martedì 27 maggio 2008

le diocesi
In quel pane spezzato il
«grembo vivo» della Chiesa

DI PAOLO PITTALUGA
Nelle diocesi italiane il Corpus Domini è stata occasione per riflettere sul signifi­cato dell’Eucaristia nella vita dei singo­li e delle comunità. Durante l’omelia di dome­nica, il patriarca di Venezia, Angelo Scola, ha ri­cordato che «la mancanza di ciò di cui abbiamo bisogno per vivere (non solo beni materiali, ma soprattutto spirituali) mette alla prova la nostra fede. O recriminiamo o ci affidiamo. La memo­ria del Corpus Domini – ha ag­giunto il patriarca – la cele­brazione eucaristica, l’adora­zione e la solenne processio­ne sono la via maestra per questo affidamento lungo il viaggio della nostra vita». Il cardinale ha ricordato che «l’uomo che, per grazia, acco­glie il dono dell’Eucaristia fa ogni volta una singolare espe­rienza. La misericordia amo­revole della Trinità irrompe nel susseguirsi mec­canico degli instanti del suo tempo, vi opera u­na benefica discontinuità che provoca la sua li­bertà ». L’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Paolo Rabitti, ha ricordato che «poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un cor­po solo; tutti infatti partecipiamo dell’unico pa­ne ». Di qui l’invito ad essere «una cosa sola», «u­niti nella frazione del pane», «un cuor solo e un’a­nima sola», nel mettere «in comune ciò che sei e che fai», nel far circolare «la gioia e la sempli­cità del cuore». «La santissima Eucaristia è il grembo vivo della Chiesa e il suo tesoro più prezioso» ha afferma­to l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco sabato sera nell’omelia pro­nunciata al termine della processione eucari­stica. A pochi giorni dalla visita del Papa, ha af­fermato Bagnasco, «è ancora grande la gioia per un momento in cui la naturale riservatezza di Genova non le ha impedito di trasformarsi in un popolo in festa». Il cardinale si è rivolto ai più piccoli affermando: «Grazie bambini per la vo­stra innocenza. Il Santo Padre ha sentito il vo­stro calore. Il Papa vi ha invitato a diventare mis­sionari e ricordatevi che quanto più l’uomo si al­lontana da Dio tanto più smarrisce se stesso. State uniti tra voi, siate semplici ma non inge­nui, entrate in dialogo con tutti ma restate sem­pre voi stessi». «L’Eucaristia è il primo segno del­la presenza reale di Gesù tra di noi – ha osser­vato Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Peru­gia- Città della Pieve – che, portandola in pro­cessione tra le case, ci parla di speranza e ci in­coraggia a proseguire nella vita in famiglia e sul lavoro». Il presule ha sottoli­neato come «si rende pre­sente nella nostra vita il Cri­sto vivente, che è tornato ora nel mistero di Dio ma non ci ha lasciato orfani, avendo mandato tra noi il suo Santo Spirito, l’amore che dà vita e rinnova la presenza di Lui nei nostri giorni precari» e che ci dà quell’attitudine ad agire, ad operare il bene che non è frutto dei nostri desideri o dei nostri sforzi, ma del suo amore operoso, che rende virtuosa e non virtuale la nostra vita». Delio Lucarelli, vescovo di Rieti, soffermandosi sull’attualità del Corpus Domini, ha ricordato come «è la grande festa del pane e della vita, di quel nutrimento che ci sostiene nella vita di fe­de e che alimenta il nostro desiderio della pa­tria, della città eterna in cui sarà imbandito il grande banchetto della nostra Pasqua». Perché, ha spiegato, «Gesù ha scelto un cibo comune, il più diffuso, il pane e una bevanda, il vino, per­ché divenissero i segni sacramentali della sua presenza; ci ha lasciato un pegno, un anticipo di tutto se stesso così come lo sperimenteremo nella Gerusalemme celeste». Ha scelto la Napoli del futuro e il Centro dire­zionale, il cardinale Crescenzio Sepe per cele­brare il Corpus Domini, davanti al tribunale, vi­cino alla chiesa di San Carlo Borromeo che «è simbolo del cuore della spiritualità che deve a­nimare ogni sforzo di crescita economica, di progresso e di sviluppo industriale». In una città, ha aggiunto il porporato, dove «la speranza non può essere lasciata morire». «Porre il Signore Ge­sù al centro della nostra vita personale, per met­tere ordine nella nostra condotta morale e rea­lizzare in pienezza la nostra vocazione cristia­na »: è questo l’invito lanciato dall’arcivescovo di Taranto, Benigno Luigi Papa, che ha proiet­tato il suo sguardo all’attualità e alla dignità del­la vita. Lo ha fatto sottolineando la sua «soffe­renza per il triste primato degli infortuni sul la­voro che abbiamo in Provincia» e invitando a «migliorare le condizioni di sicurezza» ricor­dando che «occorre anche promuovere una cul­tura del lavoro». La prevenzione degli infortuni – ha aggiunto – passa dalle normative ma, pri­ma ancora, «dalla riappropriazione della pro­pria dignità umana e da un corretto e vero a­more che si deve avere verso la propria vita». Di qui l’appello a Gesù perché «ispiri una efficace normativa giuridica per prevenire gli infortuni ed illumini i lavoratori, soprattutto i più giova­ni, perché la grazia del lavoro sia compresa co­me fondamento di una responsabilità etica nei confronti della propria vita». L’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, ha sottolineato «la necessità di vivere il Miste­ro di Cristo» in una città segnata dai contra­sti, dalle emergenze, dalla violenza, dall’o­dio. Ha parlato delle famiglie, degli sposi, «che nel corpo di Cristo devono trovare l’u­nità, che spesso è in pericolo e il sostegno per affrontare le difficoltà». Infine, ha richiama­to al compito di dare testimonianza dell’u­nità dei cristiani «che si nutrono dello stes­so corpo di Cristo». Ha invitato a cogliere il rapporto tra eucaristia e ascolto il vescovo di Noto, Mariano Crociata, che ne ha mes­so in risalto l’appartenenza «l’un l’altro». L’Eucaristia – ha detto il presule – è il com­pito dell’ascolto, perché realizza ciò che vie­ne annunciato. L’ascolto è necessario al­l’Eucaristia perché ne richiama l’origine e il senso». «Non si può – ha precisato – man­giare la carne del Signore senza prestare a lui l’adesione del cuore e l’attenzione della mente». ( Hanno collaborato: A.Torti; F.Dal Mas; V.Chianese; A.Turrisi) Nelle riflessioni dei pastori italiani una lettura dell’oggi alla luce del mistero centrale per la fede e l’agire dei cristiani.
da Avvenire del 27 maggio 2008
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Sollenità del “Corpus Domini”
25 maggio 2008

Padre Cantalamessa

Nella seconda lettura san Paolo ci presenta l'Eucaristia come mistero di comunione: “Il calice che benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?” Comunione significa scambio, condivisione. Ora la regola fondamentale della condivisione è questa: quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio. Proviamo ad applicare questa regola alla comunione eucaristica e ci renderemo conto della “enormità” della cosa.
Che cosa ho io di propriamente “mio”? La miseria, il peccato: questo solo è esclusivamente mio. E che cosa ha di “suo” Gesú se non santità, perfezione di tutte le virtù? Allora la comunione consiste nel fatto che io do a Gesú il mio peccato e la mia povertà, e lui mi da la sua santità. Si realizza il “meraviglioso scambio”, come lo definisce la liturgia.
Conosciamo diversi tipi di comunione. Una comunione assai intima è quella tra noi e il cibo che mangiamo, perché questo diventa carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ho sentito delle mamme dire alla loro creatura, mentre se la stringevano al petto e la baciavano: “Ti voglio così bene che ti mangerei!”.
È vero che il cibo non è una persona vivente e intelligente con la quale possiamo scambiarci pensieri e affetti, ma supponiamo, per un momento, che il cibo sia esso stesso vivente e intelligente, non si avrebbe, in tal caso, la perfetta comunione? Ma questo è precisamente ciò che avviene nella comunione eucaristica. Gesù, nel brano evangelico, dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo…La mia carne è vero cibo…Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna”. Qui il cibo non è una semplice cosa, ma è una persona vivente. Si ha la più intima, anche se la più misteriosa, delle comunioni.



Guardiamo cosa avviene in natura, nell'ambito della nutrizione. È il principio vitale più forte che assimila quello meno forte. È il vegetale che assimila il minerale; è l'animale che assimila il vegetale. Anche nei rapporti tra l'uomo e Cristo si attua questa legge. È Cristo che assimila noi a sé; noi ci trasformiamo in lui, non lui in noi. Un famoso materialista ateo ha detto: “L'uomo è ciò che mangia”. Senza saperlo ha dato un'ottima definizione dell'Eucaristia. Grazie ad essa, l'uomo diventa davvero ciò che mangia, cioè corpo di Cristo!
Ma leggiamo il seguito del testo iniziale di S. Paolo: “Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane”. È chiaro che in questo secondo caso la parola “corpo” non indica più il corpo di Cristo nato da Maria, ma indica “tutti noi”, indica quel corpo di Cristo più grande che è la Chiesa. Questo vuol dire che la comunione eucaristica è sempre anche comunione tra noi. Mangiando tutti dell'unico cibo, noi formiamo un solo corpo.
Quale la conseguenza? Che non possiamo fare vera comunione con Cristo, se siamo divisi tra noi, ci odiamo, non siamo pronti a riconciliarci. Se tu hai offeso un tuo fratello, diceva S. Agostino, se hai commesso un'ingiustizia contro di lui, e poi vai a ricevere la comunione come niente fosse, magari pieno di fervore nei confronti di Cristo, tu somigli a una persona che vede venire verso di sé un amico che non vede da molto tempo. Gli corre incontro, gli getta le braccia al collo e si alza in punta di piedi per baciarlo sulla fronte…Ma, nel fare questo, non si accorge che gli sta calpestando i piedi con scarpe chiodate. I fratelli infatti, specie i più poveri e derelitti, sono le membra di Cristo, sono i suoi piedi posati ancora sulla terra. Nel darci l'ostia il sacerdote dice: “Il corpo di Cristo”, e noi rispondiamo: “Amen!”. Adesso sappiamo a chi diciamo “Amen”, cioè sì, ti accolgo: non solo a Gesù, il Figlio di Dio, ma anche al prossimo.
Nella festa del Corpus Domini non posso nascondere una tristezza. Ci sono delle forme di malattia mentale che impediscono di riconoscere le persone che sono accanto. Continuano a gridare per ore: “Dov'è mio figlio? Dove mia moglie? Perché non si fa vivo?” e, magari, il figlio o la moglie sono lì che gli stringono la mano e gli ripetono: “Sono qui, non mi vedi? Sono con te!”. Succede così anche a Dio. Gli uomini nostri contemporanei cercano Dio nel cosmo o nell'atomo; discutono se ci fu o meno un creatore all'inizio del mondo. Continuiamo a domandare: “Dov'è Dio?” e non ci accorgiamo che è con noi e si è fatto cibo e bevanda per essere ancora più intimamente unito a noi.
Giovanni Battista dovrebbe ripetere mestamente: “In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete”. La festa del Corpus Domini è nata proprio per aiutare i cristiani a prendere coscienza di questa presenza di Cristo in mezzo a noi, per tenere desto quello che Giovanni Paolo II chiamava “lo stupore eucaristico”.