domenica 28 dicembre 2008


LA SANTA FAMIGLIA DI NAZARET

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 2,22-40.

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima». C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.


Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della CaritàA Simple Path

«Partì con loro e tornò a Nàzaret»

Potete pregare la Santa Famiglia per la vostra famiglia:Padre nostro che sei nei cieli, ci hai dato un modello di vita nella santa Famiglia di Nàzaret. Aiutaci, Padre benevolissimo a fare della nostra famiglia un nuovo Nàzaret dove regnino la gioia e la pace.Sia essa profondamente contemplativa, intensamente eucaristica e vibrante della gioia.Aiutaci a restare insieme attraverso felicità e fatica grazie alla preghiera familiale.Insegnaci a riconoscere Gesù in ciascun membro della nostra famiglia, particolarmente quando soffre e rimane ferito.Il cuore eucaristico di Gesù renda i nostri cuori miti e umili come il suo (Mt 11,29).Aiutaci a compiere santamente la nostra vocazione familiale. Possiamo amarci gli uni gli altri come Dio ama ognuno di noi, ogni giorno maggiormente, e perdonarci a vicenda le nostre colpe, come tu perdoni i nostri peccati.Aiutaci, Padre benevolissimo ad accogliere quanto ci doni e a dare quanto ci prendi con un grande sorriso.Cuore immacolato di Maria, motivo della nostra gioia, prega per noi.Santi angeli custodi siate sempre con noi, guidateci, custoditeci. Amen.

SANTA FAMIGLIA DI GESÙ

La festa della Sacra Famiglia nella liturgia cattolica, nel secolo XVII veniva celebrata localmente; papa Leone XIII nel 1895, la fissò alla terza domenica dopo l’Epifania “omnibus potentibus”, ma fu papa Benedetto XV che nel 1921 la estese a tutta la Chiesa, fissandola alla domenica compresa nell’ottava dell’Epifania; papa Giovanni XXIII la spostò alla prima domenica dopo l’Epifania; attualmente è celebrata nella domenica dopo il Santo Natale.
La celebrazione fu istituita per dare un esempio e un impulso all’istituzione della famiglia, cardine del vivere sociale e cristiano, prendendo a riferimento i tre personaggi che la componevano, figure eccezionali sì ma con tutte le caratteristiche di ogni essere umano e con le problematiche di ogni famiglia.
Numerose Congregazioni religiose sia maschili che femminili, sono intitolate alla Sacra Famiglia, in buona parte fondate nei secoli XIX e XX; come: le “Suore della Sacra Famiglia”, fondate a Bordeaux nel 1820 dall’abate P.B.Noailles, dette anche ‘Suore di Loreto’; le “Suore della Sacra Famiglia di Nazareth” fondate nel 1875 a Roma, dalla polacca Siedliska; le “Piccole Suore della Sacra Famiglia” fondate nel 1892, dal beato Nascimbeni a Castelletto di Brenzone (Verona); i “Preti e fratelli della Sacra Famiglia” fondati nel 1856 a Martinengo, dalla beata Paola Elisabetta Cerioli; i “Figli della Sacra Famiglia” fondati nel 1864 in Spagna da José Mananet e tante altre.


Benedetto XVI : Angelus - Piazza San Pietro - Domenica, 31 dicembre 2006

Cari fratelli e sorelle!

In quest’ultima domenica dell’anno celebriamo la festa della Santa Famiglia di Nazaret. Con gioia rivolgo un saluto a tutte le famiglie del mondo, augurando loro la pace e l’amore che Gesù ci ha donato, venendo tra noi nel Natale. Nel Vangelo non troviamo discorsi sulla famiglia, ma un avvenimento che vale più di ogni parola: Dio ha voluto nascere e crescere in una famiglia umana. In questo modo l’ha consacrata come prima e ordinaria via del suo incontro con l’umanità. Nella vita trascorsa a Nazaret, Gesù ha onorato la Vergine Maria e il giusto Giuseppe, rimanendo sottomesso alla loro autorità per tutto il tempo della sua infanzia e adolescenza (cfr Lc 2,51-52). In tal modo ha messo in luce il valore primario della famiglia nell’educazione della persona. Da Maria e Giuseppe Gesù è stato introdotto nella comunità religiosa, frequentando la sinagoga di Nazaret. Con loro ha imparato a fare il pellegrinaggio a Gerusalemme. Quando ebbe dodici anni, rimase nel Tempio, e i suoi genitori impiegarono ben tre giorni per ritrovarlo. Con quel gesto fece loro comprendere che egli si doveva “occupare delle cose del Padre suo”, cioè della missione affidatagli da Dio (cfr Lc 2,41-52).
Questo episodio evangelico rivela la più autentica e profonda vocazione della famiglia: quella cioè di accompagnare ogni suo componente nel cammino di scoperta di Dio e del disegno che Egli ha predisposto nei suoi riguardi. Maria e Giuseppe hanno educato Gesù prima di tutto con il loro esempio: nei suoi Genitori, Egli ha conosciuto tutta la bellezza della fede, dell’amore per Dio e per la sua Legge, come pure le esigenze della giustizia, che trova pieno compimento nell’amore (cfr Rm 13,10). Da loro ha imparato che in primo luogo occorre fare la volontà di Dio, e che il legame spirituale vale più di quello del sangue. La santa Famiglia di Nazaret è veramente il “prototipo” di ogni famiglia cristiana che, unita nel Sacramento del matrimonio e nutrita dalla Parola e dall’Eucaristia, è chiamata a realizzare la stupenda vocazione e missione di essere cellula viva non solo della società, ma della Chiesa, segno e strumento di unità per tutto il genere umano.
Invochiamo ora insieme la protezione di Maria Santissima e di san Giuseppe per ogni famiglia, specialmente per quelle in difficoltà. Le sostengano perchè sappiano resistere alle spinte disgregatrici di una certa cultura contemporanea, che mina le basi stesse dell’istituto familiare. Aiutino le famiglie cristiane ad essere, in ogni parte del mondo, immagine viva dell’amore di Dio.


Preghiera alla Santa Famiglia dettata da Papa Giovanni Paolo II:

“O Santa Famiglia di Nazareth, comunità d’amore di Gesù, Maria e Giuseppe
modello e ideale di ogni famiglia cristiana, a te affidiamo le nostre famiglie.
Apri il cuore di ogni focolare domestico alla fede, all’accoglienza della Parola di Dio,
alla testimonianza cristiana, perché diventi sorgente di nuove e sante vocazioni.
Disponi le menti dei genitori, affinché con carità sollecita, cura sapiente e pietà amorevole, siano per i figli guide sicure verso i beni spirituali ed eterni.
Suscita nell’animo dei giovani una coscienza retta ed una volontà libera,
perché crescendo in sapienza, età e grazia,
accolgano generosamente il dono della vocazione divina.
Santa Famiglia di Nazareth, fa’ che tutti, contemplando ed imitando la preghiera assidua, l’obbedienza generosa, la povertà dignitosa e la purezza verginale vissuta in te,
ci disponiamo a compiere la volontà di Dio e ad accompagnare con previdente delicatezza
quanti tra noi sono chiamati a seguire più da vicino il Signore Gesù,
che per noi ha dato sé stesso. Amen”. (Omelia 26.121993).


LA CASA DELL’AMORE

Simeone prese il bambino tra le braccia
e benedisse Dio.
(Lc 2,28)

L’amore ha un nome, finalmente,
ha un volto in cui immergere
profondo lo sguardo, per cogliere
in esso la forza dell’amore vivente.

La luce dei suoi occhi riverbera
la dolcezza dello sguardo di Dio
che vigila sul mondo con tenerezza
paterna e scruta tutti i cuori.

Il suo sorriso esprime le nuove speranze
che d’ora in poi animeranno il mondo;
il bambino nato oggi per noi
offre a tutti la gioia della ritrovata fiducia.

Tanti figli nati da promesse strepitose
hanno annunciato la sua presenza:
Isacco, il figlio del sorriso di Dio, Samuele
nato per la preghiera di sua madre;

Giovanni, figlio di donna sterile, che nasce
per annunciare la venuta del Messia:
questi sarà il consacrato al Signore, l’atteso
con ansia dall’umanità, divenuta ormai sterile.

Simeone, giusto e pieno del santo
timore di Dio, riceve sulle sua braccia
il bambino nato per noi, e canta
profeticamente le sue gesta future.

Rovina o salvezza? Certamente segno
di contraddizione, roccia di salvezza
e pietra d’inciampo, corpo e sangue
di agnello immacolato che redime.

Incominciano a realizzarsi le meraviglie
annunciate: il primo frutto
è il vangelo della gioia per tutti quelli
che hanno saputo attendere nella fede.

Il figlio cresce in sapienza, età e grazia
custodito dalle amorevoli cure
di Maria e Giuseppe, che vivono
con naturalezza la vita familiare.

Prima di contemplare il Messia glorioso,
vediamo il figlio dell’uomo sottomesso,
forse non ancora consapevole del prezzo
da pagare all’amore, ma vero e leale.

I suoi gesti quotidiani sono i nostri,
la laboriosità indefessa, unita
all’offerta di sé per la gloria di Dio,
già trasformano il mondo.

La Santa Famiglia di Nazaret
è la casa dell’amore dove si vive
nell’umiltà, nella semplicità e nella lode
perché Gesù è presente in mezzo a noi.

padrebenedetto 28, xii, 2008

venerdì 26 dicembre 2008



LODE A MARIA

26 dicembre - Maria educatrice dei Martiri

A Te i nostri umili ossequi, o Regina beata!
Noi confessiamo quelle colpe che offuscano lo specchio della giustizia, che pesano sulle nostre coscienze. Noi offriamo tutto quanto abbiamo dovuto sopportare di miserie nei singoli, nelle famiglie, nelle classi e nella nazione: le sofferenze siano la nostra espiazione.
Siamo pronti a soffrire, o Madre dolorosa, fin quando tuo Figlio lo vuole, per il nostro bene.
Ma ti preghiamo oggi come nel passato che tu sia dolce Madre nostra!
Amen.
Ave Maria!

Card. Mindszenty

Da Ogni giorno una lode a Maria , Casa Mariana - Santuario Madonna del Buon Consiglio - Frigento (AV) 1987

giovedì 25 dicembre 2008


BAMBINO

E il verbo si è fatto carne
e venne ad abitare in mezzo a noi.

(Gv 1,14)

Bambino sei perché Figlio del Padre
bambino ancora tra tanti bambini
sei entrato nel gioco della vita
e hai saputo conservarti bambino.

Bambino nella povertà della nascita
bambino nel terrore della fuga
bambino sulle braccia tremanti di Simeone
bambino nel candore della disputa giocando coi dottori.

Bambino a Nazaret, sempre sottomesso,
bambino quando la Madre ti chiama a dare
disposizioni ai servi e nell’incanto del miracolo,
gusti il vino nuovo preparato da un bambino.

Bambino all’ombra dello Spirito
che il Padre proclama Figlio Bambino.
Bambino che fa camminare il paralitico
offrendo insperatamente il perdono dei peccati.

Bambino in tutte le opere ed i segni
che non ti esaltano perché fatti dal Padre per te;
bambino, giacché agisci sempre per Lui
senza attribuire nulla a te stesso.

E’ il bambino che gioca
moltiplicando seriamente i pani
facendo pescare grossi pesci miracolosi
risuscitando morti e baciando lebbrosi guariti.

Perché bambino, hai potuto dare te stesso
come acqua viva che zampilla eternamente
come luce che dirada le tenebre più oscure
come pane mangiato per la fame dei nostri cuori.

Bambino sei perché entri nella croce
accettando di non fare la tua volontà,
bambino perché sei generoso da morire per i cattivi
e scegli come compagno di gloria il malfattore.

Proprio perché bambino sei risorto fuori del tempo,
non ti consumi perché fonte inesauribile di vita nuova;
il Bambino è eterno e non muore mai
perché il Padre lo ama e lo fa vivere in noi.

Sei tanto bambino
che puoi far diventare bambini anche noi
per gioire della vita, dell’amore
facendo a gara chi é più bambino dell’altro.

Tu sei il Bambino Santo
che vuole nascere in noi
per farci diventare bambini
per il gioco del Regno dei cieli.

padrebenedetto 23-xii-2004

Con questa composizione evangelica, ho iniziato a scrivere ogni domenica, dalla data indicata sopra.

domenica 21 dicembre 2008

4 DOMENICA DI AVVENTO ANNO B

GABRIELE

L’angelo Gabriele fu mandato da Dio
In una città della Galilea


Gabriele scende a Nazaret di Galilea,
presso Maria sposa di Giuseppe: persone
e luoghi visitati dal mistero non più taciuto,
dall’inviato angelico annunciatore di salvezza.

Il Dio di Gesù Cristo è il Dio dell’azione,
è presenza nella storia degli uomini,
percepisce i palpiti nascosti dei cuori
e i gemiti degli animi spossati.

Ha creato l’uomo capace di comunione,
perché stesse con lui; ha impresso
sul volto umano la sua felicità eterna
ma l’uomo fugge e si nasconde.

Dio attraversa i secoli della storia
in cerca dell’Adamo ramingo:
Dove sei, figlio mio, dove sei?
Perché ti sottrai al mio sguardo amoroso?

Ho avuto paura – risponde – perché
non ti conosco. La coltre dell’oblio
si è dispiegata nel suo cuore coprendo
il ricordo del cielo, del padre, dell’amore.

Peccato! Eppure Dio non aveva fatto la morte
ma creato tutto per l’immortalità.
In questa accorata ricerca, Dio scende
fra gli uomini, e visita la Vergine Sposa.

Maria non fugge, non si nasconde, prega;
ama e attende con fiducia il compimento
della promessa eterna, la manifestazione
della vita nuova, annunciata da allora.

Un germoglio sboccia dal ceppo reciso,
virgulto antico da una umanità malata.
Quando, Signore? E l’angoscia riprende.
L’angelo risponde: ora, qui, in te, Maria!

L’annuncio celeste risuona
con certezza risoluta: è il Figlio di Dio
Altissimo che si fa carne d’uomo, fecondato
per la fede, nel seno della Vergine Madre.

Egli inaugura una umanità nuova di figli,
generati non da carne e sangue
ma dallo Spirito che dà vita ai morti,
ricomponendo nella valle le ossa aride.

Vieni dal cielo per noi corpo di carne,
volto umano di Dio che non si potrà più
dimenticare. La creazione nuova
è impaziente di vedere in essa l’impronta divina.

Vieni uomo-Dio per far rifiorire in noi
il divino dimenticato. Gabriele scende
per spalancare le porte celesti, non più
sigillate ma aperte e piene di speranza.

padrebenedetto 21, xii, 2008

giovedì 18 dicembre 2008


Si avvicina il Natale

"Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le sue meraviglie."

(salmo 95)

domenica 14 dicembre 2008


3 DOMENICA DI AVVENTO ANNO B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,6-8.19-28.

Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?». Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No». Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della ChiesaCommento al vangelo di Giovanni, n° 4, n°2, §5-7

« Egli è venuto per rendere testimonianza alla luce »

Come è venuto, Cristo? Nella sua visibile umanità. E siccome era talmente uomo da nascondere la sua divinità, fu mandato innanzi a lui un grande uomo, affinché mediante la sua testimonianza si potesse scoprire colui che era più che un uomo... Quale personalità è mai questa, venuta per rendere testimonianza alla luce? E' senz'altro straordinario questo Giovanni, uomo di grande valore, dotato di un carisma speciale, figura davvero sublime. Contemplatelo, sì, contemplatelo come si contempla una montagna. Se non che una montagna, se non viene inondata dal sole, è nelle tenebre. «Non era lui la luce»; e ciò perché non si scambi la montagna con la luce, perdendovi nella montagna, invece di trovarvi rifugio. Ma che cosa si deve ammirare? La montagna in quanto montagna. Ma, subito, elevatevi fino a colui che illumina la montagna, che per questo è stata innalzata, perché accolga per prima i raggi, e ne dia l'annunzio ai nostri occhi... Così, siamo soliti chiamare anche i nostri occhi luce del corpo; tuttavia, se di notte non si accende la lucerna e di giorno non esce il sole, queste nostre luci restano aperte invano. Così anche Giovanni era luce, ma non la luce vera: senza essere illuminato non era che tenebre; mediante l'illuminazione, è diventato luce. Se non fosse stato illuminato, egli sarebbe stato tenebra, come tutti... Ma dov'è questa luce? «C'era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (Gv 1, 9). Se illumina ogni uomo che viene nel mondo, allora ha illuminato anche Giovanni. Dunque il Verbo illuminava colui dal quale voleva essere testimoniato... Egli veniva in soccorso degli spiriti deboli, dei cuori feriti, per curare la vista malata dell'anima... Poiché tutti quelli per i quali Cristo veniva non sarebbero stati capaci di vederlo, egli inviò i suoi raggi su Giovanni; e dichiarando questi che non era lui a irradiare e illuminare ma era egli stesso irradiato e illuminato, fu conosciuto colui che illumina, che rischiara, che inonda tutti della sua luce.

VIENE LA LUCE

Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce
(Gv 1,7)

Luce splendente su ogni uomo,
alba nuova all’orizzonte della vita,
in un mondo coperto da un velo
di tristezza e di paura inquietante.

Viene la luce per splendere nella notte,
essa discende dal cielo nei cuori,
per irradiarvi lo splendore del Padre,
riflesso del suo amore eterno.

È una luce che cerca di brillare
nonostante la pesantezza delle tenebre
imperanti. Quanto vorrei che il mio buio
oggi, si rischiarasse luminoso!

Chiamo luce la mia boriosa volontà,
i miei convulsi sogni di potere,
le mie manie di grandezza.
E non trovo che pretese fugaci.

Deve essere luce quello che io dico
e io faccio, ma alla fine constato
che nessuno ne resta illuminato,
perché io so bene che sono tenebra.

Essere testimone della luce vuol dire
essere brace di fuoco d’amore
e bruciare nell’offerta di sé per far salire
verso il cielo il profumo del dono.

Luce è capacità di domarsi con gioia
per consumare se stessi per Dio
e per i fratelli che attendono nella notte;
è continua oblazione di sé, senza riserve.

Giovanni, per essere lampada ardente,
si è fatto voce che grida nel deserto,
per additare il Messia tanto atteso,
luce vera che viene oggi nel mondo.

Appare il Cristo splendente di gloria,
crocifisso nella carne, corpo per l’olocausto,
è luce il Figlio prediletto, il servo
sofferente per i peccati, l’umile e mite Gesù.

Viene il Messia per abitare in me
con la sua luce divinizzante,
per bruciarmi con il fuoco dell’amore,
fino a diventare, con lui, fiaccola ardente.

Egli mi conduce al fratello che piange
nel buio. Anch’io, così,divento luce
perché Cristo oggi nasce per me,
cresce dentro di me, risorge in me!

padrebenedetto 14, xii, 2008

mercoledì 10 dicembre 2008




Beata Vergine Maria di Loreto

Il Santuario di Loreto è sorto nel luogo in cui, secondo la leggenda, la dimora di Maria Vergine sarebbe stata trasportata prodigiosamente dagli Angeli. Questo santuario risale al IV secolo, ed è uno dei più antichi. Anche oggi questa basilica è meta di continui pellegrinaggi, e considerata la “Lourdes italiana. La convinzione di questa miracolosa traslazione ha spinto papa Benedetto XV a costituire la Beata Vergine di Loreto “Patrona principale presso Dio di tutti gli aeronautici”.

Iniziamo questa scheda riportando una riflessione di papa Giovanni Paolo II, riferendosi alla Santa Casa di Loreto: “Quello Lauretano è un Santuario mirabile. In esso è inscritta la trentennale esperienza di condivisione, che Gesù fece con Maria e Giuseppe. Attraverso questo mistero umano e divino, nella casa di Nazaret è come inscritta la storia di tutti gli uomini, poiché ogni uomo è legato ad una ‘casa’, dove nasce, lavora, riposa, incontra gli altri e la storia di ogni uomo, è segnata in modo particolare da una casa: la casa della sua infanzia, dei suoi primi passi nella vita. Ed è eloquente ed importante per tutti che quest’Uomo unico e singolare, che è il Figlio unigenito di Dio, abbia pure voluto legare la sua storia ad una casa, quella di Nazaret, che secondo il racconto evangelico, ospitò Gesù di Nazaret lungo l’intero arco della sua infanzia, adolescenza e giovinezza, cioè della sua misteriosa maturazione umana… La casa del Figlio dell’uomo è dunque la casa universale di tutti i figli adottivi di Dio. La storia di ogni uomo, in un certo senso, passa attraverso quella casa…”. A partire da papa Clemente V che con una bolla del 18 luglio 1310 confermò indirettamente l’autenticità della Santa Casa, i papi nei secoli successivi confermarono nuovamente la loro devozione alla Vergine Lauretana, specie in drammatiche circostanze. Ma le origini dell’antica e devota tradizione della traslazione della Casa dalla Palestina a Loreto, risalgono al 1296, quando in una visione, ne era stata indicata l’esistenza e l’autenticità ad un eremita, fra’ Paolo della Selva e da lui riferita alle Autorità. Ciò ci è narrato da una cronaca del 1465, redatta da Pier Giorgio di Tolomei, detto il Teramano, che a sua volta l’aveva desunta da una vecchia ‘tabula’ consumata, risalente al 1300. Si riportano alcuni passi più significativi, che poi sono stati tramandati nelle narrazioni, più o meno arricchite nei secoli successivi; “L’alma chiesa di santa Maria di Loreto fu camera della casa della gloriosissima Madre del nostro Signore Gesù Cristo… La quale casa fu in una città della Galilea, chiamata Nazaret. E in detta casa nacque la Vergine Maria, qui fu allevata e poi dall’Angelo Gabriele salutata; e finalmente nella stessa camera nutrì Gesù Cristo suo figliuolo… Quindi gli apostoli e discepoli consacrarono quella camera in chiesa, ivi celebrando i divini misteri… Ma dopo che quel popolo di Galilea e di Nazaret abbandonò la fede in Cristo e accettò la fede di Maometto, allora gli Angeli levarono dal suo posto la predetta chiesa e la trasportarono nella Schiavonia, posandola presso un castello chiamato Fiume (1291). Ma lì non fu affatto onorata come si conveniva alla Vergine… Perciò da quel luogo la tolsero nuovamente gli Angeli e la portarono attraverso il mare, nel territorio di Recanati (1294) e la posero in una selva di cui era padrona una gentildonna chiamata Loreta; da qui prese il nome la chiesa: ‘Santa Maria di Loreta…”. Per il gran numero di gente, purtroppo succedevano anche ladrocini e violenze, per cui continua il racconto, gli Angeli la spostarono altre due volte, sempre per gli stessi motivi, depositandola alla fine sul colle, nella notte del 9-10 dicembre 1294, dove si trova attualmente. “Allora accorse tutto il popolo di Recanati a vedere la detta chiesa, che stava sopra la terra senza alcun fondamento. Per la qual cosa, il popolo considerando così gran miracolo e temendo che detta chiesa non venisse a rovina, la fecero circondare da un altro ben grosso muro e di buonissimo fondamento, come ancor oggi chiaramente si vede”. Questo il racconto del 1465; che si fonda sull’aspetto storico dell’epoca, quando i rapporti culturali e religiosi delle comunità insediate sulle due sponde dell’Adriatico, erano intensi, per l’attraversamento delle navi veneziane e poi di quelle di Ancona e dell’attuale Dubrovnik, che trasportavano i pellegrini ai Luoghi Santi della Palestina. Sullo sfondo vi è la conquista della Terra Santa da parte dei mamelucchi e poi la lenta penetrazione degli ottomani nella penisola balcanica, dopo la caduta di Costantinopoli. Da questi eventi scaturirono le Crociate, per liberare i popoli ed i paesi dall’occupazione araba e secondo la tradizione, gli Angeli intervennero per mettere in salvo la casa della Vergine, già trasformata in chiesa sin dai tempi apostolici. Da allora moltitudini di fedeli si sono recati in pellegrinaggio al grandioso santuario, che racchiude la Santa Casa, iniziato a costruire nel 1468 da papa Paolo II, in breve diventò ed è, secondo una felice definizione di papa Giovanni Paolo II, “cuore mariano della cristianità”. Fin dall’inizio del Trecento fu già meta di pellegrinaggio, anche per quanti prendendo la strada costiera, erano diretti a S. Michele al Gargano oppure in Terrasanta; il flusso nei secoli XV e XVI diventò enorme, fino ad indurre nel 1520 papa Leone X ad equiparare il voto dei pellegrini del Santuario di Loreto a quello di Gerusalemme, che già man mano Loreto aveva sostituito nelle punte dei grandi pellegrinaggi penitenziali, che vedevano Roma, Santiago di Compostella, Gerusalemme. Il prodigio eclatante della traslazione della Santa Casa attirò anche, a partire dal secolo XV, la peregrinazione di re e regine, principi, cardinali e papi, che lasciarono doni o ex voto per grazie ricevute; a loro si aggiunsero nei tempi successivi, condottieri, poeti, scrittori, inventori, fondatori di Ordini religiosi, filosofi, artisti, futuri santi e beati. Grandi architetti furono chiamati a progettare e realizzare le opere edili, che costituiscono il grandioso complesso del santuario, che sorto come chiesa dalle linee goticheggianti, su progetti degli architetti Marino di Marco Cedrino e Giuliano da Maiano; venne poi per necessità di difesa dai pirati, che infierivano sui centri costieri, munita di un cammino di ronda e di stanze per i soldati, ad opera di Baccio Pontelli; ma non fu sufficiente, perché papa Leone X (1475-1521) fece erigere una cinta fortificata intorno al complesso, che divenne in pratica un vero e proprio castello. Nel frattempo intorno al Santuario, sempre più frequentato dai pellegrini, sorse un borgo che fu chiamato Villa Santa Maria e che in seguito nel 1586 papa Sisto V promosse a sede vescovile. L’interno del Santuario ebbe varie trasformazioni a cui lavorarono insigni artisti, come Giuliano da Sangallo che innalzò la solenne cupola, Giorgio Marini, il Bramante, il Sansovino, Antonio da Sangallo il Giovane, Luigi Vanvitelli. Per la facciata nel 1571 lavorò Giovanni Boccalini da Carpi e nel 1587 Giovan Battista Chioldi. Come pittori portarono la loro arte, per citarne alcuni, Melozzo da Forlì, Luca Signorelli, Lorenzo Lotto, Cristofaro Pomarancio, ecc. L’interno attuale del Santuario è a croce latina a tre navate, ospita sotto la grande cupola la Santa Casa, letteralmente coperta da un rivestimento marmoreo, arricchito da statue e bassorilievi raffiguranti sibille e profeti e narranti otto storie della vita di Maria, oltre a rilievi bronzei narranti alcuni episodi della vita di Gesù. Un incendio nel 1921, sviluppatosi all’interno della Santa Casa, la danneggiò gravemente, distruggendo anche la venerata immagine lignea della Madonna, attualmente sostituita da una copia, riccamente vestita e con il volto nero dell’originale, scurito dal fumo delle lampade. La raccolta religiosità dell’interno, ben specifica e fa immaginare la semplice vita di Maria, di Gesù e di Giuseppe, nella Palestina di allora, tutto invita alla preghiera ed al raccoglimento. Trent’anni dopo la costruzione della chiesa, incominciò quella del Palazzo Apostolico, che occupa uno dei lati della piazza della Chiesa e in cui sono conservati capolavori d’arte di ogni genere, compresi gli arazzi, porcellane e tavolette votive, costituenti il tesoro della Santa Casa, donato nei secoli da tanti devoti. Oltre 50 papi si sono recati in pellegrinaggio a Loreto e sempre è stata grande la loro devozione; alla Vergine si rivolsero i papi Pio II e Paolo II per guarire miracolosamente dalle loro gravi malattie; papa Benedetto XV (1914-1922) in considerazione della traslazione della sua Casa, dalla Palestina a Fiume e poi a Loreto, la proclamò patrona degli aviatori. Loreto è considerata la Lourdes italiana e tanti pellegrinaggi di malati vengono organizzati ogni anno, con cerimonie collettive come quelle di Lourdes; aggiungo una mia piccola esperienza personale, in ambedue i luoghi sacri a Maria, ho sentito improvvisamente la necessità di piangere, come se avvertissi la spiritualità nei due ambienti permeati della sua presenza. Innumerevoli sono i luoghi pii, chiese, ospedali o di assistenza, come pure delle Congregazioni religiose, intitolati al nome della Vergine di Loreto, il suo nome cambiato in Loredana è fra i più diffusi fra le donne; infine come non ricordare le “Litanie Lauretane” che dal XII secolo sono divenute una vera e propria orazione alla Vergine, incentrata sui titoli che in ogni tempo le sono stati tributati, anche con riferimenti biblici. Le “Litanie Lauretane” sostituirono nella cristianità, quelle denominate ‘veneziane’ (in uso nella basilica di S. Marco e originarie di Aquileia) e quelle ‘deprecatorie’ (ossia di supplica, originarie della Germania). La celebrazione liturgica nella Chiesa Cattolica è al 10 dicembre, in ricordo della data dell’arrivo della Santa Casa a Loreto.

Tratto da Santiebeati.it - Autore: Antonio Borrelli

domenica 7 dicembre 2008

IMMACOLATA CONCEZIONE

IMMACOLATA

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati
(Ef 1,4)

Ô uomo, dove sei? Perché fuggi
dalla Presenza che ti rende figlio?
Hai paura perché non sei più te stesso,
sfigurato a causa dell’abbandono.

La disobbedienza iniziale ha falsificato
il meraviglioso disegno d’amore
di essere tutto per Dio e con Dio:
santo e immacolato per natura.

Ora l’uomo è nella confusione,
non si riconosce e non si comprende,
lacerato, nell’intimo del cuore, dal turpe
disegno del male, inganno fatale.

Ripristinare la purezza del cuore,
tutto per Dio, è un’altra creazione,
stimolata dal soffio dello Spirito
che feconda la nuova Eva, Maria.

“Non conosco uomo”, dice, per affermare
nella fede che Dio è santo, che genera
e crea dal nulla ogni cosa. E Maria
accetta d’essere la prima immacolata

del mondo nuovo, per generare l’uomo
nuovo, Cristo, e fare di ogni creatura
un essere destinato al primitivo cielo,
da dove era partito piangendo.

L’Immacolata è il Vangelo della salvezza
in compimento; generando Gesù
ci offre il Cristo che redime il mondo
e la Chiesa, sposa pellegrina e splendente.

L’Immacolata è la vocazione cristiana
di ogni uomo che viene alla fede;
garanzia di vita eterna, data con gioia
perché è madre della santità.

Maria per nascita, noi per la conversione;
Lei, per lo Spirito Santo, noi per i meriti
del suo Figlio. Lei, santa da sempre
e noi, per grazia, santificati.

Lei, Assunta in cielo e noi chiamati
alla gloria, dopo il faticoso e gioioso
cammino di conversione che
il Signore concede a tutti quelli che
la invocano come Madre di Dio.

padrebenedetto 08, xii, 2008
2 DOMENICA DI AVVENTO ANNO B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,1-8.

Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».


Beato Guerrico d'Igny (circa 1080-1157), abate cistercense - Omelia per l'Avvento, 5
«Voce di uno che grida nel deserto: 'Preparate la strada del Signore'»
«Preparate la strada del Signore». Fratelli, la strada del Signore che ci viene chiesto di preparare, va preparata camminando, e vi si cammina preparandola. Pur essendo molto avanti su questa strada, questa rimane sempre da preparare, affinché dal punto in cui siete arrivati, siate sempre tesi oltre. In questo modo, ad ogni passo che fate, vi viene incontro il Signore al quale state preparando la strada, sempre nuovo, sempre più grande. A ragione quindi il giusto prega dicendo: «Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine» (Sal 118,33). Forse è stata chiamata «strada eterna» perché anche se la Provvidenza ha previsto la strada di ciascuno, e le ha fissato un termine, tuttavia la bontà di Colui verso il quale avanzate non ha limite. Per questo il viaggiatore saggio e deciso dirà dentro di sé quando arriverà che ha appena cominciato; dimentico del passato dirà ogni giorno : «Oggi comincio»(Fil 13,13; Sal 75,11 volg).Quanto a noi che parliamo di progresso su questa strada, piacesse al cielo che avessimo al meno cominciato! Secondo me, chiunque si è incamminato è già sulla via retta: occorre tuttavia avere veramente cominciato, avere «trovato il cammino per una città dove abitare» come dice il salmo (106,4). Infatti «quanto pochi sono quelli che la trovano» dice la Verità stessa (Mt 7,14). Molti sono coloro che «vagano nel deserto»...E tu Signore, ci hai preparato una strada, se almeno consentiamo ad incamminarci in essa. Ci hai insegnato la strada dei tuoi voleri dicendo: «Questa è la strada, percorretela, caso mai andiate a destra o a sinistra» (Is 30,21). È questa la strada promessa dal profeta: «Ci sarà una strada appianata e gli stolti non vi aggireranno» (Is 35,8). Sono stato fanciullo e ora sono vecchio (Sal 36,25) e se ricordo bene, non ho mai visto uno stolto aggirarsi per la tua strada; ho visto solamente alcuni uomini saggi che l'anno percorsa fino alla fine.

CONVERSIONE

Si presentò Giovanni predicando un battesimo
di conversione per il perdono dei peccati

(Mc 13,37)

Attesa di compimento è il Regno di Dio,
che già evolve verso la pienezza.
Vita nella vita, iniziata nell’afflizione,
ma ora redenta dal Signore glorioso.

IL Regno è presente nella chiamata
a conversione dal male e dal peccato,
perché annuncia la consolazione
della misericordia, la salvezza per tutti.

Consideriamo le cose ultime ed eterne,
per vivere ora nella speranza della vita
ritrovata nel Dio della pace,
che chiama ogni uomo al bene.

Il regno della morte rinserra il cuore
con il laccio della tristezza,
perché l’uomo non trova conforto in sé,
ma travaglio e angoscia di incertezza.

Lontano dal Signore l’anima è in esilio
per sanare la pena del suo oblio,
dopo aver seminato nel deserto, certa
di raccogliere spensierata felicità.

La storia umana sancisce inesorabile:
senza Dio, costruiamo idoli, vane
sembianze di bene senza fondamento,
finché ogni speranza non si sgretola.

Non possiamo più essere solo uomini
d’affari, esperti in economia, mondo fittizio
che si sbriciola al cenno dei potenti,
per travolgere le anime nell’incertezza.

Non si può più parlare solo di sport,
quando mali oscuri, presagi di morte
spezzano le vite più rigogliose,
cadendo nel baratro della disperazione.

“Consolate il mio popolo, dice il Signore,
e gridate: è finita la tua schiavitù”.
Nel deserto delle ombre, riflesso della morte,
prepariamo la via al Signore che viene.

Conversione è ritorno al cuore di Dio,
umile inversione di marcia, per andare
nella giusta direzione, dove ci aspetta
il sorriso di Dio che ritorna ad essere Padre.

Lasciamoci giudicare oggi dalla Parola,
per non essere condannati nel giorno futuro.
Assieme alla grazia del perdono, riceviamo
nel cuore l’inizio del Regno di Dio.

padrebenedetto 7, xii, 2008

domenica 30 novembre 2008


1 DOMENICA DI AVVENTO ANNO B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 13,33-37.

State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».

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San Pascasio Radberto (? - circa 849), monaco benedettinoCommento al vangelo di Matteo, lib. 2, c.24 ; PL 120, 799
« State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso »


Noi dobbiamo sempre tener presente al pensiero la duplice venuta di Cristo: l'una quando apparirà e dovremo render conto di tutte le nostre azioni; l'altra di ogni giorno, quando egli visita di continuo le nostre coscienze e viene a noi, affinché al suo arrivo ci trovi preparati. Che giova a me conoscere quale sarà il giorno del giudizio, mentre ho coscienza di tanti peccati? Sapere se il Signore verrà o quando verrà, se non viene dapprima nella mia anima, e non ritorna nel mio spirito, se Cristo non vive in me e mi parla? È per me un bene la sua venuta, se già Cristo vive in me, e io in lui. E per me è già quasi l'ora del suo secondo avvento quando i valori di questo mondo si ecclissano al mio sguardo e in un certo modo posso dire: «Il mondo per me è stato crocifisso, e io per il mondo» (Gal 6,14).Considera anche queste altre parole di Cristo: «Molti verrano nel mio nome» (Mt 24,5). Questo falso caratterizza l'anticristo che si assuma il nome di Cristo... In nessun luogo delle Scritture si trova che il Signore abbia usato l'espressione: «Io sono il Cristo». Gli bastava dimostrare con la dottrina e i miracoli che lo era realmente, perché in lui l'opera del Padre, la dottrina che insegnava e la sua potenza gridavano: «Io sono il Cristo» molto più che se lo gridassero mille voci. Non so se si trovi che Egli l'abbia affermato con le parole, ma dimostrò di essere il Cristo «compiendo le opere del Padre» (Gv 5,36) e insegnando l'amore. I falsi cristi, non possedendo questo, a parole proclamavano di essere ciò che non erano.


OCCHI APERTI

Quello che dico a voi,
lo dico a tutti: Vegliate!
(Mc 13,37)

Vegliare, significa attendere con desiderio,
il compiersi dell’evento annunciato:
è già possedere, nella speranza, la luce
perché la promessa di Dio non delude.

Vegliare è proprio del cuore ferito e solo
che ascolta il lieto annuncio e gioisce,
desiderando, con tutte le forze rimaste,
il pieno svelamento del mistero.

Vegliare è fare memoria di Dio,
è cantare le sue lodi, aspettando
la sua manifestazione di gloria,
la salvezza promessa e desiderata.

Vegliare è consapevolezza che la storia
è condotta da Dio e non dall’uomo;
un disegno d’amore che si forma
giorno per giorno, per giungere a Lui.

Vegliare è lasciare che Dio operi
con il suo ritmo di padre amoroso
che cerca il figlio smarrito nell’ombra
e aspetta il ritorno del redento.

Vegliare è condividere con Dio
le ansie per tutti gli uomini; significa
essere dentro la storia umana e gridare
perché la sua salvezza non tardi a venire.

Vegliare è entrare nell’anima
di ogni uomo che soffre e si trova solo;
è farsi carico delle paure insidiose
che si annidano nei cuori impauriti.

È combattere le desolazioni del deserto:
solitudini tra sposi, tra genitori e figli,
fratelli, amici che si sono dimenticati,
tra persone, pur vicine, che si ignorano.

Vegliare è pregare con Gesù
nel giardino, prima della sua passione;
è entrare nella croce, senza ombra
di ribellione, per risorgere con lui.

La salvezza del Regno promesso è vicina,
è presente, in modo vivo e reale,
nella persona divina fatta carne e sangue:
è il Signore che ci insegna a vegliare.

E la notte si rischiara di speranza,
il desiderio dell’alba feconda in noi la vita
e trasforma l’attesa in evento di salvezza
per insegnare agli uomini a tenere

gli occhi aperti, aspettando il momento
del ritorno desiderato del Signore.

padrebenedetto 30, xi, 2008

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SCHEDA DI APPROFONDIMENTO

AVVENTO

La Chiesa, durante tutto l’anno, celebra un solo mistero, quello di Cristo morto e risorto, che ci comunica la vita divina attraverso la Parola e i Sacramenti, domenica dopo domenica.

Noi uomini siamo immersi nel TEMPO e viviamo nella storia. Il mistero di Cristo è perciò sviluppato nel corso dei giorni dell’anno, perché noi possiamo fare esperienza storica e personale di incontro con Gesù e della sua salvezza. L’Incarnazione del Figlio di Dio ha luogo nella storia umana e noi possiamo vederla realizzata in noi, giorno dopo giorno, anno dopo anno, per crescere in ogni cosa verso di lui che è il capo, Cristo (Ef 4,15).

L’Avvento è un TEMPO DI ASCOLTO della Parola di Dio che illumina la nostra vita. Nelle sacre celebrazioni la lettura della Sacra Scrittura sia più abbondante, più varia, meglio scelta (raccomanda il Concilio Vat. II SC 35).

È un TEMPO DI CONVERSIONE (Lc 3,3), in risposta al forte richiamo di Giovanni Battista, per preparare la via del Signore, con un cuore ben disposto.

L’Avvento è un TENPO DI PREGHIERA: in comunione con tutta la Chiesa noi gemiamo interiormente, aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (Rm 8,23).

mercoledì 26 novembre 2008


Santa Messa di Guarigione e Liberazione

Giovedì 27 novembre 2008 ore 15
Chiesa di San Giuseppe all'Ospedale
Via Campagna, 68 - Piacenza
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- S. Rosario e Confessioni
- Catechesi - mons. Giuseppe Busani
- Santa Messa - don Pietro Viola e mons. Giuseppe Busani
- Preghiera di Guarigione
- Preghiera di Liberazione
- Al termine della S. Messa ascolto delle persone che lo richiedono

martedì 25 novembre 2008

Dopo la sentenza che condanna a morte Eluana

E’ LA FINE DELLA CIVILTA’

È ANCORA un modo e il più grave per non considera­re l'enormità che la sentenza della Cassazione ha aperto nel nostro Paese. È certamen­te una tragedia di proporzio­ni colossali che si renda legit­timo l'assassinio di una perso­na adulta ma debole e indife­sa. È una tragedia etica e so­ciale di proporzioni spavento­se, ma soprattutto, e questo è il punto, è la fine della nostra civiltà italica.
Una civiltà che è durata qua­si tremila anni e in cui si so­no sintetizzati mirabilmente il genio filosofico della grecità; il diritto romano, fon­te di ordine alla convivenza universale; l'irripetibile e irri­ducibile annuncio della fede, rivelazione di Dio e salvezza dell'uomo; la grande espe­rienza della laicità come li­bertà di coscienza e di ricer­ca. La civiltà dell'uomo e per l'uomo, indisponibile a tutto, perché disponibile solo al Mi­stero. La persona umana, una, unica ed irripetibile, pro­tagonista della sua propria storia e di tutta la storia dell'umanità.

TUTTO questo non esiste più. Preparato da altri even­ti che si sono dispiegati negli ultimi 40 anni e hanno pro­gressivamente annullato l'identità e la dignità della persona, quest'ultimo tratto di penna di oscuri burocrati della Magistratura italiana cancella un'epoca grandiosa. Finisce «l'Italietta», nata male e finita peggio: piccola e quasi insignificante provin­cia nel grande impero della sazietà e della disperazione. Chi può e vuole, lavori da su­bito alla nascita di una nuo­va civiltà: dovrà necessaria­mente avere forme e modi nuovi, inizi più umili, ma in essa dovrà battere il cuore an­tico, che non è stato distrutto perché non può essere distrut­to. Il cuore dell'uomo infatti è indistruttibile.

IN QUESTA impresa, del far nascere finalmente quella che già Giovanni Paolo II aveva definito la «civiltà del­la verità e dell'amore», il po­polo cristiano saprà fare la sua parte. Ed è certo che avrà accanto moltissimi uo­mini di buona volontà.

Mons. Luigi Negri Vescovo di San Marino-Montefeltro

domenica 23 novembre 2008

NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 25,31-46.



Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

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SPERANZA DI GLORIA

Il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria
con tutti i suoi angeli
(Mt 25,31)

Grande raccolta di salvati
è il Regno beato dei cieli;
ritorno di ogni uomo nel seno
del Padre da cui è uscito.

Il Regno di Dio è vocazione dell’uomo,
lievito nel cuore che fa fermentare
la vita soffocata dal male,
per diventare pane che sazia.

Rete gettata nel mare della morte
per risuscitare i prigionieri delle tenebre;
seme di vita posto nei cuori di pietra
per far sbocciare l’amore.

Perla preziosa per l’anima redenta,
tesoro nascosto nel campo del mondo,
lampada di luce che accende
la salvezza nei cuori in attesa.

Casa sulla roccia contro la tempesta,
sale che assapora l’amaro gusto
della vita, soggiogata nel regno
delle ombre mortali, vuote di speranza.

È il Cristo il Signore del nuovo Regno
che riconduce al Padre i figli dispersi,
corteo trionfale di vittoria, uomini vivi,
riscattati dalla vanità della non vita.

Regno di amore e di pace sicura
che ristabilisce la verità e la giustizia,
perché Dio sia il Padre di tutti
e il Figlio regni nei cuori redenti.

È un Regno che si costruisce ogni giorno
con paziente amore e carità solerte:
pietra su pietra, per vincere la resistenza
del cuore, assuefatto alla morte.

E Gesù prende il volto dell’affamato
e dell’assetato di giustizia; i miseri
si rallegrano del lieto annuncio e
il ferito sulla strada è fasciato con amore.

Il prigioniero, visitato, ritorna libero
perché è finita la schiavitù; è promulgata
l’era della misericordia del Signore,
consolatore di tutti gli afflitti.

Ricevono la corona di gloria
quelli che erano rivestiti di cenere,
consacrati re con l’olio di letizia,
per essere a lode della sua gloria.

Il Regno è la vita eterna,
il Re è Gesù morto e risorto in noi,
speranza di gloria immortale.
E noi: re, sacerdoti e profeti con Lui!

padrebenedetto 23, xi, 2008



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Cristo Re dell’universo

Questa festa fu introdotta da papa Pio XI, con l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno. È poco noto e, forse, un po’ dimenticato. Non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica “Ubi arcano Dei”. Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali. Quel saggio pontefice pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia. Di qui l’origine della “Quas primas”, nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico: “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici”. Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re, spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”. Tale festività coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico, con ciò indicandosi che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come canta l’Apocalisse (Ap 21, 6). Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Divino Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re” (Gv 18, 37). Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re. Egli solo, infatti, Dio e uomo – scriveva il successore Pio XII, nell’enciclica “Ad caeli Reginam” dell’11 ottobre 1954 – “in senso pieno, proprio e assoluto, … è re”. Il suo regno, spiegava ancora Pio XI, “principalmente spirituale e (che) attiene alle cose spirituali”, è contrapposto unicamente a quello di Satana e delle potenze delle tenebre. Il Regno di cui parla Gesù nel Vangelo non è, dunque, di questo mondo, cioè, non ha la sua provenienza nel mondo degli uomini, ma in Dio solo; Cristo ha in mente un regno imposto non con la forza delle armi (non a caso dice a Pilato che se il suo Regno fosse una realtà mondana la sua gente “avrebbe combattuto perché non fosse consegnato ai giudei”), ma tramite la forza della Verità e dell'Amore. Gli uomini vi entrano, preparandosi con la penitenza, per la fede e per il battesimo, il quale produce un’autentica rigenerazione interiore. Ai suoi sudditi questo Re richiede, prosegue Pio XI, “non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce”. Tale Regno, peraltro, già mistericamente presente, troverà pieno compimento alla fine dei tempi, alla seconda venuta di Cristo, quando, quale Sommo Giudice e Re, verrà a giudicare i vivi ed i morti, separando, come il pastore, “le pecore dai capri” (Mt 25, 31 ss.). Si tratta di una realtà rivelata da Dio e da sempre professata dalla Chiesa e, da ultimo, dal Concilio Vaticano II, il quale insegnava a tal riguardo che “qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione” (costituzione “Gaudium et spes”). Con la sua seconda venuta, Cristo ricapitolerà tutte le cose, facendo “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 21, 1), tergendo e consolando ogni lacrima di dolore e bandendo per sempre il peccato, la morte ed ogni ingiustizia dalla faccia della terra. Sempre il Concilio scriveva che “in questo regno anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio” (costituzione dogmatica “Lumen Gentium”). Per questo i cristiani di ogni tempo invocano, già con la preghiera del Padre nostro, la venuta del Suo Regno (“Venga il tuo Regno”) ed, in modo particolare durante l’Avvento, cantano nella liturgia “Maranà tha”, cioè “Vieni Signore”, per esprimere così l’attesa impaziente della parusia (cfr. 1 Cor 16, 22). Aggiunge ancora Pio XI che nondimeno sbaglierebbe colui il quale negasse al Cristo-uomo il potere su tutte le cose temporali, “dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create”. Tuttavia – precisa – Cristo, quando era sulla terra, si astenne dall’esercitare completamente questo suo dominio, permettendo – come anche oggi – che “i possessori debitamente se ne servano”. Questo potere abbraccia tutti gli uomini. Ciò lo aveva anche chiaramente espresso Leone XIII, nell’enciclica “Annum sacrum” del 25 maggio 1899, con cui preparava la consacrazione dell’umanità al Sacratissimo Cuore di Gesù nell’anno santo del 1900. Papa Pecci aveva scritto in effetti che “il dominio di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni li allontanino da essa o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo”. L’uomo, misconoscendo la regalità di Cristo nella storia e rifiutando di sottomettersi a questo suo giogo che è “dolce” ed a questo carico “leggero”, non potrà trovare alcuna salvezza né troverà autentica pace, rimanendo vittima delle sue passioni, inimicizie ed inquietudini. È Cristo soltanto la “fonte della salute privata e pubblica”, diceva Pio XI. “Né in alcun altro vi salvezza, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale dobbiamo essere salvati” (At 4, 12). Lontano da Lui l’uomo ha dinanzi chimere e sistemi ideologici totalizzanti e fuorvianti; non cercando il suo Regno e la sua Giustizia, il genere umano ha di fronte a sé i vari “-ismi” della storia che, diabolicamente, in nome di un falso progresso sociale, economico e culturale, degradano ogni uomo, negandone la dignità. Ed il XX secolo non ha mancato di fornirne dei tragici esempi con i vari regimi autoritari, comunisti e nazista (che la Chiesa ha condannato vigorosamente), riproponendo, per l’ennesima volta, il duro scontro tra Regno di Cristo e regno di Satana, che durerà sino alla fine dei tempi. Basti qui far riferimento, a titolo esemplificativo, giusto al solo travagliato periodo del pontificato di papa Ratti per averne una pallida idea. Con l’enciclica “Mit brennender Sorge”, del 14 marzo 1937 – tra i cui estensori vi era pure il cardinale segretario di Stato e futuro papa Pio XII, Eugenio Pacelli – il Pontefice romano disapprovava il provocante neopaganesimo imperante in Germania (il nazismo), il quale rinnegava la Sapienza Divina e la sua Provvidenza, che “con forza e dolcezza domina da un'estremità all’altra del mondo” (Sap. 8, 1), e tutto dirige a buon fine; deplorava anche certi banditori moderni che perseguono il falso mito della razza e del sangue; biasimava, infine, le liturgie del Terzo Reich tedesco, veri riti paganeggianti, qualificate come “false monete”. In Messico, “totalmente infeudato dalla massoneria”, dove gli Stati Uniti avevano favorito – in nome dei loro interessi economici – la nascita di uno Stato dichiaratamente anticlericale ed anticristiano, furono promulgate pesanti leggi restrittive della libertà della Chiesa cattolica, stabilendo l’espulsione dei sacerdoti non sposati, la distruzione delle chiese e la soppressione persino della parola “adios”. Il fanatico anticlericale governatore dello Stato messicano di Tabasco, Tomás Garrido Canabal, autore di queste misure repressive, nella sua fattoria, “La Florida”, giunse a chiamare, in segno di dispregio, un toro “Dio”, ad un asino diede nome “Cristo”, una mucca “Vergine di Guadalupe”, un bue ed un maiale “Papa”. Suo figlio lo chiamò “Lenin” e sua figlia “Zoila Libertad”. Un nipote fu chiamato “Luzbel” [Lucifer], un altro figlio “Satan”. Si costituì allora un esercito di popolo, i “cristeros”, i quali combattevano al grido di “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe! Viva il Messico!”. Con le stesse parole sulle labbra versavano il loro sangue in quella terra anche numerose schiere di martiri, mentre i loro carnefici esclamavano, riempiendo ceste di vimini con le teste mozzate dei cattolici, “Viva Satana nostro padre”. Si trattò di un vero “olocausto” passato sotto silenzio ed ignorato. Alcuni dei valorosi martiri cristiani messicani, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo. Le sue ultime parole furono giusto “Viva Cristo Re!”. Questa grave situazione di persecuzione religiosa fu riprovata da Pio XI con le encicliche “Nos Es Muy Conocida” del 28 Marzo 1937 ed “Iniquis Afflictisque” del 18 novembre 1926. Una netta opposizione fu, infine, manifestata nei confronti della Russia sovietica, contro il comunismo ateo, condannato dall'enciclica “Divini Redemptoris” del 19 marzo 1937, e nei riguardi della Spagna repubblicana, dichiaratamente antireligiosa. Qui, il governo repubblicano socialista di Manuel Azaña Y Díaz proclamò che “da oggi la Spagna non è più cristiana”, mirando a “laicizzare” lo Stato. La nuova costituzione vanificava ogni potere della Chiesa, la religione cattolica era ridotta al rango d’associazione, senza sostegno finanziario da parte statale, senza scuole, esposta agli espropri; con il decreto 24 gennaio 1932 era dichiarata l’estinzione della compagnia di Gesù e se ne confiscavano i beni; era introdotto, nel 1932, il divorzio e il matrimonio civile ed abolito il reato di bestemmia; circa seimila religiosi furono massacrati. Pio XI reagì duramente con l’enciclica “Dilectissima Nobis” del 3 giugno 1933. Questi esempi dimostrano lo scontro plurisecolare, sin dalla fondazione del Cristianesimo, tra il Regno di Cristo e quello di Satana, e come, anche in epoca contemporanea, la regalità di Cristo sia contestata, preferendo ad essa degli “idoli” politici, economici, sociali e pseudo-religiosi.

Da santiebeati.it - autore: Francesco Patruno

giovedì 20 novembre 2008


La Provvidenza

1. Esiste una Provvidenza che è ammirabile.
2. Necessità della Provvidenza.
3. Provvidenza nell'ordine fisico.
4. Provvidenza nell'ordine morale e soprannaturale.
5. Bisogna affidarsi alla Provvidenza.
6. Obbiezioni contro la Provvidenza.

1. ESISTE UNA PROVVIDENZA CHE È AMMIRABILE. - «Dio solo, dice S. Cipriano, governa il mondo; con la parola comanda a tutto ciò che esiste; tutto regola con la suprema sua ragione; tutto conduce a fine con la sua immensa potenza (De Unitate)». La Provvidenza è la volontà permanente di Dio di conservare l'ordine fisico e morale ch'egli ha stabilito nell'universo, creandolo. La Provvidenza divina che tutto conserva e governa è una creazione continua... L'integrità, la perfezione, la dissomiglianza, l'ordine, l'unione, la successione, la forza, la potenza, la vita di tutte le cose, separatamente prese e insieme unite, sono meravigliose, e chi le osserva è compreso di stupore; perciò il Poeta disse: Dio, infinitamente grande, fa splendere la sua potenza fino nelle più piccole cose.La Provvidenza di Dio grandeggia non meno in un atomo che nel sole, tanto in un granello di arena, quanto nelle più alte montagne, così in una goccia d'acqua come nell'Oceano, in un moscerino ugualmente che nell'aquila, nel più piccolo e più debole degli insetti come nel leone, tanto sulla terra quanto nel firmamento, in tutti gli elementi, in tutte le stagioni, in tutti gli svariatissimi prodotti del suolo... .

2. NECESSITÀ DELLA PROVVIDENZA. - Se Dio non si prendesse nessuna cura delle cose del mondo, principalmente delle creature intelligenti, egli sarebbe per noi come se non fosse, e non c'importerebbe gran fatto sapere se egli esista o no. La sapienza, la bontà, la giustizia, la santità che gli attribuiamo, sarebbero nomi vuoti di senso; la morale cadrebbe in una vana speculazione e la religione sarebbe un'assurdità. Quindi la prima lezione che Dio diede all'uomo quando lo ebbe tolto dal nulla, fu d'insegnargli che il suo Creatore era anche il suo padrone, il suo padre, il suo legislatore, il suo benefattore, la sua Provvidenza. Dio gli si diede a conoscere non solamente come un essere di una natura superiore, eterna, infinita, ma come l'autore ed il conservatore di tutte le cose, come il rimuneratore della virtù e il vendicatore del male. Dio, creando il mondo, non ha punto operato con l'impeto cieco d'una causa necessaria, ma con l'intelligenza di un essere libero e indipendente, con riflessione, con previdenza e con attenzione alla perpetuità della sua opera ed al benessere delle sue creature. Egli parlò e tutto fu fatto; ma egli ha anche veduto che tutto era buono.Quello che chiamiamo caso è una parola vuota: tutto avviene per Provvidenza, di Dio. Se essa cessasse un istante di conservare, sostenere, dirigere, vivificare ogni cosa, l'universo cadrebbe in quel medesimo punto nel caos: il sale non percorrerebbe più la sua orbita; la luna, i pianeti, le stelle scomparirebbero dal firmamento; la terra cesserebbe di produrre, l'oceano.. uscirebbe dai suoi confini; le belve lascerebbero i deserti, e gli animali domestici diventerebbero feroci...; il cielo stesso sarebbe annientato...

3. PROVVIDENZA NELL'ORDINE FISICO. - Ecco la magnifica descrizione che fa della Provvidenza, nell'ardine fisico, il Re Salmista: Benedici il Signore, o anima mia; o Signore, Dio mio, quanto voi siete grande nella magnificenza e provvidenza vostra! Voi siete vestito di gloria e di bellezza, voi siete ammantato di splendore e di luce. Voi distendete i cieli come un padiglione; le acque stanno sospese intorno al vostro santuario; le nubi formano il vostro cocchio che vola portato su le ali dei venti; avete per messaggeri le tempeste e per ministri le fiamme. Voi avete fermato la terra su le sue basi e non basteranno i secoli a scuoterle. L'abisso delle acque l'avvolgevano come in fasce; seppellivano nei loro gorghi i picchi delle più alte montagne; ma ad un vostro cenno fuggirono, al rumore del vostro tuono fermarono il loro corso; soverchiavano le montagne, e discesero nelle valli avviandosi per il letto che loro avete assegnato. Voi avete fissato loro dei limiti oltre i quali non si spingeranno. Voi inviate delle fontane nelle vallate, facendone scorrere le acque attraverso i macigni dei monti; in esse si abbeverano le fiere del deserto; su le loro rive si posano gli uccelli del cielo; in mezzo al fogliame dei boschi mormorano le onde spartite in freschi rivi. Dall'altezza del vostro soggiorno innaffiate i monti; la terra è saziata dai frutti che spargono le vostre mani. Voi fate germogliare l'erba dei prati per le mandre, e le messi per l'uomo. Voi fate nascere dalla terra il vino che rallegra il cuore dell'uomo; voi gli fornite il pane che lo nutrisce e le grazie che ne adornano il viso. Voi adacquate gli alberi delle foreste, ì cedri del Libano, piantati dalle vostre mani. Là sono i nidi degli uccelli; là gli abeti dànno ricetta agli aironi; le vette dei monti sono percorse dai camosci; le tortuose spaccature delle rocce offrono asilo agli animali di timida natura.La luna segna i tempi; il sole conosce l'ora della levata e del tramonto. Voi conducete le tenebre, ed ecco la notte; e allora le belve delle foreste escono dalle loro tane e vanno cercando nelle ombre. I lioncelli ruggiscono per avere preda, e dimandano a Dio il loro pasto. Il sole si leva e gli animali selvaggi si ritirano nelle loro buche, si accasciano nei loro giacigli; e allora l'uomo esce al suo lavoro del giorno, alla coltura dei campi fino alla sera. O Dio, quanto sono magnifiche le opere vostre! (quanto ricca e ammirabile è la vostra Provvidenza!). Tutto è stato fatto da voi, tutto è governato da voi nella vostra sapienza; la terra è piena dei vostri beni. Ecco là il grande mare che si stende immenso; in esso si muovono animali senza numero, piccoli e grandi; nei suoi gorghi si nasconde quel Leviathan, che formaste perché scherzi nell'abisso; su le sue onde vogano innumerevoli vascelli. Tutte le creature aspettano da voi il loro cibo nel tempo fissato. Voi spargete, ed esse raccolgono; voi aprite la mano, ed esse si saziano dei vostri doni (Psalm. CIII). Se scoprite il vostro volto, esse si turbano; se ritirate il vostro soffio, spirano e rientrano nella polvere. Voi mandate il vostro alito, ed esse rinascono, e la faccia della terra si vede rinnovata (Psalm. X, 30). La gloria del Signore sussista per sempre; si rallegri il Signore nelle sue opere. Egli guarda la terra e questa trema, tocca i monti e mandavano vampe... Celebrate Iehovah, invocate il suo nome; annunziate le sue opere in mezzo ai popoli; cantate le sue lodi; proclamate le meraviglie della sua Provvidenza. Gli occhi di tutte le creature stanno fissi sopra di voi, o Signore, voi distribuite a tutte il loro cibo nel tempo opportuno. Voi aprite la vostra mano, e saziate tutto ciò che ha spirito di vita (Psalm. CXLIV, 15-16). «La Provvidenza di Dio è il magazzino, il granaio, il reddito dei poveri, dice S. Giovanni Crisostomo; reddito certo, perpetuo, inesauribile» (Homil. ad pop.).

4. PROVVIDENZA NELL'ORDINE MORALE E SOPRANNATURALÈ. - Se nell'ordine morale avvengono infrazioni e sconvolgimenti, la colpa non è della Provvidenza, ma dell'uomo ribelle alla Provvidenza. Questa tuttavia è così potente, che dal male medesimo trae il bene, e dal disordine fa scaturire l'ordine. E come dice S. Agostino, Iddio non avrebbe mai permesso il male se non avesse saputo di essere così potente da volgerlo in maggior bene.

Vedi MESCOLANZA DEI BUONI COI CATTIVI.

La Provvidenza divina regola da sola, e come le piace, l'ordine soprannaturale. Fino dal principio del mondo, essa ebbe in mira la salute del genere umano e questo fu, in tutti i secoli, lo scopo della sua condotta. Essa però eseguisce questo disegno con mezzi impenetrabili ai nostri deboli lumi; rischiara una nazione con la fiaccola della fede, mentre ne lascia un'altra giacere nelle tenebre dell'infedeltà, senza che questa abbia diritto di lagnarsi, né quella d'invanirsi. Cosi pure Dio concede a ciascun individuo quella misura di grazia e di doni soprannaturali che giudica conveniente, senza che persona del mondo sia in diritto di chiedergli ragione della sua condotta. La Provvidenza divina abbraccia tutti, a tutti vuol bene, e a tutti ne fa! e se qualche volta si arma del flagello, vi è costretta dalle disobbedienze, dalle rivolte, dagli oltraggi dei colpevoli.

5. BISOGNA AFFIDARSI ALLA PROVVIDENZA. - O quanta sapienza sta riposta in quelle parole del divin Maestro: Non inquietatevi della vostra esistenza, pensando con troppa ansia al come nutrirvi e vestirvi! La vita non vale di più che il cibo, e il corpo più che le vestimenta? Guardate gli uccelli dell'aria; non seminano né mietono, né ammassano nei granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Ora non siete voi molto dappiù di loro? Chi di voi potrebbe, per quanto si sforzasse, accrescere di un palmo la sua statura? E del vestimento prendervi tanto pensiero? Vedete i gigli del campo come crescono; e senza che lavorino né filino sono cosi splendidamente vestiti, che vi dico in fede mia, che nemmeno Salomone nello sfarzo della sua gloria ne uguagliava la pompa. Ora se così veste Dio l'erba dei campi, che oggi fiorisce e domani è gettata al fuoco, quanto non avrà più cura di voi, uomini di poca fede? Non vi affannate dunque dicendo: che cosa mangeremo? o che cosa berremo? o con che cosa ci vestiremo? I gentili si turbano di queste cose, ma voi no, perché il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno. Cercate adunque prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto egli ve lo darà per di più (MATTH. VI, 25-33). Anche il Salmista diceva: «Deponi tutte le cure tue nel seno del Signore ed egli ti nutrirà» (Psalm. LIV, 23).

6. OBBIEZIONI CONTRO LA PROVVIDENZA. - I filosofi moderni, dice Bergier, non fanno che ripetere contro la Provvidenza i sofismi degli antichi, e cadono nei medesimi loro pregiudizi. Questi opinano che è impossibile che una sola intelligenza possa vedere tutte le cose nelle loro minute particolarità e tenersele a mente; quelli giudicano cosa indegna della maestà divina, e che ne degrada la sapienza e la potenza, l'addossarle la cura di tante piccole e vili cose; altri pretendono che una tale economia ne turberebbe la felicità ed il riposo. Una prova, dicono, che il mondo non fu fatto, e non è governato da Dio sommamente saggio e potente, sta qui, che sotto molti aspetti si mostra difettosa quest'opera: come può affermarsi che Dio sommamente ed essenzialmente buono presiede al governo del mondo, se si guarda ai disordini che lo scompigliano? e qual più grave disordine che lasciare la virtù senza premio, il vizio senza castigo?Perciò tra i filosofi pagani, alcuni, come gli epicurei, sostenevano che nel mondo si deve tutto attribuire al caso; che gli dèi, addormentati in profondo riposo, non se ne dànno il menomo pensiero. Altri, e principalmente gli stoici, s'immaginavano che tutto sia guidato dalla legge del destino, legge alla quale la divinità medesima è sottoposta. Non mancarono finalmente di quelli che, docili alle lezioni di Platone, si figuravano che il mondo fosse stato fatto e sia governato da certi spiriti, o geni, o demoni, intelligenze inferiori a Dio; che questi artefici, impotenti e mal pratici, non avevano saputo correggere le imperfezioni della materia e non potevano impedire i disordini di questo mondo. Nessuno di tali sistemi riusciva ad onore delle divinità, nessuno a consolazione degli uomini, eppure era ciò che di meglio aveva potuto trovare la ragione umana. È evidente che quell'ammasso di errori poggiava sopra quattro false nozioni: la prima, riguardante la creazione, che i filosofi non volevano in nessun modo ammettere; la seconda, riguardante il bene e il male, di essi consideravano come termini assoluti, mentre non sono che termini di paragone; la terza, riguardante la potenza infinita, ch'essi paragonavano alla potenza limitata dell'uomo; la quarta finalmente, riguardante la giustizia divina, ch'essi falsamente supponevano doversi compire in questo mondo. E infatti:

I. Se i filosofi avessero compreso che Dio ha la potenza creatrice e che opera con la sola sua volontà; che ad un suo cenno, ad un atto della sua volontà tutto è stato fatto, avrebbero compréso ugualmente che il governo dell'universo non può costare a Dio di più, né più digradarne la maestà sovrana di quello che abbia fatto la creazione. Qui i filosofi mettevano già a riscontro l'intelligenza e la potenza divina con l'intelligenza e potenza umana, e perché sarebbe cosa noiosa e avvilente per un re l'occuparsi dei più minuti provvedimenti del suo impero, ne conchiudevano che lo stesso si deve dire di Dio. Conseguenza ridicola e falsa. È dunque l'idea del potere creatore quella che ha elevato lo spirito e l'immaginazione degli scrittori sacri ed ha loro inspirato, nel parlare della potenza divina, frasi e concetti tanto superiori a tutti i concetti filosofici. Dio, secondo il loro stile, non ha fatto che chiamare dal nulla gli esseri, ed essi si sono presentati; egli tiene le acque dei mari e porta il globo terrestre nella palma della mano; i cieli sono l'opera delle sue dita; è lui che dirige gli astri nel maestoso loro corso; e può con una parola inabissare cielo e terra e ridurli al primitivo nulla, ecc. A lui basta conoscere la potenza, perchè veda non solamente tutto quello che è, ma ancora tutto quello che può essere.

II. Si dimostra con la sana filosofia, che nel mondo non si dà né bene né male assoluto, ma solamente per comparazione; e perciò quando si dice che vi è del male, questo significa solamente che vi è minor bene di quello che vi potrebbe essere. E certo che non si trova creatura alla quale Dio non abbia fatto del bene, benché avrebbe potuto fargliene di più è gliene abbia fatto meno che ad altre. Ora è un assurdo il pretendere che tutto è male, perché non è tutto così buono come potrebbe essere, ed è assurdo il supporre che un essere creato, e per conseguenza essenzialmente finito, possa essere assolutamente buono sotto tutti gli aspetti; egli sarebbe allora, come è Dio, la perfezione infinita.

III. S'inganna grossolanamente su la nozione dell'infinito chi suppone che Dio, perché onnipotente, debba fare tutto il bene che può: questo è impossibile, perché ne può fare all'infinito. Questa supposizione contiene una contraddizione che è quella di volere che Dio non possa fare meglio. Poi ritorna in campo la falsa comparazione tra la potenza di Dio e la potenza dell'uomo: questi deve fare tutto il bene e il meglio che può, perché la sua potenza è limitata; ma lo stesso non si può dire di Dio, perché il suo potere è infinito.

IV. Non discorrevano più sensatamente i filosofi, quando si mostravano scandalizzati che Dio non punisce né sempre, né tutti i delitti di questo mondo; quando Iddio così facesse, non tratterebbe forse troppo rigorosamente un essere così debole e così incostante qual è l'uomo? non gli toglierebbe e tempo e mezzi di fare penitenza? Poi avviene talora, che un'azione la quale agli occhi degli uomini ha l'apparenza di colpa, è in realtà cosa innocente e lodevole; come per contrario, ben sovente quello che loro sembra un atto di virtù, proviene da cattiva intenzione. Ingiusta dunque sarebbe la Provvidenza, se si conformasse al giudizio degli uomini. D'altronde, le ricompense di questo mondo non sono premio sufficiente per un'anima virtuosa e di natura sua immortale; bisogna che la virtù sia provata in terra perché si meriti una felicità eterna nel cielo. L'empio che nella sua cecità mormora e sparla della Provvidenza, dice: S'io fossi Dio, mi regolerei ben diversamente; ma gli si potrebbe rispondere: Se Dio fosse uomo, farebbe anche diversamente... Tacciamo, ammiriamo, adoriamo, ringraziamo la Provvidenza di Dio, assoggettiamoci al suo governo paterno, ed essa ci condurrà a buon fine.