domenica 2 novembre 2008

XXXI Domenica del Tempo Ordinario A

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria.
E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri,
e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,
nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?
Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?
E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?
Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.
Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere;
ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.
Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?
Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me.
E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

IL MAESTRO

Non fatevi chiamare rabbì,
perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo
(Mt 23,10)

Guardate a lui e sarete raggianti
canta con forza il salmo.
Rispecchiati nel volto splendente di Cristo
per ritrovare la tua immagine pura.

A forza di ascoltare se stesso
l’uomo dimentica che esiste l’altro.
Per ricercare la propria vita
deve considerarsi solo al mondo.

Un monaco/monos di egoismo,
di ricerca del tutto per sé,
perché tutto deve essere in funzione
di se stesso, ombelico polare.

Ascoltare il Maestro è aprire il cuore,
liberato da ogni legame terreno;
è avere bisogno dell’Altro
per crescere bene in ogni cosa.

Accogliere il Maestro è ricevere da lui
quella vita che ci manca;
vedere il senso delle cose
con la sua stessa misericordia.

Lasciati portare dalla verità,
corrispondenza di parole e cuore;
scopri l’umile verità dell’altro
che fa fatica anche lui a vivere.

Non imporre te stesso con arroganza,
ma accetta il fratello come è;
servi l’altro con dedizione, perché
servire è diventare maestro d’amore.

Sì, sì; no, no. L’uomo semplice
si fa sempre accettare dagli altri;
l’uomo doppio non passa nei cuori,
ma diventa inciampo per tutti.

Gesù è il Maestro, il solo Rabbì
perché servo di tutti, crocifisso;
la sua parola esce dalla sua bocca
già evento, perché lui la compie.

Dice e fa; ama e offre se stesso,
risana per riempire il cuore
del suo Spirito divinizzante,
serve, perché è un Maestro perfetto.

Pben 2, xi, 2008

Commemorazione di tutti i fedeli defunti

La commemorazione dei fedeli defunti al 2 novembre ebbe origine nel 998 nel monastero benedettino di Cluny per iniziativa di s. Odilone (quinto abate di Cluny); il fatto che migliaia di monasteri benedettini dipendessero da Cluny favorì l'ampio diffondersi della commemorazione in molte parti dell'Europa settentrionale. Nel 1311 anche a Roma venne istituita ufficialmente la memoria dei defunti mentre il privilegio delle tre Messe al 2 novembre, accordato alla sola Spagna nel 1748, fu esteso alla Chiesa universale, da Benedetto XV, solo nel 1915. Scopo della commemorazione di tutti i defunti in passato era quello di suffragare i morti; di qui le Messe, la novena, l'ottavario, le preghiere al cimitero. Questo scopo naturalmente rimane; ma oggi se ne avverte un altro altrettanto urgente: creare nel corso dell'anno un'occasione per pensare religiosamente, cioè con fede e speranza, alla propria morte. Spezzare la congiura del silenzio riguardo a essa. Quando nasce un uomo, diceva sant'Agostino, si possono fare tutte le ipotesi: forse sarà bello, forse sarà brutto, forse sarà ricco, forse sarà povero, forse vivrà a lungo, forse no. Ma di nessuno si dice: forse morirà, forse non morirà. Questa è l'unica cosa assolutamente certa della vita. Nella nostra vita noi pensiamo di non avere mai abbastanza: viviamo protesi verso un continuo «domani», dal quale ci attendiamo sempre «di più»: più amore, più felicità, più benessere. Viviamo sospinti dalla speranza. Ma in fondo a tutto il nostro stordirci di vita e di speranza si annida, sempre in agguato, il pensiero della morte: un pensiero a cui è molto difficile abituarci, che si vorrebbe spesso scacciare. Eppure la morte è la compagna di tutta la nostra esistenza: addii e malattie, dolori e delusioni ne sono come i segni premonitori. La morte resta per l'uomo un mistero profondo per credenti e non credenti. Essere cristiani cambia qualcosa nel modo di considerare la morte e di affrontarla? Qual'è l'atteggiamento del cristiano di fronte alla domanda, che la morte pone continuamente, sul senso ultimo dell'esistenza umana? La risposta si trova nella profondità della nostra fede. San Paolo scriveva : «Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui.» (1Ts 4,13-14) La morte del cristiano si colloca nel solco della morte di Cristo: è un calice amaro da bere fino in fondo perché frutto del peccato. Ma la morte è anche volontà amorosa del Padre che ci aspetta, al di là della soglia, a braccia aperte: una morte che è essenzialmente non-morte ma vita, gloria, risurrezione. Come tutto questo avvenga di preciso non si sa. Umanamente non si può misurare l'immensità delle promesse e del dono di Dio. Il Prefazio dei defunti rivela un accento di umana soavità e di divina certezza: «È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Nel quale rifulse a noi la speranza della beata resurrezione: cosí che coloro che sono contristati dalla certezza della morte, siano consolati dalla promessa della futura immortalità. Poiché, o Signore, la vita dei tuoi fedeli non si distrugge, ma si cambia, e dissolta la casa di questa dimora terrestre, si acquista eterna abitazione in cielo.... ».

GIOVANNI PAOLO II
ANGELUS

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti
Domenica, 2 novembre 2003

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Dopo aver celebrato ieri la Solennità di Tutti i Santi, oggi, due novembre, il nostro sguardo orante si volge a coloro che hanno lasciato questo mondo e attendono di raggiungere la Città celeste. Da sempre la Chiesa ha esortato a pregare per i defunti. Essa invita i credenti a guardare al mistero della morte non come all'ultima parola sulla sorte umana, ma come al passaggio verso la vita eterna. "Mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno - leggiamo nel prefazio odierno -, viene preparata un'abitazione eterna nel Cielo".

2. E' importante e doveroso pregare per i defunti, perché anche se morti nella grazia e nell'amicizia di Dio, essi forse abbisognano ancora di un'ultima purificazione per entrare nella gioia del Cielo (cfr Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1030). Il suffragio per loro si esprime in vari modi, tra i quali anche la visita ai cimiteri. Sostare in questi luoghi sacri costituisce un'occasione propizia per riflettere sul senso della vita terrena e per alimentare, al tempo stesso, la speranza nell'eternità beata del Paradiso.

Maria, Porta del cielo, ci aiuti a non dimenticare e a non perdere mai di vista la Patria celeste, meta ultima del nostro pellegrinaggio qui sulla Terra.