giovedì 29 novembre 2007

Pietre che cantano
Autore: Alessandro MASSOBRIO

Il mistero della cattedrale continua ad affascinare le diverse generazioni. È la bellezza che attira l’uomo verso l’Assoluto. Romaniche e gotiche, sono la testimonianza di un’epoca e di una cultura che mettevano Dio al primo posto.
«Mi rifiuto di affermare che esista, in ultima analisi, un elemento decisivo: io ritengo che tutto sia determinato da tutto e che tutto determini tutto». Queste parole dello storico del Medioevo francese, Georges Duby, che l’architetto Roland Bechmann pone ad epigrafe del suo libro su Le radici delle cattedrali, la dice lunga sulla complessità della spiegazione di un fenomeno. Quello della fioritura nell’Europa occidentale di quelle grandi chiese episcopali, a cui noi moderni siamo soliti attribuire, per l’appunto, il nome di cattedrali. Cattedrale da cathedra, il sedile destinato, in occasione delle solenni festività, ad accogliere il vescovo o il dignitario di primaria importanza. Sopra il capo del quale la volta – spesso, a ogiva – s’impenna come se volesse dissolversi nello spazio, mentre intorno a lui le pareti perdono di spessore, trasformandosi, grazie alle finestre istoriate, in muraglie di luce.Che cosa ne ha prodotto la nascita? Che cosa ne ha determinato la graduale scomparsa? Sono interrogativi che non possono essere soddisfatti da una sola risposta. Noi sappiamo soltanto che tra il 500 e il 1500 d.C. l’Europa conosce due grandi stagioni dell’arte sacra. La romanica prima, la gotica poi. La seconda soprattutto lascia sbalorditi per la perentorietà con cui si afferma, per le soluzioni architettoniche che propone, per la densa simbologia di cui si ammanta. La cattedrale romanica, in fondo, è una ripresa dei motivi della basilica paleocristiana e pagana. La pianta a croce latina prevede una copertura dello spazio interno in cui le spinte centrifughe siano compensate da pesanti armature murarie. Nascono così i contrafforti, che bilanciano il peso della volta cosiddetta a tutto sesto. Le cattedrali romaniche – quella di Modena, di Parma, di Sant’Ambrogio a Milano, considerata l’autentica madre di questo stile architettonico – sono strutture massicce, su cui si alza il campanile come un pilum, una lancia, piantata nel terreno. Paiono macchine da guerra, che si apprestano, sotto i rispettivi gonfaloni, all’assedio di quella cittadella che si chiama Gerusalemme celeste. Alla conquista della quale è chiamata l’intera Chiesa militante. Poi, d’improvviso, tutto questo cambia. A partire dai primi decenni dopo il Mille, nell’Ile-de-France e poi in Borgogna, Germania, Inghilterra, Fiandra e solo più tardi in Italia, il panorama subisce una radicale trasformazione. L’arco ogivale, detto a sesto acuto, imprime alla struttura una spinta verso l’alto. L’illuminazione diventa elemento imprescindibile, tanto è vero che i muri perimetrali subiscono una sorta di “smaterializzazione”, ad opera delle vetrate e del rosone, che troneggia al centro della facciata. La spinta delle volte viene ulteriormente alleggerita dagli archi rampanti, grazie ai quali le forze in gioco vengono suddivise in più componenti. È nata quella che i francesi chiamano art gotique. L’arte della Vergine, di san Bernardo, di Dante. Ma quali ne sono le cause? Come si è detto, sarebbe difficile individuarne una a scapito delle altre. Certamente concorrono condizioni materiali ed economiche non indifferenti: il disboscamento, che riduce il legname delle impalcature; la necessità di collocare queste stesse impalcature sempre più in alto onde evitare il diffondersi di incendi; la crescente impennata dei prezzi della pietra, il cui costo sale vertiginosamente nel corso del trasporto e della quale quindi si impone una economizzazione. Ma c’è anche altro. C’è, per esempio – come già si è detto – il richiamo che la Vergine e il suo culto esercitano sugli uomini dell’XI, XII, XIII secolo. La Madonna che, prima del Mille, si limitava a costituire uno degli elementi del quadro della Redenzione e Incarnazione di Nostro Signore, diviene ora il vertice di una piramide devozionale che, per usare un’espressione paolina, attira a sé tutte le cose. Nella sola Francia, le cattedrali dedicate a Maria si moltiplicano a vista d’occhio, tanto che i devoti le chiamano, tout court, le Notre-Dame. Ce ne sono a Reims, a Digione, a Rouen, a Strasburgo, a Chartres, a Parigi. Un ateo dichiarato come lo scrittore Henry Adams riconosce che Maria esercita su tutto il tardo Medioevo un’enorme forza attrattiva. La gara consiste nell’issare sul pinnacolo più alto della propria cattedrale l’immagine della Madre del Salvatore e senza dubbio non si tratta di una gara economicamente agevole. Alla spesa concorrono offerte di corporazioni e donazioni episcopali, regalie di principi, risparmi di gente povera e dimenticata. Poi, quando tutto è stato predisposto, giungono loro: i Maestri Comacini. Che provengano da Como è soltanto una delle tante spiegazioni etimologiche che tentano di diradarne la leggenda. Certo è che si tratta di corporazioni di lapicidi, di architetti, di capomastri e muratori che in pochi anni, come a Troyes e Montpellier, sono in grado di aggiungere nuove meraviglie a quelle del mondo antico. Sulle loro tecniche Roland Bechmann ha osservato: «Se noi dovessimo costruire le cattedrali dei gotici con i mezzi di cui essi disponevano, non ne saremmo capaci». Da qui l’idea di un sapere esoterico, segretamente tramandato, che farebbe di queste maestranze i detentori di conoscenze ereticali o addirittura gli antenati dei moderni frammassoni. In realtà, la cattedrale è un prodigio di forze in equilibrio statico, che contengono e custodiscono un altrettanto grande prodigio di simboli in equilibrio dinamico. Si riferiva probabilmente alle cattedrali Charles Baudelaire quando parlava di «foreste di simboli dagli occhi familiari». È il simbolo, infatti, il pensiero che si riveste di immagini e l’immagine che rimanda ad altro da sé, a costituire il mistero delle cattedrali del Medioevo. Un mistero che il mondo moderno, deciso a rifiutare all’arte qualsiasi valore che non sia puramente estetico, ha disimparato a decifrare. Limitandosi così ad elevare a Dio case che sembrano destinate a tutto. Meno che a contenere quello stesso Dio cui sono destinate. Un centro polifunzionale L’Italia, paese saldamente legato alla classicità, assiste tardi all’affermazione del gotico. Solo nel secolo XIII qualche grande cattedrale, ad imitazione di quelle francesi, incomincia a svettare in un panorama cittadino caratterizzato dalla linea curva e dall’arco a tutto sesto. Tradizionalmente si ritiene che siano stati prima i cistercensi e poi i francescani, con la Basilica del Santo, ad Assisi, ad introdurre presso di noi lo stile dell’ogiva. In realtà, san Francesco – come afferma lo Speculum perfectionis – prescriveva ai suoi di «rifiutare i templi di grandi dimensioni e riccamente ornati». Fu semmai il suo successore nel governo dell’ordine, san Bonaventura, a imprimere anche all’architettura quel senso di amore per il creato che caratterizza la dottrina del fondatore. Un amore per il creato che si esprime bene in chiese le cui selve di colonne di pietra richiamano quelle vegetali, create dalla mano paterna di Dio. Per tutto il Duecento assistiamo così ad una fioritura di cattedrali gotiche italiane – a Siena, a Firenze, ad Orvieto e poi più tardi anche a Milano, il cui duomo risente comunque già di quello stile flamboyant, fiammeggiante, che si rivela come una più marcata eredità nordica – alla cui realizzazione spesso vengono chiamate maestranze straniere. La cattedrale, anche in Italia, mantiene quella sua caratteristica di ambiente polifunzionale che fa di essa il centro non soltanto religioso della vita cittadina. In primo luogo, naturalmente, il duomo è deputato alle solenni funzioni liturgiche. È lì che il vescovo ha la sua cattedra e lì sono custodite le reliquie che richiamano, anche da assai lontano, la devozione dei fedeli. Ma alla cattedrale non mancano anche funzioni più strettamente civili. Grazie al campanile, da cui si propaga ovunque la gran voce delle campane, essa diffonde messaggi urgenti e chiama la popolazione in assemblea. Ma la centralità della cattedrale diventa anche per i cittadini un comodo spazio di incontro e di scambio. Sotto gli archi a sesto acuto accade di discutere di affari, sotto le finestre istoriate si stipulano contratti e si assume manovalanza. Alcuni documenti attestano addirittura l’utilizzazione del sacro recinto per fiere di cavalli. A conferma di quanto fragili fossero le transenne che, nell’Evo Medio, separavano, per l’appunto, il sacro dal cosiddetto profano. Anche la cultura non viene dimenticata. Spesso il transetto si trasforma, infatti, in palcoscenico per rappresentazioni di soggetto religioso, i cosiddetti misteri. La cattedrale, insomma, svolge le funzioni del foro romano e dell’agorà greca. Un luogo di incontro, un contenitore chiuso, un monumento nel senso che in essa si conserva la memoria della comunità.Ma trascureremmo un elemento estremamente importante se non citassimo un’ulteriore funzione che il tempio viene a svolgere tra i cittadini di un centro urbano medioevale. Esso è anche infatti un potente agente didascalico ed educativo. In secoli nei quali l’analfabetismo è endemico, in cui l’unica forma di istruzione è quella orale, la cattedrale si rivela, con le finestre istoriate, con i frontoni animati da bassorilievi, con i doccioni in pietra, una sorta di muta enciclopedia, che si esprime tramite l’immagine. Non a caso si è parlato a suo proposito di “Bibbia dei poveri”. Attraverso un linguaggio accessibile a tutti, infatti, le storie vetero e neotestamentarie sono rese di pubblica fruizione. E questo, in un tempo, in cui, come si è visto, tempo sacro e tempo profano venivano ad intersecarsi, non era davvero poco.

Bibliografia: Angela Cerinotti, Le cattedrali del mistero, Demetra, 1997.Roland Bechmann, Le radici delle cattedrali, trad. it. di G. Amoretti, Marietti, 1984. Jacques Le Goff, Gli intellettuali nel Medioevo, trad. it. di C. Giardini, Mondadori, 1979. Dominique Macaulay, La cattedrale, trad. it di A. Dolci, Nuove Edizioni Romane, 1981.
da IL TIMONE - Gennaio 2006 (pag. 22-24)