giovedì 31 gennaio 2008

il tema
Una «summa» di antropologia cristiana: l’ha offerta il Papa ricevendo un gruppo di studiosi.
Fede e ragione, verità e libertà, responsabilità verso l’uomo, il creato, la storia: sfide di oggi che appassionano il pensiero
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VANGELO E SOCIETÀ

Benedetto XVI:
la scienza non sia il
criterio del bene

DA ROMA MIMMO MUOLO

Non bisogna chiedere alla scienza quello che non può dare. Nessuna scienza, ad esempio, «può dire chi è l’uomo, da dove viene e dove». Meno che mai essa deve diventare «il criterio del bene». Occorre, invece, che sia sempre l’uomo ad essere rispettato «come il centro del creato», senza scadere a «oggetto di manipolazioni ideologiche » o di «decisioni arbitrarie » o peggio ancora di «abusi dei più forti sui più deboli», come invece è avvenuto nel XX secolo.
Il discorso che ieri mattina Benedetto XVI ha rivolto ai partecipanti al Convegno su “L’identità mutevole dell’individuo”, promosso dalla Accademia delle Scienze di Parigi e dalla Pontificia Accademia delle Scienze (e che Avvenire pubblica integralmente) si può quasi considerare una piccola summa di antropologia cristiana. Un tema che del resto è stato sempre ben presente nel magistero di Papa Ratzinger e che ha trovato spazio in quasi tutti i grandi interventi di questa prima parte del suo Pontificato. Anche ieri, dopo il saluto del cancelliere dell’Istituzione scientifica parigina, Gabriel de Broglie, il Pontefice, parlando in francese, ne ha ricordato i punti salienti, specie in rapporto alle scienze positive. Il Papa ha innanzitutto messo in guardia dalla pretesa di una certa scienza di ridurre tutto, e dunque anche il concetto di persona, entro l’orizzonte del sensibile. «Mentre le scienze esatte, naturali e umane, hanno fatto prodigiosi progressi nella conoscenza dell’uomo e del suo universo – ha fatto notare proprio all’inizio del suo discorso – grande è la tentazione di voler circoscrivere completamente l’identità dell’essere umano e di chiuderlo nel sapere che ne può derivare». Da Ratisbona in poi, invece, Benedetto XVI ha rivolto numerosi inviti ad allargare il concetto di raziona-lità, non circoscrivendolo alle sole scienze empiriche. Anche ieri, dunque, ha ribadito quanto sia «importante dare voce alla ricerca antropologica, filosofica e teologica, che permette di far apparire e mantenere nell’uomo il suo mistero». Citando Pascal, il Papa ha infatti ricordato che «l’uomo supera infinitamente l’uomo». In altri termini egli «va sempre al di là di quello che di lui si vede o si percepisce attraverso l’esperienza». Se invece si mette da parte l’interrogativo sul suo essere, si arriva «inevitabilmente a rifiutare di ricercare la verità obiettiva » e, in tal modo, «a non essere più capaci di riconoscere il fondamento sul quale riposa la dignità dell’uomo, di ogni uomo, dalla fase embrionale fino alla morte naturale». Perciò, come ha fatto da ultimo anche nel discorso inviato all’Università 'La Sapienza', il Pontefice ha invitato a coltivare questo amore per la ricerca della verità e del dialogo tra i diversi saperi. «Nel corso del vostro convegno – ha messo in rilievo rivolgendosi ai suoi ospiti – avete sperimentato che le scienze, la filosofia e la teologia possono aiutarsi nel percepire l’identità dell’uomo, che è sempre in divenire». L’uomo, infatti, «non è frutto del caso, e neppure di un insieme di convergenze, di determinismi o di interazioni psico- chimiche; è un essere che gode di una libertà che, pur tenendo conto della sua natura, la trascende, e che è il segno del mistero di alterità che lo abita». Libertà, capacità di distinguere «ciò che è buono, possibilità di «orientare la sua vita verso un fine» sono le caratteristiche che, ha sottolineato il Papa, mettono in luce «la dignità particolare dell’essere umano». Di qui l’invito del Pontefice a far sì che in un’epoca in cui «lo sviluppo delle scienze attira e seduce», non venga meno la capacità di educare le coscienze al rispetto delle persone e all’amore. Anzi, conclude Benedetto XVI, la stessa pratica scientifica «deve essere anche una pratica di amore, al servizio dell’umanità».
da AVVENIRE del 29 gennaio 2008

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BENEDETTO XVI

«La scienza dell’uomo la più importante di tutte le scienze» «Nessuna scienza può dire chi è l’uomo, da dove viene e dove va». Per questo bisogna «dare voce alla ricerca antropologica, filosofica e teologica» e non fare delle discipline scientifiche empiriche «il criterio del bene». Lo ha detto ieri il Papa ricevendo i partecipanti a un convegno sull’identità dell’individuo

«L’uomo non è il frutto del caso»


il discorso

«Qualsiasi pratica scientifica dev’essere una pratica di amore, chiamata a mettersi al servizio dell’uomo e dell’umanità».

Pubblichiamo il testo integrale del discorso rivolto ieri mattina nella Sala dei Papi del Palazzo apostolico vaticano da Benedetto XVI ai partecipanti al Convegno inter-accademico «L’identità mutevole dell’individuo». Signori cancellieri, eccellenze, cari amici accademici, signore e signori. È con piacere che vi accolgo al termine del vostro convegno che si conclude qui a Roma, dopo essersi svolto nell’Istituto di Francia, a Parigi, e che è stato dedicato al tema L’identità mutevole dell’individuo. Ringrazio prima di tutto il principe Gabriel de Broglie per le parole di omaggio con le quali ha voluto introdurre il nostro incontro. Desidero parimenti salutare i membri di tutte le istituzioni sotto la cui egida è stato organizzato questo convegno: la Pontificia Accademia delle scienze, la Pontificia Accademia delle scienze sociali, l’Accademia delle scienze morali e politiche, l’Accademia delle scienze, l’Istituto Cattolico di Parigi. Sono lieto del fatto che, per la prima volta, una collaborazione interaccademica di tale natura si sia potuta instaurare, aprendo la via ad ampie ricerche pluridisciplinari sempre più feconde. M entre le scienze esatte, naturali e umane, hanno fatto prodigiosi progressi nella conoscenza dell’uomo e del suo universo, grande è la tentazione di voler circoscrivere completamente l’identità dell’essere umano e di chiuderlo nel sapere che ne può derivare. Per non intraprendere questa via, è importante dare voce alla ricerca antropologica, filosofica e teologica, che permette di far apparire e mantenere nell’uomo il suo mistero, poiché nessuna scienza può dire chi è l’uomo, da dove viene e dove va. La scienza dell’uomo diviene dunque la più necessaria di tutte le scienze. È il concetto espresso da Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio: «Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge » (n. 83). L’uomo va sempre al di là di quello che di lui si vede o si percepisce attraverso l’esperienza. Trascurare l’interrogativo sull’essere dell’uomo porta inevitabilmente a rifiutare di ricercare la verità obiettiva sull’essere nella sua integrità e, in tal modo, a non essere più capaci a riconoscere il fondamento sul quale riposa la dignità dell’uomo, di ogni uomo, dalla fase embrionale fino alla sua morte naturale. N el corso del vostro convegno, avete sperimentato che le scienze, la filosofia e la teologia possono aiutarsi nel percepire l’identità dell’uomo, che è sempre in divenire. A partire da un interrogativo sul nuovo essere derivato dalla fusione cellulare, che è portatore di un patrimonio genetico nuovo e specifico, avete messo in luce elementi fondamentali del mistero dell’uomo, caratterizzato dall’alterità: essere creato da Dio, essere a immagine di Dio, essere amato e fatto per amare. In quanto essere u- mano, non è mai chiuso in se stesso; è sempre portatore di alterità e si trova fin dalla sua origine a interagire con altri esseri umani, come ci rivelano sempre più le scienze umane. Come non ricordare qui la meravigliosa meditazione del salmista sull’essere umano, tessuto nel segreto del seno di sua madre e allo stesso tempo conosciuto, nella sua identità e nel suo mistero, da Dio solo, che lo ama e lo protegge (cfr Sal 138, 1-16). L’uomo non è il frutto del caso, e neppure di un insieme di convergenze, di determinismi o di interazioni psico-chimiche; è un essere che gode di una libertà che, pur tenendo conto della sua natura, la trascende, e che è il segno del mistero di alterità che lo abita. È in questa prospettiva che il grande pensatore Pascal diceva che «l’uomo supera infinitamente l’uomo». Questa libertà, che è propria dell’essere uomo, fa sì che quest’ultimo possa orientare la sua vita verso un fine, possa, con le azioni che compie, volgersi verso la felicità alla quale è chiamato per l’eternità. Questa libertà dimostra che l’esistenza dell’uomo ha un senso. Nell’esercizio della sua autentica libertà, la persona soddisfa la sua vocazione; si realizza e dà forma alla sua identità profonda. È anche nella messa in atto della sua libertà che esercita la propria responsabilità sulle sue azioni. In tal senso, la dignità particolare dell’essere umano è al contempo un dono di Dio e la promessa di un futuro. L’uomo ha in sé una capacità specifica: quella di discernere ciò che è buono e bene. Posta in lui dal Creatore come un sigillo, la sinderesi lo spinge a fare il bene. Maturo grazie a essa, l’uomo è chiamato a sviluppare la propria coscienza attraverso la formazione e l’esercizio, per procedere liberamente nell’esistenza, fondandosi sulle leggi fondamentali che sono la legge naturale e quella morale. Nella nostra epoca, in cui lo sviluppo delle scienze attira e seduce mediante le possibilità offerte, è più importante che mai educare le coscienze dei nostri contemporanei, affinché la scienza non divenga il criterio del bene e l’uomo sia rispettato come il centro del creato e non sia oggetto di manipolazioni ideologiche, né di decisioni arbitrarie o abusi dei più forti sui più deboli. Pericoli di cui abbiamo conosciuto le manifestazioni nel corso della storia umana, e in particolare nel corso del ventesimo secolo. Q ualsiasi pratica scientifica deve essere anche una pratica di amore, chiamata a mettersi al servizio dell’uomo e del- l’umanità, e ad apportare il suo contributo all’edificazione dell’identità delle persone. In effetti, come ho sottolineato nell’enciclica Deus caritas est, «L’amore comprende la totalità dell’esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo... Amore è 'estasi'... ma estasi come cammino, come esodo permanente dell’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, proprio così verso il ritrovamento di sé» (n. 6). L’amore fa uscire da se stessi per scoprire e riconoscere l’altro; aprendo all’alterità, afferma anche l’identità del soggetto, poiché l’altro mi rivela me stesso. In tutta la Bibbia è questa l’esperienza fatta, a partire da Abramo, da numerosi credenti. Il modello per eccellenza dell’amore è Cristo. È nell’atto di dare la propria vita per i fratelli, di donarsi completamente che si manifesta la sua identità profonda e che troviamo la chiave di lettura del mistero insondabile del suo essere e della sua missione. A ffidando le vostre ricerche all’intercessione di san Tommaso d’Aquino, che la Chiesa onora in questo giorno e che resta un «un autentico modello per quanti ricercano la verità» (Fides et ratio, n. 78), vi assicuro della mia preghiera per voi, per le vostre famiglie e per i vostri collaboratori, e imparto a tutti con affetto la benedizione apostolica.

Benedetto XVI «Le scienze, la filosofia e la teologia possono aiutarsi nel percepire l’identità umana, che è sempe in divenire. Nel mistero dell’uomo abitano l’alterità e la libertà» «Oggi, mentre lo sviluppo delle scienze attira e seduce, è necessario educare le coscienze affinché l’uomo sia rispettato come il centro del creato e non sia oggetto di manipolazioni ideologiche o di abusi dei più forti sui più deboli»

da AVVENIRE del 29 gennaio 2008

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