le diocesi
In quel pane spezzato il
«grembo vivo» della Chiesa
DI PAOLO PITTALUGA
Nelle diocesi italiane il Corpus Domini è stata occasione per riflettere sul significato dell’Eucaristia nella vita dei singoli e delle comunità. Durante l’omelia di domenica, il patriarca di Venezia, Angelo Scola, ha ricordato che «la mancanza di ciò di cui abbiamo bisogno per vivere (non solo beni materiali, ma soprattutto spirituali) mette alla prova la nostra fede. O recriminiamo o ci affidiamo. La memoria del Corpus Domini – ha aggiunto il patriarca – la celebrazione eucaristica, l’adorazione e la solenne processione sono la via maestra per questo affidamento lungo il viaggio della nostra vita». Il cardinale ha ricordato che «l’uomo che, per grazia, accoglie il dono dell’Eucaristia fa ogni volta una singolare esperienza. La misericordia amorevole della Trinità irrompe nel susseguirsi meccanico degli instanti del suo tempo, vi opera una benefica discontinuità che provoca la sua libertà ». L’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Paolo Rabitti, ha ricordato che «poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo; tutti infatti partecipiamo dell’unico pane ». Di qui l’invito ad essere «una cosa sola», «uniti nella frazione del pane», «un cuor solo e un’anima sola», nel mettere «in comune ciò che sei e che fai», nel far circolare «la gioia e la semplicità del cuore». «La santissima Eucaristia è il grembo vivo della Chiesa e il suo tesoro più prezioso» ha affermato l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco sabato sera nell’omelia pronunciata al termine della processione eucaristica. A pochi giorni dalla visita del Papa, ha affermato Bagnasco, «è ancora grande la gioia per un momento in cui la naturale riservatezza di Genova non le ha impedito di trasformarsi in un popolo in festa». Il cardinale si è rivolto ai più piccoli affermando: «Grazie bambini per la vostra innocenza. Il Santo Padre ha sentito il vostro calore. Il Papa vi ha invitato a diventare missionari e ricordatevi che quanto più l’uomo si allontana da Dio tanto più smarrisce se stesso. State uniti tra voi, siate semplici ma non ingenui, entrate in dialogo con tutti ma restate sempre voi stessi». «L’Eucaristia è il primo segno della presenza reale di Gesù tra di noi – ha osservato Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia- Città della Pieve – che, portandola in processione tra le case, ci parla di speranza e ci incoraggia a proseguire nella vita in famiglia e sul lavoro». Il presule ha sottolineato come «si rende presente nella nostra vita il Cristo vivente, che è tornato ora nel mistero di Dio ma non ci ha lasciato orfani, avendo mandato tra noi il suo Santo Spirito, l’amore che dà vita e rinnova la presenza di Lui nei nostri giorni precari» e che ci dà quell’attitudine ad agire, ad operare il bene che non è frutto dei nostri desideri o dei nostri sforzi, ma del suo amore operoso, che rende virtuosa e non virtuale la nostra vita». Delio Lucarelli, vescovo di Rieti, soffermandosi sull’attualità del Corpus Domini, ha ricordato come «è la grande festa del pane e della vita, di quel nutrimento che ci sostiene nella vita di fede e che alimenta il nostro desiderio della patria, della città eterna in cui sarà imbandito il grande banchetto della nostra Pasqua». Perché, ha spiegato, «Gesù ha scelto un cibo comune, il più diffuso, il pane e una bevanda, il vino, perché divenissero i segni sacramentali della sua presenza; ci ha lasciato un pegno, un anticipo di tutto se stesso così come lo sperimenteremo nella Gerusalemme celeste». Ha scelto la Napoli del futuro e il Centro direzionale, il cardinale Crescenzio Sepe per celebrare il Corpus Domini, davanti al tribunale, vicino alla chiesa di San Carlo Borromeo che «è simbolo del cuore della spiritualità che deve animare ogni sforzo di crescita economica, di progresso e di sviluppo industriale». In una città, ha aggiunto il porporato, dove «la speranza non può essere lasciata morire». «Porre il Signore Gesù al centro della nostra vita personale, per mettere ordine nella nostra condotta morale e realizzare in pienezza la nostra vocazione cristiana »: è questo l’invito lanciato dall’arcivescovo di Taranto, Benigno Luigi Papa, che ha proiettato il suo sguardo all’attualità e alla dignità della vita. Lo ha fatto sottolineando la sua «sofferenza per il triste primato degli infortuni sul lavoro che abbiamo in Provincia» e invitando a «migliorare le condizioni di sicurezza» ricordando che «occorre anche promuovere una cultura del lavoro». La prevenzione degli infortuni – ha aggiunto – passa dalle normative ma, prima ancora, «dalla riappropriazione della propria dignità umana e da un corretto e vero amore che si deve avere verso la propria vita». Di qui l’appello a Gesù perché «ispiri una efficace normativa giuridica per prevenire gli infortuni ed illumini i lavoratori, soprattutto i più giovani, perché la grazia del lavoro sia compresa come fondamento di una responsabilità etica nei confronti della propria vita». L’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, ha sottolineato «la necessità di vivere il Mistero di Cristo» in una città segnata dai contrasti, dalle emergenze, dalla violenza, dall’odio. Ha parlato delle famiglie, degli sposi, «che nel corpo di Cristo devono trovare l’unità, che spesso è in pericolo e il sostegno per affrontare le difficoltà». Infine, ha richiamato al compito di dare testimonianza dell’unità dei cristiani «che si nutrono dello stesso corpo di Cristo». Ha invitato a cogliere il rapporto tra eucaristia e ascolto il vescovo di Noto, Mariano Crociata, che ne ha messo in risalto l’appartenenza «l’un l’altro». L’Eucaristia – ha detto il presule – è il compito dell’ascolto, perché realizza ciò che viene annunciato. L’ascolto è necessario all’Eucaristia perché ne richiama l’origine e il senso». «Non si può – ha precisato – mangiare la carne del Signore senza prestare a lui l’adesione del cuore e l’attenzione della mente». ( Hanno collaborato: A.Torti; F.Dal Mas; V.Chianese; A.Turrisi) Nelle riflessioni dei pastori italiani una lettura dell’oggi alla luce del mistero centrale per la fede e l’agire dei cristiani.
da Avvenire del 27 maggio 2008
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Sollenità del “Corpus Domini”
25 maggio 2008
Padre Cantalamessa
Nella seconda lettura san Paolo ci presenta l'Eucaristia come mistero di comunione: “Il calice che benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo?” Comunione significa scambio, condivisione. Ora la regola fondamentale della condivisione è questa: quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio. Proviamo ad applicare questa regola alla comunione eucaristica e ci renderemo conto della “enormità” della cosa.
Che cosa ho io di propriamente “mio”? La miseria, il peccato: questo solo è esclusivamente mio. E che cosa ha di “suo” Gesú se non santità, perfezione di tutte le virtù? Allora la comunione consiste nel fatto che io do a Gesú il mio peccato e la mia povertà, e lui mi da la sua santità. Si realizza il “meraviglioso scambio”, come lo definisce la liturgia.
Conosciamo diversi tipi di comunione. Una comunione assai intima è quella tra noi e il cibo che mangiamo, perché questo diventa carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ho sentito delle mamme dire alla loro creatura, mentre se la stringevano al petto e la baciavano: “Ti voglio così bene che ti mangerei!”.
È vero che il cibo non è una persona vivente e intelligente con la quale possiamo scambiarci pensieri e affetti, ma supponiamo, per un momento, che il cibo sia esso stesso vivente e intelligente, non si avrebbe, in tal caso, la perfetta comunione? Ma questo è precisamente ciò che avviene nella comunione eucaristica. Gesù, nel brano evangelico, dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo…La mia carne è vero cibo…Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna”. Qui il cibo non è una semplice cosa, ma è una persona vivente. Si ha la più intima, anche se la più misteriosa, delle comunioni.
Conosciamo diversi tipi di comunione. Una comunione assai intima è quella tra noi e il cibo che mangiamo, perché questo diventa carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ho sentito delle mamme dire alla loro creatura, mentre se la stringevano al petto e la baciavano: “Ti voglio così bene che ti mangerei!”.
È vero che il cibo non è una persona vivente e intelligente con la quale possiamo scambiarci pensieri e affetti, ma supponiamo, per un momento, che il cibo sia esso stesso vivente e intelligente, non si avrebbe, in tal caso, la perfetta comunione? Ma questo è precisamente ciò che avviene nella comunione eucaristica. Gesù, nel brano evangelico, dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo…La mia carne è vero cibo…Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna”. Qui il cibo non è una semplice cosa, ma è una persona vivente. Si ha la più intima, anche se la più misteriosa, delle comunioni.
Guardiamo cosa avviene in natura, nell'ambito della nutrizione. È il principio vitale più forte che assimila quello meno forte. È il vegetale che assimila il minerale; è l'animale che assimila il vegetale. Anche nei rapporti tra l'uomo e Cristo si attua questa legge. È Cristo che assimila noi a sé; noi ci trasformiamo in lui, non lui in noi. Un famoso materialista ateo ha detto: “L'uomo è ciò che mangia”. Senza saperlo ha dato un'ottima definizione dell'Eucaristia. Grazie ad essa, l'uomo diventa davvero ciò che mangia, cioè corpo di Cristo!
Ma leggiamo il seguito del testo iniziale di S. Paolo: “Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane”. È chiaro che in questo secondo caso la parola “corpo” non indica più il corpo di Cristo nato da Maria, ma indica “tutti noi”, indica quel corpo di Cristo più grande che è la Chiesa. Questo vuol dire che la comunione eucaristica è sempre anche comunione tra noi. Mangiando tutti dell'unico cibo, noi formiamo un solo corpo.
Quale la conseguenza? Che non possiamo fare vera comunione con Cristo, se siamo divisi tra noi, ci odiamo, non siamo pronti a riconciliarci. Se tu hai offeso un tuo fratello, diceva S. Agostino, se hai commesso un'ingiustizia contro di lui, e poi vai a ricevere la comunione come niente fosse, magari pieno di fervore nei confronti di Cristo, tu somigli a una persona che vede venire verso di sé un amico che non vede da molto tempo. Gli corre incontro, gli getta le braccia al collo e si alza in punta di piedi per baciarlo sulla fronte…Ma, nel fare questo, non si accorge che gli sta calpestando i piedi con scarpe chiodate. I fratelli infatti, specie i più poveri e derelitti, sono le membra di Cristo, sono i suoi piedi posati ancora sulla terra. Nel darci l'ostia il sacerdote dice: “Il corpo di Cristo”, e noi rispondiamo: “Amen!”. Adesso sappiamo a chi diciamo “Amen”, cioè sì, ti accolgo: non solo a Gesù, il Figlio di Dio, ma anche al prossimo.
Nella festa del Corpus Domini non posso nascondere una tristezza. Ci sono delle forme di malattia mentale che impediscono di riconoscere le persone che sono accanto. Continuano a gridare per ore: “Dov'è mio figlio? Dove mia moglie? Perché non si fa vivo?” e, magari, il figlio o la moglie sono lì che gli stringono la mano e gli ripetono: “Sono qui, non mi vedi? Sono con te!”. Succede così anche a Dio. Gli uomini nostri contemporanei cercano Dio nel cosmo o nell'atomo; discutono se ci fu o meno un creatore all'inizio del mondo. Continuiamo a domandare: “Dov'è Dio?” e non ci accorgiamo che è con noi e si è fatto cibo e bevanda per essere ancora più intimamente unito a noi.
Giovanni Battista dovrebbe ripetere mestamente: “In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete”. La festa del Corpus Domini è nata proprio per aiutare i cristiani a prendere coscienza di questa presenza di Cristo in mezzo a noi, per tenere desto quello che Giovanni Paolo II chiamava “lo stupore eucaristico”.
Nella festa del Corpus Domini non posso nascondere una tristezza. Ci sono delle forme di malattia mentale che impediscono di riconoscere le persone che sono accanto. Continuano a gridare per ore: “Dov'è mio figlio? Dove mia moglie? Perché non si fa vivo?” e, magari, il figlio o la moglie sono lì che gli stringono la mano e gli ripetono: “Sono qui, non mi vedi? Sono con te!”. Succede così anche a Dio. Gli uomini nostri contemporanei cercano Dio nel cosmo o nell'atomo; discutono se ci fu o meno un creatore all'inizio del mondo. Continuiamo a domandare: “Dov'è Dio?” e non ci accorgiamo che è con noi e si è fatto cibo e bevanda per essere ancora più intimamente unito a noi.
Giovanni Battista dovrebbe ripetere mestamente: “In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete”. La festa del Corpus Domini è nata proprio per aiutare i cristiani a prendere coscienza di questa presenza di Cristo in mezzo a noi, per tenere desto quello che Giovanni Paolo II chiamava “lo stupore eucaristico”.