giovedì 17 novembre 2011
mercoledì 16 novembre 2011
Don Bux: “Sarà pure messa antica. Ma con una massa di giovani”
I vescovi che disobbediscono al papa non pretendano d’essere poi obbediti da clero e fedeli. Negli episcopati: un gallicanesimo strisciante che si crede autosufficiente. La riforma litugica: non era una delle impellenze volute dal concilio. L’esclusivismo di chi si professa ecumenico.
a cura di Francesco Mastromatteo
Una inarrestabile crescita di consensi, specie presso i giovani. Non ha dubbi don Nicola Bux circa l’avanzata della Tradizione cattolica soprattutto tra le giovani generazioni in seguito al Motu Proprio con cui Benedetto XVI ha “liberalizzato” il rito antico ormai quattro anni fa. Abbiamo chiesto a don Nicola, professore dell’università Lateranense, insigne teologo e studioso di liturgia molto vicino a Papa Ratzinger, un bilancio della situazione, dal punto di vista privilegiato di uno dei massimi cultori della materia liturgica. Lo abbiamo incontrato nel corso di un dibattito politico a margine del quale non ha lesinato critiche apertis verbis a un sottosegretario dell’attuale governo, la cui dichiarata fede cattolica e vicinanza ai movimenti pro-vita non ha impedito di votare un finanziamento a Radio Radicale, come del resto hanno fatto altri parlamentari cattolici.
Don Bux, persino l’inserto di un quotidiano non certo filo cattolico come Repubblica ha dovuto riservare un servizio alla diffusione della messa in latino secondo il Messale del 1962. Qualcosa sta cambiando? Il bilancio è senz’altro positivo: c’è un crescendo di tale opportunità data dal Papa a tutta la Chiesa. Essa si è diffusa senza imposizioni, dopo che il Motu Proprio del 2007 ha aperto una breccia. Si è ormai fatta strada l’idea che il rito antico non è mai stato abolito, e che la riforma liturgica non era una delle necessità impellenti volute dal Concilio. L’ostilità verso la messa in latino era sostenuta attraverso tesi infondate, come quella per cui nei primi secoli il sacerdote celebrasse rivolto verso il popolo, mentre dopo avrebbe dato le spalle al popolo: espressione fasulla, visto che il sacerdote era rivolto verso il Signore.
Una Messa antica ma amata dai giovani: non è un paradosso?
Basta andare in giro come faccio io per celebrazioni e conferenze: non solo in Italia ma all’estero il rito antico si diffonde sempre più proprio tra i più giovani. A mio parere ciò è dovuto al fatto che i ragazzi si approcciano alla fede ricercando il senso del Mistero, e lo trovano in maniera evidente nella Messa celebrata in forma straordinaria. Il ritorno al rito tradizionale non è secondario per la fede: esso favorisce in una dimensione verticale l’incontro con Dio in un mondo contemporaneo in cui lo sguardo dell’uomo è ripiegato su se stesso e sulla dimensione materiale dell’esistenza. In questo senso ha favorito una sorta di “contagio” spirituale benefico.
Qualche mese fa la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha emanato un documento, l’istruzione sull’applicazione del Motu Proprio. C’è chi ha parlato di una sorta di richiamo ai vescovi a venire incontro alle richieste dei fedeli…
È una traduzione in indicazioni concrete del Motu Proprio. La media dei vescovi, che all’inizio erano perplessi, ora può cominciare a muoversi nella direzione giusta. Questa istruzione incoraggia i vescovi ad esaudire le richieste dei fedeli sensibili alla messa antica, che deve essere considerata da tutti una ricchezza della liturgia romana.
Non è un mistero che parecchi episcopati non abbiano apprezzato questa scelta, e cerchino in tutti i modi di ostacolarla, comportandosi da veri e propri ribelli verso il Papa…
Esiste senz’altro una forma di neogallicanesimo strisciante, per cui alcuni settori della Chiesa pensano di essere autosufficienti da Roma. Ma chi ragiona in questi termini non è cattolico. I vescovi che disobbediscono al Papa si mettono nelle condizioni di non essere a loro volta obbediti da parroci e fedeli.
Nella Chiesa si è sempre detto: lex orandi lex credendi. La liturgia è saldamente legata alla teologia. Papa Benedetto XVI ha fissato come bussola del suo Magistero la continuità con la Tradizione e un gesto forte è stato quello di togliere la scomunica ai lefebvriani. Cosa ne pensa?
Penso sia stato un gesto di grande carità. Rompere la comunione è facile, il difficile è ricucire, ma Cristo ha voluto che fossimo tutti una sola cosa e questo per noi deve essere un imperativo. L’opera meritoria del Papa evidenzia la sua grande pazienza, ma d’altronde se così non fosse assisteremmo ad un paradosso: mentre si postula tanto il dialogo con i non cattolici e addirittura con i non cristiani, come si può essere pregiudizialmente ostili all’idea di riunirsi con chi ha la stessa fede? Lo stesso Benedetto XVI in quell’occasione citò opportunamente la lettera di San Paolo ai Galati: “Se vi mordete e divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri”. Il dramma attuale della Chiesa è l’esclusivismo da parte di chi si professa ecumenico.
In questa occasione si parlava di politica e valori. “Questione morale” è un’espressione di cui molti esponenti di partito si riempiono la bocca…
Sento parlare molto in giro della necessità di “codici etici” per i partiti, ma di un’etica non meglio precisata. Può mai derivare dall’uomo la fonte di ciò che è bene o male? Bisognerebbe tornare ai Dieci Comandamenti, le uniche vere tavole etiche che derivano da Dio.
(foto del blog cattolico Portodimarebis di Taranto)
lunedì 14 novembre 2011
Gotti Tedeschi, crisi: Ecco perché le cose ci sono sfuggite di mano | |
Abbiamo perso l’ansia e la volontà di imitare Cristo e di cercare di incorporare la Sua perfezione in una fede operativa. Nella fede di chi, professionalmente, fa il banchiere, l’industriale, il politico, lo scienziato. Il presidente delle Ior spiega perché «le cose ci sono sfuggite di mano». Pubblichiamo l'articolo che appare sul numero 45 di Tempi in edicola (11 NOVEMBRE 2011). | |
Di seguito vorrei cercare di spiegare cosa ci è sfuggito di mano e ha prodotto la crisi in corso. Poi vorrei proporre una riflessione sul perché questo è avvenuto, una riflessione che verrà accettata solo da “uomini di buona volontà” che hanno la fede dei figli di Dio. Dobbiamo avere il coraggio di tornare a mettere Dio nelle cose umane, anche se ciò facesse “storcere il naso” a tanti che si sono sforzati di toglierLo. I papi Giovanni Paolo II (in Sollicitudo rei socialis) e il suo successore Benedetto XVI (in Caritas in veritate) avevano ragione quando avevano capito e profetizzato che all’uomo di questi tempi, cresciuto a dismisura nelle capacità tecnologiche e scientifiche, ma rimasto immaturo nella sapienza necessaria del loro uso, queste tecniche sarebbero sfuggite di mano, producendo guai. È vero, questi strumenti sono sfuggiti di mano all’uomo, hanno persino assunto autonomia (morale) e sono loro ora a spiegare e determinare le idee e i comportamenti dell’uomo stesso, limitando la sua capacità di distinguere tra fini e mezzi. Ciò vale in economia come per altre scienze o tecniche. Limitandoci al campo economico vorrei cercare di spiegare cosa è sfuggito di mano all’uomo di questi tempi. Cominciamo dai due fatti prioritari. 1. Decidendo di ignorare il valore intrinseco e sacro della vita umana e conseguentemente delle leggi naturali, l’uomo si è fatto sfuggire di mano l’essenzialità delle nascite per adattare e regolare le leggi economiche. Facendo così vacillare le leggi della crescita economica e confondendole con quella creatività tipica dell’uomo peccatore che negando Dio e le leggi della sua Creazione vuole promuovere leggi tutte sue. Nel caso della crisi attuale, sostituendo (nel dotto e ricco mondo occidentale) la crescita economica, legata a una armonica crescita della popolazione, con una crescita compensativa fatta solo di consumi individuali. 2. Decidendo di ignorare l’unicità della vita dell’uomo, fatto di carne e spirito, l’uomo si è fatto sfuggire di mano la logica e la dinamica stessa dello sviluppo economico, che non è stato voluto e imposto integralmente, bensì solo materialmente, a uso e consumo di un uomo considerato alla stregua di un “animale intelligente”, da soddisfare solo materialmente facendogli consumare di tutto. Altrimenti il Pil non sarebbe cresciuto. E per riuscire in questo intento l’uomo ha persino sconvolto gli equilibri dell’economia globale, gettando le basi per un nuovo ordine mondiale. Che non sarà però solo economico, sarà culturale e spirituale e potrà persino diventare la maggior rivoluzione nella storia dell’umanità. A questo punto, dopo aver perso il controllo delle leggi chiave dell’economia, al nostro supponente uomo sono sfuggiti di mano tanti altri strumenti. Ne ricordo solo alcuni: il controllo dell’inflazione o deflazione; il controllo del debito pubblico e privato nonché dei tassi di interesse; il controllo delle produzioni e perciò della occupazione o disoccupazione; il controllo delle risorse e dei prezzi, soprattutto delle materie prime; il controllo delle tasse necessarie a sostenere i costi dell’invecchiamento artificiale della popolazione; il controllo della produzione di ricchezza da parte delle imprese che mancano di un riferimento di mercato e di crescita; il controllo della produzione di ricchezza dei privati e delle famiglie, e perciò della generazione di risparmio; il controllo dei consumi stessi, non essendo possibile controllare domanda e offerta dei beni e potere di acquisto. Infine è sfuggita di mano persino la possibilità di correggere detti errori con manovre per ridurre il debito, rilanciare le economie, riprodurre un nuovo equilibrio economico soddisfacente. Sembrano esser sfuggiti di mano persino lo strumento politico e la necessaria governance (fra paesi e all’interno dei paesi) per prendere decisioni coerenti di politica economica. Senza verità la logica è opportunismo Ho promesso anche una riflessione sul perché ciò sia potuto succedere. Sempre papa BenedettoXVI lo spiega nella introduzione alla Caritas in veritate. È successo perché l’uomo ha perso il senso della vita, il senso delle sue azioni. Perché il nichilismo dominante, eletto filosofia di pensiero di questo tempo, ha distolto l’uomo da riferimenti di verità. E senza verità all’uomo sfuggono di mano, appunto, gli strumenti. Come si può chiedere a un banchiere di dar senso – vero senso, per il bene comune… – al suo mestiere se la vita non ha senso? Come si può peraltro chiederlo a uno scienziato o a un politico o governante, se appunto la vita non ha senso? Se la vita non ha senso, perché dovrebbero averlo le azioni umane? Avranno semmai una logica opportunistica, legata al pensiero dominante che spiega cosa è opportuno, bene e male, in un certo momento storico. E perché ciò è successo? Avanzo un’ipotesi che farà storcere il naso a molti tiepidi lettori: è successo perché abbiamo perso il legame con Cristo, con Dio. Perché abbiamo perso la contemplazione di Cristo e il senso della Creazione e perciò della nostra vita. Abbiamo perso l’ansia e la volontà di imitare Cristo e di cercare di incorporare la Sua perfezione responsabilizzandoci con convinzione in una fede operativa. Nella fede di chi, professionalmente, fa il banchiere, l’industriale, il politico, lo scienziato, il medico, il docente di storia, eccetera. Paradossalmente (ma mica tanto) solo ritrovando questi legami persi potremo produrre soluzioni per la crisi economica, soluzioni che siano realmente sostenibili e opportune. Dico una cosa che farà saltar sulla sedia qualcuno: non riusciremo a trovare e applicare vere soluzioni se i criteri con cui le elaboriamo sono influenzati dal peccato, se non riconosciamo la potenza nefasta del peccato sul comportamento, sulle riflessioni, sulle decisioni degli esseri umani. Ritorniamo perciò a parlare del peccato e di quanto influenzi il pensiero e le azioni umane. Ogni proposta di soluzione a detta crisi sarà caduca se sarà influenzata dalla confusione che crea l’attitudine a peccare e a negare il peccato stesso e le sue conseguenze. Ogni progetto condito da orgoglio, vanità, concupiscenza, eccetera diverrà un progetto insostenibile perché per forza prescinderà dai veri bisogni della persona, dalla sua unità di vita, dalla sua vocazione all’eternità, dalla sua necessità di potersi santificare su questa terra. Non servono professori ma buoni preti Paradossalmente tutti vogliono escludere, quale soluzione alla crisi, un periodo di “austerità” finalizzato a ricostruire i fondamentali delle nostre economie, dichiarando che penalizzerebbe l’individuo. O forse penalizzerebbe la popolarità di chi dovrebbe deciderlo. Ma se fosse proprio l’“austerità”, per fare un esempio, la vera soluzione, la migliore e la più opportuna anche per la persona? Se è la fede che ci permette di capire i misteri di Cristo, come potrebbe non permetterci di intuire le vere prospettive di soluzione (che sarà naturalmente tecnica) a una crisi economica? Senza questa fede, espressioni pluricitate come “priorità alla centralità della persona” sono e restano vuote di significato (a parte il significato elettorale). Cos’è infatti la centralità della persona per un economista, per un politico, per uno scienziato? È, al peggio, vedere la persona come mezzo sostanziale di produzione, consumo, risparmio? O è, al meglio, riconoscere la transitorietà delle cose possedute, il distacco dai beni, la fragilità della vita umana grazie alle passioni? Ma per riconoscere tutto ciò non c’è bisogno di fede, basta il buon senso. Qualsiasi buon filosofo senza fede può spiegare perché ciò è vero; detta verità si trova in leggi naturali che si deve solo saper osservare. Così una buona economia si fonda su leggi naturali utili all’uomo. Ma un’economia per la persona vuole molto di più, vuole la coscienza della dignità dell’uomo, creatura di Dio, figlio di Dio, erede di Dio. Ecco perché credo che per fare questa buona economia siano essenziali anzitutto buoni preti piuttosto che buoni professori. Preti che confessino e aiutino a odiare il peccato. Il miracolo economico non sta certo nel riuscire a risolvere tutti i problemi in breve tempo tornando a esser tutti ricchi. Sta nel cogliere questa (sgradevole) crisi per darsi obiettivi di vera “ricchezza”, più a lungo termine, con prospettive di eternità. |
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