mercoledì 28 maggio 2008


Un avvertimentimento importante

I pellegrini crescono, ma attenzione:
sono sempre di più
quelli che seguono
le orme di Coelho
anziché cercare l’Apostolo...

Il j’accuse di Cardini
Zaino e New Age sulla Via di Santiago

DI FRANCO CARDINI

Nell’autunno del 1960 i pelle­grinaggi, a parte quelli di Lourdes e di Fatima, non e­rano di moda, e nemmeno troppo studiati. Avevo vent’anni, stavo per entrare nell’Università e mi trovavo in quell’età nella quale càpita di mu­tar ambienti e amicizie. Ero inquie­to e disorientato. Non ricordo più troppo bene neppure chi mi dette l’idea: mi accodai così, per caso, a un gruppo di giovani camminatori de­gli scout, poi procedetti da solo sal­vo brevi tratti di strada con accom­pagnatori casuali. Feci il mio «Ca­mino de Santiago», da Roncisvalle fino al capoluogo della Galizia, da solo. Circa 400 km, più d’un mese di cammino. Era una Spagna arcaica, severa, ari­da fino al León e piovosa come sem­pre nel Cantabrico. Le strade princi­pali erano strette e tortuose, mala­mente asfaltate; i villaggi erano po­veri e cupi; le città odoravano di fio­ri di gelsomino e d’olio di frittura. L’unica segnaletica stradale era co­stituita dal simbolo del partito uni­co franchista, la «Falange»: cinque frecce e un giogo di legno verniciati di rosso, l’antica insegna dei Re Cat­tolici. Si viaggiava isolati o in piccoli grup­pi formati casualmente. C’era già qualche «ospizio» per pellegrini in funzione: luoghi modesti, con ca­mere in comune e talvolta una doc­cia spartana. Ma nei paesi la gente e­ra cordiale, il parroco o l’alcalde ci trovavano sempre da mangiare e da dormire; altrimenti, ci aiutavano i militi della Guardia Civil. Forse fu quel viaggio alla radice della mia passione per il medioevo e per lo stu­dio dei pellegrinaggi. Il seguito ho più volte fatto di nuovo il cammino, mai più però a piedi: sempre in auto o in pullman, con a­mici, colleghi o studenti. Santiago di Compostela è tra l’altro sede frequente di convegni. I miei passi di pellegrino e di stu­dioso si sono tuttavia rivolti più spesso all’altro capoli­nea della grande via peregri­norum medievale, Gerusa­lemme. Eppure, se non altro come membro della Confraternita Compostellana fondata an­ni fa a Perugia da un caro e vecchio amico, l’illustre ispanista Paolo Caucci von Saucken, da tempo mi riproponevo di ripetere il «Camino»: ciò rientra nei miei doveri di confra­tello. Non ce l’ho ancora fatta a ripercor­rerlo del tutto. Ai primi di maggio mi è stata però offerta dal direttore di RadioRai, Sergio Valzania, l’occasio­ne di farne almeno un buon tratto, i circa 250 km tra Burgos e León, at­traverso la mia amata Castiglia. Si trattava di un’avventura che per cer­ti tratti mi ha ricordato La Via Lattea, il film girato quarant’anni or sono dal grande Luís Buñuel: due «viag­giatori » dialoganti sulla strada dei pellegrini e i loro dialoghi trasmessi in diretta dalla Rai. I due protagonisti del dialogo erano il cattolico Valzania e un laico, scien­tista e ateo doc, Piergiorgio Odifred­di: ma per una settimana, appunto tra Burgos e León, io ho sostituito Valzania nell’opporre le ragioni cat­toliche della fede all’odifreddiana fe­de nella ragione. Stabilire come sia andato il confronto non sta a me: gli ascoltatori hanno dimostrato, con molte e-mail, di apprezzarlo. Certo, nessuno aveva l’intenzione di bat­tere l’antagonista, e tanto meno di convertirlo. Debbo comunque di­chiarare per onestà, e lo faccio vo- lentieri, che Odifreddi mi ha sorpre­so: mi aspettavo un talebano dell’a­teismo razionalista e invece mi sono trovato dinanzi un interlocutore in­transigente ma anche aperto. Dal canto mio, ho fatto sul serio il pellegrino: ho camminato spesso in silenzio, ho pregato e – giunto alla casa per pellegrini gestita dalla no­stra confraternita, a Puente Fitero – ho indossato l’abito di essa con tan­to di conchiglie e ho partecipato an­ch’io con i miei confratelli alla ceri­monia della lavanda dei piedi degli altri pellegrini. Eppure, questa bella avventura a pie­di per la Castiglia, durata una deci­na di giorni, se per un verso mi ha commosso e arricchito, per un altro mi ha lasciato addosso apprensione e inquietudine. E la ragione me l’ha in parte spiegata Lino, il valoroso ho­spitalero volontario della nostra ca­sa, raccontandomi che di là è pas­sato Paulo Coelho, che peraltro non ha compiuto del tutto il pellegri­naggio in quanto si è arrestato sul monte Cebreiro, prima di Santiago. È noto che l’ormai celebre scrittore ha dedicato alla sua esperienza un libro, Il Camino de Santiago, dove l’esperienza del pellegrinaggio cri­stiano è rivissuta in termini d’inizia­zione new age, con tanto di ricerca dei «campi magnetici» di forza. Le parole di Lino e il ricordo di quel libro ambiguo, che anche a me è ca­pitato di sfogliare, mi hanno aiutato a veder chiaro su un fenomeno che sta mutando di significato.
Lungo la strada si fanno molti incontri. Mi so­no imbattuto in induisti, in bahai, in intere comitive di giapponesi buddhisti o scintoisti, in una bella signora ebrea e in tre studenti mu­sulmani di Algeri; e tanti agnostici in cerca di paesaggi e di emozioni. C’erano, certo, anche i cristiani e i cattolici, uomini e donne, giovani e vecchi, a piedi e in bici. Tra i vian­danti il senso di amicizia e di frater­nità era comune, non ostentato, na­turale, commovente. Ma, rispetto al­la mia giovanile esperienza di quasi mezzo secolo fa, qualcosa mancava. Mancava, o era molto carente, il sen­so cristiano del viaggio come pre­ghiera e come immagine dell’itine­rario della vita. La meditazione zen per i più giovani, la memoria del flower power per i più anziani, uno spirito sincretistico eco-pacifista co­mune un po’ a tutti stanno preva­lendo e invadendo le vie che porta­no a Santiago e che d’altronde, dal canto loro, sono ormai stipate da o­gni sorta di frutti del mercato turi­stico. Ristoranti, alberghi, souvenir. Il santo apostolo di Galizia resiste, ma attorno a lui i «pellegrini della Modernità» si sono impadroniti del­la strada e di una parte della sua a­nima per gestirla in modo molto lon­tano dal suo originario senso. Dispiacersi? Allarmarsi? Certo che no. Le antiche chiese e i gloriosi san­tuari sono ancora là e continuano a parlarci. Attenzione però a non la­sciarsi ingannare dalla straordinaria affluenza di pellegrini; attenti a non definirla con troppa leggerezza un revival della fede. Qui c’è troppo Coelho, un bel po’ di Dan Brown, pa­recchio Noam Chomsky, alquanto di Gandhi e di Amartya Sen, una spruzzatina di Arundhati Roy, qual­che sparso residuo del vecchio Gué­non. Sulla via di Frómista – dove ho avu­to la gioia d’incontrare per purissi­mo caso e di riabbracciare dopo tan­to tempo un mio vecchio amico d’a­dolescenza, l’oggi illustre matema­tico Umberto Tiberio – mi è capita­to di fare un tratto di strada con un’assortita compagnia d’una ven­tina di pellegrini messi insieme dal caso. A un certo punto, ho tirato fuo­ri di tasca il mio vecchio rosario: mi hanno guardato con stupore, con simpatia, ma come una bestia rara. Solo un paio di loro avevano pensa­to a portarsene uno in viaggio. Santiago postmoderno. È una sfida da raccogliere. Forse, anche questa è Provvidenza. Ma che sia un segno di rinascita della fede, non sempre è vero. Eppure, noialtri della Confra­ternita continueremo a pattugliare l’antico «Camino», nel nome di Dio e dell’Apostolo. Al puesto que Dios me dié, come diceva il vecchio can­to di guerra di chi combatteva per la Spagna cristiana. «Manca il senso cristiano del viaggio come preghiera. Uno spirito eco-pacifista, sincretismi e meditazione zen stanno ormai invadendo il Camino post-moderno».
da Avvenire del 27 maggio 2008