down non solo non risultano – come ci si aspetterebbe – essere aumentate, ma son addirittura calate di 1 punto percentuale, passando da 752 a 743. Questo perché la percentuale di coppie che ricorre all’aborto dopo aver appreso di attendere un figlio Down, in Inghilterra, è pari al 92%. Ma anche per questo orrore, dal fronte dei diritti umani, non vola una mosca. L’ultimo ma non meno importante pubblico vittima dell’aborto è quello femminile. In Asia, ormai lo sanno tutti, le donne stanno sparendo. E’ un dramma così devastante che ultimamente – miracolo! – ha attirato le attenzioni del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Che ha dichiarato: “La violenza contro le donne è una questione che non può attendere. Attraverso la pratica della selezione sessuale prenatale, un numero imprecisato non ha neppure diritto alla vita”. I numeri complessivi della strage li ha ribaditi giusto l’altro giorno il demografo Phillip Longman della New America Foundation: lo squilibrio dei sessi generato dall’aborto di massa, nella sola Cina, ha fatto sì che ci sia un 16% di maschi in più; per non parlare dell’India. Nessuna società, assicura Longman, ha mai sperimentato la velocità di invecchiamento e lo squilibrio di genere evidente oggi in Asia. Persino l’Onu – ed è tutto dire – se ne sta accorgendo. Chi su questo tace, inspiegabilmente, è l’ormai attempato fronte femminista: e i famosi diritti delle donne? Mistero. Devono essersi presi una vacanza. Per concludere, occorre comunque precisare come l’aborto non sia razzista solo perché, come abbiamo visto, propizia l’estinzione della popolazione di colore, di quella disabile e di quella femminile. Certo, tutto ciò, se possibile, ne mette ancor più in evidenza la potenza omicida. Ma la pratica abortiva, di per sé, è intrinsecamente razzista per una ragione molto più semplice: perché elimina il nascituro, ossia colui che per antonomasia non ha la possibilità di difendersi, di dire la propria, di ribellarsi al destino che altri – i suoi genitori, noi, la società – potrebbero scegliergli. E’ questo, su tutti, il dramma più grande. Quello sul quale ciascuno di noi, a suo modo, dovrebbe riflettere. Siamo anche liberi, ovviamente, di far finta di nulla; di continuare la nostra vita sereni, di occuparci d’altro e sperare che tutto si risolva da sé. In questo caso saremmo però costretti, quanto meno per decenza, a piantarla con la condanna del razzismo. Perché rischieremmo di essere assai ridicoli. (Tratto da: Libertàepersona.org) |