giovedì 28 febbraio 2008

“Leggere la ‘Città di Dio’ di Sant’Agostino per capire la differenza tra la laicità dello Stato e il ruolo della Chiesa”...
Politica, la catechesi del Papa
all'Udienza Generale

Gianluca Barile

CITTA’ DEL VATICANO - I cattolici italiani debbono compiere "un deciso sforzo di conversione e di rinnovamento spirituale, per un risveglio alla fede autentica, per un recupero salutare nel rapporto con Dio e per un impegno evangelico più generoso".

Lo ha chiesto Benedetto XVI nel breve discorso ai fedeli che hanno trovato posto nella Basilica di San Pietro, e che il Papa ha incontrato prima dell'Udienza Generale tenuta nell’Aula Paolo VI. Il numero dei pellegrini era così elevato, infatti, che la Prefettura della Casa Pontificia ha dovuto distribuire i partecipanti alla catechesi pubblica del Santo Padre tra i due luoghi. Tema della riflessione del Papa, "il cammino quaresimale" che rappresenta, ha aggiunto, "un'occasione favorevole" per una rinascita nella fede che deve portare ad un cambiamento di vita: "Nella consapevolezza che l'amore è stile di vita che contraddistingue il credente, non stancatevi - ha esortato Benedetto XVI rivolto agli italiani - di essere ovunque testimoni di carità'". Nella catechesi tenuta nell'Aula Paolo VI, il Papa teologo è poi tornato sul tema dell'impegno dei laici cristiani a costruire un mondo più giusto seguendo le indicazioni del Vangelo.

Lo ha fatto a partire dall'insegnamento di Sant'Agostino le cui opere, ha detto, hanno "importanza capitale non solo per la storia del cristianesimo ma per tutta la cultura occidentale". Anche oggi, ha aggiunto, la "Città di Dio", una delle opere più famose di Sant'Agostino, resta "una fonte che definisce bene cosa sia la vera laicità e la competenza della Chiesa", nel rapporto tra fede e politica. Il "De civitate Dei", ha ricordato Benedetto XVI, fu scritto nel V secolo in occasione del sacco di Roma da parte dei Goti: "Durante l'era degli Dei pagani, Roma era 'caput mundi' e non era pensabile che venisse espugnata dai nemici; adesso con il Dio cristiano non è più sicura questa grande città, per cui il Dio dei cristiani non può essere il Dio a cui affidarsi". A questa "obiezione", Sant'Agostino ha risposto con "una grandiosa opera, chiarendo cosa spettasse a Dio e cosa no, quale relazione dovesse esserci tra la sfera politica e la sfera della Chiesa".

Sullo sfondo dell'opera agostiniana, c'è "la grande rappresentazione della storia dell'umanità'", concepita come "la storia della lotta tra due amori: l'amore di sè fino all'indifferenza per Dio, e l'amore di Dio fino all'indifferenza di sè, alla piena libertà da sè per gli altri nella luce di Dio, che - ha scandito il Pontefice - ci ama, ci accetta, trasforma e ci eleva a se stesso". "A tanti fratelli - ha sottolineato - anche oggi piace leggere le opere di Sant'Agostino, e debbo dire che io sono uno di questi". D’altro canto, Agostino, ha detto il Papa, ''è il padre della Chiesa che ha lasciato il maggior numero di opere. Alcuni degli scritti sono di importanza capitale e non solo per la formazione del cristianesimo ma per tutta la cultura occidentale'. Tra le più di mille opere della produzione agostiniana, il Papa si è soffermato inoltre sulle 'Confessioni', autobiografia ''nella forma di un dialogo con Dio'', ed ha citato le 'Retractationes' di un Agostino ''ormai anziano che compie un'opera di revisione di tutta la sua opera scritta, lasciando così un documento letterario singolare e preziosissimo ma anche un insegnamento di sincerità e di umiltà intellettuale'. ''Anche per noi, come per i suoi contemporanei - ha evidenziato Benedetto XVI - sarebbe stato bello poterlo sentire da vivo mentre parlava ai suoi fedeli. Ma Agostino è veramente vivo nei suoi scritti, è presente tra di noi, e tramite le sue opere vediamo anche la permanente vitalità della sua fede, per la quale ha dato la vita''.

Al termine dell'Udienza Generale, Benedetto XVI ha quindi voluto ringraziare gli oltre 300 fedeli delle diocesi di Pavia (dove sono custodite proprio le reliquie di Sant’Agostino, Vescovo di Ippona) e Vigevano che hanno voluto così ricambiare con la loro presenza nell'Aula Paolo VI la visita pastorale del Pontefice dello scorso aprile. "Cari amici - ha detto loro il Papa -, ancora una volta vi ringrazio per l'affetto con cui mi avete accolto, ed auspico che da quel nostro incontro scaturisca per le vostre comunità diocesane una rinnovata vitalità spirituale nella fedele e generosa adesione a Cristo e alla Chiesa. Guardate al futuro con speranza e - li ha esortati - lavorate con appassionata fiducia nella Vigna del Signore”.

dal sito www.papanews.it

mercoledì 27 febbraio 2008


E' bello vedere come anche Papi, Cardinali e Vescovi, che spesso ci appaiono così “irraggiungibili” nel loro cammino di fede, sono invece così umani… La lettera di Carlo WOJTYŁA potrebbe essere quella di un fedele qualunque, intessuta di umanità, di sofferenza, di bisogno di preghiera…

La lettera (inedita)
di Wojtyla a Padre Pio

dal blog di Andrea Tornielli

Sul Giornale di sabato 9 febbraio Tornelli ha pubblicato una lettera dell’allora vescovo ausiliare di Cracovia Karol Wojtyla a Padre Pio. La lettera attesta l’esistenza di una corrispondenza epistolare e di una vicinanza spirituale tra i due protagonisti della vita della Chiesa del Novecento ancora tutta da esplorare. Si conoscevano infatti soltanto due brevi lettere, in latino, scritte da Wojtyla nel novembre 1962 per chiedere a Padre Pio preghiere per la guarigione della dottoressa Wanda Poltawska, madre di famiglia, ammalata di cancro. La donna guarirà istantaneamente. Ora, grazie a questa nuova lettera, sappiamo che le richieste di grazie esaudite sono state di più. E soprattutto che il vescovo Wojtyla chiedeva vicinanza spirituale a Padre Pio per affrontare le “ingenti difficoltà” pastorali nella diocesi di Cracovia, che all’epoca in cui scrive questa lettera - 14 dicembre 1963 - egli reggeva da un anno e mezzo come amministratore apostolico dopo la morte dell’arcivescovo Baziak. Sorprendono le date: appena due settimane dopo aver scritto questa missiva, inedita e ritrovata dal postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II fra le carte dell’Archivio della Curia di Cracovia, Wojtyla viene nominato arcivescovo da Paolo VI. Il significato del documento viene spiegato da don Francesco Castelli, della postulazione, in questa intervista.

«Mi permetto di raccomandarle, le ingenti difficoltà pastorali che la mia povera opera incontra nella presente situazione...». C’è una lettera inedita che Karol Wojtyla inviò a Padre Pio da Pietrelcina, il frate con le stimmate, pochi giorni prima di essere nominato arcivescovo di Cracovia. Una lettera mai pubblicata né conosciuta, che la postulazione della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II ha scovato nell’archivio della Curia di Cracovia e che forse inizialmente era stata scambiata per la trascrizione di una delle due lettere del futuro Papa al futuro santo già conosciute. Invece quella copia dattiloscritta e archiviata in arcivescovado era del tutto sconosciuta e aggiunge un nuovo fondamentale tassello alla ricostruzione del rapporto tra Wojtyla e Padre Pio.

Com’è noto si conoscevano due lettere, scritte in latino e inviate al frate il 17 e il 28 novembre 1962 dal giovane vescovo ausiliare di Cracovia che in quei giorni si trovava a Roma per il Concilio. Nella prima Wojtyla chiedeva le preghiere di Padre Pio per la dottoressa Wanda Poltawska, madre di famiglia, ammalata di cancro. Nella seconda il vescovo ringraziava il santo del Gargano per l'avvenuta guarigione della donna. La nuova missiva (Archivio della Curia di Cracovia, fondo K. Wojtyla, BI 3123 a), della quale Il Giornale anticipa il contenuto, è datata 14 dicembre 1963 ed è più lunga delle precedenti. Come le altre due è stata scritta a Roma, probabilmente a conclusione della seconda sessione del Concilio Vaticano II. Viene pubblicata e commentata da don Francesco Castelli – collaboratore della postulazione della causa di Giovanni Paolo II – nel nuovo numero della rivista Servi della Sofferenza.

Fin dalle prime righe, Wojtyla fa riferimento alle precedenti richieste da lui rivolte a Padre Pio: «La paternità vostra si ricorderà certamente che già alcune volte nel passato mi sono permesso di raccomandare alle Sue preghiere casi particolarmente drammatici e degni di attenzione». E già qui c’è una prima sorpresa. Fino ad oggi, infatti, si è sempre saputo che il futuro Papa chiese e ottenne le preghiere del frate solo per la dottoressa Poltawska. Non si conoscevano altri casi. Il giovane vescovo polacco ringrazia Padre Pio per la guarigione di una donna ammalata di cancro – è chiaro che si tratta del caso già noto – ma nel numero delle persone guarite Wojtyla aggiunge il figlio di un avvocato, gravemente ammalato dalla nascita. «Ambedue le persone stanno bene», dichiara nel testo inedito. Dunque, oltre a questa lettera e alle due già note esiste almeno un’altra missiva con la quale Wojtyla chiedeva la guarigione del giovane.

Il futuro Papa si rivolge poi a Padre Pio per una signora paralizzata della sua diocesi, dunque una nuova richiesta. Ulteriore indizio di un rapporto consolidato. Ma non è tutto. Questa volta, infatti, il vescovo aggiunge una richiesta personale: «Nello stesso tempo mi permetto di raccomandarle le ingenti difficoltà pastorali che la mia povera opera incontra nella presente situazione». A che cosa si riferisce Wojtyla, che per la prima volta chiede qualcosa per se stesso? E quali sono le «ingenti difficoltà» a cui fa cenno? Dalla metà del 1962 monsignor Wojtyla attraversa una fase delicata della sua vita. Nel giugno 1962 era morto l’arcivescovo di Cracovia, Baziak, e da mesi era aperta la ricerca di un candidato per la successione gradito sia al primate polacco, il cardinale Stefan Wyszynski, e all’autorità dello Stato. Più volte Wyszynski aveva presentato terne di nomi rifiutate dal governo comunista. Dopo due diverse terne respinte in tronco, un alto funzionario del Partito comunista, Zenon Kliszko, suggerisce che venga proposto «un uomo di dialogo, come il giovane vescovo ausiliare, di cui ho dimenticato il nome, con il quale in due settimane abbiamo risolto il caso del seminario di Cracovia».

Quel vescovo è Karol Wojtyla, che aveva con fermezza rivendicato il diritto della Chiesa sulla sede del seminario, occupato dai comunisti locali. A soli 43 anni, Karol Wojtyla si ritrova così arcivescovo della sede cardinalizia di Cracovia, dopo aver retto per oltre un anno e mezzo quella sede come amministratore apostolico, tra «ingenti difficoltà pastorali».

È da notare la coincidenza delle date. La lettera del futuro Papa a Padre Pio, con la richiesta di preghiere e intercessione, è del 14 dicembre. Esattamente due settimane dopo, il 30 dicembre, arriva la designazione ad arcivescovo metropolita della prestigiosa diocesi polacca.

Com’è noto, Wojtyla e Padre Pio si incontrarono solo una volta, nel 1948. Ma la scoperta di questa nuova lettera attesta la profondità del legame esistente tra il frate con le stimmate e il Papa che lo proclamerà beato e poi santo.
Ecco il testo integrale della lettera
di Karol Wojtyla a Padre Pio:

“Roma, 14 dicembre 1963

Molto Reverendo Padre,
la Paternità Vostra si ricorderà certamente che già alcune volte nel passato mi sono permesso di raccomandare alle Sue preghiere casi particolarmente drammatici e degni di attenzione.
Vorrei pertanto ringraziarLa vivamente anche a nome degli interessati per le Sue preghiere in favore di una signora, medico cattolico, ammalata di cancro, e del figlio di un avvocato di Cracovia, gravemente ammalato dalla nascita. Ambedue le persone stanno, grazie a Dio, bene.
Mi permetta inoltre, Padre molto Reverendo, di affidare alle sue orazioni, una signora paralizzata di questa arcidiocesi.
Nello stesso tempo mi permetto di raccomandarLe, le ingenti difficoltà pastorali che la mia povera opera incontra nella presente situazione.
Colgo l’occasione per rinnovarle i sensi del mio religioso ossequio, con il quale amo confermarmi Della Paternità Vostra

Devotissimo in Gesù Cristo
+ Carlo WOJTYŁA
Vescovo tit. di Ombi
Vicario Capitolare di Cracovia”

lunedì 25 febbraio 2008

LA CHIESA DICE NO
AL TEOLOGO FAI-DA-TE

"Non è teologia cristiana ma gnosi" e così una dozzina di dogmi vengono "negati" o "svuotati". Così Osservatore Romano e Civiltà Cattolica stroncano il libro del "teologo" Vito Mancuso "L'anima e il suo destino", che in Italia ha venduto 80mila copie. Proponiamo un articolo di Sandro Magister che riassume la vicenda e spiega perché tale libro è pericoloso. L'articolo è apparso sul sito

Un teologo rifà da capo
la fede cattolica.
Ma la Chiesa dice no

Sandro Magister

In un medesimo giorno di questo inizio di febbraio "L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica" – cioè il giornale ufficiale della Santa Sede e la rivista controllata riga per riga dalla segreteria di stato vaticana – hanno doppiamente stroncato un libro che è divenuto un caso editoriale, teologico, ecclesiale. In Italia ma non solo.

Il libro è "L'anima e il suo destino", di Vito Mancuso. L'una e l'altra stroncatura sono uscite contemporaneamente sulle due autorevoli testate il 2 febbraio, festa della presentazione di Gesù.
In pochi mesi "L'anima e il suo destino" ha avuto sette edizioni e ha venduto in Italia 80 mila copie, che per un libro di teologia sono moltissime.

Vito Mancuso, 46 anni, sposato con figli, insegna teologia moderna e contemporanea nella facoltà di filosofia dell'Università San Raffaele di Milano, un ateneo privato senza legami con la Chiesa. Ha conseguito il dottorato in teologia presso la Pontificia Università Lateranense. La sua tesi, patrocinata dal presidente dell'Associazione teologica italiana, Piero Coda, diventò il suo primo libro: "Hegel teologo e l'imperdonabile assenza del Principe di questo mondo", uscito nel 1996 e giudicato con favore – al pari del successivo, del 2002: "Il dolore innocente. L'handicap, la natura e Dio" – da teologi affermati e di sicura ortodossia come don Gianni Baget Bozzo e Bruno Forte. Quest'ultimo è membro della commissione teologica internazionale che affianca la congregazione vaticana per la dottrina della fede, è stato ordinato vescovo nel 2004 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, regge l'arcidiocesi di Chieti e Vasto e presiede la commissione per la teologia e la cultura della conferenza episcopale italiana.

Ebbene, su "L'Osservatore Romano" del 2 febbraio, è proprio l'arcivescovo-teologo Forte che critica a fondo l'ultimo libro di Mancuso. La sua conclusione è lapidaria: "Non è teologia cristiana ma 'gnosi', pretesa di salvarsi da sé".

I numerosi lettori che hanno acquistato "L'anima e il suo destino", però, trovano in apertura del volume la prefazione di un altro arcivescovo di grandissima fama, il cardinale e gesuita Carlo Maria Martini, il quale raccomanda vivamente la lettura del medesimo libro, nonostante ravvisi in esso idee "che non sempre collimano con l'insegnamento tradizionale e talvolta con quello ufficiale della Chiesa".

E così il cardinale prosegue, rivolgendosi familiarmente all'autore: "Sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenere conto di quanto tu hai detto con penetrazione coraggiosa. […] Anche quelli che ritengono di avere punti di riferimento saldissimi possono leggere le tue pagine con frutto, perché almeno saranno indotti o a mettere in discussione le loro certezze o saranno portati ad approfondirle, a chiarirle, a confermarle”.

Martini non dice quali siano i punti che si staccano dalla dottrina cattolica. Li mettono invece nero su bianco "L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica". Secondo quest'ultima rivista i dogmi "negati" o "svuotati" nel libro sono "circa una dozzina". E tutti di prima grandezza.

Su "L'Osservatore" Bruno Forte non è da meno. Vede smantellati il peccato originale, la risurrezione di Cristo, l'eternità dell'inferno, la salvezza che viene da Dio. La tesi del libro è che l'uomo basta a se stesso e si salva da sé, alla luce della sua sola ragione.

Mancuso, che si professa cattolico, è consapevole del terremoto che ha provocato. Ma il suo programma dichiarato è proprio quello di "rifondare" la fede cristiana. In un articolo pubblicato il 22 gennaio sul quotidiano "il Foglio" ha respinto anche il dogma della creazione e la dottrina della "Humanae Vitae" sulla contraccezione. A quest'ultima dottrina ha opposto il seguente argomento: "Occorre guardare in faccia la realtà per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse, e la realtà è che i rapporti sessuali sono praticati largamente al di fuori del matrimonio e a partire da giovanissima età".

Al che gli ha replicato sullo stesso giornale don Baget Bozzo, suo ammiratore d'un tempo: "Caro Vito, che senso ha chiamarsi ancora teologo, se non per pura commercializzazione del prodotto, quando si ha una così bassa concezione della teologia?".

Del caso non si è occupata direttamente la congregazione per la dottrina della fede in quanto Mancuso non ha vincoli istituzionali con la Chiesa né insegna in una università ecclesiastica. (...) Il timore era però che un silenzio delle autorità della Chiesa avrebbe alimentato l'idea che le tesi del libro fossero innocue o persino apprezzabili, offerte a una disputa fruttuosa, come raccomandato dal cardinale Martini nella sua prefazione.

"L'Osservatore Romano" e "La Civiltà Cattolica" hanno rotto il silenzio e fornito una autorevole indicazione su ciò che è conforme o no alla dottrina cattolica e a un metodo corretto di far teologia. (...)

tratto da: iltimone.org