APOSTOLATO DELLA
PREGHIERA
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Intenzioni
affidate dal Papa
e dai vescovi
italiani
all'Apostolato
della preghiera -
mese di settembre
Dio, nostro Padre,
io ti offro tutta la mia giornata. Ti offro le mie preghiere, i pensieri, le
parole, le azioni, le gioie e le sofferenze in unione con il cuore del tuo
Figlio Gesù Cristo, che continua a offrirsi nell'Eucaristia per la salvezza del
mondo.
Lo Spirito Santo,
che ha guidato Gesù, sia la mia guida e la mia forza oggi, affinché io possa
essere testimone del tuo amore.
Con Maria, la
Madre del Signore e della Chiesa, prego specialmente per le intenzioni che il
Santo Padre raccomanda alla preghiera di tutti i fedeli in questo mese.
Generale:
Perché i politici agiscano sempre con onestà, integrità e amore alla verità.
Missionaria: Perché aumenti nelle comunità
cristiane la disponibilità al dono di missionari, sacerdoti e laici, e di
risorse concrete in favore delle Chiese più povere.
Vescovi:
L'azione delle aggregazioni laicali, dei gruppi e
dei movimenti sia fermento evangelico e profezia incisiva nella Chiesa e nella
comunità civile.
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«Invito
ciascuno a
rinnovare la
propria devozione
al Cuore di
Cristo,
valorizzando anche
la tradizionale
preghiera di
offerta della
giornata e tenendo
presenti le
intenzioni da me
proposte a tutta
la Chiesa» (papa
Benedetto XVI).
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giovedì 30 agosto 2012
martedì 14 agosto 2012
Articolo tratto da
Vatican Insider del 30 luglio 2012
Chiesa e
massoneria, tra inconciliabilità e tentativi di dialogo
Negli interrogatori per
il furto di documenti dall’appartamento papale si è
parlato di cordate occulte, cabine di regia, affiliazioni
massoniche di ecclesiastici. VI ne ha parlato con il
vescovo Negri
Giacomo Galeazzi - Città del Vaticano
Persino negli interrogatori per il furto di documenti
dall’appartamento papale si è parlato di cordate occulte,
cabine di regia, affiliazioni massoniche di ecclesiastici.
«Dal punto di vista teorico Chiesa e Massoneria sono
obiettivamente inconciliabili», afferma a «Vatican
Insider» il vescovo di San Marino-Montefeltro, monsignor
Luigi Negri, presidente della «Fondazione
internazionale Giovanni Paolo II per il magistero sociale
della Chiesa ed esponente di primo piano di Comunione e
Liberazione.
Un
cattolico può essere massone?
«No.
La fede cattolica professa la redenzione dell'uomo nella
presenza misericordiosa di Cristo, incarnazione del Verbo
di Dio, e tale redenzione implica il compimento definitivo
di quell'ansia di verità, di bellezza, di bene e di
giustizia che costituiscono la struttura fondamentale
della antropologia cristiana. Per la fede cattolica la
persona è, già a livello naturale, in rapporto col mistero
di Dio, e per questo rapporto la vita umana matura nella
individuazione dei tratti, certamente enigmatici ma reali,
del mistero di Dio. La massoneria implica invece una
antropologia del potere umano. La massoneria fonda ed
esprime una concezione dell'uomo e della realtà per la
quale l'uomo realizza pienamente se stesso con le sole sue
forze, intellettuali e morali. La Massoneria è una gnosi e
il riferimento a dimensioni religiose è esclusivamente
riconducibile ad espressioni, sostanzialmente equivalenti,
dell'intelligenza e del cuore umano, che rimangono l'unico
assoluto».
Su
cosa si fonda questa inconciliabilità?
«Antropologia della verità, quella cattolica; antropologia
del potere, quella massonica. La visione massonica della
realtà umana, storica e sociale, implica necessariamente
una lotta alla realtà ecclesiale, in quanto questa
sostiene una visione dell'uomo e della realtà sociale
fondata su una antropologia che la Massoneria considera
negativa e definitivamente superata. La dichiarazione
sulla Massoneria, pubblicata il 26 novembre 1983 dalla
Congregazione per la Dottrina della Fede, raccoglie e
fissa in maniera definitiva la impossibilità a qualsiasi
intesa, sul piano teorico e pratico, fra Chiesa e
Massoneria. Tutti i tentativi che sono stati condotti per
attenuare, o addirittura eliminare, la posizione della
Chiesa sulla Massoneria, sono espressione di sostanziali
equivocità dottrinali e storiche, che hanno sempre
ricevuto un autentico disprezzo da parte delle varie
autorità massoniche. Nel confronto tra Chiesa e Massoneria
si vive un aspetto, drammaticamente significativo, del
rapporto tra Chiesa e modernità.La Massoneria è,
sostanzialmente, e, si potrebbe dire, gloriosamente
moderna e quindi sostanzialmente antiecclesiale».
E’
possibile il dialogo con i “liberi muratori”?
«Tutta la preoccupazione per trovare punti di intesa fra
Chiesa e Massoneria hanno sempre trovato la più rigorosa
condanna da parte della Massoneria. Se la questione del
rapporto tra Chiesa e Massoneria, sul piano dottrinale,
etico e sociale non ha subito nessuna modificazione, è
pure evidente che non esiste soltanto un problema interno
alla Chiesa e che si formula come impossibilità a una
contemporanea adesione alla Chiesa e alla Massoneria. La
società di oggi, nella sua estrema articolazione, nella
compresenza di varie opzioni culturali e sociali, pone
certo il problema dell'eventuale rapporto, sul piano
pratico-sociale, tra cristiani e massoni. Vorrei chiarire
che si tratta di dialogo e di eventuali confronti pratici
e sottolineare che il dialogo è tanto più effettivo e, in
qualche modo efficace, quanto più è espressione di una
identità forte.Il dialogo con gli aderenti alla Massoneria
e alle strutture massoniche della società è tanto più
reale e, in qualche modo, può contribuire a una
maturazione positiva della società, quanto più i cristiani
vi si impegnano in forza della propria originalità di
fede, senza correre il rischio di posizioni teoriche e
pratiche concordistiche o irenistiche. Non è certo andando
alla ricerca di una presunta visione comune
catto-massonica che si opera positivamente per il bene
comune della società».
Quindi nessuna mediazione è possibile?
«Personalmente ritengo che il dialogo tra cristiani e
massoni, come anche il dialogo con esponenti di ogni altra
visione antropologica o religiosa, può essere un fattore
positivo per l'incremento della vita sociale, ma a
condizione che non si metta fra parentesi l'irrinunciabile
originalità dell'evento cristiano che segna in modo
indelebile la coscienza e il cuore di quanti seguono il
mistero di Cristo, nel mistero della Chiesa. Non si può
certo negare, e anche qui il magistero degli ultimi papi è
straordinariamente puntuale, che il pericolo sia oggi da
parte dei cristiani, di pretendere di ritrovare la propria
identità nel dialogo e nel compromesso con le forze
mondane.
Questo dialogo distrugge la Chiesa e certo non dà un
apporto significativo alla vita e alle problematiche della
società. I criteri e le regole del dialogo fra i cristiani
e gli aderenti ad altre posizioni culturali e storiche non
vengono fissati se non dalla Chiesa, nel suo
irrinunciabile compito di essere responsabile della verità
e della carità. Come ci ha ben insegnato Benedetto XVI,
una verità senza carità corre il rischio della ideologia,
ma una carità senza verità è soltanto un illusorio
emotivismo.Mi sembra quindi che non si deve né enfatizzare
positivamente il dialogo fra cristiani massoni, né
deprecarlo, ma consentire che la missione che i cristiani
vivono nella società, in obbedienza alla Chiesa e alle sue
direttive, sappia assumersi la responsabilità e il rischio
di dialoghi e di collaborazioni che si rivelino utili per
la vita sociale».
Qual è il terreno
di un possibile confronto?
«Una posizione che mi
sembra raccogliere il senso profondo del magistero della
Chiesa sulla Massoneria esprime la possibilità di dialoghi
effettivi ed efficaci, di cui è piena la storia della
Chiesa e della missione cristiana. Non sono mancati in
questi ultimi secoli, certamente fin dai tempi del grande
Papa Benedetto XIV, voci su implicazioni di alti gradi
della ecclesiasticità con la massoneria. Non ho competenza
per giudicare sulla consistenza delle voci che si sono
rinnovate negli ultimi decenni. Preferisco dire che, ove
episodi del genere siano caduti, dipendono da una
insufficiente coscienza della propria identità cristiana e
dal desiderio di ritagliare, nel contesto della società,
uno proprio spazio di potere, economico e politico. E,
come dicevano gli antichi, "de hoc, satis"».
sabato 11 agosto 2012
La Fede dei Templari
don Beppino
Co'
UNA
PROPOSTA.
PERCHE'
NO?
Facciamo
una
catena
di
preghiera
e di
adorazione,
sotto
la
protezione
del
grande
combattente,
San
Michele
Arcangelo,
per
sostenere
coloro
che
soffrono
di
oppressione,
ossessione,
infestazione,
possessione
e
anche
per
aiutare
i
sacerdoti
che
esercitano
il
ministero
della
liberazione
e gli
esorcisti.
Suggerisco di scegliere liberamente l'intenzione del mese che si desidera, oppure di seguire l'intenzione mensile per tutto l'anno. Cosa fare? Pregare, digiunare e adorare il SS. Sacramento, personalmente o comunitariamente. Sperimenteremo che il potere dei satanisti diminuisce in rapporto al digiuno e alle ore di preghiera e di adorazione che facciamo, soprattutto di notte.
Suggerisco di scegliere liberamente l'intenzione del mese che si desidera, oppure di seguire l'intenzione mensile per tutto l'anno. Cosa fare? Pregare, digiunare e adorare il SS. Sacramento, personalmente o comunitariamente. Sperimenteremo che il potere dei satanisti diminuisce in rapporto al digiuno e alle ore di preghiera e di adorazione che facciamo, soprattutto di notte.
Ci hanno
accompagnati per un tratto
Ora dal
Cielo, sono con noi sempre
dom Augusto
Bovelli
Priore
Un Cavaliere vero ed una guida
infaticabile
padre Goffredo
Viti
Defensor Fidei
3/09/1941 - 5/01/2004
Amore, studio e dedizione non ti
sono mai mancati
don Alessandro
Cavallini
Minister Templi
20/7/1952 - 30/12/2011
I giusti lasciano di sé memoria
eterna
Maria,
sempre "vittoriosa" contro il diavolo
|
Tratto da
Gesù e Maria.it
|
In Polonia la Madonna viene
chiamata “la Vittoriosa”.
Maria è potentissima presso
Gesù a nostro favore, specialmente può tutto nella lotta
contro satana e nello sconfiggere l’intero inferno. Oggi,
nel mondo ci sono 800 mila satanici. E in Italia
- scrive il giornale cattolico - ci sono più di 80 mila
adepti in sette sataniche con 9 milioni di vittime di reati
legati al satanismo (Avvenire, 9-V-2003). Purtroppo in
questi nostri tempi il diavolo ha ottenuto la più grande
vittoria. Qual è? Quello di essere riuscito a fare ignorare
e perfino negare la sua stessa esistenza da parte di non
pochi cristiani e perfino da parte di qualche teologo
ribelle a Cristo Dio e alla Madonna e alla Chiesa.
1. L’esistenza dei demoni è certissima.
La Sacra Scritturaracconta
la spaventosa origine di satana e dei diavoli: “Scoppiò una
guerra nel cielo; Michele e i suoi Angeli combattevano
contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi
angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in
cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che
chiamiamo il diavolo o satana e che seduce tutta la terra,
fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati
anche i suoi angeli. Allora udii una gran voce nel cielo che
diceva: Ora è compiuta la salvezza, la forza e il regno del
nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato
precipitato l’accusatore dei nostri fratelli.
...Ma essi lo hanno vinto per
mezzo del sangue dell’Agnello.
...Esultate, dunque, o cieli e
voi che abitate in essi. Ma guai a voi terra e mare, perché
il diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande
furore” (Apocalisse 12, 7-12).
2. La Bibbia nel Nuovo
Testamento ha espressioni terribili su satana.
Lo chiama “principe di questo
mondo”(Gv. 12, 31; 14, 30; 16,11); “il dragone grande, il
serpente antico” (Apoc. 12, 9); il “maligno” (Mt. 6,13);
“colui che seducetutta la terra abitata” (Apoc. 12,9); “il
dio di questo mondo”che “ha accecato la mente” incredula (2
Cor. 4,4); “il leoneruggente in cerca di chi divorare” (1
Pietro 5, 8); “bugiardoe padre della menzogna” (Gv. 8,44);
“omicida fin da principio”(Gv. 8, 43). Inoltre dice che
coloro che non seguono Gesù enon ascoltano la sua parola è
perché “hanno per padre il diavolo” (Gv.S, 43).
3. Gesù parla
frequentemente del diavolo. Egli è venuto nel mondo “per
distruggere le opere del diavolo” (1 Gv. 3, 8). Gesù
nel deserto è tentato dal diavolo, e nonsolo per tre
volte (come molti pensano), ma per molte volte“con ogni
specie di tentazione” (Luca 4, 1-12).
Gesù ha scacciato molti
demoni da tanti indemoniati e da uno di costoro ne ha
scacciato una legione (Cf. Luca 8, 30).
4. Gli Apostoli,
parlano chiaramente del diavolo. Per esempio S.
Pietro ammonisce: “Fratelli, siate sobri e vigilate
perché il demonio come leone ruggente va in giro cercando
chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1 Pietro
5,8-9). S. Giovanni: “Chi commette peccato viene dal
diavolo” (1 Gv. 3, 8).
5. I Santi
sono stati tormentati dai demoni e parlano di loro
con grande sicurezza e sincerità.
S. Francesco d’Assisi un
giorno confidò a un suo intimo compagno: “Se capissero i
frati quante e che gravi tribolazioni e afflizioni mi danno
i demoni, non ci sarebbe alcuno di loro che non si
muoverebbe a compassione e a pietà di me” (FF. 1798).
S. Caterina da Siena
viene dichiarata dal suo confessore “martirizzata dai
demoni” (Cf. vita di lei scritta dal B. Raimondo da Capua).
La B Maria di Gesù
Crocifisso, detta la Piccola Araba perchè di origine
palestinese, quando era molto avanti nella santità, ebbe
due periodi di vera e propria possessione diabolica,
documentata dagli Atti del processo (Cf Padre Estrata: vita
della beata).
S. Pio da Pietrelcina
certamente è uno dei Santi più tentati e tormentati dal
diavolo. Egli fin dai 5 anni si da completamente
a Gesù e a Maria, e subito (come lui scrive nei suoi
appunti) gli appare Gesù col cuore in risalto sul petto e
gli pone la mano sul capo per dimostrare di gradire tanto il
suo proposito di amarlo, di donarsi tutto a Lui di
consacrarsi al Suo amore. Ama molto anche la Madonna.
Da allora ogni giorno si ritira
in qualche angolo della chiesa o della casa o dei campi per
pregare, recitare Rosari e fare penitenza battendo il suo
corpo con una catena di ferro.
E subito il diavolo si scatena
contro di lui, e lo tormenta di giorno e di notte con
orribili tentazioni, con immagini provocanti di sconce
figure di ragazze in forme oscenissime e bestiali. La
moglie del dott. Sanguinetti, collaboratore del P. Pio,
scrive a un sacerdote: “Il diavolo ha gettato a terra P.
Pio e l’ha coperto di pugni e di lividure, gli ha spaccato
un sopracciglio; lui gronda sangue” (15 luglio 1954). Lo
stesso P. Pio ha scritto: “Se i frati sapessero quali
tormenti mi infligge il demonio, non ci sarebbe neppure uno
che non piangerebbe”. Il diavolo lo percuote spesso perché
lui ceda alle tentazioni. Scrive al suo direttore
spirituale: “Le tentazioni sono assassine e di giorno in
giorno vanno sempre più moltiplicandosi ... Tremo da capo a
piedi temendo di poter offendere Dio” (Cfr. Epist. I di P.
Pio).
Queste tentazioni impure furono
intense per 20 anni.
Poi diventarono meno furibonde,
e si accompagnarono a forti tentazioni contro le verità di
fede. Fu pure immerso in una grande oscurità spirituale,
detta “notte oscura”, che in tanti santi si prolungò per un
numero limitato di mesi o di anni, mentre in P. Pio si è
prolungata, con grande sua sofferenza, per tutta la vita.
P. Pio ripeteva: “Oggi i
diavoli si sono scatenati e sono tanto numerosi che se si
potessero vedere e fossero piccoli come la capocchia di uno
spillo, non riusciremmo a vedere il sole”.
Esempio
S. Brigida racconta di
un uomo che viveva ai suoi tempi il quale da ben 40 anni non
si accostava ai Sacramenti; però era devoto della
Madonna. Si ammalò gravemente. S. Brigida gli inviò un
Confessore; ma il moribondo lo respinse sdegnosamente. Così
per due volte. Glielo inviò una terza volta con l’incarico
di dirgli, da parte di Dio e della Vergine Santa, che egli
era invasato da ben 7 demoni i quali l’avrebbero ben
presto portato all’inferno. Spaventato si confessò,
ricevette gli ultimi Sacramenti e spirò nel bacio del
Signore. Dopo la sua morte, Dio fece conoscere a S.Brigida
(celebre per le rivelazioni che ebbe dal Signore) che
quell’infelice era scampato all’inferno unicamente per la
sua devozione alla Vergine, la quale è sempre vittoriosa
contro il diavolo.
Esortazione
Amiamo tanto Gesù sull’esempio
di P. Pio e di tutti i Santi, ricordando ciò
che dice S. Agostino: “II diavolo è come un cane
legato alla catena, morde chi gli si avvicina”.
Ma se ameremo tanto Gesù, se
avremo sempre Gesù nella mente e nel cuore, staremo
spiritualmente lontanissimi dal demonio.
Proposito
Quando avvertiamo una
tentazione, subito recitiamo devotamente l’Ave Maria. La
Madonna, la nemica del diavolo, lo mette in fuga. Lei è il
martello che lo schiaccia; è la santificazione della nostra
anima, è la gioia degli
angeli.
Grande devozione alla
Madonna. S. Francesco d’Assisi ripeteva: “Alla recita
dell’Ave Maria, tremano tutti i demoni!”. Che sarà se le Ave
Maria sono 50 come in una corona? o 150, come in tre corone?
Esclameremo con S. Giovanni
Bosco: “O Maria, Vergine potente, Tu grande e illustre
difesa della Chiesa; Tu aiuto, aiuto mirabile dei Cristiani;
Tu, terribile come un esercito schierato a battaglia; Tu,
che da sola hai distrutto tutti gli errori del mondo; Tu,
nelle angustie e nelle lotte, nelle necessità difendici dal
nemico e nell’ora della morte accoglici nei gaudi eterni.
Amen”.
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ANSELM GRUN
LA PREGHIERA CONTINUA
Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio
che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare
in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera
rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo
tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli
occhi di Dio.
«Si giunge quindi alla preghiera, della
quale non si può più dire che si preghi, perché ci ha
sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro
essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora
in poi è lo spirito a pregare dentro di noi
ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua
preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente,
tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera
non proviene più da noi. E come se fosse divenuta
autonoma».
«Il culmine di tutta l’ascesi è la
preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è
sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito
va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di
pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di
lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà
sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o
beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si
propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui
non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta.
Anche quando si dorme, la sua azione continua, di
nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è
di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono
suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come
una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in
segreto».
L’incontro nella preghiera non è
soltanto qualcosa di istantaneo, non avviene solo quando
mi pongo coscientemente di fronte a Dio: deve invece
diventare un atteggiamento fondamentale e duraturo
dell’uomo. La tradizione del monachesimo parla della
preghiera continua o della ininterrotta preghiera
interiore.
Il fine del monachesimo consisteva nel vivere sempre alla presenza di Dio, nel pregare ininterrottamente e quindi nel vivere costantemente dell’incontro con Dio. L’intera vita deve essere plasmata dall’incontro con Dio. Vivo continuamente di fronte a lui, di fronte ai suoi occhi ed egli mi guarda con amore e con benevolenza. L’incontro con Dio lascia l’impronta su tutta la mia vita, sul mio lavoro e il mio riposo, sul mio pensare e il mio sentire, sul mio parlare e il mio tacere. Non vivo mai al di fuori dei rapporti, ma sempre in rapporto al mio Dio. Non devo certo pensare sempre esplicitamente a Dio; l’incontro è soprattutto lo sfondo nel quale vivo e mi muovo. Paolo ha parlato così nel suo discorso dell’areopago: «In te ci muoviamo e siamo» (At 17,28).
I monaci hanno sviluppato dei metodi che ci possono aiutare a vivere sempre e ovunque dell’incontro con Dio. E' la cosiddetta preghiera interiore che è sempre presente dentro di noi e che non ci può mai essere tolta. Per giungere a questa preghiera interiore, devo però seguire una lunga serie di esercizi. Per i monaci questa serie di esercizi consisteva nella preghiera fatta di una parola, la ruminatio, nel ripetere sempre lo stesso versetto di un salmo o la stessa preghiera di Gesù. La preghiera di Gesù divenne soprattutto nella chiesa orientale l’esercizio di meditazione per antonomasia. Ma anche nella chiesa occidentale essa gode oggi di grande favore e per molti è divenuta una forma concreta della preghiera continua. Consiste nel ripetere continuamente la formula «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me!».
Questa formula può anche venir accorciata a seconda del ritmo del respiro del singolo. Si, la preghiera rivolta a Gesù può venir ridotta anche solo al nome di Gesù, che poi si collega all’espirazione
I monaci vedono nella preghiera fatta a Gesù il compendio di tutto il vangelo. Essa rimanda all'episodio della guarigione di Bartimeo (Mc 10,47), in cui Bartimeo prega Gesù di guarirlo dalla sua cecità: «Gesù, abbi pietà di me»; e all’episodio in Lc 18,13 in cui il pubblicano si presenta con umiltà a Gesù e lo prega così: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore!».
Due elementi fondamentali trovano espressione in questa preghiera: uno è la preghiera per la guarigione. Ci portiamo appresso tutte le ferite e nella preghiera chiediamo a Dio che le guarisca. E spesso siamo ciechi: non vogliamo vedere la realtà come è veramente, chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà della nostra vita, di fronte alla realtà del nostro prossimo e del mondo intero. Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli occhi di Dio.
Spesso chiediamo troppo a noi stessi quando vogliamo vedere la realtà in faccia. Solo se Cristo ci prende per mano, come ha fatto con Bartimeo, troviamo il coraggio di guardare la realtà apertamente. Non dobbiamo più averne paura perché sappiamo che Cristo è con noi e ci fa scoprire la verità del mondo. Possiamo vedere il mondo nella sua autenticità perché in ogni parte di esso incontriamo anche Dio.
L’altro elemento fondamentale è l’umiltà del pubblicano, che non ha fiducia in se stesso e in ciò che fa, mentre ripone la propria fiducia nella pietà di Dio. E' la grande fiducia nel fatto che Dio ci accetta così come siamo. Se nelle mie preghiere ripeto sempre: «Gesù Cristo, abbi pietà di me», questa non è solo una preghiera incessante perché egli abbia pietà, ma piuttosto rappresenta il prendere coscienza di questa pietà, un ringraziamento nei confronti del Dio misericordioso.
Col passare del tempo questa preghiera produce una profonda pace interiore e una gioia silenziosa nei riguardi di Dio, di fronte al quale posso essere così come sono, anche se debole o colpevole. E gradualmente io stesso divento più misericordioso nei miei confronti. Non mi tormento più con rimproveri se commetto un errore: al contrario, sottopongo l’errore alla pietà di Dio. Così mi concilio con esso e provo maggiore compassione per il mio prossimo. Se sento durante l’ascolto di una confessione che giudizi negativi affiorano dentro di me, la preghiera di Gesù mi aiuta ad assumere un atteggiamento di maggiore misericordia nei confronti dell’altro. In questo modo rendo meglio giustizia al suo mistero di quanto potrei fare attraverso i miei pregiudizi affrettati, nei quali vedo l’altro solo attraverso gli occhiali delle mie proiezioni.
Il tono generale della preghiera di Gesù non è l’implorazione supplichevole affinché Cristo abbia pietà di me, perché sono così malvagio. E piuttosto un tono ottimistico e fiducioso. Per un verso nel nome di Gesù riconosco il mistero dell’incarnazione. Questo Gesù Cristo è il Figlio di Dio, in lui dimora la pienezza della divinità (Col 2,9). Per un altro verso, quando dico "Abbi pietà di me", esprimo il mio rapporto personale con Gesù Cristo. La parola greca eleison ha la stessa radice di elaion, olio, e chiede quindi che Dio riversi la pienezza della sua grazia su di noi.
Per la lingua russa la preghiera di Gesù ha il carattere dell’amore e della tenerezza. «Le parole slave milost e pomiluy hanno le stesse radici delle espressioni che significano tenerezza e carezza»(1).
Nella preghiera di Gesù chiediamo il suo amore e allo stesso tempo esprimiamo il nostro amore per Dio e il nostro anelito nei suoi confronti. Perché si tratta di una preghiera squisitamente intima, un dolce richiamo rivolto a chi mi ama, ed è espressione della certezza che in Gesù Cristo l’amore stesso di Dio è riversato nel mio cuore. La preghiera di Gesù emana la fiducia che questo Gesù Cristo è in me. Non è colui che ha vissuto in un lontano passato: al contrario, è in me.
I monaci consigliano di far scorrere il respiro nel cuore quando si inspira e di sentire, nel respiro, la presenza di Dio stesso nel cuore. Cristo è in me. Nel calore che il respiro genera nel cuore posso sentire la sua presenza misericordiosa e colma d’amore. Sentire il respiro nel cuore allevia la mente, che di solito, quando si prega, ci causa fastidio e inquietudine con pensieri sempre nuovi. Nel cuore, riscaldato dal respiro, possiamo arrivare alla calma in Gesù Cristo. Non lo incontriamo solo per un breve momento: l’incontro invece si protrae e noi ne rimaniamo partecipi. Quindi la preghiera di Gesù aiuta a vivere continuamente nell’incontro con Cristo e a vivere del rapporto con lui. Il mio cuore viene toccato da Cristo, in lui sento il calore. Come chi ama sente la persona amata nel proprio cuore e vive la quotidianità in modo diverso, così la preghiera di Gesù genera dentro di noi un'atmosfera di amore, di misericordia e di benevolenza nella quale si vive bene. Lo spazio in cui viviamo non è freddo e deserto; è abitato da Gesù Cristo, trabocca della sua presenza amorevole e salvifica ed emana la sua affettuosa intimità. In questo spazio vivo sempre dell’incontro con Gesù Cristo.
L’incontro nella preghiera personale continua a fare effetto e lascia il segno anche sul mio lavoro. E la preghiera di Gesù mi ricorda costantemente questo incontro nella preghiera rievocandolo. Tutta la mia vita diventa una vita formata da questo incontro. In tutto ciò che compio e penso, faccio riferimento a Gesù Cristo, gli sono legato, sono a casa. Solo vivere di questo rapporto e in questo rapporto dà valore alla mia vita. Oggi sempre più numerosi sono quelli che vivono al di fuori di questo rapporto, e perciò la loro vita va in frantumi, perché essi sfiorano soltanto il loro vero io. Solo nel rapporto con un altro io vivo il mio vero sè, solo nella relazione sono in contatto anche con il mio vero nucleo.
Quando inspiriamo dobbiamo permettere a Gesù Cristo stesso di pervadere tutto il nostro corpo nel nostro respiro. L’inspirazione scende verso il basso, nel bacino. Permettiamo allo spirito misericordioso di Gesù di pervadere tutti i sentimenti che hanno la loro sede negli organi interni: la rabbia e la delusione, la collera e l’amarezza. Dobbiamo anche permettergli di entrare nei nostri istinti, che per i greci sono localizzati nella parte concupiscente dell’uomo, nel basso ventre. Quando lo spirito di Cristo fluisce dappertutto, possiamo riconciliarci con tutto ciò che si trova in noi. Così la preghiera di Gesù può colmarci sempre più di misericordia e bontà verso noi stessi e verso gli altri.
Dopo aver espirato, si giunge ad un breve momento in cui non succede nulla e nel quale nè inspiriamo nè espiriamo. Questo momento è decisivo secondo i maestri della meditazione. Infatti indica se dimentico me stesso e mi abbandono a Dio o se rimango ancorato a me stesso. Se non riesco a sopportare questo istante e voglio subito inspirare, non mi lascio cadere in Dio. Quest’attimo prezioso del puro silenzio e della pura inattività è il luogo in cui ci lasciamo cadere nelle braccia misericordiose di Dio, e li scopriamo che tutta la nostra esistenza ha il carattere di un dono. Come dice Isacco di Ninive, la parola conduce al mistero senza parole di Dio. Abbiamo legato il nostro respiro alla parola per non venir distratti, ma in questo intervallo tra inspirare ed espirare abbandoniamo anche la parola. Lasciamo che esso ci introduca nello spazio colmato soltanto da Dio. Ma questo spazio non è uno spazio divino; è riempito invece dal Padre di Gesù Cristo, dalla misericordia e dalla bontà di Gesù stesso.
Per me la preghiera di Gesù è un modo utile per vivere nell’incontro costante con Gesù Cristo e, attraverso di lui, con il Padre. E una parola familiare che affiora dentro di me spontaneamente, anche se non ne ho coscienza. Mi permette di essere a casa e mi conduce sempre dalla distrazione a ciò che è veramente importante, al Padre di Gesù Cristo. E mi dà la certezza che Gesù Cristo è dentro di me e procede insieme a me. Quando la preghiera è dentro di me, anche Gesù Cristo è dentro di me e con me. Quindi vivo costantemente dell’incontro con lui.
Questo incontro dà un altro sapore a tutta quanta la mia vita. In tutto ciò che faccio c’è qualcosa della misericordia e dell’amore di Dio. L’incontro fa diventare la mia vita una preghiera continua, un incontro con Dio nel mio cuore. La preghiera ininterrotta giunge ad esistere improvvisamente, come André Louf (2) ha descritto molto bene: «Si giunge quindi alla preghiera, della quale non si può più dire che si preghi, perché ci ha sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora in poi è lo spirito a pregare dentro di noi ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente, tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera non proviene più da noi. E come se fosse divenuta autonoma».
E Isacco il Siro dice: «Il culmine di tutta l’ascesi è la preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta. Anche quando si dorme, la sua azione continua, di nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in segreto».
La preghiera continua di Gesù conduce a una vita che trae continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Gesù Cristo. Quando preghiamo, il nome di Gesù Cristo stesso scende nel nostro cuore e lo rende la sua dimora.
Esichio di Batos, un autore del medioevo bizantino, scrive: "L’invocazione ininterrotta di Dio, unita ad un ardente anelito e a una grande gioia nei suoi confronti, riempie di beatitudine e di gioia l’atmosfera del nostro cuore... il ricordo di Gesù e l’invocazione ininterrotta del suo nome producono qualcosa di simile a una corrente divina nel nostro spirito".
La preghiera di Gesù risveglia delle forze dentro di me che fino a quel momento erano rimaste sotterrate sotto il peso del mio lavoro e delle mie preoccupazioni. Conduce tutto quanto è presente in me nel rapporto con Gesù Cristo, nel rapporto con colui che mi ama e che ha un cuore per me, un cuore che non condanna, anzi, un cuore che ha pietà di me.
La meta della via spirituale è quella di vivere costantemente in questo rapporto d’amore con Gesù Cristo e di trovarvi salvezza e pienezza. In questo rapporto nulla viene represso o escluso dentro di me: al contrario, tuffo viene considerato e riferito a Dio.
Benedetto ha davanti agli occhi questa vita che trae continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Dio quando scrive: "Nel primo stadio dell’umiltà si prova sempre un timore riverenziale quando si immagina Dio, e ci si guarda dal dimenticarlo... l’uomo si convinca di questo: Dio ci guarda sempre dall’alto del cielo. L’occhio di Dio segue sempre e ovunque le nostre azioni, e gli angeli gli riferiscono continuamente ogni cosa" (RB 7).
Per Benedetto la vita spirituale è vita nella presenza di Dio, che mi guarda con amore e con benevolenza, ma anche con uno sguardo critico ed esaminatore. Solo in questo sguardo di Dio trovo la strada che porta a me stesso: la mia vita acquista un altro gusto. Sento che la mia vita è una continua risposta al Dio che mi guarda e mi parla. Non vivo da qualche parte in uno spazio qualsiasi; vivo invece davanti agli occhi di Dio, vivo del continuo incontro con Dio che è misericordioso e colmo d’amore. Questo è ciò che significa la preghiera continua. Non è un’attività, è esercizio di una vita che nasce dall’incontro. L’alternativa a questa vita che nasce dall’incontro è la vita che nasce dalla distrazione. Per i monaci era una continua tentazione sottrarsi all’incontro e al rapporto con Dio e ritirarsi negli spazi privati della loro fantasia, dove si può passeggiare liberamente e dove si possono sognare le proprie illusioni.
La vita che nasce dall’incontro deve però essere imparata attraverso la pratica. Non è un dono di natura. I monaci fanno esercizio ripetendo sempre la preghiera di Gesù ovunque si trovino. Ma per poter pregare sempre, devo prima di tutto pregare in certi momenti della giornata. Devo collegare la preghiera a certe mie attività. Quando, ad esempio, mi sveglio al mattino, devo pregare Gesù con coscienza. Quando esco di casa, quando vado al lavoro, quando entro in una casa, quando incontro una persona, quando il campanile batte l’ora, quando squilla il telefono, in tutte queste occasioni potrei recitare la preghiera di Gesù. I fatti esterni sarebbero dei segnali della memoria che la preghiera di Gesù con il tempo risveglia dentro di me. Se in questo modo i fatti esterni mi ricordano la presenza di Gesù Cristo che ha pietà di me, allora la mia vita cambierà. Non sarà più plasmata dagli eventi esterni: in ogni cosa incontrerò Gesù Cristo. Ovunque e in tutto ciò che succede la mia vita trae il suo fondamento dall’incontro con Cristo.
E in seguito all’incontro con Cristo affronto gli uomini e le situazioni della mia vita quotidiana in modo nuovo. Non sono gli avvenimenti esterni a definire la mia situazione emotiva: è Gesù Cristo a farlo, e lo incontro in ogni cosa. La vicinanza di Gesù respinge la vicinanza spesso importuna di persone o di problemi. Allora li posso giudicare come meglio conviene. Non permetto che mi soffochino, anzi li affronto con un distacco interiore. Poiché la mia vita trae sempre il suo fondamento dall’incontro con Cristo, gli avvenimenti esterni non possono più governarmi. La stessa cosa accade agli uomini che si amano. Poiché sanno del loro amore e trovano in esso il fondamento della loro vita, non si lasciano più influenzare dai fatti del giorno. Si fanno invece guidare dal loro amore.
Allo stesso modo il nostro incontro con Cristo dovrebbe plasmare tutta la nostra vita e trasformarla. Ogni cosa deve custodire il gusto della misericordia e della bontà di Dio. L’incontro con Cristo e con il Padre di Gesù Cristo risveglia il vero nucleo della vita dentro di noi, ci rende più vivi e ci dona veramente la vita eterna, una vita che è di un’altra qualità rispetto a quella presente intorno a noi, una vita vissuta nella libertà e nella mitezza, nell’amore e nella gioia. Non siamo noi che dobbiamo trasformarci: è l’incontro con Dio che ci trasforma e ci conduce al nostro vero io.
NOTEIl fine del monachesimo consisteva nel vivere sempre alla presenza di Dio, nel pregare ininterrottamente e quindi nel vivere costantemente dell’incontro con Dio. L’intera vita deve essere plasmata dall’incontro con Dio. Vivo continuamente di fronte a lui, di fronte ai suoi occhi ed egli mi guarda con amore e con benevolenza. L’incontro con Dio lascia l’impronta su tutta la mia vita, sul mio lavoro e il mio riposo, sul mio pensare e il mio sentire, sul mio parlare e il mio tacere. Non vivo mai al di fuori dei rapporti, ma sempre in rapporto al mio Dio. Non devo certo pensare sempre esplicitamente a Dio; l’incontro è soprattutto lo sfondo nel quale vivo e mi muovo. Paolo ha parlato così nel suo discorso dell’areopago: «In te ci muoviamo e siamo» (At 17,28).
I monaci hanno sviluppato dei metodi che ci possono aiutare a vivere sempre e ovunque dell’incontro con Dio. E' la cosiddetta preghiera interiore che è sempre presente dentro di noi e che non ci può mai essere tolta. Per giungere a questa preghiera interiore, devo però seguire una lunga serie di esercizi. Per i monaci questa serie di esercizi consisteva nella preghiera fatta di una parola, la ruminatio, nel ripetere sempre lo stesso versetto di un salmo o la stessa preghiera di Gesù. La preghiera di Gesù divenne soprattutto nella chiesa orientale l’esercizio di meditazione per antonomasia. Ma anche nella chiesa occidentale essa gode oggi di grande favore e per molti è divenuta una forma concreta della preghiera continua. Consiste nel ripetere continuamente la formula «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me!».
Questa formula può anche venir accorciata a seconda del ritmo del respiro del singolo. Si, la preghiera rivolta a Gesù può venir ridotta anche solo al nome di Gesù, che poi si collega all’espirazione
I monaci vedono nella preghiera fatta a Gesù il compendio di tutto il vangelo. Essa rimanda all'episodio della guarigione di Bartimeo (Mc 10,47), in cui Bartimeo prega Gesù di guarirlo dalla sua cecità: «Gesù, abbi pietà di me»; e all’episodio in Lc 18,13 in cui il pubblicano si presenta con umiltà a Gesù e lo prega così: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore!».
Due elementi fondamentali trovano espressione in questa preghiera: uno è la preghiera per la guarigione. Ci portiamo appresso tutte le ferite e nella preghiera chiediamo a Dio che le guarisca. E spesso siamo ciechi: non vogliamo vedere la realtà come è veramente, chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà della nostra vita, di fronte alla realtà del nostro prossimo e del mondo intero. Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli occhi di Dio.
Spesso chiediamo troppo a noi stessi quando vogliamo vedere la realtà in faccia. Solo se Cristo ci prende per mano, come ha fatto con Bartimeo, troviamo il coraggio di guardare la realtà apertamente. Non dobbiamo più averne paura perché sappiamo che Cristo è con noi e ci fa scoprire la verità del mondo. Possiamo vedere il mondo nella sua autenticità perché in ogni parte di esso incontriamo anche Dio.
L’altro elemento fondamentale è l’umiltà del pubblicano, che non ha fiducia in se stesso e in ciò che fa, mentre ripone la propria fiducia nella pietà di Dio. E' la grande fiducia nel fatto che Dio ci accetta così come siamo. Se nelle mie preghiere ripeto sempre: «Gesù Cristo, abbi pietà di me», questa non è solo una preghiera incessante perché egli abbia pietà, ma piuttosto rappresenta il prendere coscienza di questa pietà, un ringraziamento nei confronti del Dio misericordioso.
Col passare del tempo questa preghiera produce una profonda pace interiore e una gioia silenziosa nei riguardi di Dio, di fronte al quale posso essere così come sono, anche se debole o colpevole. E gradualmente io stesso divento più misericordioso nei miei confronti. Non mi tormento più con rimproveri se commetto un errore: al contrario, sottopongo l’errore alla pietà di Dio. Così mi concilio con esso e provo maggiore compassione per il mio prossimo. Se sento durante l’ascolto di una confessione che giudizi negativi affiorano dentro di me, la preghiera di Gesù mi aiuta ad assumere un atteggiamento di maggiore misericordia nei confronti dell’altro. In questo modo rendo meglio giustizia al suo mistero di quanto potrei fare attraverso i miei pregiudizi affrettati, nei quali vedo l’altro solo attraverso gli occhiali delle mie proiezioni.
Il tono generale della preghiera di Gesù non è l’implorazione supplichevole affinché Cristo abbia pietà di me, perché sono così malvagio. E piuttosto un tono ottimistico e fiducioso. Per un verso nel nome di Gesù riconosco il mistero dell’incarnazione. Questo Gesù Cristo è il Figlio di Dio, in lui dimora la pienezza della divinità (Col 2,9). Per un altro verso, quando dico "Abbi pietà di me", esprimo il mio rapporto personale con Gesù Cristo. La parola greca eleison ha la stessa radice di elaion, olio, e chiede quindi che Dio riversi la pienezza della sua grazia su di noi.
Per la lingua russa la preghiera di Gesù ha il carattere dell’amore e della tenerezza. «Le parole slave milost e pomiluy hanno le stesse radici delle espressioni che significano tenerezza e carezza»(1).
Nella preghiera di Gesù chiediamo il suo amore e allo stesso tempo esprimiamo il nostro amore per Dio e il nostro anelito nei suoi confronti. Perché si tratta di una preghiera squisitamente intima, un dolce richiamo rivolto a chi mi ama, ed è espressione della certezza che in Gesù Cristo l’amore stesso di Dio è riversato nel mio cuore. La preghiera di Gesù emana la fiducia che questo Gesù Cristo è in me. Non è colui che ha vissuto in un lontano passato: al contrario, è in me.
I monaci consigliano di far scorrere il respiro nel cuore quando si inspira e di sentire, nel respiro, la presenza di Dio stesso nel cuore. Cristo è in me. Nel calore che il respiro genera nel cuore posso sentire la sua presenza misericordiosa e colma d’amore. Sentire il respiro nel cuore allevia la mente, che di solito, quando si prega, ci causa fastidio e inquietudine con pensieri sempre nuovi. Nel cuore, riscaldato dal respiro, possiamo arrivare alla calma in Gesù Cristo. Non lo incontriamo solo per un breve momento: l’incontro invece si protrae e noi ne rimaniamo partecipi. Quindi la preghiera di Gesù aiuta a vivere continuamente nell’incontro con Cristo e a vivere del rapporto con lui. Il mio cuore viene toccato da Cristo, in lui sento il calore. Come chi ama sente la persona amata nel proprio cuore e vive la quotidianità in modo diverso, così la preghiera di Gesù genera dentro di noi un'atmosfera di amore, di misericordia e di benevolenza nella quale si vive bene. Lo spazio in cui viviamo non è freddo e deserto; è abitato da Gesù Cristo, trabocca della sua presenza amorevole e salvifica ed emana la sua affettuosa intimità. In questo spazio vivo sempre dell’incontro con Gesù Cristo.
L’incontro nella preghiera personale continua a fare effetto e lascia il segno anche sul mio lavoro. E la preghiera di Gesù mi ricorda costantemente questo incontro nella preghiera rievocandolo. Tutta la mia vita diventa una vita formata da questo incontro. In tutto ciò che compio e penso, faccio riferimento a Gesù Cristo, gli sono legato, sono a casa. Solo vivere di questo rapporto e in questo rapporto dà valore alla mia vita. Oggi sempre più numerosi sono quelli che vivono al di fuori di questo rapporto, e perciò la loro vita va in frantumi, perché essi sfiorano soltanto il loro vero io. Solo nel rapporto con un altro io vivo il mio vero sè, solo nella relazione sono in contatto anche con il mio vero nucleo.
Quando inspiriamo dobbiamo permettere a Gesù Cristo stesso di pervadere tutto il nostro corpo nel nostro respiro. L’inspirazione scende verso il basso, nel bacino. Permettiamo allo spirito misericordioso di Gesù di pervadere tutti i sentimenti che hanno la loro sede negli organi interni: la rabbia e la delusione, la collera e l’amarezza. Dobbiamo anche permettergli di entrare nei nostri istinti, che per i greci sono localizzati nella parte concupiscente dell’uomo, nel basso ventre. Quando lo spirito di Cristo fluisce dappertutto, possiamo riconciliarci con tutto ciò che si trova in noi. Così la preghiera di Gesù può colmarci sempre più di misericordia e bontà verso noi stessi e verso gli altri.
Dopo aver espirato, si giunge ad un breve momento in cui non succede nulla e nel quale nè inspiriamo nè espiriamo. Questo momento è decisivo secondo i maestri della meditazione. Infatti indica se dimentico me stesso e mi abbandono a Dio o se rimango ancorato a me stesso. Se non riesco a sopportare questo istante e voglio subito inspirare, non mi lascio cadere in Dio. Quest’attimo prezioso del puro silenzio e della pura inattività è il luogo in cui ci lasciamo cadere nelle braccia misericordiose di Dio, e li scopriamo che tutta la nostra esistenza ha il carattere di un dono. Come dice Isacco di Ninive, la parola conduce al mistero senza parole di Dio. Abbiamo legato il nostro respiro alla parola per non venir distratti, ma in questo intervallo tra inspirare ed espirare abbandoniamo anche la parola. Lasciamo che esso ci introduca nello spazio colmato soltanto da Dio. Ma questo spazio non è uno spazio divino; è riempito invece dal Padre di Gesù Cristo, dalla misericordia e dalla bontà di Gesù stesso.
Per me la preghiera di Gesù è un modo utile per vivere nell’incontro costante con Gesù Cristo e, attraverso di lui, con il Padre. E una parola familiare che affiora dentro di me spontaneamente, anche se non ne ho coscienza. Mi permette di essere a casa e mi conduce sempre dalla distrazione a ciò che è veramente importante, al Padre di Gesù Cristo. E mi dà la certezza che Gesù Cristo è dentro di me e procede insieme a me. Quando la preghiera è dentro di me, anche Gesù Cristo è dentro di me e con me. Quindi vivo costantemente dell’incontro con lui.
Questo incontro dà un altro sapore a tutta quanta la mia vita. In tutto ciò che faccio c’è qualcosa della misericordia e dell’amore di Dio. L’incontro fa diventare la mia vita una preghiera continua, un incontro con Dio nel mio cuore. La preghiera ininterrotta giunge ad esistere improvvisamente, come André Louf (2) ha descritto molto bene: «Si giunge quindi alla preghiera, della quale non si può più dire che si preghi, perché ci ha sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora in poi è lo spirito a pregare dentro di noi ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente, tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera non proviene più da noi. E come se fosse divenuta autonoma».
E Isacco il Siro dice: «Il culmine di tutta l’ascesi è la preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta. Anche quando si dorme, la sua azione continua, di nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in segreto».
La preghiera continua di Gesù conduce a una vita che trae continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Gesù Cristo. Quando preghiamo, il nome di Gesù Cristo stesso scende nel nostro cuore e lo rende la sua dimora.
Esichio di Batos, un autore del medioevo bizantino, scrive: "L’invocazione ininterrotta di Dio, unita ad un ardente anelito e a una grande gioia nei suoi confronti, riempie di beatitudine e di gioia l’atmosfera del nostro cuore... il ricordo di Gesù e l’invocazione ininterrotta del suo nome producono qualcosa di simile a una corrente divina nel nostro spirito".
La preghiera di Gesù risveglia delle forze dentro di me che fino a quel momento erano rimaste sotterrate sotto il peso del mio lavoro e delle mie preoccupazioni. Conduce tutto quanto è presente in me nel rapporto con Gesù Cristo, nel rapporto con colui che mi ama e che ha un cuore per me, un cuore che non condanna, anzi, un cuore che ha pietà di me.
La meta della via spirituale è quella di vivere costantemente in questo rapporto d’amore con Gesù Cristo e di trovarvi salvezza e pienezza. In questo rapporto nulla viene represso o escluso dentro di me: al contrario, tuffo viene considerato e riferito a Dio.
Benedetto ha davanti agli occhi questa vita che trae continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Dio quando scrive: "Nel primo stadio dell’umiltà si prova sempre un timore riverenziale quando si immagina Dio, e ci si guarda dal dimenticarlo... l’uomo si convinca di questo: Dio ci guarda sempre dall’alto del cielo. L’occhio di Dio segue sempre e ovunque le nostre azioni, e gli angeli gli riferiscono continuamente ogni cosa" (RB 7).
Per Benedetto la vita spirituale è vita nella presenza di Dio, che mi guarda con amore e con benevolenza, ma anche con uno sguardo critico ed esaminatore. Solo in questo sguardo di Dio trovo la strada che porta a me stesso: la mia vita acquista un altro gusto. Sento che la mia vita è una continua risposta al Dio che mi guarda e mi parla. Non vivo da qualche parte in uno spazio qualsiasi; vivo invece davanti agli occhi di Dio, vivo del continuo incontro con Dio che è misericordioso e colmo d’amore. Questo è ciò che significa la preghiera continua. Non è un’attività, è esercizio di una vita che nasce dall’incontro. L’alternativa a questa vita che nasce dall’incontro è la vita che nasce dalla distrazione. Per i monaci era una continua tentazione sottrarsi all’incontro e al rapporto con Dio e ritirarsi negli spazi privati della loro fantasia, dove si può passeggiare liberamente e dove si possono sognare le proprie illusioni.
La vita che nasce dall’incontro deve però essere imparata attraverso la pratica. Non è un dono di natura. I monaci fanno esercizio ripetendo sempre la preghiera di Gesù ovunque si trovino. Ma per poter pregare sempre, devo prima di tutto pregare in certi momenti della giornata. Devo collegare la preghiera a certe mie attività. Quando, ad esempio, mi sveglio al mattino, devo pregare Gesù con coscienza. Quando esco di casa, quando vado al lavoro, quando entro in una casa, quando incontro una persona, quando il campanile batte l’ora, quando squilla il telefono, in tutte queste occasioni potrei recitare la preghiera di Gesù. I fatti esterni sarebbero dei segnali della memoria che la preghiera di Gesù con il tempo risveglia dentro di me. Se in questo modo i fatti esterni mi ricordano la presenza di Gesù Cristo che ha pietà di me, allora la mia vita cambierà. Non sarà più plasmata dagli eventi esterni: in ogni cosa incontrerò Gesù Cristo. Ovunque e in tutto ciò che succede la mia vita trae il suo fondamento dall’incontro con Cristo.
E in seguito all’incontro con Cristo affronto gli uomini e le situazioni della mia vita quotidiana in modo nuovo. Non sono gli avvenimenti esterni a definire la mia situazione emotiva: è Gesù Cristo a farlo, e lo incontro in ogni cosa. La vicinanza di Gesù respinge la vicinanza spesso importuna di persone o di problemi. Allora li posso giudicare come meglio conviene. Non permetto che mi soffochino, anzi li affronto con un distacco interiore. Poiché la mia vita trae sempre il suo fondamento dall’incontro con Cristo, gli avvenimenti esterni non possono più governarmi. La stessa cosa accade agli uomini che si amano. Poiché sanno del loro amore e trovano in esso il fondamento della loro vita, non si lasciano più influenzare dai fatti del giorno. Si fanno invece guidare dal loro amore.
Allo stesso modo il nostro incontro con Cristo dovrebbe plasmare tutta la nostra vita e trasformarla. Ogni cosa deve custodire il gusto della misericordia e della bontà di Dio. L’incontro con Cristo e con il Padre di Gesù Cristo risveglia il vero nucleo della vita dentro di noi, ci rende più vivi e ci dona veramente la vita eterna, una vita che è di un’altra qualità rispetto a quella presente intorno a noi, una vita vissuta nella libertà e nella mitezza, nell’amore e nella gioia. Non siamo noi che dobbiamo trasformarci: è l’incontro con Dio che ci trasforma e ci conduce al nostro vero io.
(1)
METROPOUTA ANTONIO, Lebendiges Beten 101; cf.
Aufrichtige Erzùhlungen eines russischen Pilgers, a
cura di E. Jungclaussen, Preiburg 1975; Kleine
Philokalie, curato e tradotto da M. Dietz, Einsiedeln
1956.
(2) Per alcuni articoli
di Andre Louf vai alla sezione: ANTICHI PADRI E GRANDI
MAESTRI DELLA PREGHIERA
Tratto da: A. Grun,
Preghiera come incontro - ed. Messaggero Padova, a cui si
rimanda per le note e l'approfondimento.
martedì 7 agosto 2012
venerdì 20 luglio 2012
Il Razismo dell'aborto
Se c’è una cosa che nessuno può tollerare, in questi anni, è il
razzismo. Pazienza se droga e alcool spopolano, se il gioco d’azzardo ci rovina
e la pornografia ci imbarbarisce, ma guai – guai! – a chi assume qualsivoglia
atteggiamento giudicato sospetto, a chi tentenna sull’uguaglianza, a chi osa
dissociarsi dalla sinfonia mediatica sui diritti umani e sulla beneficienza.
Son moniti, questi, che valgono per tutti,
quadrupedi inclusi: qualche anno fa, in America, Dolpho, un pastore tedesco
specializzato nell’individuazione di trafficanti di droga, è stato sospeso dal
servizio perché – udite, udite – se la prendeva principalmente con spacciatori
di colore mentre ai bianchi, a quanto pare, strizzava l’occhio. No
comment. Eppure, nonostante questa lotta ferrea e planetaria alla discriminazione, si registra quotidianamente la massima indifferenza verso quella che, piaccia o meno, è la più diffusa pratica razzista contemporanea: l’aborto. E a farne le spese, ancora una volta, sono anzitutto le categorie sociali storicamente più penalizzate: le persone di colore, i disabili e le donne. I primi – avete capito bene – sono i negri, esattamente come ai tempi della tratta degli schiavi. A dirlo non è la teoria di qualche pro-life, bensì una ricerca – ripresa anche dal New York Times, testata certo non tacciabile di sudditanza cattolica, e condotta dal National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion tra il 1996 ed il 2006 – che ha messo in luce come in America il 40% degli aborti procurati sia a carico di donne di colore. Piccolo particolare: negli Stati Uniti le persone di colore non sono nemmeno il 15% della popolazione. Non serve quindi essere giganti della matematica per capire quanto l’aborto stia decimando la popolazione di colore americana. Ma i vari enti internazionali preposti alla difesa delle minoranze – e potremmo, spazio permettendo, citarne a centinaia -, stranamente, non aprono bocca. Neanche – che ne so – una conferenza, due righe di comunicato stampa, un sms: niente. Silenzio di tomba. Stesso discorso per i bambini Down – altra categoria protetta, a dar retta ai guardiani dei diritti umani: non nascono più, stanno statisticamente scomparendo. E non per l’inverno demografico – che pure rappresenta un problema enorme – ma perché vengono eliminati serialmente con l’aborto. E quando nascono, quasi sempre, è per errore, perché la sindrome non era stata diagnosticata. Il caso più lampante, in Europa, è forse quello britannico: nel 1990 in Inghilterra e Galles le diagnosi prenatali di sindrome di Down erano state 1.075, nel 2008 avevano toccato quota 1.843 (+70%). Una bella impennata. Nonostante ciò le nascite di bambini Down non solo non risultano – come ci si aspetterebbe – essere aumentate, ma son addirittura calate di 1 punto percentuale, passando da 752 a 743. Questo perché la percentuale di coppie che ricorre all’aborto dopo aver appreso di attendere un figlio Down, in Inghilterra, è pari al 92%. Ma anche per questo orrore, dal fronte dei diritti umani, non vola una mosca. L’ultimo ma non meno importante pubblico vittima dell’aborto è quello femminile. In Asia, ormai lo sanno tutti, le donne stanno sparendo. E’ un dramma così devastante che ultimamente – miracolo! – ha attirato le attenzioni del Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Che ha dichiarato: “La violenza contro le donne è una questione che non può attendere. Attraverso la pratica della selezione sessuale prenatale, un numero imprecisato non ha neppure diritto alla vita”. I numeri complessivi della strage li ha ribaditi giusto l’altro giorno il demografo Phillip Longman della New America Foundation: lo squilibrio dei sessi generato dall’aborto di massa, nella sola Cina, ha fatto sì che ci sia un 16% di maschi in più; per non parlare dell’India. Nessuna società, assicura Longman, ha mai sperimentato la velocità di invecchiamento e lo squilibrio di genere evidente oggi in Asia. Persino l’Onu – ed è tutto dire – se ne sta accorgendo. Chi su questo tace, inspiegabilmente, è l’ormai attempato fronte femminista: e i famosi diritti delle donne? Mistero. Devono essersi presi una vacanza. Per concludere, occorre comunque precisare come l’aborto non sia razzista solo perché, come abbiamo visto, propizia l’estinzione della popolazione di colore, di quella disabile e di quella femminile. Certo, tutto ciò, se possibile, ne mette ancor più in evidenza la potenza omicida. Ma la pratica abortiva, di per sé, è intrinsecamente razzista per una ragione molto più semplice: perché elimina il nascituro, ossia colui che per antonomasia non ha la possibilità di difendersi, di dire la propria, di ribellarsi al destino che altri – i suoi genitori, noi, la società – potrebbero scegliergli. E’ questo, su tutti, il dramma più grande. Quello sul quale ciascuno di noi, a suo modo, dovrebbe riflettere. Siamo anche liberi, ovviamente, di far finta di nulla; di continuare la nostra vita sereni, di occuparci d’altro e sperare che tutto si risolva da sé. In questo caso saremmo però costretti, quanto meno per decenza, a piantarla con la condanna del razzismo. Perché rischieremmo di essere assai ridicoli. (Tratto da: Libertàepersona.org) |
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